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La Ricerca in Italia

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Academic year: 2021

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G It Diabetol Metab 2014;34:224-227

Il diabete causa neuropatia autonomica midollare e compromette la mobilizzazione delle cellule staminali attraverso la disregolazione di p66Shc e sirtuina-1

Albiero M

1

, Poncina N

1,2

, Tjwa M

3

, Ciciliot S

1,2

, Menegazzo L

1,2

, Ceolotto G

2

, Vigili de Kreutzenberg S

2

, Moura R

3

, Giorgio M

4

, Pelicci P

4

, Avogaro A

1,2

, Fadini GP

1,2

1

Venetian Institute of Molecular Medicine, Padova;

2

Dipartimento di Medicina, Università di Padova;

3

Laboratory Vascular

Hematology/Angiogenesis, Institute for Transfusion Medicine, Goethe University Frankfurt, Frankfurt, Germania;

4

Istituto Europeo di Oncologia, Istituto FIRC

(Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) di Oncologia

Molecolare, Milano Diabetes 2014;63:1353-65

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Il diabete mellito aumenta il rischio cardiovascolare e si ritiene che ciò dipenda, al- meno in parte, da un difetto della mobilizzazione delle cellule staminali dal midollo osseo al sangue periferico.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Il diabete mellito compromette la mobilizzazione delle cellule staminali, incluse quelle vascolari, dal midollo osseo. Tale disfunzione midollare dipende dal rimodellamento della nicchia staminale, con sviluppo di microangiopatia. È noto da modelli animali che il sistema nervoso simpatico (SNS) regola il flusso delle cellule staminali da e per il midollo.

Sintesi dei risultati ottenuti

Lo studio ha documentato una forma specifica di neuropatia autonomica all’interno del midollo osseo di topi diabetici di tipo 1 e di tipo 2. Tale neuropatia è responsa- bile del difetto di mobilizzazione delle cellule staminali nel diabete in risposta al- l’ischemia e al G-CSF. L’utilizzo di agenti mobilizzanti indipendenti dal SNS, oppure il potenziamento della funzione noradrenergica ripristinano la mobilizzazione anche negli animali diabetici. In parallelo, la neuropatia autonomica cardiovascolare in pa- zienti diabetici si associa a una progressiva riduzione delle cellule staminali circo- lanti. Dal punto di vista meccanicistico, è stato chiarito che la proteina redox p66Shc media lo sviluppo della neuropatia autonomica e il difetto di mobilizzazione che ne consegue è ascrivibile a un’alterazione dell’asse sirtuina-1/L-selectina.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Questi dati chiariscono meglio l’entità e la tipologia del danno midollare che si os- serva nel diabete e come questo si traduca in riduzione della mobilizzazione delle cel- lule staminali utili per la riparazione vascolare.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

I meccanismi molecolari identificati possono rappresentare dei potenziali futuri ber- sagli terapeutici.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

L’identificazione di un ruolo prominente del SNS permette di ipotizzare quali stimoli siano in grado di indurre mobilizzazione anche nel contesto del diabete.

La motivazione e gli stadi del cambiamento per alimentazione e attività fisica nel diabete mellito di tipo 2

Centis E

1

; Gruppo di Studio Interassociativo “Attività fisica”

AMD-SID

1

Malattie del Metabolismo e Dietetica Clinica, “Alma Mater Studiorum” Università di Bologna, Bologna

Acta Diabetologica 2014;51:559-66

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

In un campione di pazienti con diabete mellito di tipo 2 è stata somministrata la bat- teria di questionari EMME 3 che indaga gli stadi del processo di cambiamento e specifici fattori legati alla motivazione per quanto riguarda il miglioramento delle abi- tudini alimentari e la partecipazione a programmi di attività fisica, con l’obiettivo di raccogliere informazioni necessarie a rendere più efficaci le strategie di intervento sulla patologia diabetica.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Nella prevenzione e trattamento del diabete di tipo 2 l’attenzione a uno stile di vita salutare è di estrema importanza (controllo del peso, alimentazione sana e attività fi- sica), ma esistono molte barriere per cambiare le abitudini non salutari dei pazienti.

Elemento determinante di questo processo è la motivazione al cambiamento, spesso scarsa nelle persone con patologie croniche collegate agli stili di vita. Una raccolta sistematica comparativa dell’attitudine al cambiamento verso dieta salu- tare e attività fisica nel diabete di tipo 2 non era mai stata condotta.

