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E sarà proprio la fotografia, uno strumento ancora più preciso e fedele, a sostituirli tutti, come appunto visivo - «l’ancella delle scienze e delle arti»5 - nell’arsenale degli artisti dell’Ottocento

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Conclusioni

La macchina fotografica, strumento di registrazione meccanico della natura, ha come precursore tecnico e diretto antecedente la camera obscura. Come fenomeno ottico è noto sin dall’antichità (il filosofo Aristotele, 384-22 a. C., è proposto tra i primi ad averlo teorizzato1), come strumento di ausilio per il lavoro del pittore, la camera obscura, ha una storia più recente. Il suo potenziale, riscoperto da Leonardo nel Codice Atlantico2, trova terreno fertile non a caso in quella storica congiunzione tra arte e scienza che è costituita dal Rinascimento. L’utilizzo nel disegno dal vero della camera obscura, ma anche di altri strumenti tecnici3, come attestato dalla ricerca di grandi studiosi e critici dell’arte moderna come Heinrich Schwarz4, era molto diffuso già nel Cinquecento e destinato ad esserlo sempre di più col trascorrere dei secoli, in particolare nel Settecento, l’ultimo dell’era pre-

1 Italo Zannier, Storia e tecnica della fotografia, Laterza, Bari-Roma 2001, p. 2

2 Ivi, p. 3

3 Machine à dessiner, la camera lucida, lo specchio, i congegni per la silouette e il physionotrace, etc.

4 Heinrich Scharz, Arte e fotografia, Bollati Boringhieri, Torino 1992

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fotografica. E sarà proprio la fotografia, uno strumento ancora più preciso e fedele, a sostituirli tutti, come appunto visivo - «l’ancella delle scienze e delle arti»5 - nell’arsenale degli artisti dell’Ottocento. Che l’utilizzo di strumenti capaci di fornire una registrazione più fedele della natura, misurabile alla luce di una neonata scienza quantitativa, si faccia sempre più frequente a partire dall’epoca della teorizzazione della piramide visiva e del reticolo prospettico di Alberti, non dovrebbe stupire. E che questa serie di strumenti di visione trovi infine uno sbocco naturale nell’apparecchio fotografico in un’epoca permeata di

«aspirazione al naturalismo»6 appare una conseguenza piuttosto che un caso. Dal desiderio di fissare le immagini transitorie della camera obscura, dal rendere duraturo l’effimero, il transeunte prenderà corpo nell’Ottocento7, l’idea della fotografia e infine la macchina fotografica stessa, che preserverà inscritta nella propria costituzione fisica - il punto di vista fisso,

5 Dirà Baudelaire nella recensione all’esposizione di Parigi del 1859, in Charles Baudelaire, Salon del 1859, in Scritti sull’arte, Einaudi, Torino 2004, pp. 219-221.

6 Heinrich Schwarz, Arte e fotografia, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 20.

7 Presentata ufficialmente all’Accademia delle Scienze di Parigi nel gennaio del 1839

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monoculare, centrato8 – la matrice culturale di provenienza, la sua origine moderna. Oltre che come interprete di questa esigenza di realismo in arte - che dai suoi prodromi nel Rinascimento giunge arricchita e accresciuta nell’Ottocento9 anche dalla mentalità positivista e dalle nuove aperture della scienza con le teorie della percezione – la fotografia si fa erede di un imbarazzo critico, già manifestato nei confronti di tutti gli strumenti di cui si è parlato, relativamente all’impiego in arte degli strumenti «dell’industria»10, per usare ancora le parole di Baudelaire. L’avvento della fotografia e le sue precoci ambizioni di essere un arte, rendono urgente nell’Ottocento una discussione intorno al suo statuto; discussione che trova i suoi due fuochi proprio nell’arte realista, da una parte, e nel

8 Che verrà contestato da molti artisti, ad esempio Boccioni: «Il pittore non si deve limitare a ciò che vede nel riquadro della finestra, come farebbe un semplice fotografo, ma riproduce ciò che può vedere fuori, in ogni direzione, dal balcone.» riportato in E.Crispolti, Storia e critica del Futurismo, Laterza, Bari 1986, p. 163.

