Una dieta naturalmente ricca in polifenoli migliora il metabolismo glicidico in individui ad alto rischio cardiometabolico
Bozzetto L1, Annuzzi G1, Pacini G2, Costabile G1, Vetrani C1, Vitale M1, Griffo E1, Giacco A1, De Natale C1, Cocozza S1, Della Pepa G1, Tura A2, Riccardi G1, Rivellese AA1
1Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università Federico II, Napoli; 2Unità Metabolica, Istituto di Inge- gneria Biomedica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Padova
Diabetologia 2015;58:1551-60
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Valutare se diete naturalmente ricche in polifenoli e/o acidi grassi n-3 (AG-n3) di origine marina influenzano il me- tabolismo glicidico in persone ad alto rischio di diabete di tipo 2 (DT2).
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
In studi epidemiologici, in vitro e nell’animale, il consumo di singoli alimenti o classi di polifenoli era associato a effetti positivi sul metabolismo glicidico, ma non vi erano studi di intervento nell’uomo. Ugualmente, non era noto l’effetto di AG-n3 derivanti dall’assunzione di pesce sul metabolismo glicidico.
Sintesi dei risultati ottenuti
I polifenoli riducono la glicemia dopo curva da carico di glucosio, migliorano la fase precoce della secrezione in- sulinica e l’insulino-sensibilità. Gli AG-n3 riducono la funzione beta-cellulare. Inoltre, gli AG-n3 riducono la con- centrazione di GLP-1dopo pasto-test.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?
Gli effetti positivi di diete ricche in polifenoli derivanti da vari alimenti sul metabolismo glicemico sono stati di- mostrati in un trial clinico randomizzato e controllato. Diete ricche di AG-n3 di origine marina riducono la secre- zione beta-cellulare.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Studi in altri tipi di popolazione con tempi di osservazione più lunga.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
La dieta per la prevenzione del DT2 dovrebbe essere ricca anche in polifenoli.
L’espressione del fattore di trascrizione Prep1 indotta dal glucosio nel muscolo scheletrico è associata a modifiche istoniche post-traduzionali
Ciccarelli M1,2, Vastolo V1,2, Albano L1,2, Lecce M1,2, Cabaro S1,2, Liotti A1,2, Longo M1,2, Oriente F1,2, Russo GL3, Macchia PE4, Formisano P1,2, Beguinot F1,2, Ungaro P1,2
1DiSMeT, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli; 2URT “Genomica Funzionale” IEOS-CNR, Napoli; 3ISA- CNR, Avellino; 4Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgica, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli Diabetologia 2016;59:176-86
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
L’effetto dell’iperglicemia sulla regolazione trascrizionale del gene Prep1; è stato chiarito il coinvolgimento del fat- tore di trascrizione NF-κB e delle modifiche epigenetiche sull’espressione di Prep1 indotta dal glucosio.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Studi precedenti hanno identificato il gene Prep1 come regolatore fisiologico della sensibilità insulinica: topi ipo- morfi per Prep1 (Prep1i/i), che esprimono circa il 3% dell’mRNA di Prep1, presentano una maggiore sensibilità in- sulinica e sono protetti dal diabete indotto da streptozotocina.
G It Diabetol Metab 2016;36:171-174 171
LA RICERCA IN ITALIA
Sintesi dei risultati ottenuti
L’esposizione ad alte concentrazioni di glucosio di cellule muscolari L6 induce il legame di NF-κB e il reclutamento di enzimi iston-modificanti quali SET7 e p300 sul promotore di Prep1, portando a un aumento della sua espres- sione. Stessi risultati sono stati ottenuti nel muscolo di topi trattati con streptozotocina.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?
Questo lavoro identifica Prep1 come un gene target di NF-κB e regolabile da alte concentrazioni di glucosio at- traverso meccanismi epigenetici.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Valutare lo stato epigenetico del gene Prep1 in pazienti diabetici.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Dato il ruolo dell’epigenetica nella patogenesi del diabete di tipo 2, l’utilizzo di “tratti epigenetici” come biomar- catori o come target terapeutici, potrebbe offrire in un futuro non lontano nuove strategie per la cura della pato- logia.
Meccanismi attraverso i quali un piccolo “antipasto” proteico e lipidico migliora la tolleranza al glucosio
Tricò D1,2, Baldi S1, Tulipani A1, Frascerra S1, Macedo MP3,4, Mari A5, Ferrannini E1,6, Natali A1
1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa, Pisa; 2Istituto di Scienze della Vita, Scuola Su- periore Sant’Anna, Pisa; 3CEDOC, NOVA Scuola Medica/Facoltà di Scienze Mediche (NMS/FCM), Università Nuova di Lisbona, Lisbona, Portogallo; 4APDP-Diabetes Portugal, Centro di Educazione e Ricerca (APDP-ERC), Lisbona, Por- togallo; 5Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Neuroscienze, Padova; 6Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Fisiologia Clinica, Pisa
Diabetologia 2015;58:2503-12
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Lo scopo di questo lavoro era valutare gli effetti di piccole quantità di alimenti a prevalente contenuto lipidico e proteico, assunti come “antipasto”, sul controllo glicemico postprandiale in soggetti sani, prediabetici e dia- betici.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Evidenze sperimentali suggerivano che piccole quantità di proteine o lipidi siano capaci di ridurre la risposta gli- cemica a un successivo pasto misto o carico orale di glucosio. I meccanismi alla base di questo effetto e la sua en- tità in soggetti con un alterato controllo glicemico non erano noti.
