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Quaderni

leif

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica

Università di Catania

(2)

Direttore

Maria Vita Romeo Redazione

Massimo Vittorio (coordinatore), Floriana Ferro, Antonio G. Pesce, Elisabetta Todaro, Daniela Vasta Segreteria di redazione

Manuela Finocchiaro, Cinzia Grazia Messina Comitato Scientifico

Paolo Amodio (Università «Federico II», Napoli)

Laura Berchielli (Université «Blaise Pascal», Clermont Fer- rand)

Domenico Bosco (Università di Chieti-Pescara) Calogero Caltagirone (Università LUMSA, Roma) Riccardo Caporali (Università di Bologna)

Carlo Carena (Casa editrice Einaudi)

Dominique Descotes (Université «Blaise Pascal», Clermont Ferrand)

Laurence Devillairs (Centre Sèvres et Institut catholique de Paris)

Gérard Ferreyrolles (Université Paris Sorbonne-Paris IV) Denis Kambouchner (Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne) Gordon Marino (St. Olaf College, Minnesota USA) Denis Moreau (Université de Nantes)

Giuseppe Pezzino (Università di Catania)

Philippe Sellier (Université Paris Sorbonne-Paris IV) Paolo Vincieri (Università di Bologna)

Direttore responsabile Giovanni Giammona

Direzione, redazione e amministrazione

Dipartimento di Scienze Umanistiche, Università di Catania.

Piazza Dante, 32 - 95124 Catania.

Tel. 095 7102343 - Fax 095 7102566 Email: mariavitaromeo@unict.it ISSN 1970-7401

© 2013 - Dipartimento di Scienze Umanistiche, Università di Catania

Registrazione presso il Tribunale di Catania, n. 25/06, del 29 settembre 2006

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica - Università di Catania

Impaginazione e stampa:

, grafica editoriale di Pietro Marletta,

via Delle Gardenie 3, Belsito, 95045 Misterbianco (CT), tel. 095 71 41 891,

e-mail: emmegrafed@tiscali.it

Quaderni

leif

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Quaderni

leif

La Redazione A proposito di fede 5

agorà

Massimo Borghesi L’enciclica Fides et ratio. Cristianesimo e cultura

contemporanea 7 Manuela Finocchiaro Note su fede e ragione in Jean-Luc Marion 15 Jean Lesaulnier Arnauld juge de l’ouvrage de Huet: De concordia

rationis et fidei 31

Roberto Osculati Sebastiano Barradas e l’evangelo per tutte le genti 41 Giuseppe Pezzino Religione e filosofia in Benedetto Croce 59 Philippe Sellier Petite méditation sur une maxime pascalienne 71 Laurent irouin Pascal e la superstizione 81

briciole di saggezza

Lucio Anneo Seneca Sul disgusto per la vita normale 105

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica

Anno VII n. 10, luglio-dicembre 2013

Università di Catania

(4)

Caravaggio, Incredulità di Tommaso (particolare), 1600-1601, olio su tela, 107 ×146 cm, Potsdam-Sanssouci, Bildergalerie.

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A proposito di fede

N

ell’anno che la Chiesa cattolicaha dedicato alla fede, abbiamo sentito il bisogno di chiamare a riflettere su questo tema spinoso stu- diosi italiani e stranieri, di discipline diverse e diverse matrici culturali. Da qui il carattere monografico di questo numero, che vuole offrire un contri- buto allo schiarimento del concetto di fede nei suoi poliedrici aspetti e nei suoi riflessi in campo storico, religioso, filosofico, morale e politico.

Nel promuovere la realizzazione di questo numero monografico, un convincimento ci ha fermamente sorretto: quello, cioè, di non indulgere né alla facile esaltazione della fede per meri motivi occasionali e celebrativi, né alla semplicistica e sommaria riduzione della fede alle categorie dell’in- tolleranza, dell’integralismo, del fanatismo, dell’oscurantismo. Ben consa- pevoli che in nome della fede si può imboccare sia la via dell’amore sia quella dell’odio, non abbiamo tuttavia mai perso di vista il valore della fede come forza animatrice dell’azione individuale e come molla di civiltà nella storia delle nazioni. Abbiamo quindi fatto tesoro del monito solenne di Goethe: «Tutte le epoche, nelle quali domina sotto qualsiasi forma la fede, sono splendide, rincoranti e feconde pei contemporanei e pei posteri; e, per contro, tutte le epoche nelle quali la miscredenza in qualsiasi forma ottiene una povera vittoria, ancorché possano per un momento pavoneggiarsi di un apparente splendore, spariscono nel ricordo dei posteri, perché nessuno si tormenta volentieri nella conoscenza di ciò che è sterile».

D’altronde, abbiamo sempre pensato che, se è vero che con un granel- lino di fede possiamo evangelicamente fare spostare le montagne, è altret- tanto vero, però, che con un granellino di fede possiamo accumulare mon- tagne di spropositi o, peggio ancora, montagne di cadaveri.

La Redazione 5

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Caravaggio, Giuditta e Oloferne (particolare), 1559 ca., olio su tela, 144 ×195 cm, Roma, Galleria d’Arte Antica, Palazzo Barberini.

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Massimo Borghesi

L’enciclica Fides et ratio.

Cristianesimo e cultura contemporanea

I

quindici anni incorsi dalla pubblicazionedi Fides et ratio (1998), da parte di Giovanni Paolo II, non hanno diminuito l’attualità e l’inte- resse dei motivi che hanno indotto il Pontefice a promulgarla. L’Enciclica è stata in questi anni letta, analizzata, commentata. Antonio Sabetta ha of- ferto, nel 2005, una pregevole bibliografia ragionata sull’argomento1. Si va qui dalle letture di aperto consenso; a quelle, soprattutto di parte laica, aper- tamente critiche2; a quelle che distinguono tra elementi positivi ed altri ne- gativi. Tra queste ultime c’è chi, nell’ambito teologico, ha evidenziato l’ec- cessiva sottolineatura della distinzione tra naturale e soprannaturale, l’estrin- secismo tomista, l’insistenza sulla metafisica, il giudizio critico sul pensiero moderno3. Rilievi più o meno pertinenti che eludono però, spesso, il vero nodo della questione. L’Enciclica non è, infatti, un testo filosofico e nem- meno, in questo caso, un testo normativo che pretenda di dettare le regole e i contenuti del pensare. In ciò, nonostante l’indubbio legame con la Æter-

1 A. Sabetta, Una bibliografia ragionata di “Fides et ratio”, in AA. VV., Il desiderio di conoscere la verità. Teologia e filosofia a cinque anni da “Fides et ratio”, a cura di A. Livi, Roma, G. Lorizio, 2005, pp. 435-91. Del medesimo autore, nello stesso volume, si cfr. Bibliografia generale sull’enciclica

“Fides et ratio”, pp. 493-518.