Sintesi dei risultati ottenuti

I dati raccolti confermano che un’elevata percentuale di pazienti diabetici manifesta bassi livelli di motivazione al cambiamento degli stili di vita. Differenze significative si

La Ricerca in Italia

(2)

La Ricerca in Italia 225

Glicemia dopo carico di glucosio alta normale, fattori di rischio cardiovascolare e segni di danno d’organo in bambini obesi

Di Bonito P

1

, Licenziati MR

2

, Baroni MG

3

, Congiu T

3

, Incani M

3

, Iannuzzi A

4

, Maffeis C

5

, Perrone L

6

, Valerio G

7

, Miraglia Del Giudice E

6

1

UOC Medicina, PO Pozzuoli (NA);

2

AORN Santobono-Pausilipon (NA);

3

Dipartimento Scienze Mediche, Università di Cagliari;

4

AORN Cardarelli, Napoli;

5

Centro

Regionale di Diabetologia Pediatrica e Dipartimento di Scienze Mediche e Riproduzione, Università di Verona;

6

Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia Generale e Specialistica, Seconda Università di Napoli;

7

Dipartimento di Scienze Motorie e del Benessere, Università Parthenope di Napoli Obesity (Silver Spring)

2014;22:1860-4

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

In 1835 bambini obesi non diabetici è stato valutato se la glicemia dopo carico di glucosio (2hPG), nel range di normalità, fosse associata con fattori di rischio car- diometabolico (FRCM) e se vi fosse uno specifico cut-off in grado di identificare bambini con un peggiore profilo di rischio e con segni di danno epatico e carotideo.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Non era noto se la glicemia dopo carico, nel range di normalità, fosse associata con FRCM o segni di danno d’organo.

Sintesi dei risultati ottenuti

A partire da un livello di 2hPG ≥ 110 mg/dl, progressivamente crescente, fino allo stato prediabetico, la relazione fra 2hPG e FRCM è lineare. Un cut-off ≥ 110 mg/dl identifica bambini con elevato rischio di alti livelli di ALT (quale surrogato di steatosi epatica) e aumentato spessore medio-intimale.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

La glicemia 2hPG, collegata alla sottostante insulino-resistenza, potrebbe contri- buire al maggior rischio di sviluppare FRCM e al potenziale rischio di steatosi epa- tica e aterosclerosi precoce.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Valutare prospetticamente se la 2hPG è utile nel predire il diabete o la malattia CV.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Avviare alla curva da carico orale i bambini obesi e inserire in un programma di dia- gnosi precoce della complicanza CV o di un intensivo cambiamento dello stile di vita quelli con 2hPG ≥ 110 mg/dl.

evidenziano tra la motivazione a cambiare abitudini alimentari e la motivazione a in- crementare l’attività fisica (ridurre la sedentarietà) per alcune delle scale conside- rate: la disponibilità al cambiamento è maggiore nell’area dell’alimentazione. La resistenza a migliorare le abitudini alimentari e incrementare l’attività fisica è asso- ciata a un alto BMI. Differenze significative si rilevano anche in relazione al genere, all’età e alla durata del diabete.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

L’attitudine all’attività fisica è la sfida più difficile per il paziente e per il team diabe- tologico che lo segue. La persona che scopre di avere il diabete si concentra ini- zialmente sull’adesione alla terapia farmacologica e sull’importanza di una corretta alimentazione, considerando solo marginalmente l’utilità dell’attività fisica. Le infor- mazioni acquisite dai pazienti sui comportamenti salutari da adottare non sono suf- ficienti per modificare le proprie abitudini. È necessario sostenere i pazienti nel processo di cambiamento attraverso un approccio motivazionale.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Sono necessari studi longitudinali sulla motivazione e le dinamiche del processo di cambiamento per acquisire informazioni che consentano di adattare gli interventi ai profili motivazionali dei pazienti, rendendoli maggiormente efficaci.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I dati della ricerca indicano che occorrono piani specifici di implementazione del- l’attività fisica nelle persone con diabete.

