GAZZETTA. S E T T I M A N A L E
SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI
Anno V - Voi. IX
Domenica 30 giugno 1878
N. 217
La tassa Maria eá i piccoli possidenti
L’ on. ministro delle finanze nell' esporre dinanzi alla Camera le condizioni del bilancio dello Stato, incoraggiato forse un po’ troppo dai resultati dei suoi calcoli, accennava alla riduzione di alcuni fra i bal zelli che ci affliggono, parendo a lui che essa potrebbe farsi quanto prima senza troppo disturbo dell’erario. Fra le riforme da lui escogitate in co- testo senso vi sarebbe pur quella di stabilire anche per i redditi fondiarii un minimo non imponibile, esentando così dalla tassa i più piccoli possidenti ; e l’on. ministro prometteva alla Camera di presentare )’ analogo progetto in questa stessa sessione parla mentare.Non rientreremo nella questione, già da noi toc cata in questi giorni, se sia cioè veramente giunto per l’ Italia il momento felice della riduzione«dei pubblici aggravii. Però senza discutere sulla oppor tunità della riforma annunziata dall’on. Seismit-Dodn, ci è impossibile non approvarla in massima, tanto per riguardo dei più poveri possidenti, quanto ancora per desiderio di maggiore regolarità amministrativa.
L’on. ministro ci dice che è mosso a far questa proposta perchè trova già applicato nella nostra le gislazione tributaria cotesto concetto del minimo non imponibile a riguardo dei redditi di ricchezza mobile. Forse non è cotesto l’ argomento che più torni a capello, perchè in fatto d’ imposta mobiliare si tro vano esenti da tassa sotto un certo limite soltanto quei redditi che provengono dall’ opera dell’ uomo e che si appellano impropriamente di ricchezza mo bile, mentre che i redditi dei capitali sono imposti qualunque sia la loro entità.; e potrebbe obiettarsi che, trattandosi di capitali, sieno cotesti mobili o immobili, dovrebbero essere ugualmente tassati.
Ma ci persuadono assai meglio gli altri argomenti ' con i quali dall’ oh. ministro è stata corroborata la sua proposta. Esiste in Italia una gran quantità di pic colissimi possidenti di terreni o fabbricati per i quali la tassa fondiaria, sopraccarica come è di sovrim poste locali, riesce veramente gravosa e qualche volta intollerabile per assoluta mancanza di mezzi. Vi sono, come diceva l’on. Seismit-Doda, dei tugurii scavati nelle roccie delle montagne, vi sono catapecchie di fango e di paglia sulle quali si impone e si escute la tassa. Vi sono degli appezzamenti di terreno che rendono poche patate a miserabili famiglie di pos sidenti e che pur devono pagare l’imposta. È incre- dibi'e quanto in alcuni luoghi sia frazionata la pro prietà. Nelle montagne e nei nostri Appennini in specie, non vi è quasi famiglia che non possieda il suo tugurio con pochi metri quadri di terreno al- 1’ intorno. Conosciamo alcuni possidenti di certe
montagne il possesso dei quali è limitato ad un solo castagno, e si trova pur qualche volta che chi è proprietario del castagno non lo è del suolo su cui si estolle la pianta. La miseria di cotes’i povera gente è incredibile in specie quando la stagione cat tiva ha rubato loro il raccolto; e dove potrebbero cotesti disgraziati trovare le due o tre lire reclamate dall’esattore? Eppure questi non vuole naturalmente prendersi a carico suo le tasse segnate sui ruoli a carico di cotesti sciagurati possidenti ; a lui bisogna applicare da legge, ed è frequentissimo il caso che la impossibilità di pagare la imposta anche per un solo anno cagioni al proprietario la confisca della sua intiera proprietà stante la spesa di esecuzione.
E tutto ciò senza corrispondente vantaggio del pubblico erario, il quale spesso si trova nella im possibilità di vendere il fondo espropriato a danno del contribuente moroso.
La difficoltà di esigere una quantità di piccolo quote, tanto numerose quanto inconcludenti per l’era rio, porta necessariamente un aumento vistoso nel l’aggio che deve corrispondersi all’esattore, e siccome l’aggio è uniforme qualunque sia l’entità delle quote dei contribuenti, così avviene che i più grossi fra questi, ed i più puntuali, debbano pagare all’esattore le cure e le noie che egli deve incontrare per la riscossione delle più piccole. Ci sarebbe agevole il dimostrare cotesta verità, e si persuaderebbe il no stro lettore che l’aggio d’esazione è sempre più alto in quei Comuni dove è maggiore il numero di pic coli contribuenti. Non sarebbe quasi meglio per co- testi contribuenti più grossi pagare qualcosa di più all’erario in dipendenza dello sgravio accordato alle piccolissime quote, che soggiacere ad un aggio di esazione del sei o sette per cento reso necessario appunto dall’esazione della tassa di coteste microsco piche proprietà fondiarie?
ali-402 L’ E C O N O M I S T A 30 giugno 1878 quote differenti, di modo che, partendosi dall’infima
assolutamente esente per la eccessiva tenuità delle quote in essa comprese, si arrivasse, gradatamente aumentando l’ aliquota di classe in classe, all’ appli cazione dell’ aliquota normale assegnata ai redditi superiori.
Così pure è facile prevedere che nella pratica attuazione di cotesta benefica riforma si troverebbero molte difficoltà di amministrazione per impedire che o-odano di uno indebito favore quelle quote che, sebbene piccole di per sè stesse pure appartengono ad indivìdui che godono di altri possessi in altri Comuni, e per sottoporre alla tassa le quote già esenti, ma che diverrebbero imponibili perchè pas sate in proprietà di individui possessori di altre quote. E tanto più coteste difficoltà si presenterebbero quando non si trovasse modo di far denunziare i passaggi delle proprietà e di correggere le partite catastali in un mod') più spiccio e più regolare di quel che oggi non accade.
Ma, qualunque sieno le difficoltà della pratica at tuazione di cotesta proposta dell’ on. Seismit-Doda', noi confidiamo che si troverebbe modo di appianarle, ed in tale fiducia attendiamo dali’on. ministro l’adem- pimento della sua promessa.
RIDUZIONE DEL MACINATO
0 ABOLIZIONE DEL COESO FOEZOSO NeTìntenzione di adempiere ad un dovere e per sodisfare a la brama di popolarità, il presente mini stero ha deciso di rivolgere l’eccedente delle entrate su le spese, preveduto nel braccio del 48/9 alla riduzione dell'imposta sul macinato Sventura! mente esso diede urto in uno scoglio affatto impreveduto, e, singolare a dire, destò odii e recriminazioni mag giori forse di quelle cui andarono incontro i mini stri che stabilirono quest’ imposta medesima, senza contare che coll’ applicazione'di tale provvedimento il demone del regionalismo, con tanto studio e fatica sopito, tornerebbe a rialzare il capo, per lasciar dietro a sè lunga traccia di rancori. Che se per sfuggire a tanta iattura, il governo tentasse conten- tare°in parte gli uni e gli altri (chè a sodisfarli tutti è follia pensare), il vantaggio, già poco sensi bile ora, si ridurrebbe a proporzioni così omeopa tiche, da non rispondere affatto al danno sofferto del governo collo spogliarsi di un cespite rilevante d’entrata.