2 P. Flores d’Arcais, Aut fides aut ratio, in «Micromega», 5 (1998), pp. 187-206; Id., Verità rive- lata e verità tout court, in «Micromega», 1 (1999), pp. 134-44; C. A. Viano, La fede senza carità, in

«Micromega», 1 (1999), pp. 122-6; P. A. Rovatti, Il senso delle parole. Fede e ragione: Le ragioni e le fe- di, in «Aut Aut», 291-292 (1999), pp. 4-9; M. Cacciari, Fides et ratio: il destino dell’analogia, in «Hu- manitas», 54 (1999), pp. 350-3: S. Natoli, Su Fides et ratio, in «Humanitas», 54 (1999), pp. 364-7. Per una panoramica si cfr. G. Savagnone, Reazioni critiche della cultura non cattolica alla “Fides et ratio”, in «Nova et Vetera», 1 (1999), pp. 101-16.

3 Cfr. G. Angelini, “Fides et ratio”. Il sapere della ragione e la sapienza, in «Teologia», 24 (1999), pp. 273-88; A. Bertuletti, “Fides et ratio”. L’intenzione enunciativa dell’Enciclica e il suo modello con- cettuale, in «Teologia», 24 (1999), pp. 289-95; G. Colombo, La recezione del percorso storico della fi- losofia nell’enciclica “Fides et ratio”, in «Teologia», 24 (1999), pp. 304-19.

7

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ni Patris di Leone XIII, si misura una differenza di metodo e di accenti4. La continuità risiede nel fatto che il pensiero di san Tommaso viene affermato

come guida e modello degli studi teologici. […] L’intento del magistero era, e continua ad essere, quello di mostrare come san Tommaso sia un autentico mo- dello per quanti ricercano la verità. Nella sua riflessione, infatti, l’esigenza della ragione e la forza della fede hanno trovato la sintesi più alta che il pensiero abbia mai raggiunto, in quanto egli ha saputo difendere la radicale novità portata dalla rivelazione senza mai umiliare il cammino proprio della ragione5.

Giudizio, questo, ripetuto nel paragrafo 43 del testo ove si ribadisce come

giustamente, san Tommaso è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia6.

Questa indicazione, inequivocabile, è al contempo precisata a partire dal fatto che «la Chiesa non propone una propria filosofia né canonizza una qualsiasi filosofia particolare a scapito di altre»7; essa non è interessata a «prendere posizione su questioni propriamente filosofiche, né imporre l’adesione a tesi particolari»8. L’ultima affermazione segna la distanza che separa l’Enciclica dalle 24 eses approbatæ philosophiæ thomisticæ, approva- te il 27 luglio 1914 dalla Congregazione romana per gli studi, che costituirà il testo normativo, durante buona parte del ’900, per lo studio di san Tommaso nelle Facoltà pontificie9. In Fides et ratio san Tommaso è il mo- dello del rapporto tra fede e ragione, ma non è l’unico.

Il rinnovamento tomista e neotomista, comunque, non è stato l’unico segno di ripresa del pensiero filosofico nella cultura di ispirazione cristiana. Già prima, e

4 Cfr. G. Colombo, Dalla “Æterni Patris”(1879) alla “Fides et ratio”(1998), in «Teologia», 24 (1999), pp. 251-72; M. Borghesi, Filosofia e cristianesimo a partire dalla “Æterni Patris”, in Id., Seco- larizzazione e nichilismo. Cristianesimo e cultura contemporanea, Siena 2005, pp. 111-28.

5 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, § 78.

6 Ivi, § 43. Cfr. G. Cottier, Tommaso D’Aquino, teologo e filosofo nella “Fides et ratio”, in AA.

VV., Fede e ragione. Opposizione, composizione, a cura di M. Mantovani, S. uruthiyl, M. Toso, Roma 1999, pp. 187-94.

7 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, § 49.

8 Ivi, § 78.

9 Cfr. G. Matiussi, Le 24 tesi nella filosofia di san Tommaso, Roma 1917 (3ª ediz. 1947).

8 Massimo Borghesi

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in parallelo con l’invito leonino erano emersi non pochi filosofi cattolici che, ri- collegandosi a correnti di pensiero più recenti, secondo una propria metodologia avevano prodotto opere filosofiche di grande influsso e di valore durevole. Ci fu chi organizzò sintesi di così alto profilo che nulla hanno da invidiare ai grandi si- stemi dell’idealismo; chi, inoltre, pose le basi epistemologiche per una nuova trat- tazione della fede alla luce di una rinnovata comprensione della coscienza morale;

chi, ancora, produsse una filosofia che, partendo dall’analisi dell’im- manenza, apriva il cammino verso il trascendente; e chi, infine, tentò di coniugare le esigenze della fe- de nel l’orizzonte della metodologia fenomenologica. Da diverse pro- spettive, insomma, si è continuato a produrre forme di speculazione filosofica che hanno inteso mante- nere viva la grande tradizione del pensiero cristiano nell’unità di fede e ragione10.

Al paragrafo 74 vengono indi- cati taluni nomi che stanno die- tro a queste correnti: John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jac- ques Maritain, Étienne Gilson, Edith Stein, Vladimir S. Solov’ëv, Pavel Florenskij, Pëtr J. Caadaev, Vladimir N. Lossky. Nomi di neo- tomisti e non. Tra i non elencati si può indovinare la presenza di

Maurice Blondel e Max Scheler11. L’Enciclica ribadisce, pertanto, l’impor- tanza fondamentale del modello tomassiano unitamente alla valorizzazione di altri indirizzi che non contrastano, necessariamente, con esso. Ciò che è rilevante, infatti, non è, innanzitutto, la diversità metodologica dei modelli

10 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, § 59.

11 Cfr. AA. VV., Verità della rivelazione. I Filosofi moderni della “Fides et ratio”, a cura di R. Di Ceglie, Milano 2003.

L’enciclica Fides et ratio. Cristianesimo e cultura contemporanea 9

Caravaggio, San Giovanni Battista (particolare), 1602, olio su tela, 131 ×98,6 cm, Roma, Musei Capitolini.

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filosofici quanto, dal punto di vista cristiano, la loro convergenza nell’in- tendere l’importanza del nesso tra ragione e fede. Questa comprensione è importante per la fede, prima ancora che per la ragione. È a questo livello che va portata l’attenzione sulla «questio» sollevata da Fides et ratio, una

«questio» di indubbia attualità. La provocazione sollevata dall’Enciclica ri- guarda, infatti, la credibilità della Rivelazione oggi, la sua ragionevolezza e non, in primis, la «crisi della ragione», aspetto, quest’ultimo, su cui si è sof- fermata, riduttivamente, l’intellighenzia laica. Il problema filosofico è qui incontrato, com’è giusto in un documento pontificio, a partire dalla teolo- gia, dalla condizione della teologia odierna, dalla sua «crisi». Questa vede la regionalizzazione della fede: la fede parla solo a chi già crede, la teologia solo ai teologi. È qui la ragion d’essere del fideismo e, in sede teologica, del biblicismo di cui parla il paragrafo 55. Nell’orizzonte «post-moderno» la fe- de presume di giustificarsi a partire dalla crisi della ragione non avvedendosi che, con ciò, essa stessa decade a opzione irrazionale.

La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, corren- do il rischio di non essere più una proposta universale. È illusorio pensare che la fede, dinanzi ad una ragione debole, abbia maggiore incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione12.

