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La Ricerca in Italia

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Academic year: 2021

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Elevati livelli di glicemia a un’ora dal carico orale di glucosio identificano soggetti con normale tolleranza ma con alterata funzione

β-cellulare, insulino-resistenza e peggior profilo di rischio cardiovascolare.

Risultati dello studio GENFIEV Bianchi C1, Miccoli R1, Trombetta M2, Giorgino F3, Frontoni S4, Faloia E5, Marchesini G6, Dolci MA7, Cavalot F8, Cavallo G9, Leonetti F10, Bonadonna RC2, Del Prato S1a nome del Gruppo di Studio GENFIEV

1Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Sezione di

Diabetologia e Malattie Metaboliche, Università di Pisa; 2Dipartimento di Medicina, Divisione di

Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Università di Verona;

3Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università di Bari; 4Dipartimento di Medicina Interna, Università di Roma Tor Vergata; 5Clinica di Endocrinologia, Università Politecnica delle Marche; 6Alma Mater Studiorum Università di Bologna; 7Ospedale SS. Giacomo e Cristoforo di Massa, Sezione di Diabetologia e Malattie Metaboliche;

8Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università di Torino;

9Dipartimento di Terapia Medica, Università di Roma “Sapienza”;

10Dipartimento di Scienze Cliniche, Università di Roma “Sapienza”

J Clin Endocrinol Metab 2013;98(5):

2100-5

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio ha valutato in un’ampia coorte di soggetti ad alto rischio di diabete, la ca- pacità della glicemia alla prima ora del carico orale di glucosio (1h-OGTT) di identi- ficare soggetti con alterazioni della regolazione glucidica (IGR) o diabete tipo 2 di nuova diagnosi (newDM2). Oltre al profilo di rischio cardiovascolare, sono stati inol- tre studiati gli indici di sensibilità insulinica e secrezione β-cellulare.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Studi precedenti hanno dimostrato che nei soggetti con normale tolleranza glucidica (NGT), livelli di glicemia 1h-OGTT > 155 mg/dl sono predittivi di diabete e si asso- ciano a segni di aterosclerosi subclinica (aumento dello spessore intima-media ca- rotideo).

Sintesi dei risultati ottenuti

La glicemia 1h-OGTT > 155 mg/dl si dimostra altamente specifica (89%) e relativa- mente sensibile (69%), con un alto potere predittivo positivo (92%) nell’identificare soggetti con IGR o newDM2. Fra i soggetti NGT, coloro che avevano una glicemia 1h-OGTT > 155 mg/dl mostravano una sensibilità insulinica e una funzione secre- toria insulinica ridotte rispetto a quelli con 1h-OGTT ≤ 155 mg/dl. Inoltre, presenta- vano un profilo di rischio cardiovascolare più sfavorevole.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

La glicemia 1h-OGTT > 155 mg/dl si conferma utile sia per identificare soggetti con IGR/newDM2, sia soggetti NGT con minore sensibilità insulinica, ridotta funzione β-cellulare e peggiore profilo di rischio cardiovascolare.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Valutare prospetticamente le variazioni della funzione β-cellulare e il profilo metabo- lico dei soggetti con NGT e glicemia 1h-OGTT > 155 mg/dl e l’evoluzione verso il diabete.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La misurazione della glicemia a 1h-OGTT potrebbe consentire di identificare i sog- getti a maggiore rischio di sviluppare diabete e patologie cardiovascolari.

Sviluppo e validazione di un modello predittivo di mortalità per tutte le cause nei pazienti con diabete di tipo 2

De Cosmo S, Copetti M, Lamacchia O, Fontana A, Massa M, Morini E, Pacilli A, Fariello S, Palena A, Rauseo A, Viti R, Di Paola R, Menzaghi C, Cignarelli M, Pellegrini F, Trischitta V IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza e Università di Foggia Diabetes Care 2013;36:2830-5

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Predizione di mortalità nei pazienti con diabete di tipo 2.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Vi erano tre lavori precedenti svolti in altre aree geografiche tutti con validazione del modello sviluppato interna alla coorte studiata e con approcci statistici tradi- zionali.

Sintesi dei risultati ottenuti

Abbiamo sviluppato e validato un modello predittivo di mortalità a breve termine (due anni) per pazienti con diabete di tipo 2 che utilizza delle variabili molto semplici e facili da ottenere. Il motore di rischio è disponibile sulla rete: http://www.operapa- drepio.it/rcalc/rcalc.php

La Ricerca in Italia

(2)

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Impiegando nuovi approcci metodologici di recente sviluppo basati sull’uso di mi- sure di riclassificazione.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Innanzitutto la diffusione dell’utilizzo del motore di rischio in altre coorti di paziente e in diversi setting assistenziali.

