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(1)

Quaderni

leif

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica

(2)

Direttore

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IUSEPPE

P

EZZINO

Direttore responsabile

G

IOVANNI

G

IAMMONA

Redazione

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LACIDO

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UCOLO

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Segreteria di redazione

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© 2006

Dipartimento di Scienze Umane, Università di Catania Registrazione presso il Tribunale di Catania,

n. 25/06, del 29 settembre 2006

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica

Impaginazione e stampa:

, grafica editoriale di Pietro Marletta,

via Delle Gardenie 3, Belsito, 95045 Misterbianco (CT), tel. 095 71 41 891

Quaderni

leif

(3)

Quaderni

leif

Giuseppe Pezzino Ad Lectorem 5

AGORÀ

Gérard Ferreyrolles L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au

XVII

e

siècle 7

Maria Vita Romeo Una politica «selon le cœur» 37

Massimo Vittorio Macroeconomia e macroetica: il situazionismo nell’eti-

ca finanziaria 60

BORDERLINE

Daniela Vasta Georges Roualt e Jacques Maritain 88

COFFEE BREAK

Giovanni Papini Dizionario dell’Omo Salvatico 105

Giovanni Papini Pillole di Minerva 109

Giuseppe Prezzolini Codice della vita italiana 112

RING

Gennaro Luise Intervista a Richard Crouter 114

SPIGOLATURE

Massimo Vittorio Bioetica, maneggiare con cura 121

Maria Vita Romeo Pascal: perché non possiamo non dirlo cristiano 124

Elisabetta Todaro Del buon uso della libertà 130

Gennaro Luise La negazione che afferma 136

CRONACHE LEIF

Giornate Pascal 2005 140

Incontri sull’Etica 2006 142

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica

Anno I n. 1, luglio-dicembre 2006

(4)

Botticelli, Pallade e il Centauro, c. 1482, Firenze, Uffizi

(5)

Ad Lectorem

P      – che m’immagino buono come il pane – per avvertire subito che questa paginetta introduttiva non ha da essere intesa come il Proemio di una rivista, per il semplice fatto che non ci sogniamo lontanamente di lanciare programmi d’alta politica cul- turale né di squadernare una bella professione di fede. Molto più mode- stamente, questo è un biglietto di ringraziamento e di scuse. Di ringrazia- mento, perché vogliamo esprimere la nostra sincera gratitudine a chi tro- va tempo, pazienza e bontà per volgere l’occhio su queste nostre cosucce.

Di scuse, perché sentiamo il dovere di addurre qualche giustificazione al nostro operato.

Circa due anni or sono, grazie all’impegno e all’incoscienza di alcuni filosofi del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Catania, nacque il LEIF, Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica. Si trattò – lo ammetto – di una scommessa fatta cum grano insaniae. In effetti, movemmo i primi passi da una posizione svantaggiosa: tante idee, tanto entusiasmo, e tantissima penuria di mezzi e di fondi. Indubbiamente par- timmo dall’anno zero e faticammo a costo zero. Ma eravamo fermamente decisi ad espugnare le casematte della burocrazia e a vincere incompren- sioni e scetticismi, pur di realizzare il nostro modesto progetto di un La- boratorio come luogo di sollecitazione degli interessi filosofici, di promo- zione della ricerca scientifica e di affinamento degli strumenti didattici.

Ad ogni modo, vincemmo la scommessa: il LEIF è ormai una realtà del- l’Università di Catania; una realtà riconosciuta ed operante sia nella struttura del Dipartimento di Scienze Umane sia nell’ambito della Facol- tà di Lettere e Filosofia.

Ed ora? Ora siamo qui a registrare un altro piccolo passo avanti: dalla

costola del LEIF è nato il primo numero di «Quaderni leif». Pertanto è

(6)

necessaria un’altra avvertenza per il paziente lettore: «Quaderni leif», pur traendo linfa dal Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica, non si presenta affatto come una sorta di «organo ufficiale» o di «annuario» del LEIF, tutto chiuso nel natìo orizzonte e naturalmente costretto ad una comunicazione a senso unico, dall’interno verso l’esterno. Con tutto il ri- spetto per simile diffusione, non a questo abbiam pensato.

Invero, «Quaderni leif» dev’essere, secondo i nostri disegni, una sorta di crocevia in cui si sviluppa una pluralità di voci e d’interessi filosofici, in cui le idee degli studiosi italiani si confrontano con quelle degli stra- nieri, in cui i primi frutti dei giovani ricercatori stanno accanto e si anno- dano al maturo lavoro dei veterani. Lungi da noi, però, la volontà di reci- dere il naturale legame col Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica.

Tutt’altro. In questa nostra prospettiva, «Quaderni leif» deve costituire una sorta di polmone nella vita del Laboratorio; un polmone che, con al- terno respiro, garantisce un circolo benefico di esperienze e di idee per entrambe le realtà. In altri termini, come la riflessione maturata sul terre- no concreto del Laboratorio può costituire un contributo non irrilevante nel dibattito dei «Quaderni», così questi possono rappresentare una fine- stra spalancata su un orizzonte più ampio di quello locale ed una feconda sollecitazione filosofica per la pluralità dei pianetini (università, scuola, società) che formano il sistema LEIF.