Un pericolo ben presente al cristianesimo dei primi secoli per il quale il dialogo con la filosofia ellenica trovava il suo punto d’incontro nel ruolo

«de-mitizzante» che il pensiero classico svolgeva della religione tradizionale, in direzione di una concezione più adeguata del divino. Una teologia senza filosofia, o alleata, per motivi di convenienza, con i filoni che attualmente conducono ad una ri-mitologizzazione della ragione, difficilmente può sot- trarsi all’alternativa tra fondamentalismo e ricadute gnosticheggianti, in perfetto stile New Age. Solo nel confronto filosofico, quel confronto che a partire dal Medio Evo è venuto a mancare all’Islam, la fede cristiana può trascendere l’orizzonte del «religioso» e divenire «cattolica».

Se questo è il quadro si comprende perché, nell’ottica dell’Enciclica, il discorso si allarghi dalla teologia alla filosofia. La crisi della teologia risulta infatti speculare alla crisi della filosofia, alla

12 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, § 48.

10 Massimo Borghesi

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sfiducia nella ragione che gran parte della filosofia contemporanea manifesta, ab- bandonando largamente la ricerca metafisica sulle domande ultime dell’uomo, per concentrare la propria attenzione sui problemi particolari e regionali, talvolta anche puramente formali13.

Ad una ragione «regionale» viene a corrispondere una fede anch’essa

«regionale». Se la ragione filosofica perde l’originario impeto verso la verità, ripiegandosi nel delineare la propria circonferenza, allora, sul piano teolo- gico l’affermazione del IV Vangelo sul Verbo-Logos risulterà essere, neces- sariamente, come un elemento spurio, derivante dalla filosofia ellenica. La teologia cristiana diviene il frutto (deviato) della «Ellenizzazione» Al con- trario se la Chiesa vuol essere fedele al Proemio giovanneo non può non sospingere, indirettamente, alla ripresa del punto sorgivo da cui sorge la questio filosofica. Su questo punto anche i lettori laici dell’Enciclica hanno colto un’utile provocazione14. Fides et ratio è interessata alla ripresa della tradizione filosofica non innanzitutto in quanto sistema di pensiero, ma in quanto domanda originaria sul senso dell’essere, della vita, del mondo15. La Rivelazione cristiana si afferma, infatti, come risposta adeguata alla doman- da universale di senso che sale dall’antropologia. Una risposta che non at- tiene ad una domanda non è una risposta. La teologia contemporanea nella misura in cui taglia il ponte con la filosofia diviene muta, si priva della pos- sibilità di incontrare l’humanum nel suo fondo comune, al di là della diver- sità etnico-culturali e religiose. Il taglio peculiare dell’Enciclica, che unisce antropologia e filosofia dell’essere, spiega il suo esordio, nuovo e singolare, dato dalla introduzione che ruota intorno al conosci te stesso quale punto d’avvio della problematica filosofica. Un esordio esistenziale, agostiniano- heideggeriano, lontano, nei modi e nello stile, dalla tradizione scolastica, che documenta il taglio «moderno» di un documento che permette di porsi in sintonia con gran parte del pensiero contemporaneo. L’atto originario

13 Ivi, § 61.

14 «Il meno che possiamo fare noi professionisti di questa corporazione impossibile è cercare di prendere la sua lettera pastorale tanto sul serio quanto lui fa con la nostra disciplina» (F. Savater, La ragione secondo Woytila, in «Micromega», 5/1998, p. 208).

15 Questo non significa che il testo professi una «neutralità» quanto alle tradizioni filosofiche.

Il tomismo richiamato si declina, teoreticamente, in una «filosofia dell’essere» le cui caratteristiche sono delineate nel § 97 e nei §§ 81-85.

L’enciclica Fides et ratio. Cristianesimo e cultura contemporanea 11

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del filosofare trova la sua forma nella domanda integrale sul senso che at- traversa non solo l’Occidente ma anche la sapienza dell’Oriente e che s’in- curva, nel corso della modernità europea, per motivi polemici verso la Chiesa e le confessioni cristiane. Questa «curvatura» deve essere superata.

Il Concilio Vaticano II, superando le condizioni che hanno determinato l’opposizione tra Chiesa e modernità, consente indirettamente anche alla filosofia di sciogliere la pregiudiziale che la vuole confinata nell’orizzonte del finito, pregiudiziale che ne segna, in qualche modo, il tramonto a favo- re delle scienze umane. Se la filosofia non vuole ridursi a teorizzare la pro- pria scomparsa deve accettare la provocazione che le viene dalla teologia.

Questa provocazione è esiziale per la stessa teologia la quale non può sosti- tuirsi alla filosofia, la sapienza che deriva dal soprannaturale non può, to- misticamente, esautorare quella che deriva dalla natura. La distinzione sco- lastica tra teologia e filosofia, affermata nei paragrafi 9 e 53 in perfetta con- tinuità con il Concilio Vaticano I, trova qui tutto il suo valore. Una distin- zione portata a tal punto, con la sottolineatura, ai paragrafi 23 e 28, della fede fondata sulla «follia» della Croce e sulla testimonianza dei martiri, da apparire singolare in un documento che vuole unire fede e ragione. Come è detto nel testo:

la verità che la Rivelazione ci fa conoscere non è il frutto maturo o il punto cul- minante di un pensiero elaborato dalla ragione. Essa, invece, si presenta con la ca- ratteristica della gratuità, produce pensiero e chiede di essere accolta come espres- sione di amore16.

La ragione non è il fondamento della fede; questa si fonda su se stessa, cioè sul soprannaturale. La ragione è, nella sua espressione più intensa, un domandare radicale rispetto a cui la fede costituisce, in modo gratuito, la risposta più adeguata.

In particolare quando il perché delle cose viene indagato con integralità alla ricerca della risposta ultima e più esauriente, allora la ragione umana tocca il suo vertice e si apre alla religiosità. In effetti la religiosità rappresenta l’espressione più elevata della persona umana, perché è il culmine della sua natura razionale17.

16 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, § 15.

17 Ivi, § 33, nota 28. La citazione è tratta dall’Udienza generale del 19 ottobre 1983.

12 Massimo Borghesi

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La ragione non fonda la fede, dà fuoco però alla tensione religiosa di cui la fede è l’approdo. Donde la critica al positivismo naturalistico e allo scetticismo nichilistico, due forme complementari, alleate nella sterilizza- zione dell’«eros» filosofico. Donde, ancora, la valorizzazione di una

filosofia di portata autenticamente metafisica, capace cioè di trascendere i dati em- pirici per giungere, nella sua ricerca della verità,a qualcosa di assoluto, di ultimo, di fondante18.