Profilo di rischio

cardiovascolare in soggetti con prediabete e neodiagnosi di diabete di tipo 2 diagnosticati

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

È stato analizzato il rischio cardiovascolare di soggetti con una normale glicemia a

digiuno e normale curva da carico di glucosio (OGTT), ma con livelli di HbA

1c

(5,7-

6,4%) da prediabete. Tale rischio è stato valutato mediante la misura di marker di

(3)

La Ricerca in Italia 226

mediante l’emoglobina glicata (HbA

1c

) in accordo con i criteri dell’American Diabetes Association (ADA)

Di Pino A, Scicali R, Calanna S, Urbano F, Mantegna C, Rabuazzo AM, Purrello F, Piro S UOC di Medicina Interna,

Dipartimento di Biomedicina Clinica e Molecolare, Università degli Studi di Catania, Ospedale Garibaldi Nesima, Catania

Diabetes Care 2014;37:1447-53

danno cardiovascolare (CV) precoce quali lo spessore medio intimale carotideo (IMT) e la rigidità arteriosa.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Fino a pochi anni fa il prediabete si diagnosticava solo mediante glicemia a di- giuno o OGTT. Solo recentemente si è proposto l’uso della HbA

1c

. A oggi non è chiaro quale parametro dell’omeostasi glicemica possa identificare meglio il ri- schio CV.

Sintesi dei risultati ottenuti

Abbiamo trovato che soggetti con normale glicemia a digiuno e normale tolleranza al glucosio ma con aumentata HbA

1c

(5,7-6,4%) presentavano valori di rigidità arte- riosa e IMT aumentati rispetto ai controlli (HbA

1c

< 5,7%) e simili ai soggetti con dia- bete di tipo 2 neo-diagnosticato mediante HbA

1c

(≥ 6,5%).

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

I nostri dati supportano l’ipotesi che l’HbA

1c

possa identificare soggetti con predia- bete ad alto rischio CV che non sarebbero identificati con glicemia a digiuno e OGTT.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Identificare i meccanismi patogenetici del rischio cardiovascolare e il danno mio- cardico in questi soggetti e valutare mediante studio prospettico su larga scala gli eventi cardiovascolari.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana

L’HbA

1c

è un marker semplice e riproducibile, capace di identificare soggetti ad alto rischio cardiovascolare che, nella nostra casistica, non sarebbero stati diagnosticati con la glicemia a digiuno o con l’OGTT.

Viscosità del sangue in soggetti con normoglicemia e con prediabete

Irace C, Carallo C, De Franceschi MS, Esposito T, Gnasso A Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi Magna Græcia di Catanzaro, Catanzaro

Diabetes Care 2014;37:488-92

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

La ricerca ha valutato se vi fosse un’associazione tra viscosità del sangue e valori di glicemia normali e normali-alti in soggetti non diabetici. L’ipotesi è che alterazioni della viscosità possano compromettere la perfusione tessutale e quindi il trasporto di insulina e di conseguenza l’utilizzazione periferica del glucosio.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

La viscosità del sangue è aumentata nei soggetti con diabete e con insulino-resi- stenza. Si ipotizza che l’iperglicemia cronica possa modificare la viscosità attraverso variazioni della osmolarità. Inoltre, anche la diuresi osmotica indotta dall’iperglice- mia contribuirebbe a modificare l’ematocrito e la viscosità del sangue. Uno studio prospettico, che ha coinvolto un ampio numero di soggetti, ha dimostrato come la viscosità del sangue calcolata e l’ematocrito siano fattori di rischio per lo sviluppo di diabete.

Sintesi dei risultati ottenuti

I soggetti arruolati nello studio (264) non assumevano alcun farmaco, non erano diabetici, né ipertrigliceridemici, né fumatori. La viscosità è stata misurata con un vi- scosimetro sollecitando il sangue a diversi shear rate. Si ripropone in questo modo, in vitro, quello che accade in vasi di differente calibro e con differente velocità del sangue. Suddivisi in tre gruppi in base al valore di glicemia a digiuno, è risultato che coloro che presentavano un valore compreso tra 90-99 mg/dl e 100-125 mg/dl ave- vano una viscosità del sangue significativamente maggiore rispetto a coloro con gli- cemia < 90 mg/dl a diversi shear rate.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

I risultati di questa ricerca per la prima volta hanno dimostrato che esiste una cor-

relazione diretta tra viscosità ematica e plasmatica e glicemia in soggetti non dia-

betici. Inoltre, già valori di glicemia considerati normali (90-99 mg/dl) si associano ad

aumento della viscosità.