A questo punto, brevitatis causa, non resta che affidare alla bontà del lettore questa nostra creatura che, alle mille imperfezioni delle umane co- se, aggiunge il difetto di esser neonata. E per meglio intenderci, precisia- mo infine che questa creatura, «Quaderni leif», nasce e si manterrà nello spirito del più aperto dialogo, della più libera dialettica, senza però trarre godimento dal brancolare nelle tenebre della “notte in cui tutte le vacche sono nere”, e senza indulgere allo stupido barcollare da lanzichenecco ubriaco del nulla.

Giuseppe Pezzino

6

Ad Lectorem

(7)

G

ÉRARD

F

ERREYROLLES

*

L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au XVII

e

siècle

1

M      ne sera pas d’ordre sociologique. Il ne s’agira pas de mesurer la pénétration des idées de saint Augustin dans telle ou telle catégorie de la France du XVII

e

siècle, ni de suivre l’évolution de leur réception pendant cette période. Mon propos sera d’essayer de donner une vue panoramique des divers territoires intellec- tuels de l’augustinisme au XVII

e

siècle. Le premier territoire est évidem- ment celui de la théologie: Augustin est considéré communément au XVII

e

siècle comme le plus grand des Pères de l’Eglise

2

, au point, note Philippe Sellier, qu’une bonne partie de son œuvre semble alors marquée du privilège de l’inerrance

3

. Son autorité en la matière précède largement le siècle classique, puisqu’elle n’a cessé de s’exercer depuis l’époque où il a vécu. Mais il existe également un secteur nouveau d’influence augusti- nienne, qui se fait jour précisément au XVII

e

siècle, le secteur de la philo-

* Professeur à l’Université Paris Sorbonne.

1 Cet article reprend, en l’étoffant quelque peu et le complétant de notes, le texte de la conférence «I Volti dell’agostinismo nel XVII secolo» prononcée le 22 avril 2005 pour l’inauguration du troisième cycle des «Incontri sull’Etica» organisés par le Professeur Giuseppe Pezzino à la Fa- culté de Lettres et Philosophie de l’Université de Catane. J’ai conservé dans ce petit essai la simpli- cité de style et l’usage de la première personne caractéristiques de l’intervention orale qui lui a donné naissance. Que le Professeur Pezzino trouve ici l’expression de ma vive gratitude pour la qualité de son accueil et l’assurance de mon admiration pour le dynamisme exceptionnel et le rayonnement international qu’au sein de l’Université de Catane il a donnés au Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica du Dipartimento di Scienze Umane.

2 Voir Jean-Louis Quantin, Le Catholicisme classique et les Pères de l’Eglise. Un retour aux sources (1669-1713), Paris, Institut d’Etudes Augustiniennes, 1999; E. Bury et B. Meunier (dir.), Les Pères de l’Eglise au XVIIesiècle, Paris, Cerf, 1993.

3 Voir Ph. Sellier, «Introduction», Le Siècle de saint Augustin, numéro thématique de la Re- vue XVIIeSiècle, n. 135, avril/juin 1982, p. 99.

(8)

sophie. Certains n’hésiteront pas à placer sur ce terrain Augustin au-des- sus même de Descartes, témoin Fénelon, aux yeux de qui l’on trouve

dans ce Père un bien plus grand effort de génie sur toutes les vérités de méta- physique, quoiqu’il ne les ait jamais touchées que par occasion et sans ordre

4

.

A côté de l’augustinisme philosophique, on a construit plus récem- ment (dans la première moitié du XX

e

siècle) le concept d’augustinisme politique: il peut être fructueux de mesurer sa pertinence pour le siècle qui nous occupe, et pas seulement dans le contexte médiéval des luttes entre le sacerdoce et l’empire. Enfin, dernier territoire de l’augustinisme au XVII

e

siècle – le dernier découvert, mais non le moins important –, celui de l’augustinisme littéraire. L’influence, ici, est beaucoup plus diffi- cile à déceler, parce que les écrivains profanes, à l’âge classique, sont invi- tés à un silence respectueux par rapport à la religion: non seulement ils paraîtraient d’insupportables pédants s’ils citaient un Père de l’Eglise, mais ils seraient accusés proprement de profaner la vérité religieuse en la mêlant à leurs fictions divertissantes.

Sans pouvoir prétendre à la compétence pluridisciplinaire qui serait requise pour ce sujet, je me propose néanmoins d’aborder successivement ces quatre territoires afin d’aboutir à une vision d’ensemble de l’augusti- nisme dans la vie intellectuelle du XVII

e

siècle. Pour ce faire, dressons d’abord un rapide bilan de la situation antérieure.

Sans revenir sur la biographie de saint Augustin

5

, qui vécut de 354 à 430, je me contenterai de quelques chiffres pour rappeler les dimensions de l’œuvre: plus de 200 lettres conservées (dont certaines sont de vérita- bles opuscules), plus de 500 sermons et surtout 113 traités qu’on peut classer en traités de morale – comme le De mendacio –, en traités de théo-

4 Lettres sur divers sujets de métaphysique et de religion, lettre IV, dans Œuvres complètes de Fé- nelon, Paris, Leroux et Gaume, 10 vol., 1851-1852, t. I, p. 124 B. Fénelon continue, ibid.: «Si un homme éclairé rassemblait dans les livres de saint Augustin toutes les vérités sublimes que ce Père y a répandues comme par hasard, cet extrait, fait avec choix, serait très supérieur aux Méditations de Descartes, quoique ces Méditations soient le plus grand effort de l’esprit de ce philosophe».