Una pretesa, questa, che ha suscitato la maggior parte delle critiche ri- volte a Fides et ratio, disconoscendo, in ciò, sia la genuina intenzione teo- logica che muove il documento, sia il fatto, elementare, che ogni filosofia, al di là degli orientamenti anti-metafisici oggi diffusi, esprime, a suo modo, una visione metafisica del mondo. La «et» , che Giovanni Paolo II pone tra fede e ragione, non prelude ad un ritorno al Medio Evo. Essa tiene presen- te la dissociazione che attraversa la teologia contemporanea: quella tra il Dio creatore della natura e il Figlio redentore, tra il Logos e il Nazareno, tra la cristologia dall’alto e quella dal basso. È la dissociazione tra metafisica e storia che, come eredità post-hegeliana, arriva fino a noi. Per questo il problema sollevato da Fides et ratio è, innanzitutto, un problema interno al- la teologia. Essa non è in grado, oggi, di parlare al suo esterno perché al suo interno non riesce più a motivare l’unità meta-fisica tra il Gesù «stori- co» e il Verbo di Dio. La teologia può tornare a parlare all’esterno, fuori della «regione» ecclesiastica solo se è in grado di valorizzare «la dimensione metafisica della verità per entrare così in un dialogo critico ed esigente tan- to con il pensiero filosofico contemporaneo quanto con tutta la tradizione filosofica»19. Una prospettiva, questa, tanto più preziosa quanto più risulta chiaro come «il pensiero filosofico è spesso l’unico terreno d’intesa e di dia- logo con chi non condivide la nostra fede»20. Tra questi vi sono i popoli dell’Oriente, l’India, la Cina, il Giappone, richiamati al paragrafo 72. In tal modo lo sguardo dell’Enciclica abbraccia l’interno e l’esterno della Chiesa.

Il confronto che essa, nei primi secoli della fede, ha coraggiosamente stabi-

18 Ivi, § 83.

19 Ivi, § 104.

20 Ivi.

L’enciclica Fides et ratio. Cristianesimo e cultura contemporanea 13

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lito con il pensiero ellenico deve essere ripetuto nel presente21. Il linguaggio della Croce e della testimonianza, richiamato esplicitamente, appare com- plementare non antitetico a quello della ratio. La ragione, per respirare e trovare impeto, deve aprirsi alla possibilità della fede. Anche la fede, però, per essere pienamente autentica deve essere ragionevole, corrispondere al- l’attesa dell’umana natura. La domanda e la risposta, la fides et ratio, sono i fuochi di un’ellisse, le due arcate di un ponte che collega, nella dramma- tica dell’esistenza, l’umano e il divino.

21 Questa «ripetizione» non deve tralasciare quanto è stato acquisito. Ciò vale anche nel rap- porto con culture e civiltà extra-cristiane. «Quando la Chiesa entra in contatto con grandi culture non ancora raggiunte, non può lasciarsi alle spalle ciò che ha acquisito dall’inculturazione nel pen- siero greco-latino. Rifiutare una simile eredità sarebbe andare contro il disegno provvidenziale di Dio, che conduce la sua Chiesa lungo le strade del tempo e della storia. Questo criterio, del resto, vale per la Chiesa di ogni epoca, anche per quella di domani, che si sentirà arricchita dalle acquisi- zioni realizzate nell’odierno approccio con le culture orientali e troverà in questa eredità nuove in- dicazioni per entrare fruttuosamente in dialogo con quelle culture che l’umanità saprà far fiorire nel suo cammino incontro al futuro» (ivi, § 72).

14 Massimo Borghesi

Caravaggio, Sacra Famiglia con san Giovannino (particolare), 1607, olio su tela, 117,5 ×95,9 cm, Caracas, collezione Clara Otero Silva.

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Manuela Finocchiaro

Note su fede e ragione in Jean-Luc Marion

L

a presenza di Jean-Luc Marionnel dibattito filosofico italiano è ormai da tempo affermata, come attesta la traduzione in lingua italiana di quasi tutti i suoi libri, oltre la sua annuale partecipazione ai diversi sim- posi nostrani1. Ex-allievo dell’École normale supérieure, successore di Em- manuel Lévinas alla Sorbona e di Paul Ricœur all’Università di Chicago, Marion ha profondamente segnato la filosofia francese negli ultimi tren - t’anni attraverso la sua opera, considerata un significativo crocevia tra la storia della filosofia, la teologia e la fenomenologia2. Nell’ambito dell’opera del filosofo francese è da tenere in considerazione, per il nostro ambito di indagine tra fede e ragione, la raccolta di saggi dal titolo Le Visible et le révélé (2005)3. In quest’ultima, Marion riprende una linea di ricerca e una conseguente proposta di metodo, già avviate in due suoi noti lavori, L’idole

1 Cfr. AA. VV., Jean-Luc Marion un dibattito italiano. Atti della Giornata di studio su e con Jean-Luc Marion (Macerata, 30-31 ottobre 2008), a cura di C. Canullo, Macerata, Edizioni Simple, 2010. Rimandiamo anche a Fenomenologia della donazione. A proposito di “Dato che” di Jean-Luc Marion, Atti del Seminario organizzato dal Dipartimento di Filosofia e Scienze Università degli Stu- di di Macerata dedicato all’opera fondamentale di J.-L. Marion, Étant donné. Essai d’une phénomé- nologie de la donation, a cura di G. Ferretti, Perugia, Morlacchi Editore, 2002. Vedi infine R. Cal- derone, Cæcus Amor. Jean-Luc Marion e la dismisura del fenomeno, Pisa, ETS, 2007; e C. Tarditi, Con e oltre la fenomenologia storica. Le eresie fenomenologiche di Jacques Derrida e Jean-Luc Marion, Genova, Il nuovo Melangolo, 2008.

2 Per una ricognizione sia teorica sia storica del percorso filosofico di Marion, rimandiamo al volume di C. Canullo, La fenomenologia rovesciata. Percorsi tentati in J.-L. Marion, M. Henry e J.-L.

Chrétien, Torino, Rosenberg & Sellier, 2004, che costituisce anche una lucida analisi della produ- zione fenomenologica francese contemporanea.

3 J.-L. Marion, Le Visible et le révélé, Paris, Editions du Cerf, 2005, tr. it. Il visibile e il ri- levato, a cura di C. Canullo, Milano, Jaca Book, 2007. Segnaliamo la prefazione a questa edizio- ne italiana di G. Dalmasso, Io senza esserlo, pp. VI-XVI, utile per la comprensione delle tematiche trattate.

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et la distance (1977)4e Dieu sans l’être (1982)5, allo scopo di verificare i rap- porti tra il lessico filosofico greco, ricco di strutture di pensiero neoplato- niche, e le trasformazioni operate dall’annuncio cristiano, «per un approc- cio critico alla questione tra razionalità e Rivelazione»6.

La fenomenologia di Husserl – nelle elaborazioni di lavori come Reduc- tion et donation7, Étant donné8e De sucroît9– offre a Marion alcuni stru- menti iniziali per l’analisi e, tra questi, quello principale della nozione di

«fenomeno saturo». Quest’ultimo, è «un fenomeno, che sebbene non sia un oggetto o un ente, incessantemente rivendica il suo diritto a manifestare e, senza attendere il nulla osta della filosofia, riesce a portare di fatto a com- pimento tale manifestazione»10. In altri termini, «un fenomeno saturo è per Marion ciò che non è coglibile, ciò che non si manifesta come un ogget- to: ad esempio un volto, un brano musicale»11. Difatti, la forma di tali fe- nomeni eccede l’oggettivazione, l’essere cosa e tale eccesso si dà in un «non visibile», presente nelle strutture stesse della «fenomenalizzazione» dell’og- getto. Pertanto, Marion si chiede se tra questi fenomeni si possa annovera- re la Rivelazione, visto che «la forza della Rivelazione viene dal fatto che es- sa parla universalmente senza che tale parola abbia il suo fondamento nei limiti del mondo»12. Detto altrimenti, la Rivelazione può dirsi solo in quanto si demarca dalla metafisica e quindi dalla completa razionalità del suo atto. Tra fede e ragione. In uno dei suoi ultimi testi, Le Croire pour le

14 J.-L. Marion, L’idole et la distance. Cinque études, Paris, Grasset, 1977, tr. it. L’idolo e la di- stanza, a cura di A. Dell’Asta, Milano, Jaca Book, 1979.

