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(1)LA VALUTAZIONE MEDICO-LEGALE DEL CEREBROLESO A

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Academic year: 2022

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LA VALUTAZIONE MEDICO-LEGALE DEL CEREBROLESO

A. Farneti,* L. Boselli, ** R. Zoia* ,

Il tema proposto dalla nostra riflessione è così ampio da escludere che lo si possa analizzare in tutte le sue sfaccettature in un intervento congressuale necessariamente contenuto nel tempo.

L'occasione è però propizia per passare in rassegna i numerosi problemi medico-legali connessi alla valutazione del grave cerebroleso, sì da fornire stimoli al loro approfondimento nei confronti di una casistica che va aumentando negli ultimi anni e che non ha ancora dato luogo, per quanto almeno ci risulta, a compiute analisi sul versante medico-giuridico.

La più significativa letteratura scientifica sul tema è infatti originata in sede clinica e con impostazione prevalentemente terapeutico.

L'esperienza clinica, ma anche quella medico-legale, segnalano da circa un decennio un progressivo incremento di casi con danno assonale diffuso ed una relativa riduzione di casi con danno da lesione focale. E' prospettabile che questo fenomeno sia da ricondurre all'introduzione obbligatoria di mezzi di protezione nella conduzione di veicoli a motore; ruolo che andrebbe tuttavia verificato.

E' fuor di dubbio inoltre che i progressi della rianimazione e l'obbligatoria adozione di misure protettive, soprattutto nei motociclisti, hanno sensibilmente ridotto il numero dei potenziali donatori d'organo, cioè le lesioni produttive di stato di coma depassè.

Ne deriva che a parità di eventi accidentali legati all'infortunistica stradale, sono oggi di più frequente riscontro casi clinici nei quali il decorso presenta questa evoluzione:

-come prolungato

-apertura degli occhi dopo 15-20 giorni -sindrome apallica di transizione

-stabilizzazione clinico-terapeutica.

La lesione assonale diffusa, che sta alla base di questo schema di decorso, per caratteristiche intrinsecamente legate all'estensione delle alterazioni organiche cerebrali è destinata a sostenere reliquati di entità notevoli, idonei ad incidere qualitativamente e quantitativamente in maniera rilevante sulla qualità di vita del leso, inteso nel senso più ampio possibile del termine e cioè sull'autonomia personale, sugli atti quotidiani, sul rapporto interpersonale, sulla sfera degli affetti e della sessualità, sul lavoro.

Non esistono, soprattutto in questo settore, sindromi menomanti esattamente sovrapponibili e sono osservabili quadri intermedi; tuttavia la necessità propria delle esigenze medico-legali di inquadrare la realtà biologica in parametri di riferimento consente di schematizzare i possibili esiti nel modo seguente:

-recupero motorio con grave danno delle funzioni psichiche -tetraparesi spastica con buon recupero psico-intellettuale -tetraparesi spastica con grave danno psico-intellettuale

-tetraparesi spastica con stato vegetativo persistente sindrome apallica

Passando da questa brevissima e incompleta premessa clinica ai problemi di stretta pertinenza medico-legale l'attenzione va focalizzata su una sequenza di momenti così riassumibili:

* Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni dell’Università di Milano

** Divisione Neurorianimazione Ospedale Niguarda Cà Grande - Milano

* Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni dell'Università di Milano.

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-verifica dell'idoneità lesiva dell'evento e produrre il grave quadro clinico (nesso causale) -correttezza o meno del trattamento intensivo e riabilitativo

-identificazione del momento di stabilizzazione clinica e riabilitativa -accertamento della compromissione motoria

-accertamento della compromissione intellettiva -valutazione dell'eventuale stato epilettico associato

-durata della malattia (invalidità temporanea assoluta biologica e lavorativa) -incidenza della menomazione sull'integrità psico-fisica (danno biologico)

-incidenza della menomazione sulla capacità lavorativa generica (del titolare di polizza privata infortuni)

-danno alla capacità lavorativa propria e specifica (e alla sfera attitudinale lavorativa futura nel minore)

-accertamento delle potenzialità occupazionali in ragione delle residue, conservate e recuperate funzioni motorie e intellettive

-necessità o meno di assistenza: tipo e durata giornaliera

-necessità di utilizzo di presidi ortopedici, meccanici o elettronici idonei a migliorare la qualità di vita e a limitare la dipendenza da terzi

-prospettiva di sopravvivenza a breve, medio, lungo termine

-necessità di interventi riabilitativi o terapeutici protratti o limitati nel tempo (interventi diretti a correggere retrazioni tendinee, ad eliminare calcificazioni etc.)