5 Voir S. Lancel, Saint Augustin, Paris, Fayard, 1999, et J. O’Donnell, Augustine, sinner and saint, A new Biography, London, Profile Books, 2005.

8

Gérard Ferreyrolles

(9)

logie – comme ces volumineux ouvrages que sont De Trinitate ou le De ci- vitate Dei –, en œuvres pédagogiques – comme le De doctrina christiana –, en commentaires sur l’Ecriture – comme le De Genesi ad litteram –, sans compter un livre unique, parce qu’il est au carrefour de plusieurs genres, les Confessions, écrites entre 397 et 401.

L’influence de cette œuvre, énorme en soi, est absolument considérable

6

.

On peut estimer que jusqu’au XIII

e

siècle saint Augustin est le maître à pen- ser de l’Occident: le seul qui pourrait d’abord rivaliser avec lui, Grégoire le Grand, se trouve précisément être un de ses disciples et pour la suite on constate avec H.-I. Marrou qu’Augustin inspire aussi bien les premiers grands docteurs médiévaux, «de saint Anselme à Abé- lard, que leurs adversaires, de saint Pierre Damien à saint Bernard»

7

. A par- tir du XIII

e

siècle toutefois, l’augusti- nisme rencontre une concurrence sé- rieuse en la personne et en l’œuvre de saint Thomas d’Aquin. Au XIV

e

siècle, Thomas est canonisé et Augustin ne peut plus être désigné comme le maître unique de la pensée catholique. Tho- mas d’Aquin reçoit de plus alors le sur-

nom de docteur commun et lorsque, deux siècles plus tard, se réunit le concile de Trente, la Somme théologique est placée solennellement au cen- tre de l’assemblée, parallèlement à la Bible. En 1567, l’Aquinate est pro- clamé officiellement docteur de l’Eglise et son autorité intellectuelle ex-

6 Voir Augustinus in der Neuzeit (K. Flasch und D. de Courcelles ed.), Turnhout, Brepols, 1998, et Augustine through the Ages: An Encyclopedia (A. Fitzgerald ed.), Grand Rapids (Mich.), Cambridge, W. B. Eerdmans, 1999 (trad. française: Saint Augustin, la Méditerranée et l’Europe, IVe-XXIesiècle, M.-A. Vannier éd., Paris, Cerf, 2005).

7 Saint Augustin et l’augustinisme, Paris, Seuil, coll. «Maîtres spirituels», 1978, p. 159.

L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au XVIIesiècle

9

Botticelli, S. Agostino nello studio, c. 1480, Firenze, Chiesa di Ognissanti

(10)

ceptionnelle est régulièrement rappelée par les papes, jusqu’à l’encyclique de Jean-Paul II, Fides et ratio, en 1998. Cependant, l’augustinisme de- meure, ne serait-ce que parce que saint Augustin représente une autorité pour saint Thomas lui-même, qui le cite un très grand nombre de fois et absorbe dans sa synthèse une large part de l’augustinisme. On peut même dire que lorsque paraît saint Thomas, le «siècle d’or de l’augustinisme»

8

est encore à venir – car il s’agit du XVII

e

siècle. Pourquoi l’âge classique?

Parce qu’il se situe, même s’il réagit contre lui, dans le prolongement de l’humanisme de la Renaissance. En se tournant vers l’antiquité, la Renais- sance ne s’est pas seulement tournée vers les auteurs profanes, elle a en un sens «redécouvert» les auteurs religieux des premiers siècles de l’Eglise.

Bien entendu, le Moyen Âge ne les ignoraient pas, mais la Renaissance ne les aborde pas de la même façon. Le Moyen Âge avait vu dominer la théologie scolastique, de caractère systématique. L’âge nouveau privilégie la théologie dite «positive», celle qui rassemble et interprète les énoncés contenus dans les sources de la Révélation: l’Ecriture, les premiers conci- les, les premiers auteurs ecclésiastiques – et saint Augustin est l’un des bé- néficiaires principaux de ce retour aux sources. Pour preuve, l’édition de ses Œuvres complètes, par Erasme d’abord, en 1527-1529, puis par les théologiens de l’Université de Louvain en 1577 (dix volumes qui seront réédités une dizaine de fois aux XVI

e

et XVII

e

siècles). Le XVII

e

siècle va prolonger et amplifier le travail sur l’œuvre augustinienne. Il va la tra- duire: la traduction des Confessions par Arnauld d’Andilly en 1649 connaîtra quarante éditions

9

et un ouvrage aussi immense que le De civi- tate Dei sera traduit trois fois de 1655 à 1675

10

. Le XVII

e

siècle va aussi produire la meilleure édition, jusqu’au XX

e

, des œuvres complètes de l’évêque d’Hippone, celle qu’élaborent les bénédictins de la congrégation de Saint-Maur entre 1679 et 1700. L’influence de saint Augustin sur le siècle classique est telle qu’un critique, Jean Dagens, a lancé en 1951 la

18 F. Ferrier, Saint Augustin, Paris, P.U.F., 1989, p. 97.

19 Son succès ne s’est toujours pas démenti, puisqu’elle a été choisie pour l’édition des Confessions dans la collection «Folio» (Paris, Gallimard, 1993).