15 J.-L. Marion, Dieu sans l’être. Hors-texte, Paris, Communio Fayard, 1982, tr. it. Dio senza es- sere, a cura di C. Canullo, Milano, Jaca Book, 2008.

16 G. Dalmasso, Io senza esserlo, cit., p. VIII.

17 J.-L. Marion, Reduction et donation. Recherches sur Husserl, Heidegger et la phénomenologie, Paris, PUF, 1989, tr. it. Riduzione e donazione. Ricerche su Husserl, Heidegger e la fenomenologia, Ve- nezia, Marcianum Press, 2010.

18 J.-L. Marion, Étant donné. Essai d’une phénomenologie de la donation, Paris, PUF, 1997, tr.

it. Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, a cura di R. Calderone, Torino, SEI, 2001.

19 Cfr. J.-L. Marion, De sucroît. Études sur le phénomènes saturés, Paris, PUF, 2001. Di quest’ul- timo lavoro non esiste a tutt’oggi una traduzione italiana.

10 J.-L. Marion, Il visibile e il rilevato, cit., p. 4.

11 G. Dalmasso, Io senza esserlo, cit., p. IX.

12 J.-L. Marion, Il visibile e il rilevato, cit., p. 8.

16 Manuela Finocchiaro

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voir13– che consiste in una raccolta di dodici scritti prodotti dal 1979 al 2009 (compresi in quattro parti rispettivamente denominate: Ragione e fe- de, l’una con l’altra; Chi ne parla?; Ciò che si può e ciò che si mostra; Il rico- noscimento) – Marion riprende la questione del rapporto tra fenomenologia della donazione e razionalità, intesa come pensabilità della Rivelazione, presentando così diversi suggestivi temi sia sul versante filosofico che teo- logico, con precisa attenzione alla ricaduta pratica odierna. Infatti lo stesso Marion, nella Presentazione, sostiene che «non vi sarebbe alcun motivo per raccoglierli, se non avessero in comune la medesima preoccupazione e la medesima discussione, ripresa, a seconda delle circostanze e delle sollecita- zioni»14. E, cioè, quella sul rapporto tra visibilità e invisibilità15, tema al cen- tro dei due filoni della fenomenologia francese: il primo, più fedele all’or- todossia husserliana; il secondo, tendente a condurre alle estreme conse- guenze le intuizioni di Husserl, giungendo talvolta ad operare un vero “ro- vesciamento” della fenomenologia trascendentale16, come nel caso dello stesso Marion17. Inoltre, in un successivo studio dal titolo Certitudes néga- tives18, Marion tenta d’introdurre il concetto di «certezza negativa» in filo-

13 J.-L. Marion, Croire pour le voire, Paris, Editions Paroles et Silence Communio, 2010, tr. it.

Credere per vedere. Riflessioni sulla razionalità della Rivelazione e l’irrazionalità di alcuni credenti, To- rino, Lindau, 2012.

14 J.-L. Marion, Credere per vedere, cit., p. 29.

15 Cfr. J.-L. Marion, La croisé du visible et de l’invisible, Paris, PUF, 1991. Qui Marion effettua, inoltre, un’attenta lettura estetica della questione.

16 Cfr. P. Ricœur, À l’école de la phénoménologie, Paris 1998, particolarmente pp. 141-59. Si leg- ge, per l’appunto, «la fenomenologia è per buona parte la storia delle eresie husserliane. […] La struttura dell’opera del maestro implicava che non ci fosse ortodossia husserliana», p. 151, famosa espressione, per la comprensione della storia della fenomenologia francese, di cui la letteratura cri- tica oggi attribuisce la paternità a R. Ingarden.

17 Per un’introduzione alla questione in lingua italiana, vedi C. Tarditi, Introduzione alla fe- nomenologia francese, Trento, 2011. Dello stesso autore, sul “rovesciamento” della fenomenologia francese, vedi Con e oltre la fenomenologia storica. Le eresie fenomenologiche di Jacques Derrida e Jean- Luc Marion, cit.; Abitare la soglia. Percorsi di fenomenologia francese, Senago (MI), AlboVersovio, 2012. Vedi anche C. Canullo, La fenomenologia rovesciata. Percorsi tentati in Jean-Luc Marion, M.

Henry e J.-L. Cretién, cit.

18 J.-L. Marion, Certitudes négatives, Paris, Grasset, 2010. Di quest’opera non esiste a tutt’oggi una traduzione italiana, come per l’ultimo lavoro di Marion, Sur le pensée passive de Descartes, Paris, PUF, 2013. Per delle significative notazioni a riguardo, cfr. P. Gilbert, L’excès et la certitude. Les Cer- titudes négatives de Jean-Luc Marion, in «Nouvelle revue théologique», 133, 2011, pp. 439-57.

Note su fede e ragione in Jean-Luc Marion 17

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sofia, superando quello di «certezza positiva», caratterizzante la scienza

“esatta”, dal momento che solitamente «conoscere significa conoscere cer- tamente»19, ossia condurre tutto al rango dell’evidenza. A tal punto il filo- sofo francese pone un’obiezione: «una scienza esatta si stabilisce rinuncian- do in fin dei conti a conoscere ciò che non può indubbiamente soddisfare i criteri della certezza, l’ordine dei suoi modelli e il metro dei suoi parame- tri»20. In altre parole, la scienza, e di conseguenza la ragione che la sostiene, assicura la sua certezza «riducendo la cosa in sé ad un oggetto»21, escluden- do così ogni «conoscenza senza oggetto», ogni fenomeno che si dà in un al- tro orizzonte di comprensione. Come dire la fede stessa, la Rivelazione fe- nomenologicamente intesa, con una ragione versus fidei e non lumen fidei, per richiamare l’enciclica di Papa Francesco. Infatti, si legge che «invitando alla meraviglia davanti al mistero del creato, la fede allarga gli orizzonti del- la ragione per illuminare meglio il mondo che si schiude agli studi della scienza»22. Un alternarsi tra fede e ragione, tra teologia e fenomenologia23, così come sono intese da Marion e da personalità della fenomenologia

19 J.-L. Marion, Certitudes négatives, cit., p. 11. Riportiamo il testo francese: «Connaître signifie connaître certainement». E continua subito dopo Marion, «connaître sans certitude signifierait en fait connaître en doutant, donc ne pas connaître de tout. Connaître signifie toujours connaître de science certain, car il n’y a pas de science incertaine» (ivi).

20 «une science exacte ne s’établit qu’en renonçant finalement à connaître ce qui ne peut déci- dément satisfaire aux critères de la certitude, à l’ordre des modèles et à la mesure des paramètres»

(ivi, p. 12).

