• Non ci sono risultati.

La Ricerca in Italia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La Ricerca in Italia"

Copied!
7
0
0

Testo completo

(1)

Livelli aumentati della fosfatasi AKT-specifica PHLPP1

in soggetti obesi sono associati all’insulino-resistenza

Andreozzi F1, Procopio C1, Greco A1, Mannino GC1, Miele C2, Raciti GA2, Iadicicco C2,

Beguinot F2, Pontiroli AE3, Hribal ML1, Folli F4, Sesti G1

1Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università

“Magna Græcia” di Catanzaro;

2Dipartimento di Biologia

e Patologia Cellulare e Molecolare e Istituto di Endocrinologia e Oncologia Sperimentale del CNR, Università degli Studi di Napoli

“Federico II”; 3Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, Università di Milano;

4Diabetes Division,

Department of Medicine, University of Texas, Health Science Center, San Antonio, TX, USA

Diabetologia 2011;54(7):1879-87

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

È accertato che l’obesità riduce la sensibilità all’insulina dei tessuti periferici.

Lo scopo del nostro lavoro era di determinare il coinvolgimento della fosfatasi Akt- specifica PHLPP nello sviluppo di insulino-resistenza.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

La famiglia delle fosfatasi PHLPP è composta da due membri: PHLPP1 e PHLPP2.

Agiscono defosforilando la chinasi Akt sulla serina 473, causando una ridotta atti- vità della stessa e influenzando i substrati a valle. Studi di silenziamento molecola- re hanno dimostrato che PHLPP1 defosforila Akt2, mentre PHLPP2 agisce su Akt1. Akt2 è la principale isoforma coinvolta nello sviluppo del diabete mellito di tipo 2. La perdita di Akt2 causa insulino-resistenza e iperglicemia per alterato tra- sporto e metabolismo del glucosio.

Sintesi dei risultati ottenuti

I livelli di PHLPP1 sono aumentati nel tessuto adiposo viscerale e nel tessuto muscolare di soggetti obesi sottoposti a bendaggio gastrico. Inoltre l’iper-espres- sione della fosfatasi citosolica PHLPP1 in linee cellulari HepG2 e L6, tramite un vet- tore d’espressione, induce resistenza insulinica attraverso la defosforilazione della proteina chinasi Akt riducendo il trasporto del glucosio e della sintesi di glicogeno insulino-indotti.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Gli aumentati livelli della fosfatasi PHLPP1 nel tessuto adiposo e muscolare di sog- getti obesi, significativamente correlati al BMI e agli indici di insulino-resistenza ci permettono di dimostrare l’ipotesi che questo meccanismo rappresenti un nuovo difetto molecolare in stati di insulino-resistenza come l’obesità.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Ulteriori studi sono in corso per chiarire il ruolo di PHLPP1 nei meccanismi di di - sfunzione beta-cellulare e inoltre chiarire il ruolo dell’altra isoforma, PHLPP2.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

L’applicazione di questi risultati nell’attività clinica è ancora lontana dall’essere pra- ticabile, ma l’idea che terapie mirate sulla fostatasi PHLPP1 possano rappresenta- re un nuovo target terapeutico nel trattamento dell’insulino-resistenza è molto sug- gestiva.

Acido urico e glicemia a un’ora durante OGTT in pazienti ipertesi Perticone F, Sciacqua A,

Perticone M, Arturi F, Scarpino PE, Quero M, Sesti G

Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi “Magna Græcia”

di Catanzaro, Catanzaro Diabetes Care 2012;35:153-7

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

L’iperuricemia è associata a diversi fattori di rischio cardiovascolare come iper- tensione, insulino-resistenza e diabete. Di recente, la glicemia a un’ora ≥ 155 mg/dl durante curva da carico (OGTT) è stata identificata come predittore indipenden- te di nuovo diabete (DM2) nei soggetti normotolleranti (NGT). Pertanto, si è volu- to valutare se i livelli di acido urico plasmatico (AU) possano influenzare lo stato di tolleranza glucidica, in particolare la glicemia a un’ora in un gruppo di ipertesi di nuova diagnosi.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

L’iperuricemia è frequentemente documentata in soggetti con diabete mellito, con insulino-resistenza e con malattie cardiovascolari ed è stata riconosciuta, di recente, come predittore indipendente di infarto miocardico acuto e di ictus.