Si potrà validare il motore di rischio in coorti di pazienti che vivono in altre aree geo- grafiche o in altre etnie. Inoltre, si cercherà di rendere possibile il mantenimento di una buona performance del motore di rischio pur a fronte della mancanza di al- cune variabili o sostituendole con altre o modificando la sequenza delle variabili analizzate.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La facilità della stratificazione del rischio di morte nei pazienti che frequentano gli ambulatori di diabetologia al fine di instaurare opportune terapie preventive o tera- peutiche.

Migliorare in tempo reale l’accuratezza dei sensori per il monitoraggio in continuo del glucosio: il concetto di “sensore intelligente”

Facchinetti A1, Sparacino G1, Guerra S1, Luijf YM2, DeVries JH2, Mader JK3, Ellmerer M3, Benesch C4, Heinemann L4, Bruttomesso D5, Avogaro A5, Cobelli C1,

a nome del consorzio AP@home

1Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Università di Padova, Padova; 2Department of Internal Medicine, Academic Medical Centre, Amsterdam, the Netherlands; 3Department of Internal Medicine, Medical University of Graz, Graz, Austria;

4Profil Institute for Metabolic Research GmbH, Neuss, Germany;

5Dipartimento di Medicina Clinica Sperimentale, Università di Padova, Padova

Diabetes Care 2013;36:793-800

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio ha l’obiettivo di dimostrare che l’accuratezza delle misure di concentra- zione glicemica fornite dai sensori per il monitoraggio in continuo del glucosio (CGM), critica sia per l’utilizzo del sensore per la terapia convenzionale sia in ambiente di pancreas artificiale, può essere notevolmente migliorata se il sensore CGM viene dotato di una serie di opportuni algoritmi matematici per l’elaborazione del dato, di- ventando un sensore CGM intelligente.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Negli anni passati il nostro gruppo di ricerca ha sviluppato diversi algoritmi per mi- glioramento del funzionamento dei sensori CGM, che singolarmente si sono dimo- strati più efficaci di quelli adottati all’interno dei sensori stessi o sviluppati in letteratura, ma la loro contemporanea integrazione all’interno di un sensore CGM non era ancora stata testata.

Sintesi dei risultati ottenuti

Il sensore CGM intelligente è stato testato su un dataset di 24 pazienti diabetici di tipo 1 acquisiti in 4 centri clinici partner del progetto AP@home (finanziato dalla Co- munità Europea nell’ambito del 7° programma quadro). Dalla contemporanea inte- grazione, si è dimostrato come l’accuratezza del sensore possa essere migliorata di più del 30% e come gli eventi critici di ipoglicemia possano essere anticipati al pa- ziente con circa 14 minuti di preavviso.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Si è dimostrato come l’integrazione di opportuni algoritmi matematici all’interno di un dispositivo CGM commerciale possano consentire un notevole miglioramento dell’accuratezza delle letture di glicemia fornite dal sensore CGM.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Il passo successivo di questa ricerca è l’integrazione degli algoritmi all’interno dei nuovi sensori CGM sviluppati da Dexcom Inc. (San Diego, CA), con la quale l’Uni- versità di Padova ha avviato una collaborazione.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Il miglioramento dell’accuratezza, che arriva a essere quasi paragonabile a quella delle misure di glicemia pungidito, può favorire la diffusione dei sensori CGM per la terapia quotidiana del diabete e facilitare lo sviluppo di dispositivi per il pancreas artificiale, nei quali l’accuratezza del sensore svolge un ruolo centrale.

(3)

L’exendin-4 protegge le beta-cellule pancreatiche dall’apoptosi indotta

dal palmitato riducendo i livelli del recettore degli acidi grassi GPR40 e inibendo il segnale mediato dalle stress chinasi MKK4/7

Natalicchio A1, Labarbuta R1, Tortosa F1, Biondi G1, Marrano N1, Peschechera A1, Carchia E2, Orlando MR1, Leonardini A1, Cignarelli A1, Marchetti P3, Perrini S1, Laviola L1, Giorgino F1

1Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari

“Aldo Moro”, Bari;2Istituto di Ricerche Genetiche Gaetano Salvatore, Biogem scarl, Ariano Irpino (AV);3Endocrinologia e Metabolismo dei Trapianti, AOU Pisana, Pisa