9«L’arte del XIX secolo è profondamente influenzata dalla visione scientifica della vita

che si afferma in quel periodo. Le esplorazioni e le scoperte nel campo della geografia e della fisica contribuiscono a fornire le basi per lo sviluppo della pittura paesaggistica, e la riscoperta degli stili del passato ha le sue radici nello spirito retrospettivo della ricerca storica. […]I prodromi di questa interdipendenza vanno ricercati nell’epoca rinascimentale quando per la prima volta si instaura il legame fra arte e scienza, legame che troverà una sua consacrazione nel XIX secolo allorché gli studi di ottica e la teoria dei colori, affiancandosi ai nuovi fermenti in campo artistico, allargano il campo della ricerca». Ivi, p. 19.

10 «Facendo irruzione nell’arte, l’industria ne diviene la nemica più mortale» in Charles Baudelaire, Salon del 1859, in Scritti sull’arte, Einaudi, Torino 2004, pp. 219-221.

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ruolo della manualità nel processo di creazione artistica, dall’altra. Acceso dalle parole appassionate di Baudelaire (Il pubblico moderno e la fotografia nelle Lettere al direttore della «Revue Française»11, 1859) il dibattito proseguirà lungo tutto l’Ottocento per essere infine ripreso e ritrattato alla luce delle nuove frontiere valicate dalle avanguardie nel Novecento. Dalla critica della neonata fotografia, sedicente arte, alle possibilità, i confini, dell’arte in genere. Per l’Ottocento - procedendo il problema della sua identità artistica di pari passo con quello della definizione di opera d’arte stessa - la fotografia si trovò così a interpretare un ruolo da protagonista nel dibattito estetico. Le parole di Baudelaire, che abbiamo visto condivise, anche in seguito, da numerosi osservatori nel mondo dell’arte, non solo sono una critica accesa delle pretese di artisticità della fotografia o dell’eccessivo entusiasmo tributatole, ma una presa di posizione contro il generale imperversare in ogni arte di istanze naturalistico- mimetiche, che tentavano di sostituire la riproduzione fedele della natura al regno dell’immaginazione.

11 Op. cit.

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L’esposizione di Parigi del ‘5912 e il successo delle fotografie presentate, gli offrirono il destro per criticare la convinzione, che molti fotografi (e il pubblico con i suoi favori) andavano professando13, che uno strumento meccanico - che diveniva oltretutto sempre più semplice da utilizzare – automatico - che sostituiva alla riproduzione dominata dal genio dell’artista quella, potenzialmente indiscriminata, dell’apparecchio fotografico - potesse essere usato per fare arte. E proprio intorno a questi punti salienti si mosse la critica ottocentesca. Da una parte la verità fotografica venne accolta come un nuovo standard14 anche in arte;

dall’altra alla fotografia - e alla pittura che in Francia con i realisti capitanati da Gustave Courbet e oltremanica con i preraffaelliti sembrava ispirarvisi15 - veniva rimproverato proprio il suo realismo del tutto vuoto, esteriore16 perché non idealizzato, sublimato

12 Che accolse per la prima volta nel Palais de l’Industrie, accanto all’area riservata alla pittura e alla scultura, un Salon dedicato alla fotografia.

13 Nel 1855 la Société héliographique, fondata a Parigi nel 1851, si era trasformata nella Société française de photographie «con lo scopo precipuo di fare riconoscere la

fotografia come arte». Aaron Scharf, Arte e fotografia, Einaudi, Torino 1979, p. 141.

14 La fotografia aveva profondamente sconvolto la percezione comune oltre che scientifica del reale: dagli effetti della luce sui corpi, allo stravolgimento con l’istantanea delle nozioni sul moto dei corpi.

15 Seppure anche la scuola del realismo negasse infine ogni supposta comunione con l’immagine fotografica.

16 Per Delacroix «una copia, in un certo senso falsa a forza di essere esatta». Riportato in Aaron Scharf, Arte e fotografia, Einaudi, Torino 1979, p. 121.