Sintesi dei risultati ottenuti
Un piccolo “antipasto” non glucidico, composto da un uovo sodo e 50 g di parmigiano, è capace di ridurre si- gnificativamente la risposta glicemica a un successivo carico orale di glucosio determinando un rallentamento del- l’assorbimento intestinale del glucosio, un miglioramento della funzione beta-cellulare e una riduzione della clearance di insulina, associati a una maggiore secrezione di GLP-1, GIP e glucagone. L’entità di tale migliora- mento è inversamente proporzionale al grado di tolleranza glicemica basale, essendo l’“antipasto” più efficace nei soggetti diabetici e prediabetici rispetto ai sani.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?
I risultati dello studio dimostrano che un piccolo “antipasto” non glucidico migliora la tolleranza glicemica in sog- getti sani, prediabetici e diabetici attivando numerosi meccanismi coinvolti nell’omeostasi glicemica. L’entità di tale miglioramento è clinicamente rilevante e maggiore nei soggetti diabetici.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Studi successivi verificheranno se il beneficio descritto è ottenibile assumendo tipologie o quantità diverse di ali- menti, se è sostenuto durante l’intera fase postprandiale e se perdura nel lungo periodo.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Semplici raccomandazioni nutrizionali derivanti da questi risultati potrebbero rappresentare una valida strategia terapeutica per migliorare il controllo glicemico in soggetti diabetici o prediabetici.
La Riceca in Italia
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Fenotipo cardiometabolico in bambini obesi
Di Bonito P1, Moio N2, Sibilio G2, Cavuto L2, Sanguigno E3, Forziato C3, de Simone G4, Capaldo B5
1UOC Medicina, 2Dipartimento Cardiologia, 3Dipartimento Pediatria PO Pozzuoli, 4Dipartimento Scienze Mediche Traslazionali, 5Dipartimento Clinica Medica e Chirurgia, Università Federico II, Napoli
J Pediatr 2014;165:1184-9
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
In 281 bambini di cui 210 obesi/severamente obesi sono stati valutati i correlati antropometrici e biochimici associati con l’alterata geometria del ventricolo sinistro (VS).
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Non era noto se le modifiche antropometriche e/o metaboliche presenti nei bambini obesi si associassero a un rimodellamento o ipertrofia concentrica del VS.
Sintesi dei risultati ottenuti
I nostri dati dimostrano che l’obesità viscerale (definita come rapporto circonferenza vita/altezza: WhtR) più che l’obesità globale (espressa come BMI) è associata all’ipertrofia del VS (IVS) e che un cut-off di 0,58 ha la massima potenza in termini di sensibilità e specificità rispetto all’IVS. Inoltre, in relazione al fenotipo di geometria del VS, il rimodellamento concentrico o l’ipertrofia concentrica, più che l’ipertrofia eccentrica, sono associati a un peggiore profilo di rischio cardiometabolico definito da alti livelli pressori e/o dislipidemia aterogena (definita come alto rapporto Tg/HDL) e/o glicemia a digiuno “alta normale”.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?
In una fase precoce della vita, un alterato profilo di rischio metabolico può influenzare negativamente la geome- tria del VS.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Valutare se il controllo dei fattori di rischio cardiometabolico possa indurre una regressione delle alterazioni della geometria del VS.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Includere la valutazione ecocardiografica nei bambini obesi e con alterazioni del profilo di rischio metabolico.
Il rapporto trigliceridi/HDL colesterolo come strumento di screening per ridotta tolleranza ai carboidrati in bambini e adolescenti obesi
Manco M1, Grugni G2, Di Pietro M3, Balsamo A4, Di Candia S5, Morino GS1, Franzese A6, Di Bonito P7, Maffeis C8, Valerio G9
1Area di Ricerca Malattie Multifattoriali, Obesità e Diabete, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 2Divisione di Auxologia, Istituto Auxologico Italiano, Piancavallo, Verbania; 3Dip. Materno-infantile, Ospedale San Liberatore, Atri, Teramo; 4Dip. di Scienze Mediche e Chirurgiche, Programma di Endocrinologia Pediatrica, Unità Operativa di Pedia- tria, Università di Bologna, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna; 5Dip. di Pediatria, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano e Azienda Sanitaria Locale 2, Melegnano, Milano; 6Area di Ricerca Malattie Multifattoriali, Obesità e Diabete, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 7Dip. di Scienze Mediche Traslazionali, Università degli Studi di Napoli Fe- derico II, Napoli; 8Dip. di Medicina Interna, Ospedale Santa Maria delle Grazie, Pozzuoli, Napoli; 9Pediatria ad Indi- rizzo Diabetologico e Malattie del Metabolismo, Università di Verona, Verona; 10Dip. di Scienze Motorie e del Benessere, Università degli Studi di Napoli Parthenope, Napoli
Acta Diabetol 2016;53:493-8
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
In 679 bambini e adolescenti obesi sono stati valutati i predittori della ridotta tolleranza ai carboidrati (IGT).