Diabetologia 2013;56:2456-66

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Il problema affrontato riguarda il danno delle beta-cellule pancreatiche indotto dagli acidi grassi, fenomeno definito “lipotossicità” e implicato nella patogenesi del diabete mellito di tipo 2. In particolare, la ricerca ha studiato i meccanismi attraverso i quali i farmaci incretino-mimetici, utilizzati nella terapia del diabete di tipo 2, prevengono l’apoptosi delle beta-cellule pancreatiche indotta dagli acidi grassi liberi.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

L’esposizione cronica della beta-cellula agli acidi grassi saturi riduce la sintesi e la secrezione di insulina e induce apoptosi. Inoltre, è noto che il GLP-1 e i suoi agoni- sti esercitano potenti effetti sulla sopravvivenza delle beta-cellule, tuttavia i mecca- nismi molecolari mediante i quali gli agonisti del GLP-1 proteggono le beta-cellule dalla morte indotta dagli acidi grassi non erano stati chiariti.

Sintesi dei risultati ottenuti

In beta-cellule pancreatiche, l’exendin-4, attraverso l’attivazione della proteina PKA, previene gli effetti pro-apoptotici del palmitato riducendo l’espressione del GPR40, un recettore degli acidi grassi, e inibendo l’attivazione delle chinasi MKK-4/-7 e la successiva attivazione delle stress chinasi JNK e p38MAPK.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Il nostro studio ha confermato gli effetti protettivi dell’exendin-4 dalla lipotossicità sia in beta-cellule di ratto sia in isole pancreatiche murine e umane, delucidando i meccanismi molecolari alla base di tali effetti.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

La validazione dei risultati ottenuti in altri sistemi cellulari, come il miocardio.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I nostri risultati incoraggiano l’utilizzo dei farmaci incretino-mimetici nella preven- zione del danno beta-cellulare da lipotossicità.

Ossimetria transcutanea come potenziale predittore di eventi cardiovascolari nel diabete di tipo 2. Confronto con l’indice caviglia braccio Gazzaruso C1,2, Coppola A1, Falcone C2,3,4, Luppi C1,

Montalcini T5, Baffero E1, Gallotti P1, Pujia A5, Solerte SB6, Pelissero G2, Giustina A7

1Medicina Interna, Diabetologia, Malattie Vascolari ed Endocrino- Metaboliche e Centri di Ricerca Clinica Applicata (CeRCA), Istituto Clinico “Beato Matteo”, Vigevano;

2IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese; 3Istituto Clinico “Città di Pavia”, Pavia;

4Cardiologia, Università di Pavia;

5Unità di Nutrizione Clinica, Università di Catanzaro; 6Geriatria, Università di Pavia; 7Endocrinologia, Università di Brescia

Diabetes Care 2013;36:1720-5

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Valutare se l’ossimetria transcutanea (TcPO2) possa avere, rispetto all’indice cavi- glia-braccio (ABI), un potere predittivo maggiore per eventi cardiovascolari in diabetici di tipo 2 senza apparenti complicanze.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

In diversi diabetici l’ABI può essere scarsamente affidabile nell’identificazione del- l’arteriopatia obliterante periferica (AOP) a causa della calcificazione delle arterie. La TcPO2 rappresenta un parametro oggettivo di perfusione tessutale, anche se non è noto in letteratura un preciso cut-off per l’identificazione dell’AOP.

Sintesi dei risultati ottenuti

La TcPO2 è risultato un predittore di mortalità e morbilità cardiovascolare più effi- ciente rispetto all’ABI. Una TcPO2 di 46 mmHg sembra essere il cut-off più affida- bile nella diagnosi di AOP asintomatica nei diabetici di tipo 2.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Stante la relativa affidabilità dell’ABI nella diagnosi di AOP nel diabete, TcPO2 potrebbe rappresentare un valido strumento non invasivo sia per la diagnosi della stessa AOP sia per l’identificazione dei soggetti a maggior rischio di eventi cardiovascolari.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Verificare in quali pazienti sia opportuno, dopo lo screening con ABI, eseguire la TcPO2 oppure se la TcPO2 debba essere usata direttamente per lo screening.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Un uso più capillare della TcPO2 potrebbe essere un addizionale e non invasivo metodo per identificare l’AOP asintomatica e per stratificare il rischio cardiovascolare individuale.