È da sperare adunque che, vista la mala parata, il governo ron vorrà affrettarsi a prendere un par tito in sullo scorcio di questa sessione, per lasciar campo alla pubblica opinione a manifestarsi più aper tamente. Ed allora ci pare che non si tarderà a rico noscere essere prematuro il pensare ad abolire im poste quando ancora la pubblica finanza non ha pigliato uno stabile assetto; si sentirà che se que st’ imposta e dura, ve n’ ha un’ altra ugualmente molesta e universale; e più dannosa ancora, perchè inceppa direttamente la produzione, la quale ha forma di prestito a tenue interesse, mentre in fondo eguaglia i prestiti più usurai; allora forse si penserà ad attuare di preferenza un altro dei propositi che il ministero attuale portò al potere nelle pieghe del suo vessillo, cioè l’abolizione del corso forzato. \
Questa abolizione è dessa possibile col solo im piego di poco più di 20 milioni, che a tanto ascende l’eccedente presunto delle entrate sulle spese? A primo aspetto pare che no. Il ministro Depretis in una recente sua esposizione finanziaria intendeva consacrare pochi milioni all’anno al riscatto di pari somma di biglietti, fino alla completa loro estinzione; ma il suo progetto fu accolto con uno scettico sor riso. Con questo metodo, i figli nostri soli avrebbero assistito alla scomparsa dell’ultimo biglietto a corso forzato. — D’ altra parte non conviene pensare per ora al rimborso del miliardo di debito che il governo ha contratto col. consorzio delle banche. V’ avrebbe un mezzo solo ragionevole di farlo — l’emissione di rendita — e niuno può consigliare un operazione finanziaria si vasta, che ridurrebbe il bilancio ad un nuovo disavanzo annuo di SO milioni almeno. Senza dubbio, posta in questi termini, l’abolizione del corso forzato cessa di essere pratica.
Ma anzitutto sarebbe grave errore il credere che per abolire il corso forzato convenga operare l’estin zione di tutta intera la massa di questo debito. Vi ha una quantità di biglietti la quale è indispensabile pei bisogni della circolazione, e che per volgere di avvenimenti non torna al cambio giammai, anche nei paesi dove il corso forzato non esiste. Nell’ In ghilterra propriamente detta questa somma di bi glietti della Banca privilegiata, che coll’alto del 1844 si calcolò rimanere perpetuamente in giro, e per cui non esiste un centesimo di riserva metallica, è di lo milioni di sterline, o circa 580 mil oni di nostre Ire. Ora se si considera che l’Inghilte ¡'a conta nep pure 25 milioni di abitanti; che il biglietto tiene tra ì mezzi di circolazione di que. paese un piccolo posto (il i ggioreesseudo occupato dagli assegni e dalle cambiali) e che a fianco dei biglie ti della Banca d’Inghilterra circolano quelli delle banche provinciali, non crediamo andar lontani dal vero nell’ asserire che, qualu c|ue crisi possa minacciare il commercio italiano, 400 milioni di biglietti saranno sempre ne cessari! pe' suoi scambi, e che i medesimi possono mantenersi dal gove no in circolazione senza darsi pensiero di fornire la corrispondente riserva metal lica, ove essi sieno forniti, a preferenza degli altri biglietti, che pur continuerebbero a sussistere, del
corso legale. . . .
Non è adunque sopra una massa di 940 milioni di biglietti, ora inconvertibili, che conviene operare per metter fine al corso forzato, sibbene sopra 540 mi lioni soltanto.
Ciò posto, ecco le basi sostanziali su cui dovrebbe riposare un progetto rivolto al ritorno al corso libero:
1° Il governo emette tanta rendita 5 per cento, quanta basti per far entrare nelle casse dello Stato 400 milioni effettivi. Questa somma è destinata a comprare e distruggere per 200 milioni di biglietti consorziali a corso forzato, che così si riducono da 940 milioni ad 740 milioni, e pel rimanente ad essere impiegata nel modo di cui in seguito.
2° Il governo avoca a sè l’emissione di 740 mi lioni di biglietti, operata da una speciale ammini strazione, sotto l’immediata vigilanza del Parlamento. 3° È dichiarato il corso legale di questi biglietti, ad esclusione di quelli di tutte le altre banche; ciò che ne assicurerà la circolazione permanente pei non meno di 400 milioni.
30 giugno 1878 L’ E C O N O M I S T A 403 metallica di 200 milioni, acquistati col mezzo di cui
al num. 1, e con 140 milioni di buoni del tesoro, negoziabili a seconda del bisogno.
Esaminiamo ciaschedun punto partitamente.
I. Emissione di un prestito di 400 milioni ef fettivi.
Al corso di 81 (che presumibilmente sarebbe quello di emissione del nuovo prestito) la rendita da iscri versi sarebbe di 24,691,000 lire, somma presso a poco uguale all’ eccedenza delle entrate sulle spese calcolata nel bilancio, al quale voglionsi aggiungere ancora varie altre somme, come sarà accennato più tardi.
Un nuovo prestito, e sì largo, può a prima giunta forse intimorire, siccome quello che- espone a repen taglio il credito dello Stato, e grava il bilancio di un onere annuo rilevante. Però a ragionarvi sopra si scorge che ciò non è.
Ciò che può spaventare i capitalisti non è già il contrarre che faccia un debito, sia pure così ingente, una nazione di primo ordine, quale si è l’Italia, sib- bene sono le circostanze che possono accompagnarlo. Se tal somma fosse richiesta per uno scopo impro duttivo, come sarebbe una guerra; o mentre le fi nanze si trovassero in grave dissesto, come successe pei prestiti contratti dal governo pel passato, sarebbe fondato il timore di future difficoltà nel pagamento degli interessi. .
Ma nulla di ciò nel caso presente. La somma è domandata per estinguere un prestito dello Stato, onde meglio che un prestito nuovo, è conversione di antico, e conversione vantaggiosa pel governo e pel pubblico ad un tempo; che è dire la migliore tra le immaginabili.
Ciò che trattenne il governo dall’operarla pel pas sato si fu l’ impossibilità di servire gli interessi del prestito emesso in rendita, senza aggravii pei contri- ebunti, che era impossibile stabilire. Le imposte già avevano raggiunto il massimo, ed era dubbio se'ad aumentarle ancora non le si rendessero invece meno produttive. Ma la difficoltà è ora rimossa dalle fortunate condizioni del bilancio, che consentono allo Stato di sodisfare agli impegni che assumerebbe col prestito, valendosi dei mezzi che già le imposte attuali versano nelle sue casse.
Per giunta le condizioni del mercato monetario non potrebbero essere più favorevoli. Il danaro ri gurgita, e va in cerca di impieghi, che stenta a trovare. Il credito del governo non fu mai mèglio stabilito che al presente, in cui il corso della ren dita tocca un punto giammai prima raggiunto. De gli Stati d’ Europa I’ Italia è tra quelli a cui lo complicazioni della questione orientale fan correre meno pericoli. Niun dubbio adunque può esistere sulla riuscita di una operazione finanziaria fondata sopra una base così solida, e colla prospettiva dei- fi abolizione di quel corso forzato, il quale più di qualunque altra imposta è di aggravio al paese.
IL Emissione di 740 milioni di biglietti, ope rata da una speciale amministrazione, sotto V im mediata vigilanza del Parlamento.
A rigore di termini fi emissione di questa carta governativa non è indispensabile per la riuscita del progetto, poiché 1’ operazione potrebbe essere com piuta col mezzo del consorzio delle banche oggi esi stente. L’ opera di questo intermediario presente rebbe anzi rilevanti vantaggi, quale si è quello di
non alterare troppo profondamente la legislazione ora vigente intorno alle banche ; quello di far coo perare i principali istituti di credito del paese al prospero esito di quest’ operazione , quello di per mettere che in caso di bisogno la riserva metallica di questi istituti, destinata al rimborso dei proprii biglietti fosse prontamente rivolta al rimborso dei biglietti consorziali.
Però dove una convenzione al riguardo non po tesse concludersi il governo non dovrebbe esitare a ricorrere all’ emissione di carta governativa.
Non ci muove contro quest’ opinione il pensiero che tal provvedimento potrebbe forse pregiudicare la risoluzione della questione della libertà delle ban che. Noi siamo strenui partigiani di questa libertà, ma essa non ha nulla che fare coll’ emissione di questa carta governativa, la quale mira semplice- mente a metter fine ad una condizione molto più irregolare di cose, qual è il corso forzato, e po trebbe del resto coesistere appieno con quella dì al tre banche sorte sotto il regime della libertà.