(4)

La Ricerca in Italia 227

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

I dati di questo studio contribuiscono alla comprensione dei meccanismi che in- fluenzano la captazione del glucosio a livello periferico, generando o sostenendo una condizione di insulino-resistenza. Studi in popolazioni selezionate e studi di in- tervento, che modifichino le proprietà emoreologiche, sono auspicabili a ulteriore conferma dell’ipotesi iniziale.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La viscosità ematica non è misurata di routine, ma può essere facilmente calcolata in modo affidabile. Alcuni fattori di rischio e alcuni farmaci sono in grado di aumen- tare la viscosità del sangue, e ciò potrebbe avere importanza nella valutazione glo- bale del paziente. Un valore di glicemia ai limiti alti o normale-alto potrebbe essere già la conseguenza di un’alterata regolazione periferica della perfusione.

Una lieve neutropenia precede e accompagna l’esordio del diabete autoimmune (T1D) Valle A

1,2

, Giamporcaro GM

1,3

, Scavini M

1,4

, Stabilini A

1

, Grogan P

1,5

, Bianconi E

1,5

, Sebastiani G

6

, Masini M

7

, Maugeri N

8

, Porretti L

9

, Bonfanti R

1,10

, Meschi F

10

, De Pellegrin M

11

, Lesma A

12

, Rossini S

13

, Piemonti L

1

, Marchetti P

14

, Dotta F

6

, Bosi E

1,2,5

, Battaglia M

1,5

1

Istituto Scientifico San Raffaele, Istituto di Ricerca sul Diabete (DRI), Milano;

2

Università Vita-Salute San Raffaele, Milano;

3

Università di Tor- Vergata, Roma;

4

Dipartimento di Medicina Interna, Ospedale San Raffaele, Milano;

5

Centro TrialNet, Ospedale San Raffaele, Milano;

6

Unità di Diabetologia, Università di Siena; Fondazione Umberto Di Mario ONLUS c/o Toscana Life Science, Siena;

7

Dipartimento di Patologia Sperimentale, Università di Pisa, Pisa;

8

Istituto Scientifico San Raffaele, Divisione di Medicina Rigenerativa, Cellule Staminali e Terapia Genica, Milano;

9

Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Centro di Citometria

Interdipartimentale, Milano;

10

Dipartimento di Pediatria e Neonatologia,

11

Dipartimento di Ortopedia Pediatrica,

12

Dipartimento di Urologia,

13

Dipartimento di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale, Ospedale San Raffaele, Milano;

14

Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, e Unità di Endocrinologia e Metabolismo dei Trapianti, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa Diabetes 2013;62:2072-7

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

La nostra ricerca si è focalizzata sullo studio dei neutrofili nei pazienti con diabete di tipo (T1D). A questo scopo abbiamo misurato la quantità di neutrofili circolanti nei seguenti gruppi di individui:

– soggetti sani;

– soggetti sani con familiarità per T1D e negativi per auto-anticorpi specifici;

– soggetti sani con familiarità per T1D e positivi per auto-anticorpi specifici (i.e., soggetti a rischio di sviluppare T1D);

– pazienti all’esordio del T1D;

– pazienti con T1D di lunga durata;

– pazienti con diabete di tipo 2 (T2D).

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

A oggi in letteratura non vi sono dati sul possibile coinvolgimento dei neutrofili nella patogenesi del T1D nell’uomo.

Sintesi dei risultati ottenuti

Rispetto a soggetti sani di pari età, i neutrofili circolanti sono ridotti in:

– soggetti sani con familiarità per T1D e positivi per auto-anticorpi specifici;

– pazienti all’esordio del T1D;

– pazienti con T1D da almeno 5 anni.

Abbiamo quindi dimostrato che una lieve neutropenia precede e accompagna l’in- sorgenza del T1D nell’uomo. Abbiamo inoltre evidenziato come i neutrofili siano pre- senti in biopsie pancreatiche ottenute durante l’esame autoptico di pazienti con T1D.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

I dati da noi raccolti suggeriscono il coinvolgimento dei neutrofili nel meccanismo au- toimmune alla base del T1D.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Saggi funzionali più approfonditi ci potranno dire se e come la modesta neutrope- nia da noi documentata si accompagni anche a cambiamenti qualitativi di questa po- polazione cellulare.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La dimostrazione che i neutrofili sono una popolazione chiave nella patogenesi del

T1D potrebbe aprire nuove e impreviste strade terapeutiche.

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