Dati sperimentali hanno dimostrato che l’AU può interferire sulla trasduzione intra- cellulare del segnale insulinico.

La Ricerca in Italia

(2)

L’epatopatia steatosica non alcolica è associata a disfunzione diastolica

ventricolare sinistra nei pazienti con diabete di tipo 2

Bonapace S1, Perseghin G2, Molon G1, Canali G1, Bertolini L3, Zoppini G4, Barbieri E1, Targher G4

1Divisione di Cardiologia, Ospedale “Sacro Cuore”

di Negrar (VR); 2Divisione di Scienze Metaboliche e Cardiovascolari, IRCSS San Raffaele, Milano;

1Divisione di Medicina Generale, Ospedale “Sacro Cuore”

di Negrar (VR); 4Divisione di Endocrinologia e Metabolismo, Università e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona Diabetes Care 2012;35:389-95

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

È stata valutata la funzione cardiaca mediante indagine ecocardiografica in dia- betici di tipo 2 ambulatoriali con e senza epatopatia steatosica non alcolica (NAFLD).

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

È noto dai dati di letteratura che la NAFLD si associa a un aumentato rischio di malattia cardiovascolare sia nei non diabetici sia nella popolazione affetta da dia- bete. Alcuni dati preliminari, condotti principalmente in soggetti non diabetici, sug- geriscono inoltre che la NAFLD si associa ad alterazioni precoci della funzione del ventricolo sinistro, indipendentemente da obesità e ipertensione.

Sintesi dei risultati ottenuti

Abbiamo studiato un campione di 50 diabetici di tipo 2 ambulatoriali (arruolati consecutivamente nell’arco di 18 mesi presso il Servizio Diabetologico dell’Ospedale di Negrar) che erano in buon compenso glicometabolico e che erano esenti da cardiopatia ischemica, cardiopatia valvolare, insufficienza cardiaca e da cause note di epatopatia cronica (alcolica, virale, farmaci). In par- ticolare, la presenza di cardiopatia ischemica era esclusa in tutti i pazienti mediante l’esecuzione di ECG-Holter e test da sforzo al cicloergometro. La diagnosi di NAFLD era basata su storia clinica ed ecografia epatica. In tutti i pazienti è stata eseguita una valutazione ecocardiografica approfondita, da un unico operatore che non era a conoscenza dei dati clinici dei pazienti, median- te l’utilizzo di tissue doppler e misurazione della deformabilità miocardica glo - bale (misurazioni di strain e strain rate con EchoPAC workstation). I pazienti diabetici con NAFLD (n = 32; 64%) avevano molteplici dati ecocardiografici (tra cui un rapporto E/e' aumentato) che erano indicativi della presenza di precoce disfunzione diastolica del ventricolo sinistro rispetto ai pazienti senza NAFLD pur in presenza di valori di massa ventricolare sinistra e frazione di eiezione sistolica preservati e paragonabili in entrambi i gruppi (n = 18). I due gruppi erano inoltre paragonabili per età, sesso, durata del diabete, HbA1c, BMI, circonferenza addominale, fumo, ipertensione arteriosa, lipidi plasmatici, para- metri di funzione renale e uso di farmaci antipertensivi, antidiabetici e ipolipemiz- zanti.

Sintesi dei risultati ottenuti

Stratificando i soggetti NGT in base alla glicemia a un’ora, si è osservato che quelli con glicemia ≥ 155 mg/dl, presentano valori di AU significativamente più elevati rispetto ai NGT < 155 mg/dl. La successiva analisi multivariata ha consentito di dimostrare, nell’intera popolazione, che l’AU è il principale predittore della glicemia a un’ora, spiegando il 26,0% della sua variazione.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

L’associazione tra AU e glicemia a un’ora consente, molto verosimilmente, di con- siderare l’AU, la cui determinazione è di semplice esecuzione e di basso costo, un predittore molto precoce di un’alterata sensibilità insulinica che precede la compar- sa di DM2.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Prossimo obiettivo sarà quello di valutare le possibili interazioni tra AU e le pathway intracellulari del segnale insulinico.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Questo studio ci ha consentito di individuare un nuovo fattore predittivo di danno d’organo subclinico nei pazienti ipertesi. Inoltre, la misurazione della concentra- zione di AU potrebbe essere considerata un buon predittore di nuovo diabete negli NGT.