21 «réduisant la chose en soi à un objet» (ivi, pp. 12-3).

22 Lumen fidei (29 giugno 2013), Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, n. 34.

Com’è noto, i diversi numeri di cui è composta tale enciclica sono ben debitori delle riflessioni, par- ticolarmente sulla fede, del precedente papa Benedetto XVI. Vedi anche, a tal proposito, Giovanni Paolo II, Fides et ratio (14 settembre 1998), Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1998, par- ticolarmente nn. 61-62, citati nella Lumen fidei al n. 32.

23 Cfr. J.-L. Marion, La teologia tra metafisica e fenomenologia, in Il visibile e il rilevato, cit., pp.

67-88; AA. VV., Phénoménologie et métaphysique, sous la direction de J.-L. Marion et G. Planty- Bonjour, Paris, PUF, 1984. Rimandiamo sull’argomento al significativo studio di V. Perego, La fe- nomenologia tra metafisica e teologia, Milano, Vita e Pensiero, 2004; N. Reali, Fenomenologia e teo- logia in Jean-Luc Marion, in AA. VV., Fenomenologia della donazione a proposito di “Dato che” di Jean-Luc Marion, cit., pp. 109-35. Vedi anche il testo heideggeriano di riferimento per lo stesso Ma- rion: M. Heidegger, Phänomenologie und eologie, Frankfurt am Main 1970, tr. it. Fenomenologia e teologia, Firenze, La Nuova Italia, 1994. Vedi infine i diversi saggi in AA. VV., Phénoménologie et

éologie, a cura di J.-F. Courtine, Paris, Criterion, 1992.

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francese come Michel Henry24Didier Frank25e Lévinas26, in cui la prima invita la seconda a superarsi su due suoi limiti, ossia l’io – pensato come punto di intersezione dei vissuti della coscienza, rendendolo hors d’être/fuo- ri essere – e l’orizzonte, spazio in cui le cose si danno e appaiono senza alcun limite e aldilà di ogni visione positivistica della fenomenologia. Infatti, so- stiene a riguardo Marion,

se c’è una filosofia il cui metodo è incondizionatamente aperto e il cui pensiero è senza presupposti, questa è proprio la fenomenologia, la quale si è costituita con- tro la metafisica, il diritto di “andare alle cose stesse”! – esortazione che potrebbe essere commentata con l’espressione “vietato vietare”27.

Bisognare allora lasciare dare/donare, affinché le cose si diano o si do- nino liberamente, i fenomeni si rivelino in eccesso, fino a saturarsi. Nel cor- so di tutto il suo percorso teoretico, Marion ha scelto, dunque, di seguire la via “rovesciata” della fenomenologia francese che considera la metafisica e la sua stessa negazione come fatti storici, avendo così sottratto la Gege- benheit husserliana al limite datogli dallo stesso Husserl della oggettività, per ricondurla alle infinite possibilità della donation, visto che non tutte le forme di esperienza si danno nella forma dell’oggettività28. Per tal motivo,

24 Cfr. M. Henry, L’Essence de la manifestation, Paris, PUF, 1963; Id., Philosophie et Phénomé- nologie du corps. Essais sur l’ontologie biranienne, Paris, PUF, 1965; AA. VV., Phénoménologie et Ch- ristianisme chez Michel Henry, a cura di Ph. Capelle, Paris, Editions du Cerf, 2004.

25 Cfr. E. Lévinas, éorie de l’intuition dans la phénomenologie de Husserl, Paris, Vrin, 1963 (1ª ed. 1930); vedi anche AA. VV., Emmanuel Lévinas. Positivité et trascendence. Suivi de Lévinas et la phénomenologie, a cura di J.-L. Marion, Paris, PUF, 2000.

26 Cfr. D. Franck, Chairs et corps. Sur la phénoménologie de Husserl, Paris, Editions de Minuit, 1981; vedi anche la considerazione di D. Franck fatta propria da Marion (in J.-L. Marion, Il visibile e il rilevato, cit., p. 81) riguardo a Lévinas: «Un simile metodo straripa dagli argini della pura e sem- plice fenomenologia descrittiva, pur trovando in essa un primo punto di partenza. Ma le cose sta- vano, forse allo stesso modo anche per le analisi husserliane sul tempo, sull’altro, sul corpo? E la fe- nomenologia, di volta in volta, non è forse caratterizzata dall’incessante superamento di se stessa, in modo tale che tutti i superamenti e cambiamenti finiscono con l’appartenerle?» (D. Franck, Le corps de la difference, in Id., Dramatique des phénomènes, Paris, PUF, 2001, p. 93).

27 J.-L. Marion, Il visibile e il rilevato, cit., p. 81.

28 Cfr. D. Janicaud, Le tournant théologique de la phénomenologie française, Paris, L’Éclat, 1991.

Vedi anche il successivo studio Id., La phénoménologie éclaté, Paris, L’Éclat, 1998. Entrambi sono riuniti in Id., La phénoménologie dans tous ses étas, Paris, Gallimard, 2009; in lingua inglese D. Jani- caud, et. al., Phenomenology and the “theological turn”. e French debate, New York, Fordham Uni- Note su fede e ragione in Jean-Luc Marion 19

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prima preoccupazione di Marion è riconsiderare il rapporto ragione-fede, convinto che «oggi la fede e la ragione, nel caso del pensiero cristiano e in particolare cattolico, non solo non si contraddicono affatto, ma che la stes- sa questione del loro supposto conflitto non dovrebbe neppure essere po- sta»29. Difatti, «si può forse perdere la fede (secondo lo strano modo di di- re) ma non certo perché si guadagna in ragione»30. Come dire che, anche se si esclude la dimensione della fede, non per questo la ragione riesce a spiegare tutto e a darne certezza, correndo talvolta il rischio di relegare la maggioranza dei fenomeni della nostra vita al campo dell’opinione e della credenza, al di là del pensabile.

Tale separazione tra fede e ragione scaturisce anzitutto da «una man- canza di razionalità, dalla resa a tavolino della ragione dinanzi al supposto impensabile»31, che porta ad una perdita di razionalità, con inevitabili e ste- rili conseguenze soprattutto in un tempo come il nostro di nichilismo, do- ve bisogna almeno conservare la fede nella stessa ragione. Ecco perché, per Marion, è bene ricordare che la questione del rapporto tra fede e ragione non riguarda dunque l’apologetica, poiché tale questione non si limita alla difesa dei diritti della fede (che può contestare solo una figura impoverita e già degradata della razionalità); essa riguarda anche la difesa dei diritti della razionalità (affinché non abbandoni dei campi interi del pensabile).