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dalla volontà autoriale17. Le scoperte compiute dal nuovo strumento nel regno del visibile - come (dagli anni ’80 dell’Ottocento in poi) le diverse fasi del moto animale - vennero accettate di buon grado dai pittori (nonostante qualche reticenza), così come sin da subito le fotografie fecero ingresso nel loro lavoro come studio preliminare, appunto visivo per soggetti difficili, le nuvole o particolari effetti luministici, o per ridurre le numerose pose necessarie per un dipinto dal vero a un’unica ripresa fotografica. Accanto a questo uso, che era generalmente pudicamente taciuto, i contributi della fotografia alla causa della sorella maggiore - come abbiamo visto, prendendo ad esempio alcuni dipinti di Degas – furono anche più sostanziali. Alla sua qualità di minuziosa descrizione del reale, si aggiungeva nella pratica vera e propria dei fotografi anche dilettanti, una nuova spinta inventiva che fu presto ispirazione o comunque, consapevolmente o meno, patrimonio personale di molti artisti. Abbiamo parlato di come la negligenza compositiva, tipica del dilettantismo fotografico dei neofiti, avvantaggiati

17 Ad esempio, per Delaborde, «negazione del sentimento e dell’ideale». Riportato in Aaron Scharf, Arte e fotografia, Einaudi, Torino 1979, p. 131.

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dalla relativa semplicità del nuovo strumento, sembra ispirare alcune composizioni ardite nelle opere di Degas18, oppure le prospettive insolite, l’esasperazione o l’alterazione dei contrasti tonali19. Effetti anomali di diffusione della luce (come in alcuni quadri di Corot sul finire degli anni quaranta20) o di riproduzione del movimento: inizialmente in molti dipinti sono presenti soggetti mossi, figure appena visibili, parallelamente all’impiego in fotografia di lastre poco sensibili e otturatori lenti, incapaci di congelare il movimento.

Dopo la diffusione nei primi anni ottanta dei risultati delle ricerche di Muybridge e di Marey, una rappresentazione sequenziale e simultanea dei movimenti21, ma anche una totale trasformazione della maniera di raffigurare il movimento e le sue fasi rispetto all’epoca precedente.

A questo apprezzamento si è accompagnata una generale squalifica della fotografia dal campo dell’arte.

Le sue caratteristiche naturali, il rapporto diretto -

18 Figure tagliate quasi confusamente dai bordi del quadro (Carrozza alle corse, 1873, o Place de la Concorde, c. 1875) sembrano comunicare con uno spazio fuori campo.

19 Che ricordano le traduzioni imprecise delle frequenze luminose prima delle pellicole pancromatiche.

20Simili all’alone dovuto in fotografia all’uso delle lastre di vetro come supporto per le

emulsioni fotosensibili.

21 Come nel Ballerina che si allaccia la scarpina di Degas.

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indicale22 ma spinto alla analogia23 - con la realtà esterna, la sua meccanicità (semplicità) e automaticità di impiego24, sono eccentriche rispetto ai canoni estetici imperanti nel mondo dell’arte lungo tutto l’Ottocento. Tant’è che i fotografi stessi hanno rinnegato una per una tutte queste qualità specifiche del mezzo, nel tentativo di adeguarsi ad un retroterra culturale che era nella sostanza sfavorevole alla fotografia. Nella seconda metà del secolo nasce così il fenomeno del Pictorialism. Dapprima i fotografi avevano imitato in tutto e per tutto gli stilemi della pittura ad essi contemporanea, come nel genere del ritratto su commissione25. Dopo un iniziale rifiuto dell’intervento manuale26, dagli anni sessanta, e in escalation per tutto il secolo, il ritocco diviene addirittura il valore aggiunto, quel quid che apre alla

22 Un indice è «un segno o una rappresentazione che rinvia al suo oggetto non tanto perché è associato con i caratteri generali che questo oggetto si trova a possedere, ma perché è in connessione dinamica (compresa quella spaziale) e con l’oggetto individuale da una parte e con i sensi o la memoria della persona per la quale serve da segno dall’altra». C. S. Peirce, Semiotica, Einaudi, Torino 1980, p. 158.