Più grave è I’ obbiezione tratta dai pericoli che circondano fi emissione di carta governativa. Certo, pericoli di abusi esistono in questa, come in tutte le istituzioni umane ; però nel caso nostro essi sa rebbero di ben tenue rilievo, massime se si pongano a confronto coi vantaggi che sarebbero per risul tarne.
Il pericolo di abuso esiste, e grave, quando vige il corso forzato : allora è possibile che il governo si la sci adescare dalla facilità di provvedere ai proprii bi sogni col torchio da stampa. Ma nel caso attuale la cosa corre ben altrimenti. Quest’operazione non mira, neppure in lontananza, ad accordare maggiori lar ghezze al governo; essa anzi ha per effetto la imme diata diminuzione della circolazione cartacea emessa per conto del governo di ben 200 milioni,-ciò che ba sterebbe, indipendentemente da ogni altra considera zione, ad attribuire credito a quella rimasta in corso.
Ma v’ ha assai più. Quest’ emissione governativa si "a sotto il regime del corso libero, che è dire che un eccesso di emissione è assolutamente im possibile, perchè fi eccedente tornerebbe immediata mente al cambio. E questa la migliore delle garan zie contro ogni velleità di abuso per parte del go verno, e dovrebbe assicurare pienamente la circo lazione dei biglietti.
Ancora tale emissione non dipenderebbe già dalla mera volontà del potere esecutivo, ma da ammini stratori speciali, resi indipendenti dagli arbitri» del governo con garanzie analoghe a quelle che circon dano i membri della Corte dei Conti, e posti sotto la vigilanza diretta del Parlamento. Le operazioni poi di quest’ amministrazione sarebbero quasi auto matiche, poiché si restringerebbero alla conversione di biglietti con moneta o viceversa, a somiglianza di quanto succede per I’issue-department della Banca d’ Inghilterra, coll’ aggiunta soltanto della negozia zione dei buoni del tesoro statile consegnati dal go verno per costituire la riserva. Ed anche queste sarebbero garanzie efficaci, che dovrebbero allonta nare ogni ombra di dubbio.
m
L’ECONOMISTA
30 giugno 1878 E qui gioverà anzi ricordare il famoso progettodi Davide Ricardo. Il suo disegno della istituzione di una Banca nazionale mirava a mettere stabil mente nelle mani del governo 1’ emissione dei bi glietti di banca ; e cosi egli rispondeva all’ obbie zione tratta dal pericolo di abusi per parte del go- vern0 : — « Io confesso che vi sarebbe gran peri colo se il governo — cioè i ministri — avessero nelle loro mani la facoltà di emettere moneta di carta. Ma io propongo di affidarla in mano di Com- missarii non amovibili, se non per voto di una o di ambe le Camere del Parlamento. Propongo inoltre, per evitare qualunque accordo tra quest; Commis- sarii ed i ministri, di proibire qualunque specie di operazione monetaria tra loro. I Commissarii non dovrebbero mai, sotto nessun pretesto, prestar mo neta al governo, nè essere minimamente sotto la sua influenza o la sua autorità. Sopra Commissarii da loro cosi interamente indipendenti i ministri avreb bero assai meno influenza di quella che essi attual mente hanno sui direttori della Banca. L’esperienza dimostra quanto poco quei direttori hanno saputo resistere alle seduzioni e carezze dei ministri ; e quanto spesso sono stati indotti ad aumentare le loro anticipazioni, appunto in quei momenti in cui essi dichiaravano, che questi sarebbero stati pieni di pericoli per la solidità della Banca e per l'interesse pubblico. . . Ora io domando, se la nazione non avrebbe una garanzia maggiore contro siffatta in fluenza sugli animi di coloro che hanno la l'aeohà di mettere Inori carta, da indurli a deviare dalla linea rigorosa del dovere, quando la moneta di carta del paese iosse emessa dai Commissari! colle condizioni da me proposte, anziché dalla Banca d’ Inohilterra, come attualmente è costituita ? Se il governo avesse bisogno di danaro, sarebbe costretto ;i raccoglierlo nei modi legittimi : cioè mettendo imposte °sui popolo; mettendo .fuori e vendendo buoni del tesoro ; facendo prestiti consolidati, op pure prendendo a prestilo da qualunque delle nu merose banche, che possono esistere nel paese; ma in nessun caso gli sarebbe permesso di prenderò a prestito da coloro che hanno la facoltà di creare moneta. »
Ora se quell’ eminente economista inglese non dubitava di mettere questa tra le attribuzioni ordi narie del governo, come potrebbe trovarsi irragio nevole questo stesso provvedimento, usato quale spediente temporaneo, e all’ oggetto di sottrarre il paese alla trista condizione di cose in cui la piaga del corso forzato lo ha posto ?
(Continua).
LA RICOSTITUZIONE
del Ministero d’Agricoltura e Commercio
Noi non fummo certo fra gli ultimi, nè fra i meno caldi nel censurare la soppressione del ministero di agri coltura e commercio, ed ora che la revoca di quel la misura a nostro avviso sommamente improvvida può dirsi quasi un fatto compiuto non sapremmo davvero indugiare più oltre ad esprimere quella le gittima soddisfazione che ne proviamo, soddisfazione che è anche maggiore in ragioné del breve tempo trascorso fra l’uno e l’altro provvedimento.
Ed invero comunque fossimo sino dal primo mo mento penetrati dall’intima persuasione, che la riforma così inopinatamente attuata dal secondo ministero De- pretis si sarebbe ben presto dimostrata all atto pratico, quale esso sembrava a noi nociva al regolare an damento dei pubblici servigi, e allo sviluppo della prosperità nazionale, pure non osavamo sperare in un così sollecito e completo trionfo delle nostre idee. Nè questo infatti può dirsi frutto dell’ espe rienza, perchè in questi pochi mesi, la decretata soppressione del ministero di Agricoltura e Commer cio, a mala pena portata ad esecuzione, non ha avuto tempo davvero di spiegare effetto veruno, nè buono, nè cattivo. È mestieri quindi attribuire ad altre cause la salutare reazione, di che oggi ci rallegria mo, e queste sono varie e molteplici.
Forse non deve annoverarsi fra le ultime la pas sione politica, la quale per mala ventura del nostro paese, o per parlare più propriamente di ogni Stato retto a regime rappresentativo, entra da per tutto e bene spesso più vale che ogni altro criterio a de terminare la soluzióne delle quistioni deferite al giudizio delle assemblee legislative, anche di quelle nelle quali sembrerebbe che lo spirito di parte non dovesse entrare, nè punto nè poco.
Con questo non intendiamo già di biasimare la grande maggioranza dei nostri fogli quotidiani, e meno ancora la nostra camera elettiva, perchè esa minando la quistione della soppressione del mini stero di Agricoltura e Commercio, la trattarono principalmente come questione politica. Abbiano fatto bene, abbiano fatto male, non sta a noi il giu dicarlo, perchè tali polemiche non vogliamo e non dob biamo farne. Diremo soltanto che comunque, in tesi generale ci sembri deplc evolissimo l’uso ormai invalso purtroppo, (e ne potremmo citarne molti e molti esempii), di convertire le quistioni economi che eJ amministrative in quistione dì partito, pure questa voita non sapremmo dolercene, perchè, astra- zion fatta di qualunque altra considerazione, il re sultato fu buono.