Bisogna allora guardarsi da una delle più consuete «tentazioni totalizzanti»

di cui risulta essere oggetto la ragione, e di conseguenza, la filosofia: l’ideo- logia. Il contrario della fede non sta nel dubbio, ma nella malafede; così co- me quello della razionalità non è riconducibile all’irrazionalità, ma alla stes- sa ideologia. Solo una «grande ragione» può tenerci lontani da tale inciam- po. Quest’ultima, poi, risulta rinvenibile grazie all’apporto della Rivelazio- ne cristiana, all’ordine del cœur, della carità e della santità, e così, seguendo Pascal, Marion conclude che «per vedere, bisogna credere, ma credendo si

versity Press, 2001. Infine, rimandiamo all’articolo di P. Gilbert, Un tournant méthapisique de la phé- noménologie française? M. Henry, J.-L. Marion et P. Ricœr, in «Nouvelle revue théologique», 124, 2002, pp. 597-617; E. Alliez, De l’impossibilité de la phénoménalogie. Sur la philosophie française con- temporaine, Paris, Vrin, 1995; J. Benoist, L’idée de phénoménologie, Paris, Beauchesne, 2001.

29 J.-L. Marion, Credere per vedere, cit., p. 29.

30 Ivi.

31 Ivi, p. 30.

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fa un’operazione di ragione. Certo di una “grande ragione” (Nietzsche), quindi molto di più che una ragione»32.

Per grandi linee, cerchiamo ora di mettere a fuoco le diverse questioni sollevate da Marion. In primo luogo, poniamo questa domanda: «fede e ra- gione, credere o sapere, credere senza certezza o sapere in modo scientifi- camente certo, quale opposizione ci sembra più evidente?»33. Con un excur- sus ricco di riferimenti biblici, coniugati con le riflessioni a riguardo di san - t’Agostino, san Tommaso, Descartes, Nietzsche e Heidegger, Marion giun- ge a mostrare e superare «l’artificiosità inaccettabile» dell’ipotetica unica certezza della ragione modernamente intesa, facendo propria la «logica dell’amore», per concludere che, nella misura in cui la fede ha le proprie ra- gioni e la ragione scientifica le proprie credenze, «rispettare il mondo signi- fica vedere, dunque guardare in faccia il volto dell’altro uomo»34. E questo è solo possibile grazie all’amore35, che crede per vedere. Secondariamente, Marion rivolge una domanda alla stessa ragione, invitando stavolta parti- colarmente i cristiani a farne un’apologia dell’argomento: «perché farne [della ragione] l’oggetto di un’interrogazione e non, come parrebbe più ap- propriato, la roccia incrollabile a partire dalla quale interrogare tutto il re- sto?». Attraverso un diretto confronto con la filosofia, da Kant ad Hegel a Marx a Nietzsche, per poi citare delle tematiche ecclesiologiche di confron- to della Chiesa con la società civile attraverso i testi di Paul Valadier, gesui- ta esperto del pensiero nietzschiano, Marion giunge a concludere che «se la ragione, in crisi di fondamento, non ci può aiutare a dire il Verbo, forse bi- sogna lavorare perché il Verbo la rende a se stessa»36. Questa dev’essere,

32 Ivi, p. 34.

33 Ivi, p. 39.

34 Ivi, p. 53.

35 Ivi, p. 55. Per la questione dell’amore e la riduzione fenomenologica del fenomeno erotico, cfr. J.-L. Marion, Dialogo con l’amore, cit., 121-33. Questo è il testo della conferenza pubblica sull’a- more tenuta da Marion nel 2006 a Torino. Rimandiamo poi al suo lavoro centrale a riguardo J.-L.

Marion, Le Phènomène érotique. Six méditations, Paris, Grasset, 2003, tr. it. Il fenomeno erotico, Sie- na, Cantagalli, 2007. Vedi anche J.-L. Marion, Ciò che non si dice: l’apofasi del discorso amoroso, in Il visibile e il rilevato, cit., pp. 107-19; Id., L’intentionalité de l’amour in Les Prolégomènes à la charité, Paris, Les Différence, 2007, pp. 93-125; Id., L’amore del bene, in AA. VV., L’amore tra filosofia e teo- logia. In dialogo con Jean-Luc Marion, pp. 25-45.

36 Ivi, p. 79.

Note su fede e ragione in Jean-Luc Marion 21

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pertanto, l’ambizione di chi fa professione di fede cristiana: aiutare la ra- gione a ritrovarsi nella «ragionevolezza» del Verbo incarnatosi, in atteggia- mento di ascolto ed umiltà37. Diversamente detto, sul versante laico, Ma- rion tenta di elaborare un modello filosofico razionale che, lungi dal volere identificarsi con tendenze fideistiche, mistiche o irrazionalistiche, giunga sì alla trascendenza, senza sottrarla però alla propria indicibilità, da un punto di vista strettamente «epistemologico», non escludente a priori il versante confessionale.

In secondo luogo, Marion sviluppa la questione della ragione formale dell’infinito, dichiarando fin dalle prime battute che «una ragione che non pensasse all’infinito – non solo esso, ma conformemente alle sue esigenze, mancherebbe a se stessa. Niente razionalità senza passare dall’infinito»38. Bisogna quindi pensare l’incomprensibile come tale, ossia ad esempio

«pensare Dio» al di là delle categorie della metafisica moderna, e parimenti riconoscere che l’incomprensibile stesso ci abita e dimora in noi, dal mo- mento che «noi stessi siamo l’incomprensibile più vicino a noi stessi»39, per il paradosso che ciò che è più vicino risulta essere il più lontano, l’inacces- sibile. Questa presa di consapevolezza è l’unica via per resistere all’auto- obiettivazione dell’uomo da parte della razionalità tecnica contemporanea.

Su altro si presenta degno di interesse, soprattutto per i credenti, il saggio Dell’eminente dignità dei poveri battezzati, contenuto sempre nella suddetta raccolta Le Croire pour le voire. Marion intraprende qui tutta una disamina della categoria del «laico», in relazione a quella del «militante», contrappo- nendola all’unica veritiera del «battezzato», alla base dell’ecclesiologia di co- munione promossa dal Concilio Vaticano II. Basta solo riportare la veri- tiera considerazione di Marion in merito alla tendenza della Chiesa a rive- dere sé stessa solo a partire da sé stessa, come se fosse una semplice organiz- zazione per inquadrare bene i termini del discorso. Infatti,

quando questa disamina [della Chiesa su se stessa] si concentra sul “laicato”, bi- sogna temere il peggio: il ripiegamento su sé stesso del corpo ecclesiastico – il col- mo del clericalismo. Perché il laico non esiste. O piuttosto appare solo nel mo-

37 Cfr. J.-L. Marion, Del sito eucaristico della teologia, in Dieu sans l’être, cit., pp. 173-96.

38 Ivi, p. 84.

39 J.-L. Marion, Credere per vedere, cit., p. 95.

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mento in cui la Chiesa, anziché guardare Colui che la costituisce, crede di potersi definire a partire da se stessa, come una società religiosa […]. Ma dal punto di vi- sta del Cristo, non vi è né laico né laicato: non vi è che un popolo di Dio, il cui battesimo ratifica l’elezione e basta ad assicurare l’identità40.

E anche qui ritorna la tentazione dell’ideologia, che rassicura il cristia- no che diventa da apostolo un militante. Difatti, «il laicato è così il luogo in cui la Chiesa rischia di sottomettersi all’ideologia, cioè, a ciò che, nel mondo, vi è di più mondano: la sicurezza assoluta dell’uomo a partire da se stesso, a dispetto della realtà»41. Per evitare tutto ciò, occorre «convertire»

tutta la vita a Dio, vivere cioè l’eminente dignità del battezzato, della sua vita nuova in Cristo.