23 Vedi Roland Barthes, L’ovvio e l’ottuso, Einaudi, Torino 1985. Sebbene come ricorda Krauss: «le fotografie assomigliano al loro referente, cioè all’oggetto che rappresentano – si crede perfino che esse vi assomiglino in modo più perfetto, diciamo, dei quadri -, ma le distinzioni che stabilisce Peirce concernono il processo di produzione». Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, Paravia Bruno Mondatori, Milano 2000, p. 74.

24 Che sarà apprezzata in particolare dal movimento surrealista e da Bauhaus e costruttivismo russo.

25 Ritratti ambientati che ammiccano nelle pose e nelle scenografie alle soluzioni classiche, adottate e formalizzate dalla pittura, come nelle foto di Disderi.

26 Nel 1855, ad esempio, all’esposizione universale di Parigi si era proibita la presentazione in mostra di stampe ritoccate.

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fotografia l’ingresso dell’arte. Il ritocco, insieme al collage, le fotocomposizioni dei fotografi d’oltremanica27, ma insieme anche ad un gran numero di tecniche di stampa - alcune come quella alla gomma bicromatata rispolverate dal passato - forniscono alla fotografia l’occasione di vantare finalmente28 anch’essa un regime di competenze e una manualità virtuosistica e di rifiutare la nomea di mero riproduttore, automatico e impassibile, della realtà.

Tutte le tecniche possibili29 furono utilizzate per emulare gli stilemi della pittura contemporanea, con particolare attenzione al tratto impressionista. Oltre che risultare adeguata al gusto dell’epoca la fotografia pittorica, definita anche artistica, rispondeva così alle due maggiori critiche che fino ad allora erano state mosse alla fotografia: quella di non richiedere abilità manuale-esecutiva alcuna, ed essere in questo modo

27 Il modus operandi di fotografi quali Gustave Rejlander o Henri Peach Robinson era inaugurato da schizzi e schemi preparatori, che precedevano la ripresa delle singole figure o la loro ricomposizione nella fotografia-quadro

28 Seppure ai suoi esordi la fotografia avesse richiesto una grande competenza tecnica, il procedimento si era andato sempre più semplificando in particolare dagli anni cinquanta con l’invenzione delle lastre al collodio, prima umido poi secco.

29 Obbiettivi difettosi o vetri e altri materiali traslucidi utilizzati allo scopo di ottenere il cosiddetto flou, lo sfuocato artistico. L’impiego di supporti alternativi alle comuni lastre sensibili, come i fogli da disegno ruvidi, per dare l’impressione dell’imprecisione tipica del disegno a matita o a carboncino. Tecniche da stampa ampiamente divulgate come la stampa al carbone, l’ozobromia, il charbon-velours, o la già citata stampa alla gomma bicromatata.

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appannaggio di ogni incompetente30, e quella di essere una mera riproduzione della realtà, strumentale e non sublimata dall’intervento soggettivo dell’artista.

Nell’esaltazione di un canone della manualità alta e dell’intervento soggettivo del fotografo, ottenuto con qualsiasi metodo sull’immagine fotografica, si chiude il secolo e si apre il Novecento. Rifiutati dalle accademie, dall’esposizioni e spesso additati come i nemici della vera arte i fotografi, mostrando chiaramente i propri complessi e insieme le proprie ambizioni, non furono capaci di accogliere tutte le potenzialità creative del loro strumento, senza finire col violentarne le peculiarità, la carica innovativa. Ma, come abbiamo detto, nel cammino che ha portato la fotografia e i fotografi a prendere coscienza di sé e ad esprimere un nuovo modo di fare arte, il dibatto costituito dal Pictorialism ha avuto un’impareggiabile importanza. Proprio dalla critica di questo grande compromesso (con uno statuto estetico troppo scomodo per comprenderla) è nata una nuova

30 «La fotografia è una scoperta meravigliosa, una scienza che avvince le intelligenze più elette, un’arte che aguzza gli spiriti più sagaci – e la cui applicazione è alla portata dell’ultimo degli imbecilli». Riportato in Nadar, Testi di Nadar Jean Prinet e Antoniette Dilasser Lamberto Vitali, Einaudi, Torino 1973, p.65.