(4)

La variabilità dell’HbA1cè un correlato indipendente della nefropatia, ma non della

retinopatia in pazienti con diabete di tipo 2: lo studio multicentrico italiano Renal Insufficiency And Cardiovascular Events (RIACE) Penno G1, Solini A2, Bonora E3, Fondelli C4, Orsi E5, Zerbini G6, Morano S7, Cavalot F8, Lamacchia O9, Laviola L10, Nicolucci A11, Pugliese G12, per il gruppo di studio Renal Insufficiency And

Cardiovascular Events (RIACE)

1Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo e 2 Dipartimento di Medicina Interna, Università di Pisa,

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

È stata esaminata l’associazione tra la variabilità dell’HbA1ctra una visita e l’altra e le complicanze microvascolari nell’ampia coorte di soggetti con diabete di tipo 2 dello studio multicentrico italiano Renal Insufficiency And Cardiovascular Events (RIACE) Italian Multicenter Study.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Studi precedenti hanno dimostrato un’influenza della variabilità dell’HbA1c, ma non della variabilità glicemica (fluttuazioni della glicemia nell’arco della giornata), sulle complicanze microvascolari del diabete di tipo 1 e, più di recente, di tipo 2. Tutta- via, questi studi hanno preso in considerazione la sola albuminuria quale indice di nefropatia e, nel caso del diabete di tipo 2, hanno esaminato coorti di soggetti asia- tici con ampia variabilità dell’HbA1c.

Sintesi dei risultati ottenuti

La più alta prevalenza di microalbuminuria, macroalbuminuria, ridotto eGFR, feno- tipi albuminurici di malattia renale cronica (CKD) e retinopatia avanzata sono stati Effetto sulla pressione arteriosa

della somministrazione di daglutril, un inibitore combinato dell’enzima di conversione dell’endotelina e

dell’endopeptidasi neutra, in pazienti albuminurici con diabete di tipo 2 arruolati in uno studio randomizzato, in doppio cieco controllato con placebo in crossover

Parvanova A1, van der Meer IM1,2, Iliev I1, Perna A1, Gaspari F1, Trevisan R3, Bossi A4, Remuzzi G1,5, Benigni A1, Ruggenenti P1,5 per conto di “Daglutril in Diabetic Nephropathy Study Group”

1IRCCS, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare Aldo & Cele Daccò, Bergamo; 2Dipartimento di Medicina Interna, Divisione di Nefrologia, Ospedale HAGA, Den Haag; 3Unità di Diabetologia, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII, Bergamo;4Unità di

Diabetologia, Ospedale di Treviglio, Treviglio;5Unità di Nefrologia, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII, Bergamo

Lancet Diabetes Endocrinol 2013;1:19-27

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

In pazienti con diabete di tipo 2 con i trattamenti convenzionali è molto difficile ot- tenere una diminuzione di albuminuria e di pressione arteriosa, che rappresentano i principali fattori di rischio per la progressione della nefropatia diabetica. Noi vole- vamo verificare se tale risultato poteva essere raggiunto con un approccio innova- tivo che prevedeva l’utilizzo di daglutril, un inibitore combinato dell’enzima di conversione dell’endotelina e dell’endopeptidasi neutra.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Studi effettuati in pazienti in uno stadio avanzato della malattia renale diabetica hanno mostrato che gli inibitori del sistema renina-angiotensina avevano un effetto protet- tivo limitato e che annualmente il 7-10% dei soggetti con nefropatia conclamata progrediva verso l’insufficienza renale cronica. Inoltre, i pazienti potevano morire per problemi cardiovascolari a causa di un inefficace controllo pressorio e per la persi- stenza di proteinuria, nonostante l’utilizzo anche intensificato di diversi farmaci iper- tensivi in combinazione con inibitori del sistema renina-angiotensina.

Sintesi dei risultati ottenuti

In 45 pazienti trattati per 8 settimane con daglutril, losartan e altri farmaci iperten- sivi si è avuta una diminuzione significativa della pressione arteriosa senza però avere modifiche sostanziali di albuminuria e dell’emodinamica renale. Il trattamento stu- diato si è dimostrato essere ben tollerato e privo di effetti collaterali importanti.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Per la prima volta in uno studio clinico randomizzato è stato dimostrato che è pos- sibile ridurre la pressione arteriosa in modo efficace in pazienti con diabete di tipo 2 micro- o macroalbuminurici grazie all’inibizione combinata dell’enzima di conver- sione dell’endotelina e dell’endopeptidasi neutra.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

È necessario capire se nel lungo termine la riduzione della pressione mediante que- sto tipo di trattamento consente di avere una protezione efficace a livello renale e car- diaco. Bisogna inoltre verificare se il trattamento con daglutril a dosi più elevate di quelle utilizzate nello studio riduce la proteinuria mantenendo lo stesso profilo di si- curezza e se l’effetto sulla pressione può essere ottenuto anche in pazienti non af- fetti da nefropatia diabetica.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Il rapporto rischio-beneficio del daglutril rispetto agli antagonisti recettoriali dell’endote- lina suggerisce l’utilizzo di questa tipologia di farmaci per il trattamento dell’ipertensione in soggetti ad alto rischio quali sono i pazienti con diabete di tipo 2 con albuminuria.