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Non era noto se un elevato rapporto Tg/HDL-C fosse utile nella identificazione dei bambini con IGT.
173 La Riceca in Italia
Sintesi dei risultati ottenuti
I nostri dati dimostrano che nell’obesità pediatrica un valore di Tg/HDL-C ≥ 2,2 è uno strumento molto utile nel- l’identificazione dei soggetti con elevato rischio di IGT. Tale risultato era più evidente nei bambini che negli ado- lescenti.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?
In una popolazione ambulatoriale di bambini con obesità un valore di Tg/HDL-C ≥ 2,2 è uno strumento molto sem- plice e più utile di altri fattori antropometrici come un elevato rapporto circonferenza/vita al fine di identificare i soggetti con IGT.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Valutare se un alto rapporto Tg/HDL-C possa essere utile per identificare i bambini a rischio di malattie metaboli- che in età adulta.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Includere la valutazione del rapporto Tg/HDL-C nello screening dei bambini con elevato rischio di alterazioni del metabolismo dei carboidrati.
Chetoacidosi alla diagnosi nel diabete insorto in età pediatrica e rischio di complicanze venti anni dopo Salardi S1, Porta M2, Maltoni G1, Cerutti F3, Rovere S2, Iafusco D4, Tumini S5, Cauvin V6, Zucchini S1, Cadario F7, d’An- nunzio G8, Toni S9, Salvatoni A10, Zedda MA11, Schiaffini R12per il Gruppo di Studio sul Diabete della SIEDP
1Dip. di Pediatria, Ospedale S. Orsola-Malpighi, Università di Bologna, Bologna;2Centro per la Retinopatia Diabe- tica, Dip. di Scienze Mediche, 3Dip. di Pediatria, Università di Torino, Torino;4Dip. di Pediatria, Seconda Università di Napoli, Napoli; 5Dip. di Pediatria, Università di Chieti, Chieti;6Unità di Pediatria, Ospedale S. Chiara, Trento;7Dip.
di Pediatria, Ospedale “Maggiore della Carità”, Novara, Università del Piemonte Orientale, Novara;8Dip. di Pe- diatria, Ospedale dei Bambini “Gaslini”, IRCCS, Università di Genova, Genova;9Istituto Pediatrico “Meyer”, Uni- versità di Firenze, Firenze; 10Clinica Pediatrica, Università Insubria, Varese; 11Clinica Pediatrica, Università di Cagliari, Cagliari; 12Unità di Endocrinologia e Diabete “Palidoro”, Dip. Universitario di Medicina Pediatrica, Ospedale Pe- diatrico “Bambino Gesù”, IRCCS, Roma
J Diabetes Complications 2016;30:55-60
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Sono state studiate le relazioni fra retinopatia, valutata in un unico Centro, e tipo di squilibrio metabolico presente alla diagnosi di diabete in bambini molto piccoli (177 su 230 erano prepuberi). La bassa età e lo scompenso me- tabolico grave all’esordio sono ritenuti legati a un maggiore danno β-cellulare, probabilmente dovuto a una mi- nore massa di β-cellule.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Negli adulti è stata documentata, soprattutto nel DCCT, una maggiore protezione dalle complicanze in chi con- serva una maggiore attività β-cellulare residua, valutata mediante il dosaggio del C-peptide.
Sintesi dei risultati ottenuti
Alla diagnosi i bambini più piccoli erano caratterizzati da più grave chetoacidosi e più bassi livelli di C-peptide. La severità di queste condizioni non risultava in relazione con il rischio futuro di retinopatia. Gli unici fattori correlati con essa erano la media dell’HbA1cdi tutto il periodo, la durata della malattia e l’età all’esordio.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?
Anche se frutto di una valutazione indiretta della residua attività β-cellulare, questi dati lasciano supporre che non in tutti i casi essa produca effetti benefici a lungo termine.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
L’approfondimento dei rapporti fra condizioni alla diagnosi ed evoluzione nel tempo dei livelli di C-peptide e la ri- petizione dello studio fra alcuni anni nei pazienti con esordio più recente, negli anni duemila, post DCCT.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Nella valutazione degli effetti a lungo termine della residua attività β-cellulare, l’età alla diagnosi è un fattore im- portante da considerare.
La Riceca in Italia
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