10 Voir notre communication «L’âge d’or de la Cité de Dieu?» au colloque «Augustin au XVIIesiècle» organisé en octobre 2004 au Collège de France par le Professeur Carlo Ossola, Actes à paraître chez Leo S. Olschki.

10

Gérard Ferreyrolles

(11)

formule définitive: «le XVII

e

siècle, siècle de saint Augustin»

11

. Cette for- mule pouvait paraître à l’époque quelque peu provocatrice, mais il faut reconnaître que toutes les études menées depuis lors n’ont fait que la confirmer. On pourrait dire en écho, cinquante-cinq ans après Jean Da- gens: saint Augustin est le plus grand auteur du XVII

e

siècle. Son in- fluence s’est exercée dans de multiples domaines, où elle n’a été révélée que progressivement.

La plus évidente à percevoir est celle de l’augustinisme théologique.

Saint Augustin est au cœur des discussions sur la grâce qui ont divisé au XVII

e

siècle jansénistes et jésuites. Si l’on voulait résumer – tâche témé- raire – la doctrine d’Augustin sur la grâce, il faudrait sans doute tenir ces trois points: la grâce est nécessaire à l’homme pour lutter victorieusement contre la tendance au mal qui l’entraîne depuis le péché originel; elle est première par rapport à tout effort efficace de l’homme pour se relever de la chute: Dieu a toujours l’initiative; enfin, loin de la détruire, elle est une aide apportée à notre liberté, et même nous installe dans la liberté. D’où la formule du traité De correptione et gratia:

ce n’est pas par sa liberté que la volonté humaine acquiert la grâce, mais plutôt par la grâce qu’elle acquiert sa liberté

12

.

Au demeurant, la pensée d’Augustin en la matière ne se laisse pas tou- jours aisément saisir. Elle ne constitue pas une doctrine qui serait exposée en un seul et unique traité composé à loisir et dans la sérénité: on est en face d’une série de textes rédigés en contexte polémique sur près de vingt ans. Ces textes, quand on les prend au pied de la lettre, quand on les isole de l’ensemble de la production d’Augustin, quand on en privilégie certai- nes formules frappantes, rendent un son passablement pessimiste et vont parfois dans des directions que l’Eglise catholique ne suivra pas (par exemple, l’idée que les enfants morts sans baptême seraient damnés). De

11 Titre d’une communication reproduite dans les Cahiers de l’Association Internationale des Etudes Françaises, nos3-4-5, juillet 1953, pp. 31-8.

12 VIII, 17, trad. J. Pintard, dans Œuvres de saint Augustin, Paris, Desclée de Brouwer, «Bi- bliothèque Augustinienne», t. 24 (Aux moines d’Adrumète et de Provence), 1962.

L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au XVIIesiècle

11

(12)

là, globalement, deux formes d’augustinisme: un augustinisme qu’on pourrait qualifier de «strict» ou d’«extrême», qui réapparaît régulièrement dans l’histoire – avec Gottschalk au Moyen Âge, Calvin au XVI

e

siècle, éventuellement Jansénius au XVII

e

– et qui est non moins régulièrement condamné par l’Eglise catholique au nom d’un «augustinisme modéré».

L’Eglise catholique ne canonise aucun système sur la grâce, car elle en- tend préserver la liberté de la recherche théologique; elle se contente de rejeter ceux qui nient la nécessité de la grâce ou, en sens inverse, ceux qui nient la liberté de l’homme. Au XVII

e

siècle, jésuites et jansénistes se ren- voient ces accusations symétriques. Les jésuites accusent les jansénistes de nier la liberté humaine, et donc d’être des calvinistes déguisés, et les jan- sénistes accusent les jésuites de nier la nécessité de la grâce, c’est-à-dire de ressusciter l’hérésie pélagienne combattue autrefois par saint Augustin.

Chacun des camps qui veut prouver son orthodoxie doit montrer qu’il se situe dans un lieu médian où sont accordées deux exigences à la compati- bilité a priori problématique: d’une part, que rien n’échappe à la toute- puissance de Dieu; d’autre part, que l’homme se voie reconnaître la capa- cité de déterminer lui-même son action. Trois grands systèmes, au XVII

e

siècle, occupent ou prétendent occuper ce lieu. Le plus récent (1588) est celui du jésuite Molina, dans sa Concordia liberi arbitrii cum grati æ do- nis, divina pr æ scientia, providentia, pr æ destinatione et reprobatione: Dieu amène tel concours de circonstances dans lequel il sait d’avance que tel homme agira librement de telle ou telle façon (bonne ou mauvaise)

13

. En remontant l’ordre chronologique, on rencontre le système de saint Tho- mas, dans lequel Dieu et l’homme concourent à la production de l’acte bon, Dieu en tant que cause première, l’homme en tant que cause se- conde. Enfin, le système le plus ancien est celui de saint Augustin, dé- fendu entre autres par ceux que leurs adversaires appellent «jansénistes», mais qui refusent cette dénomination et veulent être seulement considé- rés comme des «disciples de saint Augustin»

14

. Que le système augusti-

13 Cette doctrine a fait l’objet d’un récent et rigoureux réexamen de la part de Cyrille Mi- chon, Prescience et liberté. Essai de théologie philosophique sur la Providence, Paris, P.U.F., 2004.