Vero è però che questo va attribuito principal mente ad un’altra causa, dalla quale, crediamo, tutti dobbiamo trarre argomento a bene sperare per l’av venire del nostro paese, a quella salutare influenza cioè, che 1’ opinione pubblica esercita nei liberi sta ti, e che questa volta si è manifestata fra noi con tale energia da dimostrare che la grande maggioranza degli italiani lungi dall’ essere, come lo si vorrebbe far credere, indifferente alle quistioni di ordine am ministrativo, ha invece anche rispetto a quelle una chiara coscienza delle proprie aspirazioni e dei pro pri bisogni.
30 giugno 1878 L’ E C O N O M IS T A 403 tata dal secondo Ministero Depretis, ma per quella
legge naturale di reazione che si manifesta, non solamente nel mondo fisico, ma anche nel mondo morale, i fautori del Ministero di agricoltura e com mercio, non si limitarono a chiedere che fosse re staurato quale era prima, ma si fecero anche a ricercare se non fosse il caso di estenderne la sfera di azione, e di aggiungervi nuove attribuzioni, il difetto delle quali poteva per avventura aver fatto sorgere la falsa opinione della sua inutilità come dicastero di per sè stante.
Guidata appunto da questo ordine ili idee, la Com missione min.stellale, in una dottissima relazione dell’ illustre senatore Boccardo, esprimeva il voto che al Ministero di agricoltura e commercio, (che a me glio esprimere il concetto a cui si dovrebbe informare si vorrebbe chiamato Ministero dell’economia nazio nale), fosse completamente affidata l’istruzione tec nica professionale ed agraria, la preparazione dei trattati di commercio, il regime della pesca, la ma rina mercantile, la sorveglianza e la legislazione mineraria, il miglioramento delle razze e altre inge renze minori, e che viceversa, ne fosse tolto l’Eco nomato generale, e la statistica demografica. — Nè concetti dissimili si manifestavano in seno al recente Congresso delle Camere di commercio, e nella di scussione parlamentare. — Che se poi all’ atto pratico si è creduto miglior consiglio di decretare soltanto in massima la ricostituzione del Ministero di agri coltura e commercio, e di incaricare il Governo di designarne provvisoriamente le attribuzioni con de creto reale, rimettendo ogni provvedimento definitivo a quando nel prossimo autunno si dovranno discutere gli organici di tutte le Amministrazioni centrali dello Stato, ciò fu perchè nel momento attuale mancava quella preparazione e quello spazio di tempo che si richiedono per discutere convenientemente una cosi radicale riforma. — Così tutti coloro che or sono appena sei mesi deploravano la soppressione del Mi nistero di agricoltura e commercio, debbono in ul tima analisi essere grati a chi volendolo ucciderlo non fece altro in sostanza che preparargli vita migliore e più rigogliosa. Ma più grati ancora dovremo essere all’attuale Ministero se saprà far sì, che le progettate riforme, le quali, se non tutte nella maggior parte almeno ci sembrano di una opportunità indiscutibile, divengano esse pure e presto un fatto compiuto.
Dello
STiiUDpo
del socialismo radicale tedesco
del suo stato presente e della sua repressione (Continuazione vedi N. 215).
111.
Il Lassai le designò nel suo testamento Bernardo Becker come suo successore nella presidenza della Società generale operaia tedesca. Questi non posse deva alcuno dei mezzi intellettuali, necessari per poter sostituire un Lassalle. Egli chinmavasi nientemeno che « presidente dell'umanità. » Lrt contessa Hatzfeld forniva i mezzi per i moti e per l’amministrazione, desiderando essa che fossero sostenute e propagate le idee del suo defunto amico Lassalle. Il Becker si guastò con lei, la quale fece poi altrettanto col Lieb- kneclit e collo Schweitzer e non v’e bisogno di ulte
riori schiarimenti per capire che in quello stato di cose non si poteva parlare di una regolare direzione.
È un prodigio se la Società generale operaia tede sca si mantenne in vita nonostante siffatti dissidii. Lo Schweitzer fu il solo che rimanesse tranquillo ed in conseguenza di un patto fatto col Lassalle, dal 13 dicembre -lSfii in poi, pubblicò un periodicoì l Socia lista democratico, cui il primo numero fu spedilo in 30,000 copie Dopo molto lottare egli aveva final me te trovato una redazione alquanto svariata. A titolo di curiosità riproduciamo alci! d nomi dei col laboratori ili quel giorna'e- Essi sono: Guglielmo Liebknecht, l’Engels, il Mirx, I’ Hervvegti, il fiù-uinv ■ che è adesso colonnello capo di Stato maggiore del l'esercito della Confederazione Svizzera, ed il profes sore Enrico Wuilke di Lipsia.
Tutti questi collaboratori cessarono dopo poco tempo di far parte della redazione del giornale e ciò in conseguenza di cinque articoli delio Schweitzer sul « ministero Bismarck. » Questi articoli gli val sero i titoli di « Socia ¡sta governativo » di « bir bante d ili « traditore » che gli dettero i suoi amici socialisti. Nel 1863 fu eletto presidente invece del Becker un certo Tolcke il quale introdusse una in novazione parlamentare, non servendosi più del cam panello nel presiedere le adunanze popolari, ma di un bastone comenoi stessi abbiamo veduto. Egli presiedè .per poco tempo soltanto: nel 1866 gli succedette il Perl di Amburgo, il quale trascinò la società finn agli ultimi gradini dell’avvilimento. Il Lassalle errigli stato ostile: inoltre quest’ individuo soffriva dell’ idea fissa di risolvere tutte le questioni sociali e politiche di Europa coi « corpi volontari. » Nel maggio 1867 alla quinta assemblea generale tanto fece, che final mente riuscì ad essere eletto presidente della So- . cietà.
Ciò che fu dotto delle suo pretese rivelazioni sulla Società al governo prussiano, appartiene al dominio della favola, è vero invece che le più sconce e vili passioni lo posero in conflitto colle leggi penali e dovette subire una lungo pena in carcere. Quando nel settembre 1867 si fecero le elezioni per il Reich- stng della Germania del Nord, egli fu eletto depu tato. Arerso la fine di novembre di quello stesso armo si riunì a Berlino la sesta adunanza generale ed in quel.la circostanza fu constatato che la società era stata ben riordinata e che anche le casse , erano di nuovo amministrate in pieno ordine.
Nel 1863 riunivasi a Franeoforte sul Meno la « Lega delle Società operaie tedesche, » la quale credè suo dovere di sostenere il partito progressi sta tedesco e specialmente le teorie dello Schulze- Delitsch. Nel 1866 avea cambiato idea e votò contro il partito progressista e contro lo Schulze-Delitsch. Il Bebel, la creatura del Liebknecht, in agosto di I quell’anno ¡stesso si presentò al pubblico con un programma socialista, il cosidetto programma di | . Chemnitz, del quale riassumiamo nel modo seguente i passi principali : » II partito democratico lui de plorato e condannato la guerra adesso terminata definitivamente e per sventura combattuta nell’ in teresse delle mene dinastiche e particolariste, come una sciagura nazionale, perchè essa non soltanto condurrà alla rovina parziale del benessere del po polo tedesco e farà sì che le razze tedesche s’ iua- j spriscano l’ una contro l’ altra, ma anche alla divi- I sione della patria comune, alla schiavitù ed alla inge
406 L’ E C O N O M IS T A 30 giugno 1878 Termina quindi il suo programma esponendo le
* Esigenze della democrazia: 1. Illimitata indipendenza del popolo; 2. Unione della Germania in uno Stato di forma democratica; 3. Cessazione dei privilegi di classe, di nascita e di confessione; 4. Rialzamento della cultura corporale, intellettuale e morale del popolo; 3. Incremento del benessere generale e eman cipazione del lavoro o dell’operaio dalla oppressione e dalle catene che pesano sull’uno e sull’altro; 6. Au tonomia dei comuni ; 7. Aumento della conoscenza del diritto nei popolo ; 8. Incremento della cultura politica e sociale dcd popolo: mediante la stampa libera, il libero diritto di riunione d’associazione e di coalizione.