-danno indiretto alla serenità familiare.

Forse l'elenco non è completo, ma è di per sè sufficiente a far comprendere come sia impossibile in questa sede affrontare in dettaglio tutti gli aspetti e a giustificare quindi solo alcune brevi considerazioni su quelli più salienti, più impegnativi e di ardua soluzione.

E' in primo luogo evidente che per un corretto inquadramento della sindrome, tranne i casi in cui questa è di immediato apprezzamento in tutta la sua drammaticità, il medico legale deve farsi assistere dallo specialista che, a seconda dei casi, sarà il neurologo, lo psichiatra (coadiuvato da un testista), il riabilitatore.

Un approccio grossolano, generico, più istintuale che tecnico, non di rado ricorrente, in questi casi, non è ammissibile soprattutto se si vogliono correttamente affrontare i problemi inerenti l'entità del danno alle funzioni psichiche, le residue potenzialità del paziente in ambito lavorativo, le reali necessità di assistenza e le caratteristiche della stessa.

Altro aspetto abbastanza nuovo è quello inerente la correttezza dei trattamenti clinici immediati, intensivi e rianimatori: si tratta di un campo in continua evoluzione, nel quale però da alcuni anni gli esperti in neurorianimazione hanno documentato che soventi in questi gravi traumatizzati cranici alla lesione dovuta all'insulto iniziale si associa un danno ipossico da tardivo soccorso, da ricovero in struttura non idonea, da scelte terapeutiche oggi forse non ancora definibili errate, ma quanto meno già oggi discutibili.

In uno studio prospettico condotto nel reparto di neurorianimazione dell'Ospedale Niguarda di Milano dal 1982 al 1987 su 1.021 traumatizzati cranici è emerso che la qualità del primo soccorso e della neurorianimazione sono di estrema importanza nell'evitare la sofferenza ischmico-anossica encefalica e prevenire quindi il persistente stato vegetativo post-traumatico (Procaccio e Boselli, 1992).

I neurorianimatori, in base alle loro esperienze e a verifiche analoghe condotte in altri Centri, affermano che in molti casi di grave all'insulto primitivo, propriamente traumatico, si associa spesso un danno ipossico anossico anche iatrogeno che, aggravando la lesione encefalica, condiziona in senso negativo l'entità e la qualità del recupero. della remissione.

Nello studio citato si segnala che un diverso approccio rianimatorio ha comportato il passaggio dal 50 al 85% dei casi di recupero della coscienza ad un mese dal trauma. E' inoltre

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sempre più sottolineata l'importanza di una riabilitazione mirata fin dal periodo di degenza in rianimazione.

Le implicazioni, anche medico-legali, di una metodologia assistenziale che sempre meno è di esclusiva conoscenza e competenza dei neurorianimatori e che dovrà quindi essere conosciuta in campo genericamente rianimatorio e riabilitativo, sono intuitive.

Altro aspetto che merita attenzione è il momento in cui effettuare la valutazione medico- legale, quando cioè siano da considerare ragionevolmente stabilizzate le condizioni cliniche e non sia altrettanto ragionevolmente prevedibile un miglioramento, un recupero almeno sostanziale.

E' noto infatti che sia sotto il profilo motorio che sul versante delle funzioni psichiche superiori questi pazienti, anche a distanza di molti mesi, talora di anni, possono presentare qualche lieve modificazione sia motoria sia di contatto con il mondo esterno; non sono ovviamente queste variazioni che possono incidere sulla globale entità della menomazione.

Quando allora attuare una valutazione medico-legale? Quando il clinico ritiene di aver raggiunto il massimo recupero possibile. E quando ciò si verifica? Parafrasando quanto è stato scritto da Autori anglosassoni: quando il curante, che ha l'obbligo scientifico e morale di tentare tutto quanto è possibile per il recupero, ha la documentata, manifesta evidenza che questo non è o non è più attuabile oltre il confine raggiunto.

In tema di riabilitazione è ben difficile poter fornire dei parametri cronologici precisi; in quest'ambito la variabilità è estrema e ogni caso si può dire è a sé stante.

E' peraltro evidente che elementi documentali indicativi di un grave danno anatomico, quali oggi agevolmente ottenibili con la diagnostica di immagini, unitamente a quelli registrati dai curanti in occasione di periodiche puntualizzazioni della situazione somato-psichica del paziente, possono consentire anche al medico legale di identificare quel momento di non ritorno o di recupero non più significativo che gli consente di formulare la valutazione del caso.