(5)

Pisa; 3Divisione di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Università di Verona; 4Unità di Diabetologia, Università di Siena, Siena;5Unità di Endocrinologia e Diabetologia, Fondazione IRCCS “Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico”, Milano; 6Unità di Complicanze del Diabete, Divisione di Scienze Metaboliche e Cardiovascolari, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano;

7Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche, Università

“Sapienza”, Roma; 8Unità di Medicina Interna, Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università di Torino, Orbassano (TO); 9Unità di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Università di Foggia, Foggia; 10Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Dipartimento di Emergenza e Trapianti d’Organo, Università di Bari, Bari; 11Dipartimento di Farmacologia ed Epidemiologia Clinica, Consorzio Mario Negri Sud, S. Maria Imbaro (CH); 12Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Università “Sapienza”, Roma Diabetes Care 2013;36:2301-10

osservati quando sia l’HbA1cmedia sia la variabilità dell’HbA1cerano sopra la me- diana. Tuttavia, l’analisi di regressione logistica multipla ha dimostrato che entrambi questi parametri sono correlati indipendentemente alla microalbuminuria e CKD di stadio 1-2, ma solo la variabilità dell’HbA1cmostra un’associazione indipendente con macroalbuminuria, ridotto eGFR e CKD di stadio 3-5. Al contrario, nessun pa- rametro di HbA1ccorrelava con la CKD di stadio 3-5 non albuminurico e solo l’HbA1c media si associava alla retinopatia.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

In pazienti con diabete di tipo 2, la variabilità del l’HbA1ccorrela con la CKD, so- prattutto albuminurica, più che l’HbA1cmedia, mentre solo quest’ultima influenza la retinopatia.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

La valutazione dell’impatto della variabilità dell’HbA1csulla progressione delle com- plicanze microvascolari nel follow-up dello studio RIACE.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

È importante ridurre non solo l’HbA1cmedia, ma anche la variabilità dell’HbA1cal fine di prevenire o ritardare le complicanze renali.

Autoanticorpi HLA-dipendenti contro il collageno tipo II soggetto a modifiche post-traduzionali nel diabete mellito di tipo 1

Strollo R1,2, Rizzo P1, Spoletini M3, Landy R4, Napoli N2, Palermo A2, Buzzetti R3, Pozzilli P2,5, Nissim A1

1Bone & Joint Research Unit, Queen Mary, University of London, UK; 2Dipartimento di Endocrinologia e Diabetologia, Università Campus Bio-Medico di Roma; 3Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche, Università “Sapienza” di Roma; 4Centre for Cancer Prevention, Wolfson Institute of Preventive Medicine, Queen Mary, University of London, UK; 5Centre for Diabetes, Queen Mary, University of London, UK Diabetologia 2013;56:563-72

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Abbiamo studiato l’ipotesi che lo stress ossidativo indotto dall’iperglicemia possa indurre modifiche post-traduzionali e formazione di neoantigeni nel diabete di tipo 1 (T1D).

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Evidenze da altre malattie autoimmuni suggeriscono che le modifiche post- traduzionali degli antigeni self possono favorire lo sviluppo di autoimmunità. Per esempio, il collageno tipo II (CII) si comporta da autoantigene nell’artrite reumatoide (AR) quando sottoposto a modifiche ossidative. Il ruolo di tali modifiche nella genesi dell’autoimmunità associata al T1D non è chiaro.

Sintesi dei risultati ottenuti

Elevati livelli di anticorpi anti-CII modificato dai radicali dell’ossigeno (ROS-CII ab) sono frequenti nel T1D. La presenza di tali anticorpi è associata a un gruppo di al- leli HLA-DRB1*04 con alta omologia strutturale, HLA shared epitope, conferenti su- scettibilità genetica sia al T1D sia all’AR.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Sotto controllo genetico dell’HLA, iperglicemia e stress ossidativo possono indurre neo-antigenicità contro antigeni self nel T1D. Questo è il primo studio che mostra la presenza di anticorpi anti-CII nel T1D.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Lo studio delle modifiche post-traduzionali degli antigeni self nel T1D è un campo di ricerca nuovo. Sarà utile valutare il ruolo di antigeni modificati come biomarcatori per la diagnosi e/o la predizione del T1D.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Anticorpi contro ROS-CII sono frequenti nel T1D, ma ulteriori studi sono necessari per valutare il potenziale diagnostico o predittivo dei ROS-CII e di altri antigeni ROS- modificati nel T1D.

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