Nel 1868 la Lega delle Società operaje tedesche aderì a Gera al programma della Associazione ope raia internazionale, oppure « dell’internazionale ed il foglio democratico settimanale » di Lipsia divenne il giornale della società, sotto la direzione del Liebknecht, il quale baudito da Berlino nel 1863, erasi stabilito a Lipsia. Nel 1869 a Eisenacb si affermò finalmente la lega come partito operaio democratico socialista e fondò lo « Stato popolare. »
Quanto abbiamo esposto serve a mostrare che i socialisti si costituirono dagl’avanzi del partito pro gressista e che trovarono colà la maggior parte dei loro seguaci, e si sostituirono là dove quel partito che da lunga mano aveva perduto ogni diritto di esistere. 11 testo del programma di Eisenacb è il seguente :
« Eisenacb, agosto 1869. I. II partito operaio democratico socialista sì ado pera per istaurare il libero stato popolare.
II. Ogni membro del partito operaio democratico socialista si obbliga di sostenere con tutta la forza che possiede i seguenti principii:
1) Le condizioni presenti, così politiche, come sociali, sono ingiustissime e perciò debbono essere combattute con la massima energia.
2) La lotta per l’emancipazione delle classi operaie, non è una lotta per ottenere privilegi di classi o prerogative, ma eguali diritti ed eguali doveri e per distruggere egni predominio di classi.
3) La dipendenza economica dell'operaio dal capitalista costituisce la base della schiavitù in tutte le forme e perciò il partito democratico-socialista si adopra per sopprimere il regime attuale della produzione (il sistema del salario) mediante il la voro consorziale ed assicurare il provento del lavoro consorziale ed assicurare il provento del lavoro ad ogni operaio.
4) La libertà politica è la condizione indispen sabile per la liberazione economica della classe ope raia. Così la questione sociale è indivisibile da quella politica; se non da questa attende la sua soluzione che per ciò non può ottenere in uno Stato de mocratico.
5) Considerando che la liberazione politica ed economica della classe operaia si può sola conse guire se questa combatte in comune ed unita così il partito operaio democratico-socialista sì da una organizzazione unitaria, però concede anche ad ogni individuo di far valere la sua influenza per il bene del tutto.
6) Considerando che la liberazione del lavoro non è un compito locale, nè nazionale, ma sibbene so ciale che abbraccia tutti i paesi dove è la società
moderna, il partito democratico-socialista, per quanto glielo permettono le leggi della Società, si considera come un ramo della Associazione operaia interna zionale e si unisce ad essa nei. suoi sforzi.
III. Debbono farsi valere nell'agitazione del par tito operaio democratico-socialista prima di tutto le seguenti pretese:
1) Conferimento a tutti gli uomini che hanno raggiunto i 20 anni di un egual diritto elettorale, di retto e segreto per le elezioni del Parlamento, delle Diete dei singoli Stati, per le rappresentanze pro vinciali e comunali, come per tutti i corpi rappre sentativi. Ai rappresentanti eletti debbono essere concesse delle diarie suffìcenti.
2) Introduzione della legislazione diretta, bisogna cioè accordare ai popolo il diritto di proporre e rigettare le leggi.
3) Soppressione di tutte le prerogative di stato di possesso, di nascita e di religione.
4) Istituzione della milizia popolare, invece degli eserciti stanziali.
5) Divisione della Chiesa dallo Stato e della Scuola dalla Chiesa.
6) Istruzione obbligatoria nelle scuole popolari, ed istruzione non retribuita in tutti gli .istituti pub blici.
7) Indipendenza dei tribunali, istituzione dei tribunali di .mestieri coi giurati ed i periti, istitu zione dei processi pubblici e verbali e amministra zione della giustizia non retribuita.
8) Soppressione di tutte le leggi sulla stampa, sulla associazione e sulle coalizioni; introduzione del giorno normale di lavoro; limitazione del lavoro delle donne e dey bambini.
9) Soppressione di tutte le imposte indirette ed istituzione di una sola tassa diretta e progressiva sul reddito e di una tassa di successione.
10) Lo Stato deve promuovere il sistema con sorziale e deve aprire il suo credito per le libere associazioni consorziali di produzione, dando delle garanzie democratiche.
Non occorre che si faccia un esame di questo programma, un solo sguardo serve a riconoscere che era impossibile che i rappresentanti di esso potes sero lasciar vivere i lassallani, cioè la Società ge nerale operaia tedesca. Quello che v’è di veramente gesuitico e malvagio in questo programma, consiste in ciò che vicino alle esigenze le più assurde, figu rano alcune che secondo il concetto dello stato moderno potrebbero aver diritto d’essere appagate, ma chi era che avanzava quelle pretese? Gli atti del Reichstag, i protocolli della polizia, delle autorità di Berlino e di Lipsia forniscono su questo proposito dei curiosi schiarimenti; anche in questo caso lo scopo giusti- fica i mezzi e sotto la copertina delle più giuste esigenze si .cela sempre la diabolica ed egoistica infamia, sta in agguato il selvaggio comunismo !
nel-L’ E C O N O M I S T A 407 30 giugno 1878
l’ articolo sul Marx ed il Malthus, viene posta in luce l’insostenibi 1 ità delle dottrine del Marx in con fronto a quelle, riconosciate giuste, del Malthus.
Dopo tutti questi fatti e dopo lo sviluppo storico che necessariamente hanno avuto, è cosa del tutto indifferente il sapere se un socialista radicale è ve ramente membro dell’ Internazionale o no, quando oggi si può constatare 1' esistenza delle idee comu niste con tutte le loro consegi enze, e con ciò pro vare il nesso causale del socialismo radicale tedesco coi principii dell’Internazionale.
I! Liebknecht fu sempre assai scaltro atteggian dosi patriota, egli non combattè neppure apertamente i Lassalliani, benché non restasse dal trattare nel Reichstag il loro presidente, lo Schweitzer, come un ragazzo ed uno scolaretto, mentre poco dopo I.ivi- lavalo privatamente ad unirsi colla sua società alle mene dell’Internazionale, cosa però che lo Schweitzer si ricusò di lare.
La guerra* del 1870 ebbe altri effetti che quella dei 1866. La Società operaia generale tedesca, collo Schweitzer alla testa, seguì la corrente generale, rimanendo così fedele alle tradizioni del Lassai le. Il contegno dei comunisti, guidati dal Bebel e dal Liebknecht, fu tutto l’opposto ; questi due anzi nella loro qualità di membri del Reichstag, protestarono contro il credito per la guerra. Nel 1872 il Lieb knecht, il Bebel ed 1’ Hepner, che adesso non ha alcuna importanza, comparvero dinanzi ai giurati di Lipsia; il primo ebbe un verdetto assolutorio e gli altri due furono condannati per aver macchinato un alto tradimento. I motivi addotti per coonestare questo giudizio, contrario a tutti i principii della giustizia, furono già esposti da noi. La condanna in sé fu un errore immenso che commise la magistratura sassone, la quale pose con ciò la corona del mar tirio sul capo del Liebknecht e del Bebel.