La stabilizzazione riabilitativa, qualora sussistano dubbi, potrà essere valutata ricorrendo ad un esperto.

Si tratta, anche a questo riguardo, di un aspetto poco approfondito in sedi medico-legale che richiederebbe un'analisi fondata sul altre statistiche.

All'atto pratico la guida alla valutazione del danno proposta dalla Società di Medicina Legale francese (1991) consiglia di effettuare la valutazione definitiva dei casi meno gravi dopo 4-5 anni e non fornisce parametri cronologici negli altri.

Rimanendo sul terreno applicativo riteniamo che nell'adulto la situazione clinica, in funzione dell'entità e caratteristiche del danno cerebrale iniziale, del periodo e del grado di coma, dei risultati della riabilitazione, possa ritenersi sufficientemente consolidata nella maggioranza dei casi a 18-24 mesi dal trauma e si possa quindi effettuare una attendibile valutazione.

Diversa e più complessa la prognosi clinica, quindi anche quella medico-legale, nel bambino dove hanno sì influenza i parametri clinici già richiamati nell'adulto, ma dove la plasticità dell'encefalo, legata alla crescita, può riservare sorprese. E il termine di 4-5 anni negli Autori francesi si riferisce particolarmente a forme miste di danno somatico e intellettivo osservabili nei giovani e nei bambini e suscettibili di discreto parziale recupero con prolungati trattamenti riabilitativi.

Il giudizio prognostico, non agevole per le compromissioni somatiche, è ancor più arduo per quelle intellettive, soprattutto nei minori. I citati Autori francesi consigliano di attendere almeno tre anni e fino a 5 e più nei giovani prima di effettuare una valutazione definitiva.

Se si eccettua il caso della sindrome apallica con stato vegetativo prolungato e irreversibile, dove la valutazione è effettuabile in modo attendibilmente definitivo in tempi relativamente brevi (comunque raramente prima di 10-12 mesi dall'evento) in tutti gli altri casi, soprattutto quando ricorrano compromissioni anche delle funzioni psichiche, è opportuno lasciar

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trascorrere il tempo, talora lungo, necessario per il raggiungimento del maggior recupero possibile.

Ciò notoriamente si scontra con le obbiettive necessità economiche che il leso, il suo nucleo familiare, sono costretti ad affrontare per le terapie riabilitative non sempre e compiutamente effettuabili a lungo in ambito pubblico.

Queste problematiche raramente si pongono in ambito di polizza privata infortuni dove la valutazione per contratto dev'essere fatta non oltre un anno dall'evento, posto che, di fronte ad un danno motorio dei quattro arti, anche un recupero più o meno soddisfacente da un lato comporta pur sempre una grave invalidità degli altri segmenti che, per sommatoria, giunge all'invalidità totale. Solo in caso di esclusivo grave danno intellettivo potrà essere giustificata una ragionevole attesa finalizzata a verificare gli effetti della riabilitazione e dell'entrata in funzione di eventuali possibili meccanismi di compenso; anche se questa attesa può scontrarsi con i termini cronologici contrattuali.

In sede di responsabilità civile l'istituto della "provvisionale" può consentire l'aiuto necessario ad affrontare gli oneri terapeutici ed assistenziali propri di questi pazienti ma richiede anch'esso, sovente, una valutazione medico-legale o quanto meno una messa a punto delle condizioni cliniche, un giudizio in quel momento e una prognosi sia clinica, sia medico- legale cioè valutativa.

Il civilmente responsabile o chi è incaricato di liquidare il danno ha necessità di elementi tecnici che gli consentano di stabilire l'entità dell'anticipazione. Ed anche su questo versante, irto di intuitive difficoltà, l'esperto, avvalendosi se del caso del parere di uno specialista, dovrà essere prudente, basando la previsione su quei parametri clinici (entità del danno anatomico, durata e profondità del coma, evoluzione motorio-psichica intervenuta fino al momento dell'osservazione, epoca dal trauma etc.) che già sono stati ricordati.

Ne deriva in definitiva che quanto più tempo è trascorso dall'evento tanto più attendibile sarà la prognosi clinica e di conseguenza la valutazione medico-legale.

Quest'ultima è tuttavia possibile anche in fase di decorso pur se espressa in termini doverosamente prudenziali soprattutto nei bambini e nei giovani e motivando l'impossibilità di un giudizio definitivo.

