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La valutazione medico legale del danno alla persona di Marcello Canale

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Academic year: 2022

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La valutazione medico legale del danno alla persona

di

Marcello Canale*

Res medica sub specie juris. Antico aforisma col quale si suole definire l’essenza della medicina legale. Se noi lo vogliamo considerare nello specifico riferimento alla valutazione medico legale del danno alla persona, la prima riflessione che sorge spontanea non può che essere quella di un incredibile rivoluzione delle interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali che hanno radicalmente sovvertito e innovato i precedenti orientamenti. Rivoluzione che ha visto i medici legali svolgere un ruolo di primo piano non solo nell’adeguare la propria funzione di interprete competente e corretto alle nuove indicazioni provenienti dal diritto vivente, ma contribuendo in maniera decisiva alla evoluzione dello stesso diritto.

Non è superfluo ricordare come nel 1952 il Prof. Gerin abbia introdotto il concetto di “validità”, contrapposto a quello di capacità lavorativa generica, come un insieme di attributi dell’uomo utilizzabili in ogni sua attività, lavorativa o non.

Concetto ripreso dopo oltre vent’anni (1974) dai dottori Pellegrino e Monetti, magistrati del Tribunale di Genova, che innovarono radicalmente il sistema del risarcimento del danno alla persona, distinguendo nettamente il danno alla validità, definito danno biologico, da quello alla capacità lavorativa del leso.

La svolta “genovese” era poi (1979) ripresa e ulteriormente innovata dai magistrati pisani col loro esponente più rappresentativo, il Dr. Nannipieri, che identificava l’integrità psicofisica il bene essenziale, la cui menomazione comporta il diritto al risarcimento nell’ambito dei danno alla salute, in funzione della particolare influenza di essa sul singolo danneggiato.

Sostanzialmente le due nuove concezioni avevano in comune come elemento di valutazione il danno biologico, divergendo peraltro nelle modalità di capitalizzazione, ispirata a criteri rigidi di attribuzione di valore del punto a Genova ed a criteri più flessibili e personalizzati a Pisa.

Con la sentenza 184 (1986), la Corte Costituzionale riconosceva al danno biologico una sua autonomia il cui risarcimento deve essere ricompreso dalle precisioni dell’articolo 1043 c.c.

Successive sentenze della Suprema Corte non contribuivano certo a fare maggiore chiarezza in tema di danno biologico, indicato indifferentemente anche col termine di danni alla salute, in contrasto con larga parte di orientamenti dottrinali.

In questo contesto di vivace rinnovamento dottrinale e giurisprudenziale, non si può dimenticare che col riconoscimento della figura del danno biologico si sono eliminate artificiose figure di danno come quello estetico, sessuale, alla vita di relazione, ormai compresi in esso.

Peraltro questi nuovi orientamenti, per determinati aspetti univoci, non sono stati recepiti che da un limitato numero di tribunali, permanendo così situazioni alquanto variegate.

Cito ad esempio il Prof. Busnelli che vede l’attualità giuridica “caratterizzata da un’applicazione disordinata, spesso contraddittoria e talvolta scriteriata dal nuovo principio da parte dei giudici di merito”, nel contesto di un’anarchia del dopo principio”.

Né si può tralasciare di ricordare gli enormi problemi sollevati dalle sentenze della Corte Costituzionale in tema di danno biologico derivante da infortunio o da malattia professionale (n.

87/9, 365/91, 485/91), con successivi pronunciamenti dei giudici di merito tutt’altro che univoci. In effetti anche da parte della dottrina e della commissione di esperti nominata dall’INAIL, non provengono interpretazioni univoche, ma anzi fortemente contrastanti sulla rilevanza del danno biologico in rapporto alla ridotta attitudine al lavoro indennizzabile e indennizzata in ambito assicurativo (INAIL).

* Ordinario di Medicina Legale, Genova

Collana Medico Giuridica ADDITO SALIS GRANO

ed. Acomep, 1998

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In questo particolare ambito esistono giustificate preoccupazioni da parte degli operatori medico legali non infrequentemente caricati di responsabilità che non dovrebbero loro competere, in carenza di precisi quesiti idonei a chiarire la finalità dell’incarico.

Da tutto quanto precede non è difficile poter affermare che il medico legale interprete delle res medica sub specie juris, può trovarsi di fronte alla soluzione di quesiti alquanto diversi nei vari tribunali italiani e quindi con indicazioni di comportamento che non possono essere univoche, pur di fronte allo stesso substrato di ordine biologico.

Sostanzialmente oggi è difficile delineare i metodi di valutazione medico legale del danno alla persona in Italia, in quanto manca uniformità di impostazione giuridica dei parametri di riferimento ed uniformità di interpretazioni giurisprudenziali nei pareri forniti dal consulente medico legale a sua volta influenzato dagli stessi orientamenti della magistratura di merito.

Tutto quanto finora ricordato in estrema sintesi si riferisce ai problemi valutativi dell’invalidità permanente.

Non va peraltro sottaciuto il problema della cosiddetta inabilità temporanea raramente presa in considerazione in dottrina e ancor più raramente oggetto di importanti pronunciamenti giurisprudenziali, in rapporto ad un minore interesse per i risvolti economici ad essa relativi.