In quel tempo lo Schweitzer si ritirò, e fu eletto in sua vece 1’ Hasenclever, conciatore di Harlem, che rimase presidente della Società operaia generale te desca fino a che non si sciolse. Lo Schweitzer cadde nell’ostracismo; egli, al pari del Lassalle, era stato forzato dalle masse ad andare più oltre di quello che non avrebbe voluto. Lo stesso avvenne all’Ha- senclever : le sfrenate passioni delle masse degli operai esigettero sempre maggiori sacrifizi da lu i, che è poi una nullità in fatto di intelligenza. Nel 1864, dopo che la polizia ed il procuratore di Stato di Berlino ebbero usato tutti i mezzi escogitabili contro la Società, essa fu proibita dalla polizia in tutta la Prussia ; questa proibizione colpì pure il partito operaio-socialista-democratico e le corpo- razioni socialiste ; ciò fece sì che tutte queste So cietà trasportarono la biro sede in città poste fuori dei confini della monarchia prussiana. Intanto il Liebknecht era stato rimesso in libertà, e pose tutta la cura possibile nel fondere i Lassalliani col par tito operaio-democratico socialista, il che riuscì ad ottenere al Congresso di Gotha del 27 mag gio 1875. Al solito, fu redatto un altro programma, nel quale si predicava apertamente il comuniSmo, programma che crediamo superfluo di riprodurre, non contenendo esso nessuna idea nuova’ in con fronto col testo deTultimo che abbiamo fatto cono scere ai lettori.
Con quella fusione fu raggiunto il primo scopo, e lo scopo dell’organizzazione del Liebknecht; oggi egli è il dittatore, munito di un potere illimitato,
del socialismo radicale tedesco, nelle sue mani fanno capo tutte le fila, e governa da Lipsia il suo par tito colla stampa, e da Berjino come membro del Reichstag, insieme con diversi altri deputati socia listi, colla libertà della parola, imperocché i discorsi che sono tenuti al Parlamento son destinati ài partito, e solo la garanzia della libertà di parola li sottrae al Codice penale. Ed anche in questo caso vien seguito il dettame del comuniSmo, lo scopo giustifica i mezzi !
Colla fusione avvenuta a Gotha il 27 maggio 1875, i seguaci del Lassalle hanno cessato d’esistere come partilo, il socialismo radicale tedesco divenne ii solo rappiesentante dei socialismo tedesco e giunse ài potente termine del. suo svolgane lo storico. L’ or ganizzazione interna è stabile, la disciplina non lascia nulla a desiderare, ed i partiti liberali che due anni or sono sprezzavano sorridenti il socialismo radica e tedesco, debbono incolpare se stessi di averlo nutrito ed alimentato. Non v’è più ‘da temere la rivolu zione; essa è giunta, perchè dottrine del Marx barn.o minato tutto l’ edificio sociale: noi posiamo i piedi sopra una immensa mina che può esplodere da un giorno all’altro se ognuno non farà il pro prio dovere, e riconoscerà che egli pure deve addossarsi la sua parte di colpa. Ognuno ha man cato e deve rimediare al male fatto, chè ogni errore, ogni sbaglio, ogni negligenza nell’ esercizio dei diritti politici è divenuta un’ arme in mano dei socialisti. Li preme ripeterlo, in Germania la colpa ricade soprattutto sul partito pFogressista che pre parò il paese alle dottrine socialiste, e per questo, se è.possibile, i progressisti debbono essere esclusi dal Reichstag al pari dei socialisti. Ma anche ai nazionali-liberali si possono fare molti addebiti, essi sì sono mostrati altrettanto deboli sul terreno eco nomico, quanto su quello politico. Questo partito non può prestare verun aiuto. Tutti i partiti poli tici come sono organizzati al presente non sono atti a sostenere una lotta col socialismo, debbono costituirsi diversamente ; i loro elementi debbono lavorare nel Reichstag con maggior cognizione di causa e con maggior serietà di quello che non abbian latto fin qui, specialmente la sinistra.
Da diverse parti si sono opposti al socialismo for mando delle Società avverse per combatterlo; di quelle Società e dei risultati da esse ottenuti, par leremo nel nostro ultimo articolo.
Il conflitto franco-italiano
Riproduciamo l’articolo con cui il sig. P. Le
roy Beaulieu esamina
kq\V E conomiste francois
del 23 •giugno la questione da noi trattata nei
due ultimi nostri numeri intorno all’esito in
felice del trattato di commercio italo-francese
e cogliamo questa occasione per rendere al-
l’ eminente economista pubblico tributo di
omaggio e di riconoscenza pel valido appoggio
ch’egli presta alle nostre opinioni.
408 L’ E C O N O M I S T A 30 giugno 1878 Speravamo peraltro che le più insopportabili sue clau
sole sarebbero in seguito e presto temperate dai trattati conclusi con altre potenze, le cui norme sa rebbero adottate verso di noi. Temevamo pure che nel caso del rifiuto, il governo italiano avesse a ri sentirsene soverchiamente, e si lasciasse andar fino ad applicare ai prodotti francesi la sua tariffa gene rale; il che costringerebbe noi, probabilmente, a rap presaglie. In sul finire del secolo decimonono, colle ferrovie, col telegrafo, coi battelli a vapore, nono stante le facili relazioni fra i popoli e dinanzi ancora a questa magnifica Esposizione universale, della quale andiamo alteri, può esservi cosa più incresciosa di una guerra di tariffe fra due nazioni vicine, sorelle davvero e, in sostanza, l’una sinceramente amica del l’altra ?
Ebbene! a cotesto deplorevole estremo si è giunti per l'appunto. Eccolo, il primo risultamento della campagna protezionista, impresa in modo tanto dis sennato nei primari paesi di Europa. L’ anarchia doganale comincia, e dove si fermerà sallo Iddio! La instabilità delle relazioni internazionali si mostrerà il primo del prossimo luglio, cioè, proprio nel tempo in cui, come è verosimile, il Congresso avrà ricom posto in pace l’Europa. Gli avversari dei trattati di commercio devono essere contenti: si è vicini a vedere nel fatto quello che importano le loro dot trine. Si saprà presto se coloro, che lasciano le no stre esportazioni senza guarentigia alcuna e che pro vocano conflitti fra le nazioni le più adatte a co noscersi, a pregiarsi, a scambiare i loro prodotti e guadagnare col loro vicendevole sviluppo, sono saggi difensori della prosperità e della industria nazionale.
Sebbeie la deliberazione dell’ Italia non ci abbia meravigliato, nondimeno ci pare che essa non debbe essere approvata dagli uomini imparziali e calmi. La Camera francese aveva rifiutato con una mag gioranza di alcuni voti (cinque soltanto) il trattato di commercio anteriormente conchiuso fra i due governi; non era stato però un rifiuto senza restri zioni il suo; aveva solamente richiesto il governo francese di riprendere i negoziati, facendo così com prendere che se certe modificazioni, certe attenua zioni fossero introdotte nel trattato, essa premurosa mente lo sancirebbe. Così fatto espediente poteva spiacere, ma non era offensivo per l’Italia, non avendo nulla in sè che sapesse di altero e di imperioso; esso, anziché serrare la porta alla conciliazione, l'apriva.
Stando così le cose, l'Italia poteva scegliere fra tre partiti, come molto a proposito dimostra VEco- nomista di Firenze nel suo numero del 16 giu gno, cioè: o applicare subito la tariffa generale ita liana ai prodotti francesi, o contrarre una convenzione temporanea, la quale contenesse pura mente la clau sola della nazione la più favorita,' o, finalmente, pro rogare per un tempo determinato, ad esempio per un anno, o anche soltanto per sei mesi, il presente trattato. Di cotesti tre partiti l’Economista dice, e con ragione, che il primo è il peggiore, l'ultimo e di gran lunga, da prescegliersi. Infatti l’applicazione della tariffa generale, appunto allora che la Francia do manda che siano rinnuovati i negoziati, è un effetto di malumore, e il malumore è sempre un consiglierò dappoco. Fortunatamente gli Italiani hanno tanto buon senso e acume politico tanto fino da non perseverare in quel primo moto, del quale lian fatto male a non diffidare.