Altro tema che risulta poco approfondito e che in sede applicativa viene spesso affrontato in maniera approssimativa è quello, nei casi che motivatamente lo prospettano, del tipo e durata dell'assistenza. Di consueto viene riconosciuto un numero di ore al giorno, diverso in funzione della gravità delle menomazioni, nella previsione delle necessità del leso di essere mobilizzato, aiutato negli atti elementari e solo in quelli più complessi del vivere quotidiano.

In realtà il medico legale, che ha ben poco esperienza di regola sulle reali e concrete necessità di questi invalidi, si orienta con il buonsenso, forse non formulando valutazioni avulse del tutto dalla realtà, ma il più delle volte non sostenuto da una motivazione tecnica e talvolta frutto di un patteggiamento tra le parti che non trova riscontro in argomenti diversi da quelli meramente legati al corrispettivo economico.

Fa cioè completamente difetto, per quanto risulta dalla personale esperienza, un approccio corretto e culturalmente adeguato al problema: andrebbero infatti valutati, caso per caso, gli atti elementari e complessi dell'esistenza di ogni giorno, allo scopo di stabilire quali sono autonomamente eseguibili e quelli per i quali occorre un aiuto e per quanto tempo.

L'accertamento di necessità assistenziale si traduce, non diversamente da quanto già si effettua in ambito sociale, nell'apprezzamento della disabilità, dell'handicap e delle limitazioni a questi connesse. Problemi che hanno trovato ampio spazio nella legislazione sociale ma che in sede di responsabilità civile sovente vengono troppo semplicisticamente risolti.

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Non di rado ancora si prospetta l'opportunità di un'assistenza specializzata, soprattutto quando un costante trattamento riabilitativo consenta di mantenere i risultati raggiunti e non necessariamente ottenere ulteriori miglioramenti.

Venendo all'aspetto di maggiore difficoltà, impossibile da risolvere per motivo ben intuibili ma altrettanto intuitivamente ricco di risvolti pratici in ambito risarcitorio, va affrontata la durata della sopravvivenza in questi pazienti.

Problema che ovviamente non si pone in tutti i soggetti, ma ovviamente solo in quelli che per deficit motori associato a grave compromissione intellettiva o per sindrome apallica sono ritenuti più vulnerabili, più esposti ad infezioni intercorrenti e meno atti a superarle.

Per quanto è a nostra conoscenza non esistono studi specifici in merito; si tratta di una aspetto che concerne anche altro tipo di casistica di interesse medico-legale e cioè quello delle sequele dei traumi vertebro-midollari; ed anche a tale riguardo non si ritrovano molti riferimenti in letteratura.

E' possibile, attualmente, solo qualche generica indicazione, posto che il tema specifico costituisce oggetto di ricerca del dottorato di uno degli Autori di questo contributo ed i dati raccolti verranno resi noti in occasione della dissertazione della tesi. Si tratta quindi solo di dati incompleti che non saranno pubblicati nel testo definitivo, ma che si prestano a qualche indicazione.

La letteratura specializzata neurologica relativa al follow-up di questi pazienti è essenzialmente finalizzata ad identificare le variabili che incidono, fin dall'inizio, sulla prognosi;

si riferisce inoltre a tutti i possibili quadri clinici in esito a traumi cranici, anche quindi ai meno severi.

Un'indagine relativa a 18 casi di soggetti dimessi in coma apallico da un reparto di neurorianimazione nel corso di cinque anni e seguiti nel tempo porta a questi dati: 8 deceduti entro due mesi e mezzo, 3 entro sette mesi, 4 i successivi quattro anni, 1 al sesto anno, 2 vivi rispettivamente a cinque anni e cinque mesi e a sei anni e cinque mesi.

Questi dati, per ora, sono in accordo con quanto si evince dalla letteratura: nel senso che il periodo di sopravvivenza di sei anni dalla data di insorgenza del coma apallico è il limite più ricorrente nei casi di lunga durata.

Sono evidentemente possibili tutte le eccezioni che la proteiforme realtà clinica comporta e che non consentono quindi di stabilire, se non in via meramente indicativa, le presumibile durata della sopravvivenza nel singolo caso. Le variabili sono infatti molteplici; basti por mente al fatto che una di queste è rappresentato dall'esistenza o meno di un nucleo familiare che si occupi del invalido, e lo accudisca: è circostanza nota che la scomparsa dei o del genitore che si occupava del disabile molto spesso è seguita, in breve tempo, dalla morte di questo.

Già si era detto che molti aspetti dello schema inizialmente proposto non avrebbero trovato spazio nella nostra trattazione.