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fotografia, la cosiddetta fotografia diretta. Fotografia che, a partire da Stieglitz, Steichen, Strand, si è definita proprio in opposizione al Pictorialism, nel tentativo di riguadagnare una propria specificità andata perduta in decenni di dipendenza dagli stilemi e linguaggi della pittura. In realtà questi presupposti che la fotografia americana si è data nei primi decenni del Novecento, nonostante la storiografia di settore spesso lo ignori, sono stati generalmente delusi dagli stessi fotografi nei loro lavori. Analizzando le fotografie (e gli interventi critici) non solo di Stieglitz, ma anche di Paul Strand - che è spesso citato come il prosecutore ideale del primo in una linea che porterebbe la fotografia fuori dalle muffe del Pictorialism nei territori della fotografia moderna - si scopre che in realtà i legami con la pittura lungi dallo scomparire con l’avvento della straight photography si adeguano all’arte di avanguardia che lo stesso Stieglitz, attraverso l’attività di editore e gallerista, promuoveva per primo in America. Quello che è sostenuto a parole, il dictat di una ricerca dello specifico fotografico, di una dimensione estetica indipendente soprattutto dalla

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pittura, non viene confermato dalla pratica degli autori suddetti: il superamento del Pictorialism ottocentesco per mezzo della fotografia diretta, non è una liberazione ma un aggiornamento. Per dirla con Marra

«il pittoricismo non muore […]con l’avvento della straight photography ma cambia solo sponsor, dalla tutela impressionista a quella astrattista (ma meglio sarebbe dire neoplastica), risorgendo in questo modo, come novella fenice dalle proprie ceneri»31. Cambiano i soggetti (in particolare la città industriale) e gli stili (si abbandona lo stile acquerello, o schizzo a matita della fotografia artistica per dar risalto al controllo compositivo e tonale dell’immagine, di pari passo con l’evoluzione delle avanguardie moderniste) ma le problematiche sollevate in pieno Ottocento non trovano affatto una soluzione con la fotografia diretta:

la referenzialità è negata in gran parte dei lavori di Stieglitz e ancor più in Strand, sublimata in magistrali (ma vuote) astrazioni formali. L’intervento del fotografo si frappone (in fase di ripresa, anziché col ritocco) fra la macchina e l’oggetto reale, rendendolo

31 Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento, Una storia “senza combattimento”, Paravia Bruno Mondatori Editori, Milano 2000, p. 115.

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non solo irriconoscibile, ma anche completamente accessorio, occasionale. Le immagini più riuscite, in questa logica, sono quelle in cui le linee e le campiture tonali sono risultate essere ben equilibrate, dominate dall’opera del fotografo, che come un pittore trasferisce la sua idea sulla carta. L’oggetto reale non solo è secondario - e siamo quindi lontani da una fotografia che voglia innanzitutto parlare di qualcosa o qualcuno, di un incontro tra il fotografo e una particolare configurazione di realtà, o, ad esempio, del tempo che, congelato dall’immagine, si fa testimone di un passato che pur apparendo non è più, quella presenza in assenza rimarcata da diversi autori (Sontag, Marra), e via dicendo -, ma è piuttosto sostituito da linee, figure geometriche e gradazioni differenti di grigio: il pretesto può essere una sedia, un corpo nudo o una staccionata, ma ha ben poca importanza poiché sono le astrazioni compositive in cui sono sublimati a rendere degni questi oggetti di essere fotografati, di sconfinare nel bello. Sotto le vesti di un nuovo regime di competenze ritorna poi l’esaltazione di una manualità retoricamente alta, ancora una volta al prezzo di negare la semplicità