Tuttavia, anche in questo ambito in contributi dottrinali non si discostano dalle grandi linee più sopra richiamate a proposito del danno biologico.

In complesso, nel nostro paese, appare oggi ormai consolidato il principio che nella valutazione del danno alla persona da responsabilità civile occorra considerare le conseguenze lesive e menomative dell’integrità psicofisica come figura di danno autonomamente risarcibile (danno biologico o danno alla salute) distinte da quelle che le stesso comportano sulla capacità lavorativa o, più genericamente, reddituale, del soggetto, implicanti una diversa e aggiuntiva componente di danno.

Nell’ambito di questa impostazione di fondo, come già ricordato, si possono trovare orientamenti giurisprudenziali variabili, riflettenti orientamenti dottrinali altrettanto diversi.

Per quanto attiene alle conseguenze di danno di carattere temporaneo, è prassi pressoché uniforme fare riferimento ad una inabilità temporanea, assoluta e parziale, senza espliciti riferimenti ad un preciso parametro. Non si richiede cioè se l’inabilità temporanea riguarda qualsiasi attività abituale del leso, lavorativa e non lavorativa, oppure soltanto l’una o l’altra. Né si fa per lo più esplicito riferimento alla durata dello stato evolutivo delle lesioni, come condizione di rilievo puramente biologico.

Soltanto in qualche sede giudiziaria, tra queste il Tribunale di Genova, si distinguono anche per le conseguenze di carattere temporaneo, quelle di carattere biologico da quelle riguardanti le eventuali attività lavorative.

Per quanto attiene invece le conseguenze a carattere permanente, in molte sedi giudiziarie è ormai prassi consolidata fare distinzione tra danno biologico e danno alla capacità lavorativa.

Tuttavia esistono ancora molte sedi dove il danno biologico non viene ancora preso in considerazione con richiamo al vecchio concetto di capacità lavorativa generica, pur non facendo sostanziali distinzioni tra l’uno e l’altro, che vengono valutati secondo le stesse tabelle in uso.

In alcune sedi vengono ancora considerati l’uno e l’altra separatamente. A questo proposito non si può non ricordare come le recenti sentenze della Corte Costituzionale riguardanti il danno differenziale tra danno biologico e danno all’attitudine al lavoro in ambito infortunistico lavorativo, abbiano contribuito ad alimentare un disorientamento in ambito valutativo.

D’altra parte occorre ancora ricordare che nella stragrande maggioranza dei casi la valutazione del danno biologico si arresta ad una semplice percentualizzazione senza applicazione di correttivi per così dire personalizzati, in rapporto all’incidenza che lo stesso può avere sulla situazione esistenziale del soggetto. Salvo casi saltuari nei quali particolari condizioni somatiche o psichiche preesistenti, di ordine patologico o tanatologico, non portino a modificare la valutazione rispetto a quella che si sarebbe fatta in un soggetto in condizioni fisiologiche.

Collana Medico Giuridica ADDITO SALIS GRANO

ed. Acomep, 1998

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Oltre al danno biologico e/o alla capacità lavorativa generica, occorre sempre valutare l’incidenza che le stesse menomazioni hanno sulla specifica capacità lavorativa del danneggiato, incidenza che in molte sedi si chiede valutarsi in maniera descrittiva ma in molte altre con espressione di una percentuale, così come si usa fare per il danno biologico e alla capacità lavorativa generica.

Non si può terminare l’esposizione tralasciando di considerare il cosiddetto danno morale o extrapatrimoniale (Art. 2059 c.c. e 185 c.p.), risarcito soltanto in caso di illecito penale. Si tratta, non è il caso di dirlo, di un problema di esclusiva pertinenza valutativa del magistrato. Tuttavia occorre ricordare che sta consolidandosi una corrente dottrinale tendente a riportare quantomeno una parte del danno morale in quello biologico, la cui linea di demarcazione è alquanto incerta.

Se la sofferenza fisica in effetti, a pieno titolo, è da ricomprendersi nel danno biologico, anche se fino ad oggi non considerata esplicitamente nella valutazione, la sofferenza psichica appare quantomai variegata ma meritevole, per taluni aspetti, di essere considerata nell’ambito del danno biologico.

Per concludere, la valutazione del danno alla persona nel nostro paese ha trovato in questi ultimi venti anni affinamenti che l’hanno fatta uscire da una situazione stagnante, soggetta a criteri grezzi ed anacronistici.

I principi innovatori non sono ancora stati univocamente recepiti ed applicati ed ancora molto cammino deve essere compiuto verso una razionalizzazione ed uniformità di valutazione. I nuovi orientamenti da una parte fanno temere una moltiplicazione dei danno risarcibili con conseguenze insopportabili in termine di costi. Peraltro è evidente che valutazioni medico legali tecnicamente corrette nel contesto dei due tipi di danno, biologico e incidente sulla capacità di produrre reddito, unitamente ad altrettanto corrette modalità di monetizzazione del danno, sono l’obiettivo al quale si deve tendere per rinnovare la situazione palesemente iniqua che tende a privilegiare le richieste di risarcimento pretestuose penalizzando al contrario i veri danneggiati.

Collana Medico Giuridica ADDITO SALIS GRANO

ed. Acomep, 1998

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