(3)

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Questo studio ha confermato che in pazienti diabetici di tipo 2 senza cardiopatia ischemica e in buon controllo glicometabolico (HbA1cmedia di 7,3%) la presenza di NAFLD si associa ad alterazioni precoci della funzione diastolica del ventricolo sinistro, indipendentemente dai fattori di rischio cardiovascolare concomitanti.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Lo studio dei possibili meccanismi che legano la NAFLD alla disfunzione diastolica ventricolare sinistra.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I pazienti diabetici di tipo 2 con NAFLD hanno un aumentato rischio cardiovasco- lare. Il riscontro casuale di epatopatia steatosica all’ecografia epatica suggerisce un’approfondita valutazione del rischio cardiovascolare globale e della funzione cardiaca del paziente e il trattamento aggressivo degli eventuali fattori di rischio associati.

Confronto tra chirurgia bariatrica e terapia medica convenzionale nel trattamento del diabete di tipo 2

Mingrone G, Panunzi S, De Gaetano A, Guidone C, Iaconelli A, Leccesi L, Nanni G, Pomp A, Castagneto M, Ghirlanda G, Rubino F

Dipartimento di Medicina Interna e Dipartimento di Chirurgia, Università Cattolica del S. Cuore, Roma; Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Analisi dei Sistemi e Informatica (IASI), Laboratorio di Biomatematica, Roma; Sezione di Chirurgia Gastrointestinale e Metabolica, Weil Medical College,

Cornell University, New York Presbyterian Hospital, New York N Engl J Med 2012;366(17):

1577-85

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

È stato ripetutamente osservato come la chirurgia bariatrica, nel paziente obeso e diabetico, determini un notevole miglioramento o anche la risoluzione di questa condizione metabolica con riduzione o sospensione della relativa terapia.

Nonostante la “Consensus Conference” del NIH del 1991 considerasse, fin da allo- ra, il diabete di tipo 2 una idonea indicazione alla chirurgia bariatrica anche nei sog- getti con BMI oltre 35, quelle indicazioni non erano mai state validate da uno stu- dio prospettico, randomizzato e controllato che mettesse a confronto gli effetti sullo stato diabetico della terapia medica convenzionale con tipi diversi di chirurgia bariatrica.

Questo studio fornisce una solida prova statistica a favore della superiore efficacia dell’opzione chirurgica nel trattamento del diabete di tipo 2 nel paziente obeso.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

La perdita di peso, congiuntamente al trattamento farmacologico, è sempre stata considerata il principale determinante del miglioramento dell’alterazione del meta- bolismo glicidico nel paziente obeso sia che esso venisse ottenuto con mezzi die- tetici che con mezzi chirurgici. I risultati dello studio non confermano questo punto di vista e, anzi, suggeriscono che altri meccanismi siano in gioco nella eziopatoge- nesi del diabete di tipo 2.

Sintesi dei risultati ottenuti

Dopo due anni di follow-up nel gruppo di pazienti in trattamento convenzionale non si è registrato nessun caso di remissione del diabete che, invece, si è verificata nel 75% dei casi sottoposti a bypass gastrico e nel 95% di quelli sottoposti a diversio- ne bilio-pancreatica (p < 0,001). L’età, il sesso, il BMI iniziale, la durata del diabete e la perdita di peso non sono stati predittori significativi della remissione del diabe- te a due anni e della glicemia a 1 e 3 mesi.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

La chirurgia bariatrica, o meglio metabolica, rappresenta una concreta opzione terapeutica in determinati pazienti diabetici e obesi.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Lo studio dei meccanismi che determinano il miglioramento o la risoluzione dello stato diabetico nei vari tipi di intervento chirurgico anche nel lungo termine.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La chirurgia metabolica dovrà essere presa in considerazione nel trattamento di determinate categorie di pazienti diabetici con BMI superiore a 35.