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d’utilizzo dello strumento fotografico e il suo debordare le intenzioni dell’artista32, sulla scia delle critiche ottocentesche che vedevano nell’intervento manuale la soluzione alle controversie in fatto di opera d’arte e la ragione per cui la fotografia pura non poteva rientrarci. Semmai il lavoro di questi fotografi metterà le basi di un pittoricismo ben più subdolo e pericoloso proprio «perché schizofrenicamente convinto di essere altro, di corrispondere addirittura all'essenza vera della fotografia»33. I modi di fotografare potevano anche essere mutati, non così per le convinzioni profonde e diffuse su ciò che poteva essere considerato oggetto d’arte. Fino a che non c’è stata una seria rivalutazione di questi presupposti (il che è avvenuto drasticamente col dadaismo di Duchamp e con il surrealismo), una ridefinizione dei rapporti tra arte e prodotti dell’industria e del valore e delle modalità dell’intervento dell’artista, la fotografia ha continuato ad essere considerata nella migliore delle ipotesi un’arte di serie B. Così come gran parte della polemica

32Quella sorta di casualità, mancanza di un pieno controllo sulla realtà ritratta, tipica di uno strumento che inquadra e ricompone una natura esterna, in qualche modo preesistente e indipendente dalla mente dell’artista.

33 Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento, Una storia “senza combattimento”, Paravia Bruno Mondatori Editori, Milano 2000, p. 116.

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che l’aveva toccata nell’Ottocento in origine era appartenuta a ragioni di ordine più generale, anche i presupposti di un suo definitivo apprezzamento nel campo dell’estetico sono venuti da un contesto più grande di quello della sola fotografia. È stata necessaria una rivoluzione, un completo ribaltamento di alcuni pregiudizi (e sia detto senza connotazioni negative) su cosa fosse o non fosse arte, per crearli.

Così di questo mutamento di concezioni che ha portato alla sua affermazione non è stata la fotografia la principale protagonista, bensì un certo tipo di operazioni che in opposizione al quadro ha lanciato nuove possibilità di essere dell’oggetto artistico:

stiamo pensando soprattutto al ready made e alle sue varianti come l’objet trouvet surrealista. Finché, come è avvenuto nel primo futurismo (che ha rifiutato platealmente la fotografia come arte, nonostante la sua convergenza con molte direttive del movimento), il sistema delle arti accettato e convalidato non è stato rimesso in discussione dalle fondamenta, la fotografia non ha trovato il suo spazio vitale, la libertà di essere in un certo senso sé stessa. Vittima di una

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procrastinazione di lunga gittata, la fotografia ha finalmente smesso di apparire scomoda quando al manufatto, frutto dell’abile intervento dell’artista, si è aggiunto nella famiglia dell’oggetto d’arte un nuovo elemento ancora più eccentrico e destabilizzante:

l’operazione concettuale, fatta di scelta e riproposizione, nota come ready made.

Con l’abolizione della tecnica virtuosa e dell’intervento manuale obbligato, inaugurata dai ready made e riproposta34 dai surrealisti, si sconvolsero direttamente i canoni estetici che nell’arte europea e americana avevano pesato sui destini critici della fotografia. Le era stato rimproverato di essere una vuota riproduzione del reale, per giunta operata da una macchina che sostituiva alla mano dell’uomo l’automaticità di un meccanismo. Il ready made adesso dimostrava che la cosa più comune, ogni frammento di realtà poteva divenire arte.

L’atto mentale della scelta poteva trasformare un prodotto seriale in un opera e un’operazione artistiche, grazie a un «effetto di istantanea», «come un discorso

34 Con la centralità dell’automatismo psichico.

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pronunciato in occasione di una cosa qualsiasi ma alla tal ora»35, nello spirito di un incontro tra l’artista e un frammento di mondo, come una fotografia sa essere molto bene. L’individuazione di una propria realtà (Mulas) e la sua riproposizione36 in un contesto altro, che la riqualifica agli occhi dell’osservatore, coinvolto in un gioco di stimolazioni estetico-concettuali.

