La grelina migliora la funzione endoteliale in pazienti con sindrome metabolica
Tesauro M, Schinzari F, Iantorno M, Rizza S, Melina D, Lauro D, Cardillo C
Dipartimento di Medicina Interna, Università di Tor Vergata e Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Circulation 2005;112:2986-92
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Alla sindrome metabolica, la coesistenza di diversi fattori di rischio in uno stesso individuo, spesso associati a obesità centrale e ad aumentata incidenza di malat- tie cardiovascolari.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
I soggetti con sindrome metabolica presentano ridotte concentrazioni ematiche di grelina, un ormone prodotto dallo stomaco con proprietà oressizzanti.
Sintesi dei risultati ottenuti
I risultati hanno dimostrato che l’infusione intravascolare di grelina normalizza la funzionalità endoteliale aumentando la disponibilità di ossido nitrico.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
La dimostrazione di un ruolo della grelina nella regolazione dell’omeostasi vasale ci aiuta a comprendere i meccanismi che determinano le complicanze cardiovasco- lari nei pazienti con sindrome metabolica.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Potrà essere importante identificare i meccanismi intracellulari attivati dalla grelina per stimolare la produzione di ossido nitrico, così come lo studio di eventuali inte- razioni tra grelina e altri sistemi di regolazione vasale, come quello endotelinico.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
È possibile ritenere che strategie (dietetico-comportamentali o farmacologiche) mirate a un aumento dei livelli circolanti di grelina possano esercitare favorevoli effetti antiaterosclerotici in questi pazienti.
Miglioramento della struttura e della funzione endoteliale dopo
trattamento con metformina in giovani donne normopeso con sindrome dell’ovaio policistico: risultati di uno studio a sei mesi
Orio F, Palomba S1, Cascella T, De Simone B2, Manguso F3, Savastano S, Russo T1, Tolino A4, Zullo F1, Lombardi G, Azziz R5, Colao A Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica, Università degli Studi di Napoli
“Federico II”;1Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Università
“Magna Graecia” di Catanzaro;
2Istituto di Medicina Interna e Malattie del Metabolismo, Università degli Studi di Napoli
“Federico II”; 3Medicina Clinica e Sperimentale, Unità di
Gastroenterologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”;
4Ostetricia e Ginecologia, Università degli Studi di Napoli
“Federico II”; 5Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia “Cedars-
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
È stato valutato in giovani donne normopeso con sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) l’effetto di sei mesi di trattamento con metformina (850 mg/die) sulla strut- tura e sulla funzione endoteliale.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
La PCOS è caratterizzata da diverse alterazioni che possono aumentare il rischio di sviluppare malattia cardiovascolare (CVD). Il danno endoteliale rappresenta uno dei più precoci segni di danno cardiovascolare. Precedentemente in un gruppo di pazienti con PCOS, giovani, normopeso, non dislipidemiche e non ipertese, ave- vano dimostrato un incremento dello spessore medio-intimale (IMT) delle arterie carotidi e dei livelli di endotelina-1 (ET-1) e una riduzione della vasodilatazione flusso-mediata (FMD) delle arterie brachiali. L’insulino-resistenza (IR) sembrerebbe svolgere un ruolo centrale nello sviluppo del danno endoteliale. Diversi farmaci insulino-sensibilizzanti, tra cui la metformina cloridrato, si sono dimostrati capaci di migliorare l’IR e l’iperandrogenismo e ridurre i livelli circolanti di insulina in donne con PCOS. Comunque prima dell’attuale lavoro non esistevano dati relativi agli effetti della metformina sull’endotelio nella PCOS.
Sintesi dei risultati ottenuti
Dopo trattamento con metformina, oltre a un miglioramento del profilo metabolico e ormonale, in queste pazienti con PCOS si sono riscontrati una significativa ridu- zione del diametro basale dell’arteria brachiale, dell’IMT e dei livelli sierici di ET-1 e un significativo incremento della FMD.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
Per la prima volta è stato dimostrato che in donne con PCOS la terapia con metformi- na può migliorare la struttura e anche la funzione dell’endotelio e che quindi questa può essere considerata una valida terapia per ridurre il rischio CVD a lungo termine.