(4)

Effetti metabolici del training aerobico e di resistenza muscolare in soggetti

con diabete di tipo 2: uno studio randomizzato controllato (il RAED2 Study)

Bacchi E1, Negri C2, Zanolin ME3, Milanese C4, Faccioli N5, Trombetta M1,2, Zoppini G1,2, Cevese A4, Bonadonna RC1,2, Schena F4, Bonora E1,2, Lanza M4, Moghetti P1,2

1Dipartimento di Medicina, Università di Verona; 2Unità di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona;

3Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, Università di Verona; 4Dipartimento di Scienze Neurologiche, Neuropsicologiche Morfologiche e Motorie, Università di Verona; 5Unità di Radiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona, Verona Diabetes Care 2012;35:1-7

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Le recenti linee guida dell’American Diabetes Association e dell’American College of Sport Medicine, per la buona pratica dell’esercizio fisico nei soggetti con diabe- te di tipo 2, suggeriscono di svolgere attività combinata aerobica e di forza.

Tuttavia, a oggi, non è chiaro se e quali differenze ci siano tra queste due tipologie di training in termini di fattori alla base del controllo metabolico, quali sensibilità insulinica, funzionalità beta-cellulare e composizione corporea.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Recenti studi hanno documentato che il training aerobico e quello di resistenza possono esercitare effetti quantitativamente simili sul controllo glicemico in sogget- ti con diabete di tipo 2. Restano tuttavia da chiarire possibili differenze sui mecca- nismi che stanno alla base di questi risultati.

Sintesi dei risultati ottenuti

Al termine dei 4 mesi di intervento, il gruppo aerobico, ma non il gruppo di forza muscolare, presentava un aumento significativo del consumo di ossigeno di picco, mentre il gruppo di resistenza muscolare presentava un incremento di forza massima- le agli arti superiori e inferiori maggiore rispetto al gruppo aerobico. I due gruppi mostravano significative riduzioni nel tempo, simili tra i due gruppi, in termini di HbA1c, BMI, circonferenza vita, massa grassa totale e tronculare alla DEXA, grasso viscerale e sottocutaneo alla risonanza magnetica, pressione sisto-diastolica. La sensibilità insuli- nica, misurata con il clamp, aumentava significativamente nel tempo in entrambi i grup- pi, mentre non vi erano significative variazioni della funzione beta-cellulare. All’analisi multivariata, sull’intera casistica, la variazione di HbA1cera predetta dai valori basali di HbA1c, dalla variazione del consumo di ossigeno di picco e dalla variazione del grasso tronculare. I predittori del cambiamento della sensibilità insulinica risultavano essere la sensibilità insulinica basale e l’incremento del consumo di ossigeno di picco.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Questi dati suggeriscono che l’attività di forza muscolare può esercitare effetti simili a quelli dell’attività aerobica su molteplici parametri metabolici e antropometrici dei soggetti con diabete di tipo 2.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Ulteriori analisi, in corso, dovranno verificare se e quali differenze ci siano tra que- ste due tipologie di training rispetto ad altri aspetti (steatosi epatica, espressione di alcuni geni coinvolti nel metabolismo ossidativo e nella biogenesi mitocondriale nel muscolo, variazioni acute post-esercizio della glicemia).

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Questi risultati ci consentono di personalizzare meglio le prescrizioni dell’esercizio nei pazienti con diabete di tipo 2.

Una dieta isocalorica ricca in acidi grassi monoinsaturi riduce il grasso epatico in pazienti con diabete di tipo 2

Bozzetto L1, Prinster A2, Annuzzi G1, Costagliola L1, Mangione A1, Vitelli A3, Mazzarella R1, Longobardo M4, Mancini M2, Vigorito C3, Riccardi G1, Rivellese AA1

1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università Federico II, Napoli; 2Istituto di Biostruttura e

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Valutare, in assenza di calo ponderale, in pazienti con diabete di tipo 2 (DM2), l’efficacia sul grasso epatico di due diete entrambe salutari, una ricca in acidi gras- si monoinsaturi (MUFA) e una ricca in carboidrati e fibre, da sole, o con l’aggiunta di un programma di attività fisica lieve-moderato.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

È noto che la riduzione ponderale riduce il grasso epatico. Invece, gli effetti delle modifiche isocaloriche della dieta, da sole, o con l’aggiunta dell’esercizio fisico, sul grasso epatico non sono noti, in particolare in pazienti con DM2.

Sintesi dei risultati ottenuti

La dieta ricca in MUFA ha ridotto di circa il 30% il grasso epatico, senza effetti aggiuntivi per quanto riguarda l’esercizio fisico.