Le parole di Baudelaire espresse in occasione del Salon parigino del 1859 avrebbero potuto riferirsi ora ai ready made, un esplicito superamento del canone di una manualità retoricamente alta e dell’intervento e manipolazione materiale sull’opera d’arte. Per questo abbiamo sostenuto che, in uno spazio alternativo a quello del quadro, questo genere di operazioni ha creato le premesse per una definitiva affermazione della fotografia come arte, ma anche il venir meno della pittura come suo unico riferimento obbligato.

Il legame fra le due differenti operazioni – il ready made e la fotografia - oltre che essere teorico - relativo alle logiche di produzione e di funzionamento dell’oggetto d’arte - è anche storico, legato alla figura

35 Duchamp. Riportato in Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, Paravia Bruno Mondatori, Milano 2000, pp. 83-4.

36 Come nell’etimo del verbo esporre (ex-porre).

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e all’opera di Marcel Duchamp. Questo perché Duchamp ha utilizzato la fotografia nella realizzazione di alcune operazioni estetiche; utilizzo molto più che ausiliario, o meramente documentario, dato che sono proprio alcune caratteristiche essenziali del medium fotografico a qualificarle. Nel 1919 si fa ritrarre di spalle con la nuca rasata a forma di cometa, in un lavoro intitolato Tonsura, «uno dei primi tentativi di Body Art o comunque di ricerca tesa a far coincidere l’opera con la personalità stessa dell’artista»37. Il potere di attestazione, universalmente riconosciuto alla fotografia38, è emblematicamente sfruttato da Duchamp in una serie di ritratti in cui l’artista si dà nuova vita sotto le spoglie di un suo alter ego femminile, Rrose Sélavy. La prima foto39, del 1921, è presto seguita lo stesso anno da una strana boccetta di profumo nella cui etichetta compare lo stesso volto camuffato dell’artista sotto la scritta: Belle Haleine.

Eau de Voilette. Chiude il cerchio due anni più tardi una terza immagine, costituita da un classico fronte-

37 Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento, Una storia “senza combattimento”, Paravia Bruno Mondatori Editori, Milano 2000, p. 59.

38 Riconoscimento solamente grazie al quale può divenire strumento di manipolazione dell’informazione.

39 Ricavata da Man Ray mettendo insieme un ritratto di Duchamp e una foto della moglie di Francis Picabia.

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profilo da foto giudiziaria, intitolata Wanted $ 2000 Reward, e con didascalia a seguito: George W. Welch, alias Bull, alias Pickens etc. etc. […] Conosciuto anche come Rrose Sélavy. 40

Anche nell’utilizzo pseudo-diretto dello strumento fotografico – dato che l’esecutore materiale delle idee fotografiche di Duchamp significativamente non era egli stesso, bensì l’artista americano Man Ray – troviamo dunque una conferma nell’atteggiamento dell’artista. Le fotografie di Duchamp vogliono essere la testimonianza di una presenza concreta - certo con tutte le possibilità di simulazione che alla fotografia sono permesse proprio dal suo statuto semiotico di traccia, dal riconoscimento del legame fattuale, mediato solo dalla luce, intessuto dal segno fotografico con l’oggetto che rappresenta – e non un’esibizione, per esempio, di particolari configurazioni formali.

L’interesse di Duchamp per la fotografia è testimoniato anche da alcune opere pittoriche molto note come

40 «La rilevanza di questi lavori duchampiani sta tutta nel fatto che, anziché puntare sugli effetti pittorico-formali che lo strumento fotografico era pur in grado di produrre, fanno ricorso alle più generali concettualità del mezzo, che d’altronde perfettamente rispondevano alle intenzioni di poetica di Duchamp». Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento, Una storia “senza combattimento”, Paravia Bruno Mondatori Editori, Milano 2000, p. 61.