Uno però va ancora brevemente affrontato per concludere: quello della quantificazione del danno, momento tipicamente caratterizzante della prestazione medico-legale e attorno al quale ruotano rilevanti conseguenze economiche.

Nella grande menomazione, va detto subito, non sussistono per lo più particolari problemi valutativi: i grandi numeri non sono frequenti nell'odierna attività medico-legale, ma quando il caso ha connotati di estrema gravità come quelli di cui qui si discute, non sussistono di regola contrasti di apprezzamento.

Se si scorrono le tabelle italiane o straniere di più frequente consultazione si trovano pressoché valutazioni sovrapponibili che vanno dai minimi del 70%-80% fino al 100% con riferimento all'integrità dell'uomo.

E' palese che la capacità lavorativa nella maggior parte dei cerebrolesi è azzerata.

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Una annotazione sembra tuttavia utile allo scopo di evitare quantificazioni che nella drammaticità del caso possono suscitare facili ironie e che, in pratica, non appaiono sostenute da concrete motivazioni tecniche.

Ci si riferisce a quei casi di sindrome apallica nei quali è annullato qualsiasi contatto tra il soggetto e il mondo che lo circonda, nei quali, stando almeno alle attuali nostre conoscenze, l'invalido non ha alcune partecipazione emotiva, non riconosce, non parla. E' ben vero che è dotato di autonomia respiratoria e cardiocircolatoria ma è di fatti un quasi cadavere, essendo venuto meno, per definizione stessa della sindrome, tutte le funzioni cerebrali superiori.

In queste eventualità valutare un danno biologico del 95 o 98% come è accaduto di osservare sembra un interpretazione iniqua della pur valida e pienamente condivisa dottrina del danno biologico.

Anche se ci si riferisce al danno alla salute, più caro ai giuristi, si versa sempre in un campo in cui la "salute", non la vita, è annullata. Non vi dovrebbero essere remore di sorta, in altre parole, valutare questi casi con la perdita dell'integrità psico-fisica, che non significa la perdita della vita, cioè con il 100% di danno biologico.

Restando sul versante valutativo può accadere che in alcuni casi di relativa minor gravità di fronte alla perdita della capacità di continuare ad esercitare il lavoro svolto prima dell'evento permangano pur sempre delle potenzialità occupazionali in altre diverse mansioni: è il caso del giovane che abbia avuto un buon recupero intellettivo nonostante un persistente grave danno motorio.

Può essere allora chiesto al medico-legale di precisare se la menomazione annulli qualsiasi possibilità di lavoro o invece possa consentire mansioni diverse da quelle svolte in precedenza e, in caso affermativo, con quali precauzioni e disagi.

Nel delineare il quadro clinico menomante sia nei confronti del vivere di ogni giorno, sia nelle prospettive di una eventuale ripresa lavorativa, sia ancora, nel bambino, nei riguardi della riduzione della futura sfera attitudinale, più che espressioni numeriche valgono accurate descrizioni e consentono al destinatario dell'atto medico-legale di ben comprendere sia la gravità della condizione clinica ed esistenziale sia gli eventuali margini di collocabilità delle residue o recuperate capacità psico-fisiche.

Al termine di questa schematica ed incompleta analisi di alcuni problemi posti da questo tipo di casistica restano aperti, insoluti e meritevoli di approfondimento tanti argomenti: tra questi sta assumendo rilievo in sede giudiziaria il danno indiretto ai parenti, alla serenità familiare, forse non di stretta competenza medico-legale se non nel caso di pregiudizio all'integrità psichica che necessiti di accertamento tecnico.

Per concludere una annotazione deontologica: questa casistica così drammatica coinvolge inevitabilmente anche il valutatore medico-legale per i risvolti umani connessi alla perdita dell'autonomia personale, delle capacità di comunicazione, della sfera degli affetti che ha colpito il nostro simile, sovente oltrettutto in giovane età e per il sovvertimento dei ritmi e dei rapporti nel nucleo familiare che per lo più lo assiste.

Si viene a contatto con situazioni esistenziali che non hanno "prezzo" anche se il nostro compito è proprio quello di fornire degli elementi, dei parametri per stabilirlo. Ed allora, fatto salvo il rigore obiettivo che non deve mai mancare nella prestazione medico-legale, sarebbe opportuno cercare di evitare atteggiamenti di fiscalismo, giustificati ed addirittura doverosi in tutta la enorme casistica delle micropermanenti, ma che sono deontologicamente inaccettabili quando il danno è tale da coinvolgere tutto l'uomo nel suo esistere.

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