14 Jansénius lui-même n’a jamais prétendu inventer un nouveau système sur la grâce, mais exposer uniquement la doctrine d’Augustin: c’est ce que montre le titre de son livre, Augustinus, qui signifie tout simplement Augustin.

12

Gérard Ferreyrolles

(13)

nien ménage à la fois la toute-puissance divine et la liberté humaine, c’est ce que Pascal travaille à démontrer dans ses Ecrits sur la grâce (1655- 1656)

15

: Dieu a l’initiative du salut, il donne la grâce efficace aux hom- mes qu’il a choisis et ceux-ci la suivent infailliblement et librement, parce que la volonté humaine y trouve un plus grand plaisir que dans les sollici- tations terrestres.

Quelle est la fortune de cet augustinisme théologique au XVII

e

siècle?

On sait que le prétendu «jansénisme» est condamné. Est-ce à dire que le système augustinien sur la grâce le soit aussi? Non point. On affirme que c’est uniquement une interprétation erronée d’Augustin qui a été décla- rée hérétique. Le docteur africain demeure une référence obligée sur les questions de la grâce et de la liberté, seulement, il s’agit de plus en plus d’une référence nominale: l’augustinisme, jugé bien sûr tout à fait ortho- doxe en lui-même

16

, apparaît comme un vecteur potentiel d’hérésies. On n’oublie pas que Luther était au départ un moine de l’ordre des augus- tins, ni que Calvin cite Augustin plus de 1400 fois dans son œuvre

17

. Même s’ils ne sont pas tous thomistes, les théologiens du XVII

e

siècle ont tendance à préférer aux formules brillantes mais parfois ambiguës de saint Augustin le mode de pensée et d’expression sec mais techniquement sûr et précis de la scolastique.

Il est un autre domaine qui au XVII

e

voit au contraire une promotion de l’augustinisme: celui de la philosophie. Au départ, la situation apparaît pourtant défavorable à l’augustinisme. Philosophiquement, en effet, Au-

15 Dans Œuvres complètes de Pascal, éd. J. Mesnard, Paris, Desclée de Brouwer, t. III, 1991, pp. 642-799. Le texte est précédé d’une étude extrêmement riche de J. Mesnard, pp. 487-641.

16 Encore que ne cesse de se fortifier au XVIIesiècle un courant de réhabilitation des Pères grecs, illustré par Jean de Launoy et Richard Simon, qui travaille à faire passer les idées de prédes- tination gratuite et de grâce efficace pour des «nouveautés» du Vesiècle. Le Magistère, d’autre part, n’entend pas faire d’Augustin l’interprète de la foi de l’Eglise: c’est au contraire l’Eglise qui est l’interprète d’Augustin; d’où la condamnation par le Saint-Office en décembre 1690 de cette proposition: «Ubi quis invenerit doctrinam in Augustino clare fundatam, illam absolute potest tenere et docere, non respiciendo ad ullam pontificis bullam.» Sur ces points, voir B. Neveu, «Le statut théologique de saint Augustin au XVIIesiècle», dans Erudition et religion aux XVIIeet XVIIIesiè- cles, Paris, Albin Michel, 1994, pp. 473-90.

17 Voir J. Cadier, «Calvin et saint Augustin», dans Augustinus Magister, Paris, Etudes Augus- tiniennes, 1954, t. II, pp. 1039-56.

L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au XVIIesiècle

13

(14)

gustin se situe dans la ligne du platonisme, alors que c’est la ligne aristo- télicienne qui domine officiellement au XVII

e

siècle. Le Parlement de Pa- ris a pris un arrêt, le 4 septembre 1624, qui prescrit à l’Université l’ensei- gnement exclusif de la doctrine d’Aristote, et l’interdiction d’enseigner une autre doctrine est rappelée au nom du roi en 1671. Or il existe de sérieuses différences sur le plan philosophique entre augustiniens et aristotéliciens.

Je n’en citerai que deux, l’une sur la conception de l’homme, l’autre sur la conception de la connaissance. L’homme est dé- fini par Augustin, à la suite de l’Alcibiade de Platon, comme une âme rationnelle qui se sert d’un corps terrestre

18

. Le corps, dans cette perspective, peut ap- paraître à la limite comme un simple vêtement de l’âme, cel- le-ci constituant à elle seule l’essence de l’homme. Il en va autrement pour les philosophes de tradition aristotélicienne, par exemple les thomistes, pour qui l’homme est l’unité d’une âme et d’un corps: l’homme ne se définit pas essentiellement par son âme, en revanche il est essentiel à l’homme d’être telle âme unie à tel corps. Sur le plan épistémologique, d’autre part, les augustiniens pen- sent que la connaissance procède des idées et non pas de la sensation – Malebranche écrit par exemple:

18 «Homo igitur, ut homini apparet, anima rationalis est mortali atque terreno utens corpore»

(De moribus ecclesi

æ

catholic

æ

et de moribus manich

æ

orum, I, 27).

14

Gérard Ferreyrolles

Raffaello, La scuola d’Atene (part.), 1510, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura

(15)

il n’est pas concevable que l’esprit reçoive quelque chose du corps, et qu’il de- vienne plus éclairé qu’il n’est, en se tournant vers lui

19

, […] le corps n’est pas fait pour instruire l’esprit

20

.