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Nudo che scende le scale n. 2, 1912-16 (tecnica mista su carta fotografica) – in cui sono espliciti i riferimenti alla cronofotografia – e Ritratto o Cinque silhouettes di una donna su piani diversi, 1911 – movimento e percezione simultanea. Ma con un supporto teorico ulteriore, fornito dall’analisi semiotica di Peirce, è possibile vedere in altri lavori non fotografici di Duchamp un’ulteriore elemento di intersezione tra il fare artistico di quest’ultimo e la fotografia.

Rosalind Krauss - mutuando la classificazione peirceana triadica41 dei segni (simbolo, icona e indice) - analizza alcune opere non fotografiche di Duchamp42 compiendo una rivalutazione della sua opera complessiva, leggendovi in essa una «sostituzione delle regole dell’indicizzazione a quelle dell’iconicità»43. Come per Barthes il noema della fotografia era l’è stato che essa pronuncia, per Krauss la caratteristica distintiva della fotografia nel vasto mare delle

41 Si svolge fra un segno (o representamen), l’oggetto per cui il segno sta, e

l’interpretante, a sua volta un segno, veicolato dal segno primo: la determinazione di un'idea a cui il segno si riferisce nella mente della persona.

42 La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (meglio nota come Grande Vetro), 1915-23; Tu m’ (1918) e With my tongue in my cheek (1959).

43 Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, Paravia Bruno Mondatori, Milano 2000, p. 3.

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immagini è la sua indicalità44, l’appartenenza a quella famiglia di segni – con l’attenzione rivolta in particolare al livello della loro produzione – che intrattengono un rapporto fattuale col proprio referente reale, come le ombre portate, le impronte di passi o gli anelli circolari lasciati dai bicchieri sulla tavola - una somiglianza fisicamente forzata, a differenza del segno pittorico, iconico, «legato al referente attraverso un rapporto di somiglianza visiva»45. Quella che dagli osservatori ottocenteschi appariva vuota realisticità, che per i primitivi era la magia delle immagini dipinte da sole e dal sole, si materializza come una differenza sostanziale di statuto semiotico tra il segno fotografico e il segno pittorico; a un livello produttivo originario, tra rappresentazione-quadro e rappresentazione- fotografia. Nelle opere di Duchamp citate si osserva una stridente compresenza tra segni di differente famiglia – come la sintetica presenza di un calco in gesso della guancia (indice nella tassonomia peirceana)

44 Un indice è «un segno o una rappresentazione che rinvia al suo oggetto non tanto perché è associato con i caratteri generali che questo oggetto si trova a possedere, ma perché è in connessione dinamica (compresa quella spaziale) e con l’oggetto individuale da una parte e con i sensi o la memoria della persona per la quale serve da segno dall’altra». C. S. Peirce, Semiotica, Einaudi, Torino 1980, p. 158.

45 Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, Paravia Bruno Mondatori, Milano 2000, p. 74.

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e dello schizzo a matita del profilo (icona) che vanno a comporre sinergicamente l’autoritratto del ’59, With my tongue in my cheek – anche attraverso la riproposizione, come ombre proiettate sulla tela, di alcuni ready made - in Tu m’ (1918) – o nella trasparenza di un vetro che nega lo spazio autonomo del quadro - La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche46, 1915-23.

Grazie al legame fattuale che intesse col reale, la fotografia guadagnerà dopo dadaismo e surrealismo, in un’esaltazione di spersonalizzazione artistica e

«meccanizzazione dell’ispirazione»47, i favori di costruttivismo russo e Bauhaus. Realismo e meccanizzazione che costituivano i punti salienti della bocciatura baudelaireiana, da cui siamo partiti, verranno a costituire da questa nuova congiunzione in avanti i meriti principali per la sua promozione;

cambiati i modi di pensare l’arte, ancora una volta verrebbe da dire, è caduta la polemica.

46 Gli oggetti intrappolati in questa struttura sono in parte ottenuti originariamente da fotografie (come i pistoni di corrente d’aria) in parte dal sedimento e fissaggio della polvere (un esempio perfetto di indice), come le sette forme coniche (setacci) nella parte bassa.

47 Aaron Scharf, Arte e fotografia, Einaudi, Torino 1979, p. 317.

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