La Ricerca in Italia
Prevalenza e
caratteristiche della sindrome metabolica nell’iperaldosteronismo primitivo
Fallo F, Veglio F1, Bertello C1, Sonino N2, Della Mea P, Ermani M3, Rabbia F1, Federspil G, Mulatero P1 Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Clinica Medica 3;
2Dipartimento di Scienze Statistiche e 3Dipartimento di Neuroscienze, Università di Padova;1Dipartimento di Medicina e Oncologia
Sperimentale, Università di Torino J Clin Endocrinol Metab
2006;91:454-9
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
È stato di recente segnalato che l’iperaldosteronismo primitivo presenta un aumenta- to rischio cardiovascolare rispetto all’ipertensione arteriosa essenziale, indipendente dai livelli pressori. Abbiamo indagato la possibilità che i pazienti con questa patologia fossero portatori di alterazioni metaboliche in grado di giustificare tale riscontro.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Non erano note la prevalenza e le caratteristiche della sindrome metabolica nell’i- peraldosteronismo primitivo.
Sintesi dei risultati ottenuti
L’iperaldosteronismo primitivo presenta una maggiore prevalenza di sindrome metabolica (secondo la definizione ATP III) e una maggiore prevalenza di iperglice- mia rispetto all’ipertensione essenziale.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
I dati del nostro studio confermano l’effetto negativo dell’eccesso di aldosterone sul metabolismo glucidico e suggeriscono che la maggiore frequenza di eventi car- diovascolari nell’iperaldosteronismo primitivo rispetto all’ipertensione essenziale possa dipendere dalla più alta prevalenza di sindrome metabolica nella prima con- dizione patologica.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Studi in vitro e in vivo dovranno chiarire i meccanismi attraverso i quali l’eccesso di aldosterone può indurre alterazioni del metabolismo glucidico.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
I pazienti con iperaldosteronismo primitivo candidati a terapia medica (affetti da iperplasia surrenalica bilaterale o con indicazione chirurgica per adenoma surrena- lico secernente aldosterone, ma non operabili) vanno considerati come soggetti ad alta probabilità di sindrome metabolica e inquadrati dal punto di vista clinico all’in- terno del concetto di rischio cardiovascolare globale.
Sinai Medical Center”, Los Angeles, California J Clin Endocrinol Metab 2005;90:6072-6
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Studi più allargati e randomizzati a lungo termine per dimostrare questi e altri potenziali benefici effetti vascolari del trattamento con metformina nelle donne con PCOS, magari in pazienti con altri fattori di rischio, come dislipidemia e obesità.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
La terapia con metformina andrebbe consigliata e adottata in donne con PCOS se insulino-resistenti, per gli effetti benefici che da essa possono derivare, tra i quali la riduzione del rischio cardiovascolare.
Il rosiglitazone modifica il potenziale adipogenico delle cellule satelliti muscolari
De Coppi P1,4, Milan G2,3, Scarda A3, Boldrin L1, Centobene C3, Piccoli M1, Pozzobon M1, Pilon C3, Pagano C3, Gamba P4, Vettor R3
1Oncoematologia Pediatrica,
2Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, 3Medicina Interna,
4Divisione di Chirurgia Pediatrica, Università di Padova
Diabetologia 2006;49:1962-73
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
L’origine delle cellule adipose che sono presenti in quantità variabile all’interno del muscolo scheletrico di soggetti anziani sarcopenici, obesi o con diabete di tipo 2 non è nota. L’ipotesi di una loro origine da cellule staminali residenti nel muscolo ci ha portato a studiare la capacità di differenziamento in senso adipogenico delle cel- lule satelliti muscolari. Inoltre è stato valutato il ruolo del rosiglitazone, farmaco ad azione PPARγ agonista, nella modulazione del potenziale adipogenico di questa popolazione particolare di cellule staminali.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Molti studi sulle cellule satelliti muscolari sono stati condotti negli animali da esperimento, e alcuni hanno messo in evidenza la potenzialità adipogenica delle stesse o di una sottopopolazione di queste. Non vi erano invece nell’uomo studi metodologicamente rigorosi quali la metodica, da noi utilizzata, di isolamento delle cellule satelliti a partire dalla singola fibra muscolare. Tale metodica garan- tisce di analizzare una popolazione pura e caratterizzata di cellule satelliti. Inoltre pochi studi utilizzano il rosiglitazone sulle cellule satelliti per studiare la loro capa-
Relazione tra spessore carotideo medio-intimale e severità dell’istologia epatica in pazienti affetti da epatopatia steatosica non alcolica (NAFLD)
Targher G, Bertolini L, Padovani R, Rodella S, Zoppini G, Zenari L, Cigolini M, Falezza G, Arcaro G Divisione di Medicina Generale, Ospedale “Sacro Cuore – don G.