Il n’en est pas de même chez les aristotéliciens, pour qui, selon l’adage scolastique, «il n’y a rien dans l’intellect qui n’ait d’abord été dans la sen- sation». On voit donc combien, sur le plan philosophique, l’augustinisme au XVII

e

siècle se heurte à la doctrine officielle et on imagine combien il lui sera difficile de se faire une place reconnue. Sa chance va être de voir émerger en ce même siècle une grande philosophie qui remet en cause le magistère aristotélicien, à savoir naturellement le cartésianisme. Il est frappant de constater que

saint Augustin ne devient vraiment présent dans les disputes philosophiques qu’après la publication de la métaphysique cartésienne

21

– le Discours de la méthode en 1637, les Meditationes de prima philosophia en 1641, les Principia philoso- phi æ en 1644. Pourquoi? Parce qu’il existe des liens entre l’augustinisme et le cartésianisme qui vont permettre à celui-là de profiter de la vogue grandissante de celui-ci.

Ainsi, c’est le très augustinien Bérulle qui a d’abord encouragé Descartes dans sa quête méta- physique. Il est connu aussi que Port-Royal, foyer d’augustinisme, est en même temps pénétré de carté- sianisme: l’un des cas les plus emblématiques est celui d’Arnauld, auteur avec Nicole de La Logi- que ou l’Art de penser. Une alliance objective se

noue entre cartésiens et augustiniens. Les premiers sont bien aise de rece- voir le renfort des seconds, parce que saint Augustin peut servir de cau-

19 De la recherche de la vérité, livre II, 1èrepartie, chapitre 5, § 1, dans Malebranche, Œuvres, éd. G. Rodis-Lewis, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», t. I, 1979, p. 160.

20 De la recherche de la vérité, liv. II, 1èrepart., chap. 7, § 6; éd. cit., t. I, p. 190.

21 P. Cahné, «Saint Augustin et les philosophes au XVIIesiècle: ontologie et autobiogra- phie», Le Siècle de saint Augustin, XVIIe Siècle, n. 135, avril/juin 1982, p. 121.

L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au XVIIesiècle

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Philippe de Champaigne, Antoine Arnauld, Musée National

des Granges de Port-Royal

(16)

tion religieuse à la philosophie nouvelle, critiquée par bon nombre de théologiens; de leur côté, les augustiniens ont la satisfaction de pouvoir montrer que leur maître est d’accord avec Descartes, le rénovateur de la science, contre l’aristotélisme à bout de souffle qui domine encore l’insti- tution universitaire. Disciples de Descartes et disciples de saint Augustin, comme Henri Gouhier l’a magistralement prouvé

22

, vont s’attacher à dé- gager de multiples points de convergence entre les deux

auteurs. Ils vont en particulier rechercher dans l’œu- vre augustinienne des antécédents du cogito carté- sien et ils en trouvent dans le De libero arbitrio (II, 3), dans le De Trinitate (X, 10) et dans le De civi- tate Dei (XI, 26). Un exemple de ces rapproche- ments est celui qui a été opéré par le P. Mer- senne et par le ministre protestant Colvius entre la IV

e

partie du Discours de la méthode et le livre XI du De civitate Dei. Dans le Discours, Descartes rappelle les étapes de sa démarche métaphysique.

Pour éviter d’être trompé, il décide de considérer que tout ce qu’il a pensé et pense est faux, mais, ajoute-t-il, «aussitôt après, je pris garde que, pen-

dant que je voulais ainsi penser que tout était faux, il fallait nécessaire- ment que moi, qui le pensais, fusse quelque chose»

23

– ce qu’il prolonge tout de suite par la célèbre formule: «je pense, donc je suis». La certitude de l’être naît de la certitude de penser, qui elle-même naît paradoxale- ment de la possibilité de se tromper. Or on rencontre dans le De civitate Dei un argument fort proche d’apparence, qui fait découler la certitude de l’être de la possibilité de se tromper. Saint Augustin imagine un dialo- gue dans lequel un académicien, c’est-à-dire un sceptique, fait cette ob- jection à son interlocuteur chrétien: «Quoi donc! si tu te trompais?», et le chrétien de répondre: «Si je me trompe, je suis»

24

. Il s’agit en réalité de

22 Dans Cartésianisme et augustinisme au XVIIesiècle, Paris, Vrin, 1978.

23 Discours de la méthode, IVe part., dans Œuvres de Descartes, éd. Adam et Tannery, nou- velle présentation, Paris, Vrin-CNRS, 11 vol, 1964-1974, t. VI, p. 32.

24 La Cité de Dieu, XI, 26, traduction de L. Moreau revue par J.-C. Eslin, Paris, Seuil, coll.

«Points Sagesses», 1994, t. II, 46.

16

Gérard Ferreyrolles

Frans Hals (1580-1666), René Descartes, Paris, Louvre

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deux raisonnements analogues mais non pas identiques, car Augustin veut prouver la réalité du moi contre les sceptiques, tandis que Descartes veut prouver la spiritualité du moi contre les matérialistes. De plus, Descartes a fait du cogito le fondement de tout son système métaphysique, tant que son analogue n’apparaît chez saint Augustin qu’en passant

25

. C’est pour- quoi Pascal proclamera dans un passage bien connu de l’Esprit géométri- que l’originalité de Descartes par rapport à Augustin sur cette question

26

. Mais, la plupart du temps, augustiniens et cartésiens sont en quête de ce qui les rapproche plus que de ce qui les distingue. Ils soulignent notam- ment le refus commun à leurs deux champions de faire dériver nos connaissances de la sensation et vont même essayer de prouver que saint Augustin a déjà eu l’intuition de la théorie des animaux-machines. Deux noms illustrent cette volonté de rapprochement systématique: chez les cartésiens, Louis de La Forge, auteur en 1666 d’un Traité de l’esprit de l’homme; chez les augustiniens, le père Poisson, de l’Oratoire, auteur en 1670 d’un Commentaire ou Remarques sur la méthode de René Descartes.