(5)

Iperfiltrazione glomerulare e progressione della malattia renale in pazienti con diabete di tipo 2

Ruggenenti P1,2, Porrini E1, Gaspari F1, Motterlini N1, Cannata A1, Cella C1, Ferrari S1, Stucchi N1, Parvanova A1, Iliev I1, Dodesini AR3, Trevisan R3, Bossi A4, Zaletel J5, Remuzzi G1,2per conto di GFR Study Investigators

1Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare Aldo & Cele Daccò, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Bergamo; 2Unità di Nefrologia, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, Bergamo; 3Unità di Diabetologia, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, Bergamo;

4Unità di Diabetologia, Ospedale di Treviglio, Treviglio; 5Dipartimento di Endocrinologia, Diabete e Malattie Metaboliche, Centro Medico Universitario, Lubiana

Diabetes Care 2012;35:2061-8

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

L’iperfiltrazione glomerulare è un determinante di danno renale nel diabete speri- mentale. Il suo ruolo nell’uomo però non era noto. Noi volevamo verificare se l’iperfiltrazione glomerulare avesse un ruolo nell’insorgenza e progressione del danno renale in pazienti con diabete di tipo 2.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

I risultati degli studi precedenti erano inconclusivi e contraddittori per il numero troppo piccolo di pazienti studiati e l’impiego di metodiche non ottimali, incluso l’uso di formule per la stima indiretta del filtrato glomerulare.

Sintesi dei risultati ottenuti

Misurando il filtrato glomerulare con un metodo gold-standard (la clearance plasmatica dello ioexolo) in 600 diabetici normo- o microalbuminurici, abbiamo trovato che 90 di questi (15%) erano iperfiltranti e che, di questi, 47 continua- vano a esserlo nonostante il controllo ottimale di glicemia e pressione.

In media, la perdita di filtrato nel tempo era da 3 a 5 volte più rapida che nella popolazione generale. Nei pazienti persistentemente iperfiltranti la perdita di filtrato a lungo termine era due volte più rapida e il rischio di evoluzione verso micro- e macroalbuminuria (presi come marker di insorgenza e progres- sione della nefropatia diabetica) era più che raddoppiato rispetto ai normo - filtranti.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I risultati hanno permesso di chiarire che nei diabetici il filtrato glomerulare si dete- riora rapidamente ancora prima della comparsa di proteinuria e che in questi pazienti l’iperfiltrazione glomerulare gioca un ruolo fondamentale nell’insorgenza e progressione della nefropatia.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Ora bisogna capire quali siano i meccanismi che mantengono l’iperfiltrazione anche in presenza di controllo metabolico e pressorio adeguato e se nuovi inter- venti che correggano l’iperfiltrazione interferendo con questi meccanismi possa- no aiutare a prevenire l’insorgenza e la progressione della nefropatia in questi pazienti.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Le implicazioni pratiche più immediate sono due:

– il trattamento dei pazienti diabetici deve essere ottimizzato il più precocemen- te possibile in quanto il filtrato glomerulare inizia a deteriorarsi molto rapidamen- te anche prima della comparsa di proteinuria (nefropatia);

– il filtrato glomerulare dovrebbe essere misurato con metodiche adeguate alme- no per identificare precocemente i pazienti a rischio aumentato di progressio- ne per la presenza di iperfiltrazione glomerulare.

Bioimmagini, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Napoli;

3Dipartimento di Scienze

Cardiovascolari ed Immunologiche, Università Federico II, Napoli;

4Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università Federico II, Napoli Diabetes Care 2012;35:1429-35

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Indipendentemente dal calo ponderale, anche alcune modifiche qualitative della dieta sono in grado di ridurre in maniera statisticamente significativa e clinicamen- te rilevante il grasso epatico.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Comprendere i meccanismi alla base di questi effetti per chiarire la fisiopatologia della steatosi e la relazione causale tra diabete e grasso epatico.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Nell’ambito di una dieta isocalorica, preferire l’olio d’oliva come condimento nella dieta dei pazienti con diabete e steatosi epatica.