Nel saggio, Il servizio della razionalità nella Chiesa, il filosofo francese problematizza da una prospettiva insolita la scomparsa dell’intellettuale cat- tolico, soffermandosi sulla figura stessa dell’«intellettuale», destinata ad es- sere caduca in un regime post-metafisico, dal momento che «appena sorge il sospetto a proposito dell’unità della ragione e della razionalità del politi- co, l’“intellettuale” sparisce»42. Anche qui, allora, un riferimento a Descar- tes e alla sua dottrina dell’unità delle scienze nell’unica saggezza umana ri- tenuta universale è d’obbligo, per segnarne la differenza.

Passando poi ad analizzare la fattispecie dell’intellettuale cattolico, il di- scorso si complica. A tal proposito Marion conduce una significativa rico- struzione storica, in riferimento alla società francese, che fa evincere una triste convinzione di fondo, alla base della supposta competenza limitata di un intellettuale credente, e della conseguente sua estromissione dalla vita pubblica, purtroppo tanto attuale: «la fede si libera abbastanza comoda- mente della teologia e della filosofia, che la pastorale rimpiazza egregiamen- te con delle semplici parole d’ordine»43. In ogni modo, così si resta sempre dentro una categorizzazione sociologica dell’intellettuale cattolico, che non serve, visto che per operare un vero cambiamento della stessa Chiesa occor- re più che una critica intellettualistica, una vera «conversione» del cuore da

40 Ivi, p. 109.

41 Ivi, p. 118.

42 Ivi, p. 141.

43 Ivi, p. 143.

Note su fede e ragione in Jean-Luc Marion 23

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parte di ogni singolo cristiano. Allora bisogna riconoscere con Marion che

«il punto di partenza resta sempre il battezzato»44. E, continua Marion, vi- sto che «la razionalità del mondo non è più cosa ovvia»45, l’intellettuale bat- tezzato ha il compito primario di «contribuire, in un campo preciso, non soltanto ad inventare delle informazioni [specifico per Marion di ogni la- voro intellettuale], ma più ancora a renderle sensate. […] La sua singo- larità non riguarda dunque questa funzione, ma il fatto che almeno lui, per primo, non vi si possa sot- trarre», pur restando sempre com- battuto tra il suo «dovere istituzio- nale» di verificare la razionalità delle

«cose terrene» senza entrare in con- traddizione con la cosiddetta «ragio- ne teologica», o «logica» della fede che dir si voglia. Questione che da sempre rappresenta il tallone d’A- chille della Chiesa nel suo dialogo con la modernità, non essendosi servita spesso dei mezzi dell’intelli- genza per compiere la sua battaglia dell’intelligenza, per usare termini di Marion.

In ciò consiste quel servizio della razionalità, quello sforzo che ogni cre- dente deve fare per portare il suo contributo per il bene della Chiesa e nella storia. E, difatti, il saggio L’avvenire del cattolicesimo si occupa di tematiz- zare l’avvenire del cattolicesimo dal punto di vista del mondo e non della Rivelazione, «non foss’altro perché il mondo modificherà il proprio futuro a seconda che il cattolicesimo avrà, o no, un reale avvenire»46. Marion resta profondamente convinto, come lo stesso Paul Valadier sopra citato, che

44 Ivi, p. 146.

45 Ivi, p. 149.

46 Ivi, p. 155.

24 Manuela Finocchiaro

Caravaggio, Madonna dei palafrenieri (particolare), Roma, Galleria Borghese.

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il rapporto spesso conflittuale tra ciò che dice la Chiesa cattolica e le opinioni maggioritarie delle nostre società civili non implica che il cattolicesimo non eser- citi più alcun ruolo positivo. Al contrario, il suo contributo consiste proprio nella capacità di dire esattamente quella parola che contraddice in pieno e a viso sco- perto l’opinione dominante, e le rende per lo meno l’inestimabile servizio di esplicitare che essa non va da sé, ma che implica dei presupposti infinitamente se- ri e si espone alla falsificazione47.

Aggiungiamo, sintetizzando, che ciò risulta essere una sorta di ruolo

«falsificazionista» di popperiana memoria, svolto dal cattolicesimo nei con- fronti delle logiche condivise dal mondo, quali ad esempio la logica fun- zionalistica del principio di ragion sufficiente, che dovrebbe regolare ogni relazione umana. Altrove Marion vi oppone, oltremodo, la logica del dono come principio di ragione insufficiente48, ad imitazione della logica keno- tica del Verbo. Concordiamo, pertanto, con Marion sul fatto che oggi la funzione della Chiesa nella figura dell’intellettuale cattolico può ritrovarsi nel «rendere manifesto che solo Dio può donare all’uomo l’occasione di ri- tornare – in primo luogo – all’uomo stesso, dandogli la possibilità di somi- gliare a niente meno di Dio stesso»49. In altri termini, l’intellettuale catto- lico dà così compimento a quel processo di umanizzazione di ritorno all’u- mano, diremmo troppo umano, smarrito nel corso della modernità per lo

47 Ivi, p. 156.

48 Cfr. J.-L. Marion, Dialogo con l’amore, Torino, Rosenberg & Sellier, 2007, particolarmente alle pp. 61-73. Vedi anche a riguardo J.-L. Marion, Étant donné, Paris, PUF, 1997, pp. 102-68; tr. it.

Dato che, a cura di R. Calderone, Torino, SEI, 2001, pp. 87-145. Rimandiamo, inoltre, a J.-L. Ma- rion, La raison du don, in AA. VV., Jean-Luc Marion, in «Philospophie» 78, 2003, pp. 3-32. E sem- pre a riguardo, per il confronto con Jacques Derrida, da Marion citato, il contributo di J. D. Capu- to, Apôtres de l’impossible: sur Dieu et le don chez Derrida et Marion, in AA. VV., Jean-Luc Marion, in «Philospophie» 78, 2003, pp. 33-51; AA. VV., On the Gift: a discussion between Jacques Derrida and Jean-LucMarion, a cura di R. Kearney, Indiana, Indiana University Press, 1999, pp. 54-78. Notiamo, pertanto, come il tema dell’impossibile cominci a presentarsi, dal dono a Dio, all’indefinibilità del- l’uomo e al silenzio sull’amore, su cui non si può discutere, se non amando. Rimandiamo alle inte- ressanti annotazioni della Calderone, sul dono come un fenomeno di “dismisura” di eccedenza co- me l’amore, in cui vengono messe in rilievo anche le argomentazioni in cui Marion rilegge fenome- nologicamente la parabola escatologica di Matteo (Mt 25, 37-44), e il versetto di Mt 6, 3: «Quando fai l’elemosina, che la tua sinistra ignori ciò che fa la tua destra». Infine, cfr. R. Calderone, Cæcus Amor. Jean-Luc Marion e la dismisura del fenomeno, cit., pp. 119-55; e le ultime riflessioni di Marion a riguardo in J.-L. Marion, Certitudes négatives, cit., pp. 139-242.

49 J.-L. Marion, Credere per vedere, cit., p. 163.

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