Dans cet échange d’amabilités, Augustin a sans doute plus gagné que Descartes, car si Augustin a favorisé l’expansion de la philosophie carté- sienne, Descartes en retour a ravivé l’autorité d’Augustin. On peut même dire que les rapprochements entre les deux œuvres ont fait exister Augus- tin comme philosophe. Jusqu’au XVII

e

siècle, l’influence de saint Augus- tin était essentiellement d’ordre théologique: or les comparaisons avec Descartes ont fait apparaître dans son œuvre des propositions propre- ment philosophiques

27

. Il ne semble pas qu’on ait vu avant Descartes d’exposés autonomes de la philosophie de saint Augustin: c’est au XVII

e

siècle qu’ils commencent d’apparaître, avec les cinq volumes d’Ambrosius Victor (le P. André Martin) publiés en 1667 sous le titre Philosophia christiana. Au-delà des rapprochements ponctuels, enfin, le croisement des deux philosophies cartésienne et augustinienne produit une doctrine nouvelle, qui par son originalité et sa consistance propre dépasse les jeux

25 La plus récente discussion sur cette problématique se trouve chez E. Bermon, Le «cogito»

dans la pensée de saint Augustin, Paris, Vrin, 2001.

26 Voir Œuvres complètes de Pascal, éd. cit., t. III, 1991, p. 424.

27 Voir H. Gouhier, op. cit., p. 166.

L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au XVIIesiècle

17

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de l’intertextualité et donc le cadre de ces propos: le malebranchisme, ex- primé principalement dans La Recherche de la vérité (1674-1675).

En troisième lieu, on peut parler d’un augustinisme politique. Le concept a été développé en 1934 dans un livre du père Arquillière intitulé précisément L’Augustinisme politique. Essai sur la formation des théories du Moyen Âge

28

, mais la notion d’augustinisme politique vaut bien au-delà du Moyen Âge et se révèle féconde pour l’analyse du XVII

e

siècle. Com- ment la définir? Comme la tendance à absorber l’ordre naturel dans le surnaturel et donc le droit de l’Etat dans celui de l’Eglise. C’est l’un des domaines dans lesquels la filiation entre saint Augustin et l’«augusti- nisme» est la plus problématique: cette absorption du droit naturel dans la justice surnaturelle existe bien chez Augustin, mais à l’état d’inclina- tion, et l’inclination est devenue gauchissement chez les héritiers de sa pensée politique, la tendance s’est durcie en système. Or ce concept d’au- gustinisme politique est particulièrement opératoire pour la France du XVII

e

siècle, car en deux circonstances majeures les dirigeants et les pen- seurs politiques ont été confrontés à

la contradiction d’une logique tem- porelle et d’une logique spirituelle.

Première circonstance: la guerre de Trente Ans. La France doit choi- sir entre l’alliance avec la Maison d’Autriche catholique contre les princes protestants révoltés en Alle- magne – logique d’unification spiri- tuelle – et l’alliance avec les puissan- ces protestantes contre la Maison d’Autriche – logique d’intérêt tem- porel. On sait que Richelieu, pour-

tant cardinal, a fait choix de la seconde solution. A cette occasion on voit s’affronter deux types de traités: ceux qui défendent la primauté de l’inté- rêt religieux dans les affaires politiques – telle est la ligne de l’augusti-

28 Paris, Vrin.

18

Gérard Ferreyrolles

Philippe de Champaigne, Le cardinal de Richelieu en trois positions, 1642, London, National Gallery

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nisme politique, défendue en particulier par Jansénius dans le Mars Galli- cus (1635) – et ceux qui défendent la légitimité des intérêts propres du temporel – c’est la ligne, chez les catholiques, du thomisme politique: on la trouve exprimée notamment chez un écrivain beaucoup moins connu que Jansénius, Besian Arroy, auteur en 1634 de Questions décidées sur la justice des armes des rois de France. Les positions sont nettement tranchées.

Pour Besian Arroy, un hérétique a des droits en tant qu’il est homme et son erreur religieuse ne rend pas ces droits caducs; il n’est donc pas in- juste de s’allier avec des hérétiques pour sauvegarder leurs droits. Pour Jansénius au contraire, s’allier avec des hérétiques, c’est favoriser leur hé- résie et donc aller contre la finalité de l’Etat, qui est le service de l’Eglise;

tous les royaumes temporels doivent avoir pour visée l’extension de la vraie religion, fût-ce au détriment des intérêts politiques de l’Etat

29

.