(6)

Ridotta risposta autoimmune celiaco-specifica nei pazienti con diabete di tipo 1 all’esordio e celiachia rispetto ai celiaci non diabetici alla diagnosi Tiberti C1, Panimolle F1, Bonamico M2, Shashaj B2, Filardi T1, Tarquini G1, Lucantoni F2, Nenna R2, Costantino F2, Lenzi A3, Morano S1

1Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche,2Pediatria,

3Fisiopatologia Medica, Università di Roma Sapienza

Diabetes Care 2012;35:2083-5

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Scopo della ricerca è stato confrontare l’immunoreattività umorale celiaco-specifica, valutata in pazienti con diabete di tipo 1 (DM1) alla diagnosi, con quella espressa da pazienti, non diabetici, alla diagnosi di celiachia. A tal proposito è stata deter- minata la frequenza degli autoanticorpi celiaco-specifici IgA anti-transglutaminasi (IgA-tTGAb) in bambini, adolescenti e adulti alla diagnosi di DM1 e nei pazienti risul- tati IgA-tTGAb+ è stata valutata la frequenza degli autoanticorpi IgG-tTG, anti- gliadina deamidata e anti-actina.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

La maggior parte degli studi presenti in letteratura ha valutato la frequenza degli autoanticorpi celiaco-specifici nei pazienti con DM1 analizzando bambini e adolescen- ti con diabete di lunga durata, mentre non sono ancora note le frequenze dell’autoim- munità celiaco-specifica nei pazienti DM1 alla diagnosi, soprattutto in età adulta.

Sintesi dei risultati ottenuti

I risultati di questo lavoro confermano ed estendono alla popolazione adulta l’associazione negativa tra età di comparsa del DM1 e rischio di sviluppare la malattia celiaca. Indicano inoltre una ridotta immunoreattività umorale celiaco- specifica nei pazienti DM1 neo-diagnosticati rispetto ai pazienti non diabetici, alla diagnosi della malattia celiaca.

L’insulin like growth factor-1 secreto dagli adipociti è regolato da glucosio e acidi grassi e controlla la crescita di cellule di carcinoma mammario D’Esposito V1, Passaretti F1, Hammarstedt A2, Liguoro D1, Terracciano D1, Molea G3, Canta L3, Miele C1, Smith U2, Beguinot F1, Formisano P1

1DBPCM e CNR/IEOS, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli; 2Dipartimento di Diabete e Medicina Clinica e Molecolare, Università di Gothenburg, Göteborg, Svezia; 3DPS, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli

Diabetologia 2012;55:2811-22

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Sono stati studiati i meccanismi attraverso cui gli adipociti rispondono ai fattori nutrizio- nali e metabolici e generano segnali che controllano il fenotipo delle cellule tumorali.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Numerosi studi evidenziano che l’obesità aumenta l’incidenza di cancro alla mam- mella in donne in postmenopausa ed è associata con una ridotta sopravvivenza e un aumentato rischio di recidive. Gli adipociti, che rappresentano alcuni tra i prin- cipali tipi cellulari che circondano le cellule tumorali, soprattutto nella ghiandola mammaria, possono influenzare molti aspetti della tumorigenesi. Tuttavia, non è ancora chiaro se i fattori secreti dagli adipociti siano coinvolti direttamente nello svi- luppo e/o nella progressione del cancro alla mammella.

Sintesi dei risultati ottenuti

Gli adipociti promuovono la crescita e la sopravvivenza di cellule di carcinoma mam- mario. Questo effetto è più evidente quando gli adipociti sono posti in presenza di alte concentrazioni di glucosio o acidi grassi o quando sono isolati da individui obesi.

Tra i fattori rilasciati dagli adipociti, IGF1 (insulin like growth factor-1), RANTES (regu- lated and normal T cell expressed and secreted) e IL-8 (interleuchina 8) svolgono un ruolo importante nel controllo del fenotipo neoplastico. L’IGF1, in particolare, è secre- to maggiormente dagli individui obesi o in presenza di alte concentrazioni di glucosio e acidi grassi e, dunque, rappresenta un fattore fondamentale nel controllo della cre- scita delle cellule di carcinoma mammario da parte degli adipociti.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Capire come sono generati e come agiscono i segnali provenienti dal tessuto adi- poso sulle cellule tumorali è importante al fine di identificare nuove strategie tera- peutiche in grado di prevenire o curare tumori associati all’obesità.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Interferire con la secrezione adipocitaria di IGF1 e di altri fattori fondamentali nel controllo del fenotipo neoplastico.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Si potrà arrivare a una terapia mirata migliorando le conoscenze sul cross-talk tra tessuto adiposo e cellule tumorali.