Calabria”, Negrar (VR)
Diabetes Care 2006;29:1325-30
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Valutare se la presenza di NAFLD, diagnosticata mediante biopsia epatica, si asso- cia a un aumentato spessore carotideo medio-intimale (IMT), quale indicatore affi- dabile di aterosclerosi precoce e diffusa.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
La NAFLD si presenta frequentemente associata alle principali manifestazioni cliniche della sindrome metabolica. Recentemente è stato riportato che la NAFLD si associa a disfunzione endoteliale e ad aumentato spessore carotideo.
Tuttavia, in questi studi la NAFLD era documentata mediante ecografia e non tramite biopsia epatica che rappresenta il “gold standard” diagnostico.
Sintesi dei risultati ottenuti
I valori di IMT carotideo erano marcatamente aumentati nei pazienti con NAFLD (n
= 85, età media 45 anni) rispetto ai soggetti di controllo (n = 160) che erano para- gonabili per sesso, età e BMI. Inoltre, l’IMT carotideo aumentava progressivamen- te con la severità istologica della NAFLD (grado di steatosi, necro-infiammazione e fibrosi); tale incremento rimaneva significativo anche dopo aggiustamento per i principali fattori confondenti, incluse anche la resistenza insulinica e la presenza delle varie componenti della sindrome metabolica.
cità differenziativa in senso adipogenico e confrontano gli adipociti originati da tessuto adiposo con quelli generati dalle cellule satelliti.
Sintesi dei risultati ottenuti
Abbiamo dimostrato mediante analisi di espressione genica, analisi morfologica e immunistochimica che le cellule satelliti umane isolate da muscolo scheletrico sono in grado di dare origine a miotubi, adipociti e osteociti maturi, ossia presentano un potenziale differenziativo verso lineage di tipo mesenchimale. L’aggiunta di rosigli- tazone al terreno adipogenico attiva in modo importante l’espressione del PPARγ e aumenta l’adipogenesi delle cellule satelliti anche se da solo questo farmaco non è in grado di innescare un processo di adipogenesi completo. Degno di nota è stato il riscontro di elevati livelli di espressione di adiponectina e complessivamen- te di tutto il profilo di espressione delle principali adipocitochine coinvolte nella genesi di insulino-resistenza che risulta più “protettivo” nelle cellule adipose gene- rate dalle cellule satelliti muscolari in presenza di rosiglitazone.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
I nostri risultati hanno evidenziato una possibile origine dei depositi adiposi intra- muscolari a partire dalle cellule satelliti muscolari nell’uomo. Inoltre, hanno dimo- strato che il trattamento con un farmaco come il rosiglitazone può modificare tale potenziale adipogenico e influenzare anche il fenotipo delle cellule adipose così generate.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Il passo successivo è certamente quello di verificare se in pazienti affetti da malat- tie metaboliche, quali obesità e diabete, questo fenomeno sia più rilevante e rap- presenti un fattore patogenetico importante nelle modificazioni della capacità di risposta all’insulina dei tessuti periferici.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
I nostri risultati suggeriscono che il trattamento con rosiglitazone di per sé non è sufficiente a convertire cellule satelliti muscolari in cellule adipose, almeno nei sog- getti normali. Inoltre, anche se accelera tale conversione in aggiunta ai classici sti- moli adipogenici, esso potrebbe contrastare l’effetto negativo della presenza di
“adipociti” all’interno del muscolo, evidenziato in molte patologie, modificando il fenotipo di tali cellule adipose e permettendo loro di influenzare positivamente in modo paracrino la sensibilità insulinica del muscolo all’interno del quale sono state generate.