Il signor Luzzatti, che è un ingegno eminente e che siamo lieti di annoverare fra gli amici nostri, ha scritto ne\\’Antologia, rivista italiana, una specie di apologia del trattato testé rifiutato e del quale era uno degli autori? Non abbiamo letto ancora quel l’articolo, ma ci pare difficile che il signor Luzzatti, nonostante la sua grande perizia, sia riuscito a di scolpare l’ultima convenzione franco-italiana. Gli au menti dei dazi per parte dell’ Italia erano di certo esagerati su molti punti; sanno tutti, crediamo, che erano occorsi errori materiali, ad esempio, per la vetreria, e che alcune tasse erano quasi proibitive. Non era forse meglio ricorrere a un supplemento di negoziati, piuttostochè rovesciare a un tratto lo statu quo e adoperare rigori, i quali, eccettuato il caso di un grande turbamento economico, eccitano ragionevolmente i risentimenti politici? E sei mesi che cosa sono mai nella vita di una nazione? Do vendo le Camere sedere, a novembre e decembre, il trattato emendato, riveduto, corretto e, lo speriamo, attenuato, si sarebbe potuto votare alla fine dell’anno. Se poi le Camere francesi, questa volta pure, nella loro sessione autunnale rifiutassero una nuova con venzione, la quale contenesse tariffe più accettabili, comprenderemmo che il governo italiano si stancasse e che, disperando della causa, ci applicasse la sua tariffa generale; — ma il procedimento presente, che è una specie di ultimatum, è oggi senza dubbio assai prematuro.
I negoziatori italiani, volendo scusare i vizi del trattato che la Camera francese ha rifiutato, mettono innanzi due specie di'considerazioni. Dicono prima: che le nuove tariffe, che l’ Italia voleva stabilire, su perano le antiche, ma sono pure, in media, meno alte delle tariffe francesi; poscia aggiungono: che l’ Italia è in una condizione finanziaria, della quale sono note le difficoltà, e che non può fare a meno di domandare alle dogane nuovi aiuti.
30 giugno 1878 L’ E C O N O M I S T A 409 gente tariffa francese? Non ci è dato rispondere' con
sicurezza a cotesto quesito, ma possiamo dubitare che la tariffa media francese, intesa a questa ma niera, sia maggiore della tariffa media italiana. ‘)
Comunque sia, la reciprocanza senza eccezioni, la reciproeanza in ogni parte non è possibile ottenerla. Coloro, i quali vorrebbero die gl’ Italiani non fa cessero pagare ai nostri buoi la tassa medesima che imponiamo sui loro, e che i dazi fossero in tutto e per tutto, nei due paesi, identici sopra ciascuno og getto determinato, mostrano di ber grosso rispetto alla differenza delle industrie, delle abitudini e dei consumi che esiste presso i di versi popoli. Ciò che si può conseguire, e si deve, è una recipro canza media per mezzo di una tariffa, nella quale tutti i dazi sieno moderati e non mai proibitivi so pra qualunque oggetto. Intanto nel recente trattato franco-italiano, vi è più di un articolo, che, da parte dell’Italia, consentirebbe dei dazi proibitivi, o quasi proibitivi.
Il secondo argomento degli uomini di Stato ita liani, che concerne le difficoltà finanziarie, a noi importa pochino: ci preme però di spiegar subito cotesta nostra sentenza che, alla bella prima, po trebbe parere un po’ cruda. I Francesi, quanti sono, hanno cara la prosperità dell’ Italia, e I’ av venire d e lle ’sue finanze; la piazza di Parigi è tuttavia il primo mercato della rendita italiana, ove si segna..o i corsi più alti; i Francesi, e come vi cini e come capitalisti, desiderano grandemente di vedere il bilancio italiano non solo pareggiato, ma in sopravanzo. L’Italia d’altronde cotesto pareggio lo ha raggiunto questi ultimi anni ; esso è forse un poso instabile ancora; compren.iamo ed appro viamo che gl’italiani vogliano consolidarlo, che pen sino pure a diminuire alcune tasse impopolari, come è quella sulla macinazione, e che abbiano in mente di compiere la loro rete ferroviaria.
Che gl’ Italiani dunque facciano come noi dopo il 1870, che domandino alle dogane nuove entrate, è cosa bella e buona. Quali sono però i dazi pro duttivi di dogana? Sono quelli che gravano gli og getti fabbricati, o i lavorati a mezzo ? Nossignori. In Francia essi non producono 50 milioni all’anno, e la Francia importa molto più che non l’ Italia. I dazi produttivi di dogana, sono quelli sulle grandi derrate di consumo, il caffè, lo zucchero, il thè ecc. Sono appunto que’dazi che l’Italia deve aumentare, se vuole procacciarsi delle rendite sicure; ma non è colle tasse, per quanto alte, sulla vetreria, o pur so pra i tessuti di lana, che essa empirà le casse del tesoro.
Se 1’ Italia perdura nel suo intendimento di ap plicare ai nostri prodotti la sua tariffa generale, cioè non solo i dazi altissimi in sè stessi, ma ancora i dazi differenziali, clic superano quelli applicati nello stesso paese alle mercanzie svizzere, austriache, in glesi, sarà un grosso malanno per noi ; ma noi sarà minore per l’Italia, perchè, come è ragionevole, ne
>) Su questo noi non andiamo perfettamente d’ac cordo coll’ egregio scrittore; ci sembra che bastasse gettare lo sguardo sopra i dazi degli oggetti fab bricati o di mezza lavorazione di uso più comune come, i filati, i tessuti, i ferri (che non figuravano nella tariffa convenzionale francese), le pelli con ciate ecc., per accorgersi che la tariffa italiana era più mite di quella francese.
conseguiranno rappresaglie dalla nostra parte, e le esportazioni dall’ Italia in Francia, sono, indubita bilmente, più considerevoli che le nostre esporta zioni in Italia. La differenza è ancor più grande, se, invece, di considerare 1’ intiero insieme delle cifre, consideriamo tutto il commercio di ciascuna nazione. Le esportazioni dalla Francia in Italia non rappre sentano più che la diciottesima parte dell’ intiero insieme delle nostre esportazioni; per contro, a se conda de’docmnenti italiani, le esportazioni dall’Ita lia in Francia rappresentano quasi il quarto Q dell’in tiero insieme delle esportazioni italiane.
Noi speriamo che una guerra di tariffe, tanto dis sennata, cesserà presto, o non comincerà affatto. Da ciò si trae un ammaestramento. La prima pruova che si è voluta fare in Europa sulla via del re gresso, intorno a faccende economiche, ha prodotto im mediatamente un grande turbamento nelle relazioni internazionali, un immenso pericolo per il commercio e per la industria e un deplorevole attrito fra due paesi amici. Non si distrugge così senza danno uno stato di cose liberale, che dura da diciotto anni. Speriamo ancora che 1’ Italia e la Francia rinsavi ranno e rinnoveranno semplicemente 1’ antico trat tato; e che se vi introdurranno dei mutamenti, que sti importeranno la diminuzione delle tariffe. Co gliamo questa occasione per far plauso all’ Associa zione tanto patriottica, la quale va costituendosi per la difesa della libertà commerciale e pel manteni mento dei trattati di commercio. È certo che la utilità di colesta associazione non poteva essere dimostrata meglio che dal deplorevole incidente del rifiuto del trattato franco-italiano.
I! sistema delle imposte in Russia
Il signor di Schwanevach, profondo conoscitore delle cose russe, ha pubblicato nella RussisclieReme (1878, fascicolo II) un articolo sulle imposte come sono applicate in Russia che ci pare meritevole di esser qui riassunto:
Le imposte dirette in Russia possono dividersi in quattro categorie. La prima, il testatico che fu decre tato a tempo di Pietro il Grande allo scopo di assi curare un reddito per il mantenimento dello esercito stanziale che creavasi allora. La popolazione dello Stato dividevasi in quel tempo in due classi: l’ una formavasi della nobiltà ed era esente dal testatico, ma era obbligata a servire nell’ esercito o nella am ministrazione. All’ altra appartenevano coloro che eran gravati dalle imposte, peraltro erano sottoposti alle tasse soltanto gli agricoltori, i eommèrcianti o coloro che esercitavano un mestiere ; i servi e le per sone che non erano atte al lavoro, uè erano esentati.