(7)

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Questi risultati rappresentano una prima evidenza che la concomitante presenza di DM1 e celiachia può influenzare quantitativamente e qualitativamente l’espressione della risposta immunitaria celiaco-specifica.

Vi sono ricadute dei risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Nei bambini, adolescenti e adulti alla diagnosi di DM1 è opportuno effettuare lo screening per la malattia celiaca.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Valutare se l’età di esordio del DM1 e la durata della malattia influenzano la rispo- sta autoimmunitaria celiaco-specifica.

L’alto glucosio inibisce l’attivazione aspirino-indotta della via ossido

nitrico/cGMP/protein-chinasi cGMP-dipendente

e non modifica l’inibizione aspirino-indotta della sintesi di trombossano nelle piastrine umane

Russo I, Viretto M, Barale C, Mattiello L, Doronzo G, Pagliarino A, Cavalot F, Trovati M, Anfossi G SCDU Medicina Interna a Indirizzo Metabolico, AOU San Luigi Gonzaga, Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università di Torino

Diabetes 2012;61:2913-21

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

La ricerca si è rivolta a chiarire il ruolo dell’iperglicemia nella patogenesi della resi- stenza piastrinica all’aspirina, fenomeno clinicamente importante poiché circa un quarto dei pazienti diabetici aspirino-trattati non fruisce in modo adeguato dell’a- zione protettiva del farmaco nei confronti degli eventi cardio- e cerebrovascolari maggiori su base aterosclerotica.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Il ruolo dell’iperglicemia nella patogenesi dell’aspirino-resistenza piastrinica era già stato ipotizzato, ma il meccanismo biochimico coinvolto non era stato ancora dimostrato: in particolare, non era chiaro se l’iperglicemia interferisse con l’azione inibitoria dell’aspirina sulla sintesi del trombossano o con la sua azione di attivazio- ne della via antiaggregante ossido nitrico (NO)/cGMP/PKG.

Sintesi dei risultati ottenuti

In piastrine di soggetti non diabetici abbiamo dimostrato che l’esposizione acuta in vitro a elevate concentrazioni di glucosio: a) riduce l’effetto antiaggregante del - l’aspirina; b) non modifica l’inibizione aspirino-indotta della sintesi di trombossano;

c) inibisce l’attivazione aspirino-indotta della via antiaggregante NO/cGMP/PKG con meccanismo mediato dallo stress ossidativo.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I risultati hanno dimostrato che l’alto glucosio inibisce rapidamente in vitro l’azione antiaggregante dell’aspirina permettendo di ipotizzare che l’aspirino-resistenza dei pazienti diabetici sia almeno in parte attribuibile ai cosiddetti spike iperglicemici.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Valutare se l’iperglicemia dei pazienti diabetici e la sua correzione farmacologica giochino un ruolo in vivo sulla patogenesi dell’aspirino-resistenza e sulla sua puta- tiva reversibilità.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Lo studio pone le basi biochimiche per ipotizzare che uno stretto controllo della gli- cemia contribuisca a migliorare la sensibilità all’azione antiaggregante piastrinica dell’aspirina nei pazienti diabetici.

Riferimenti

Documenti correlati

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?. Anche il nostro studio non è stato in grado di documentare una

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale.. I risultati dello studio dimostrano che la SM è caratterizzata da

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale.. In una popolazione pediatrica ambulatoriale, la glicemia “alta normale”

La lipoproteina lipasi è essenziale nell’uptake dei lipidi da parte degli adipociti, i componenti della matrice extracellula- re determinano e sostengono la morfologia

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?. La natura prospettica dello studio ha consentito di dimostrare per la

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale.. La spesa farmaceutica per i diabetici è elevata e determinata perlopiù

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale.. I risultati ottenuti hanno tra l’altro consentito di identificare

Tuttavia, è stato dimostrato nell’animale sperimentale che l’uso dei gli- tazoni si traduce in una modificazione qualitativa del tessuto adiposo con la comparsa di adipociti più