Una persistente ipertrofia renale e una accelerata caduta del filtrato
glomerulare precedono lo sviluppo di
microalbuminuria nel diabete di tipo 1
Zerbini G1, Bonfanti R2, Meschi F2, Bognetti E2, Paesano PL3, Gianolli L4, Querques M1, Maestroni A1, Calori G5, Del Maschio A6, Fazio F4, Luzi L1, Chiumello G6
1Unità di Fisiopatologia Renale, Sezione Nutrizione-Metabolismo, Dipartimento di Medicina, 2Unità di Endocrinologia, Dipartimento di Pediatria, 3Dipartimento di Radiologia, 4Divisione di Medicina Nucleare, 5Unità di Epidemiologia, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano; 6Università Vita-Salute San Raffaele, Milano
Diabetes 2006;55:2620-5
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Il primo segno di nefropatia diabetica apprezzabile nella pratica clinica è la microal- buminuria che però compare solo dopo diversi anni di diabete. Scopo del nostro lavoro è stato quello di cercare di identificare marker predittivi di nefropatia diabe- tica più precoci rispetto alla microalbuminuria.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Era noto da tempo che iperfiltrazione glomerulare e aumento del volume renale subito dopo l’insorgenza di diabete di tipo 1 si associano alla comparsa, negli anni successivi, di microalbuminuria. Non era però noto se queste disfunzioni si mante- nevano nel tempo, né quale disfunzione, iperfiltrazione o ipertrofia rappresentasse il primum movens.
Sintesi dei risultati ottenuti
Questo studio ha dimostrato che in soggetti predisposti alla nefropatia diabetica nel periodo compreso tra insorgenza del diabete e comparsa di microalbuminuria il volu- me renale resta persistentemente più elevato, mentre il filtrato glomerulare diminuisce in modo più rapido rispetto a pazienti che non svilupperanno la complicanza.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
Il fatto che nei pazienti predisposti alla nefropatia diabetica, un volume renale sta- bilmente elevato si accompagni a una rapida caduta del filtrato glomerulare sugge- risce che, in linea con la cosiddetta ipotesi tubulare, il bersaglio iniziale del diabete sia il tubulo (con conseguente ipertrofia tubulare e quindi renale) e che il danno glo- merulare ne sia la conseguenza.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
L’identificazione delle alterazioni molecolari che sottendono l’ipertrofia renale e la cadu- ta del filtrato potrebbero permettere di ipotizzare un intervento preventivo mirato.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
La misurazione del volume renale mediante ecografia potrebbe essere un metodo semplice e poco dispendioso per identificare pazienti a rischio di sviluppare nefro- patia diabetica.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
La NAFLD (e in particolare la NASH) si associa alla presenza di segni precoci di ate- rosclerosi diffusa. La severità istologica della NAFLD è un predittore indipendente di aumentato spessore carotideo medio-intimale.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Ulteriori studi sono necessari per confermare tali risultati e per verificare (in studi pro- spettici) se la NAFLD rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare indipendente.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Questi dati sottolineano l’importanza clinica di valutare il rischio cardiovascolare globale nei pazienti con NAFLD, al fine di un eventuale trattamento aggressivo dei fattori di rischio concomitanti.