Negli anni 1719-1722 fu fatto un censimento generale dal quale resultò che circa 5,400,000
per-’) Qui è incorso un errore materiale simile a quello che cadde sul nostro articolo sullo stesso argomento pubblicato nell’ Economista del Hi giugno: l’autore | soleva dire la metà del nostro commercio di espor
410 L’ E C O N O M IS T A
30 giugno 1878 sone di sesso maschile potevano essere colpiti dal
testatico. Per mantenere l’ esercito abbisognavano 4 milioni di rubli, cosi la tassa era di 80 kopeck !) per indiv duo. Sotto i successori di Pietro il Grande questa tassa fu elevata e diminuita a vicenda. Sotto il Governo di Alessandro I salì a 3 rubli e 30 kopeck di carta che però valevano allora (1840) 95 kopeck di metallo. Nel 1862 questa tassa era di 1 rublo e adesso a seconda delle provincie varia da un rublo e 18 kopeck a 2 rubli e 61 kopeck. Al pari dei nobili anche i mercanti furono esonerati dal testa tico verso la fine di 18mo secolo, ma vennero tas sati in altra guisa; l’imperatore Niccola esonerò pure da questa imposta i cittadini onorari che sono i membri di una classe da lui creata. Altre classi furono in seguito ammesse a partecipare di tal pri vilegio e adesso soltanto i contadini sono gravati da quella imposta, che varia secondo la nazionalità di origine. 11 colono tedesco paga da 90 kopeck a 2 rub. e 7 kop. i Tartari nell’ Astrakan 2 rub. 78 kop. e gl’ Israeliti nella Bessarabia fino a 3 rubli e 60 ko peck, bene inteso soltanto se sono contadini.
Il reparto del testatico si fa sulla base del censi mento (I ultimo è del 1857). Le liste dei tassabili sono completate ogni anno; da esse si cancellano i nomi di quegli individui di una comune che non sono più tassabili, e se ne iscrivono dei nuovi. La repartizione deli’ imposta si fa per contingente e la somma stabilita quando fu fatto l'ultimo censimento viene ripartita fra i tassabili onde avviene che la ci Ira di quella imposta non è eguale dovunque. I membri di una comune sono solidali per il paga mento del testatico e soggetti alla cattura, meno al cune eccezioni contemplate dalle leggi del 1869 e del 1875.
La seconda imposta, la fondiaria che grava sui fit- taiuoli dello Stato fu introdotta contemporaneamente al testatico. E quella imposta che debbono pagare i lattaiuoli, dei beni dello Stato, insieme col testatico come equivalente dell’ esenzione dalla servitù personale di fronte al proprietario del suolo. Da prima fu stabilita a 40 kopeck a testa, quindi salì fino a 2 rubli e 26 kopeck; nel 1797 i diversi governi (Provincie) furono tassati per classi a seconda della fertilità del suolo; adesso pure esiste questa divisione e perciò la fon diaria varia da 2 rubli e 52 kop. a 3 rubli e 30 kop. a testa. Nei diversi governi del Nord (Arcbangel, Wologola, Olanetz) è stata ribassata da 2 rub. a 75 kop. Una legge del 1866 permette l’affrancazione della fondiaria. Nei governi occidentali l’affrancazione è ob- bligatoria. Oltre allá fondiaria i fìttaiuoli avevano una contribuzione comunale da pagare che doveva servire da principio a coprire le spese dell' amministrazione comune e che variava da 17 a 40 kop. a testa, dal 1866 s' è fusa col testatico e per questo non figura più nel bilancio come imposta speciale.
Passiamo adesso alla terza imposta per i fondi delle provincie e delle città. Prima che fosse introdotto il nuovo ordinamento provinciale le spese locali si prelevavano da un tondo speciale che era alimen tato : I o da una tassa personale pagala da quegli individui sui quali pesava pure il testatico, e 2° dalla sopratassa alla tassa sulle patenti. Il bilancio del fondo provinciale era fissato ogni tre anni dal Consiglio dell’ Impero e la quota della imposta
so-’) Il kopeck è la 100a parte del rublo, il rublo = 4 fr.
pra indicata veniva stabilita a seconda dei bisocni ; il Consiglio repartiva pure le somme fra le provin cie. Da questo fondo venivano pure prelevate delle contribuzioni pel bilancio dello Stato per coprire certe spese. Dopo che nel 1875 in quasi tutte le provincie dell’Impero è stato introdotto il nuovo or dinamento provinciale, questo fondo fu soppresso e quelle imposte che erano state rialzate per, alimen tarlo passano direttamente nelle mani del tesoro; esse sono adesso: 1° la sopratassa al testatico dei contadini che varia da 4 a 91 kop. 2° La fondiaria che paga il proprietario e che ammonta da 1 a 72 3|4 kop.°per Dessiatine; 1j perciò dal 1872 è diminuita assai la po polazione rurale soggetta al testatico; 3° il testatico dei cittadini meno agiati che varia da 4 a 91 kop. per individuo; 4° ciò che concerne le tasse delle città; cioè quella sugli immobili urbani, ed un testatico che grava sui cittadini, di cui la quota generale è fissata annualmente dal Consiglio delPlmpero che la repartisce pure fra i governi ; l'ulteriore reparto fra le città facendosi poi dall’amministrazione locale. Fino al 1875 questa imposta era fissata a 2 milioni di ru bli, da quel tempo in poi è stata più che raddop piata.
La quarta imposta è quella sulle patenti. Alcune categorie della popolazione commerciale possono dirsi esenti da questa imposta, pagando esse una somma fìssa per le putenti. Essa ammonta : pei commer cianti della l a gilde (classe) a 265 rubli; per i ri venditori a un cavallo e veicolo a 13 rubli ; per rivenditori ambulanti a 6 rubli ; per gli operai che lavorano soli a 2 rubli e 50 kop.; pei commessi di grandi negozi a 20 rubli e per i piccoli a 5 rubli. L ammontare della tassa sulle patenti pei commer cianti della seconda classe (gilde), pei venditori al minuto, è diversa secondo il luogo ove dimorano. Tutti i paesi dell Impero sono divisi in cinque ca tegorie e la quota della imposta varia da 8 a 65 ru bli. Nel medesimo modo si tassano gli stabilimenti commerciali ed industriali, compresi gli alberghi e i ristoratori. Secondo la categoria alla quale appar tiene colui che ha la patente, paga da 2 a 30 rubli. V’è inoltre una sopratassa che varia da 5 rublie 50 kop. a 4 4 rubli pei commercianti della 4a e 2* * 8 9 gilde.
Dal 4875 in poi è stato fatto l’aumento di un de cimo nella tassa sulle patenti, come pure sopra ogni altra categoria di tasse per coprire le spese occa sionate dalla riforma degli acquartieramenti militari.
Il reddito delle imposte sulle patenti varia negli anni 4874—4875 fra 43 milioni e i|3 e 44 milioni ed 4[6 di rubti.
Passiamo adesso alle imposte indirette che sono divise in sei categorie. Primo è la imposta sulle be vande che fu regolata dal 4864 al 4875 da leggi speciali. La tassa sulle bevande si percipe : 4° colte tasse sull’acquavite e sulla distillazione e 2° per mezzo della imposta sulle patenti per le fabbriche di acquavite, e di birra e per ¡a vendita di sostanze spiritose all’ingrosso e al minuto.
Le sostanze spiritose sottoposte a tassa sono: a) l’alcool ed acquavite di grano, patate e barbe- bietole; b) alcool ed acquavite di vino, frutta e si- roppo; c) birra e m eth.2) La riscossione di questa
') La Dessiatine è una misura di superficie a g ra ria = E ttari 1,04.