Il trattamento di ratti spontaneamente ipertesi con rosiglitazone e/o enalapril ripristina l’equilibrio tra fattori vasodilatanti e
vasocostrittori liberati dall’insulina e porta al simultaneo miglioramento dell’insulino-resistenza e della condizione ipertensiva
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
È stata valutata la possibilità che il riequilibrio nel rilascio di fattori vasorilassanti e vasocostrittori liberati dall’insulina sia uno dei meccanismi tramite cui farmaci anti- diabetici e/o farmaci antipertensivi possano contemporaneamente migliorare sia l’omeostasi metabolica sia quella emodinamica.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
In condizioni fisiologiche, la stimolazione delle cellule endoteliali con insulina porta alla liberazione di NO (tramite la via di PI 3-kinasi) e alla secrezione di ET-1 (tramite la via di MAP-kinasi). L’insorgenza di insulino-resistenza (caratterizzata da una ridotta atti- vità della via di PI3-K) si associa a una eccessiva stimolazione della via di MAP-K
Fattori di rischio cardiovascolari e management clinico nei pazienti con diabete mellito tipo 2 affetti da nefropatia diabetica
Sasso FC1, De Nicola L2, Carbonara O1, Nasti R1, Minutolo R2, Conte G2, Torella R1, Salvatore T1 per il NID-2 (Nephropathy In Diabetes-type 2) Study Group
1Medicina Interna, 2Nefrologia, II Università di Napoli, Napoli Diabetes Care 2006;29:498-503
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Attraverso uno studio multicentrico osservazionale è stato valutato il raggiungimen- to dei target suggeriti dalle linee guida internazionali per i principali fattori di rischio cardiovascolare in una popolazione di diabetici tipo 2 (DM2) ad alto rischio cardio- renale. Inoltre ampio spazio è stato rivolto alla valutazione del management tera- peutico globale presso strutture di secondary care.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Gli studi che hanno valutato la qualità del controllo dei fattori di rischio cardio-renali sono stati svolti su popolazioni generali di diabetici o su coorti con micro- o macroal- buminuria aspecifica, non necessariamente attribuibile a una nefropatia diabetica strictu sensu. Il lavoro ha avuto l’originalità, dopo aver studiato circa 30.000 diabeti- ci, di identificare circa 850 pazienti DM2 con una vera nefropatia diabetica.
Sintesi dei risultati ottenuti
Lo studio ha offerto per la prima volta dati su un’ampia popolazione di diabetici tipo 2 in vari stadi di nefropatia diabetica, segnalando quanto sia complesso raggiun- gere in tali pazienti i principali target cardiovascolari e inoltre quanto sia elevata la prevalenza dell’insufficienza renale cronica anche nei microalbuminurici.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
La presenza di una vera nefropatia diabetica anche nelle fasi iniziali sembra identi- ficare soggetti con una insufficienza renale spesso sottostimata o non diagnostica- ta e con più frequente anemizzazione. In tali pazienti il controllo pressorio è più impegnativo.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
È appena stato concluso un follow-up osservazionale di tre anni ed è in fase di avvio un intervento multifattoriale sulla popolazione studiata.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
La corretta interpretazione della microangiopatia diabetica aiuterebbe a identifica- re diabetici a particolare rischio cardio-renale, verso i quali è richiesto un approc- cio terapeutico globale più aggressivo.
Potenza MA1, Marasciulo FL1, Tarquinio M1, Quon JM2, Montagnani M1
1Dipartimento di Farmacologia e Fisiologia Umana, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari, Bari; 2National Center for Complementary and Alternative Medicine, National Institutes of Health, Bethesda, Maryland Diabetes 2006;55:3594-603
(conseguente alla iperinsulinemia compensatoria). Queste alterazioni sono alla base del disequilibrio tra la produzione dei fattori endoteliali vasodilatanti (NO) e vasocon- tratturanti (ET-1). L’insulino-resistenza può quindi incrementare il rischio di complican- ze vascolari.
Sintesi dei risultati ottenuti
Il trattamento con rosiglitazone in animali geneticamente ipertesi e insulino-resi- stenti riduce i livelli plasmatici di insulina ed ET-1, aumenta il rilassamento vascola- re NO-dipendente e riduce i valori pressori con efficacia sovrapponibile a quella di un classico agente antipertensivo.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
Questo studio sottolinea il nesso fisiopatologico tra insulino-resistenza e ipertensio- ne, e suggerisce perché farmaci insulino-sensibilizzanti come i derivati tiazolidinici possiedano anche proprietà anti-aterogeniche e antipertensive.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Valutare se altre molecole, interagendo con i pathway sopra descritti, possano migliorare il quadro emodinamico in pazienti con insulino-resistenza.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
La comprensione della complessa produzione e regolazione di mediatori cellulari destinati al mantenimento dell’integrità endoteliale potrebbe essere d’aiuto nella indi- viduazione di strategie terapeutiche efficaci tanto nel trattamento e nella prevenzione delle complicanze vascolari in corso di sindromi dismetaboliche, quanto nel mante- nimento del controllo metabolico in corso di malattie emodinamiche.