La seconde occasion, après la guerre de Trente Ans, pour l’augusti- nisme politique de se manifester fut, en 1685, la Révocation de l’Edit de Nantes. Plusieurs auteurs, en effet, ont allégué l’autorité de saint Augus- tin pour refuser la tolérance de l’hérésie sur le sol national. En 1685, un académicien français, Goibaud du Bois, publie pour justifier la Révoca- tion sa traduction de deux lettres de saint Augustin – la Lettre 93 à Vin- cent et la Lettre 185 à Boniface –, qu’il fait précéder d’une préface au titre pesant mais significatif: Conformité de la conduite de l’Eglise de France pour ramener les protestants avec celle de l’Eglise d’Afrique pour ramener les donatistes à l’Eglise catholique. Les donatistes constituaient au temps de saint Augustin une Eglise schismatique contre laquelle le bras séculier avait efficacement sévi: les deux lettres traduites de saint Augustin souli- gnaient justement cette efficacité. Dans la Lettre à Vincent en particulier, Augustin affirme avoir évolué dans son attitude à l’égard des donatistes.

Au début, il ne voulait aucun usage de la contrainte, mais entendait seu- lement agir par la parole, la discussion, la raison, parce qu’il craignait qu’une conversion forcée ne transformât des hérétiques déclarés en héré- tiques dissimulés, c’est-à-dire en faux catholiques. Ce qui l’a amené à changer d’avis, ce sont les résultats obtenus par les lois impériales proscri-

29 Voir G. Ferreyrolles, «Jansénius politique: le Mars Gallicus», dans «Justice et force». Politi- ques au temps de Pascal (G. Ferreyrolles éd.), Paris, Klincksieck, 1996, pp. 95-108.

L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au XVIIesiècle

19

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vant le donatisme: là où elles ont été appliquées, des cités entières sont re- venues à l’unité catholique. Augustin a découvert ainsi une utilité de la contrainte. Evidemment, la contrainte ne donne pas la foi, mais elle change la direction du regard et oblige à reconsidérer sérieusement, par crainte des sanctions, la croyance qu’on professait par habitude ou par conformisme. La contrainte est un mal, mais qui est utilisé contre le mal plus grand qu’est l’erreur: il s’agit aux yeux d’Augustin de guérir le mal par le mal. Toute violence cependant n’est pas admissible. Les méchants ont toujours persécuté les bons, mais avec cruauté et pour leur nuire, tan- dis que les bons persécutent les méchants avec modération et pour leur bien. Entre ces deux cas, il existe donc une différence de modalité et une différence de finalité. Différence de modalité: Augustin admet que l’Etat recoure à des sanctions, puisqu’il y a eu violation de la loi, mais ces sanc- tions ne sauraient aller jusqu’à la torture ou à la peine de mort. Diffé- rence de finalité: Augustin distingue la violence de l’assassin, qui ne re- garde pas ce qu’il déchire, et la violence du chirurgien, qui fait attention à ce qu’il coupe: «l’un persécute la vie, l’autre persécute la pourriture»

30

. Si le chirurgien n’intervenait pas, il condamnerait à mort son patient – ce qui consonne avec cette sentence lisible dans la même lettre: «mieux vaut aimer avec sévérité que tromper avec douceur»

31

. Il est inutile de dire que ces arguments, au XVII

e

siècle, n’ont pas convaincu tout le monde. Bien avant la Révocation de l’Edit de Nantes, Pascal, pourtant augustinien, s’était opposé à son maître sur l’usage de la force en matière religieuse:

vouloir mettre la religion «dans l’esprit et dans le cœur par la force et par les menaces, ce n’est pas y mettre la religion mais la terreur»

32

. Une plus ample réfutation interviendra après la Révocation sous la plume du pro- testant Pierre Bayle, dont le frère venait de mourir dans la prison où il avait été enfermé pour cause de calvinisme. Avant de devenir illustre par

30 Lettre 93, n. 8. Signalons que la traduction des Œuvres complètes de saint Augustin par Poujoulat et Raulx – que nous utilisons ici –, Bar-le-Duc, 1864-1872, a été mise en ligne par l’ab- baye de Saint-Benoît de Port-Valais (www.abbaye-saint-benoit.ch).

31 Lettre 93, n. 4 (trad. cit.).

32 Pensées, éd. Sellier-Ferreyrolles, Paris, Librairie Générale Française, Le Livre de Poche clas- sique, 2000, fragment 203. Voir le commentaire de Ph. Sellier dans Pascal et saint Augustin, Paris, Albin Michel, 1995, p. 544.

20

Gérard Ferreyrolles

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son Dictionnaire historique et critique en 1695-1697, Bayle avait écrit en 1686 et 1687 un Commentaire philosophique sur ces paroles de Jésus-Christ:

«contrains-les d’entrer», où (…) l’on réfute (…) l’apologie que saint Augustin a faite des persécutions. Pour Bayle, la position d’Augustin sur la contrain- te en matière religieuse est contraire à l’Evangile. La persécution est à la fois inutile et criminelle. Inutile, parce qu’elle ne produit qu’une adhé- sion de façade. La violence a du pouvoir sur le corps, mais non sur l’es- prit: elle n’engendre pas une conviction nouvelle, mais les gestes exté- rieurs de la croyance qu’on impose, c’est-à-dire une attitude hypocrite.

Elle est aussi criminelle, parce qu’elle pousse des croyants à trahir ce en quoi ils croient (qu’ils aient raison ou tort de croire ce qu’ils croient), c’est-à-dire qu’elle viole les droits de la conscience. Le siècle se termine donc sur une contestation de l’augustinisme politique, mais il faut recon- naître que cette contestation est minoritaire, aussi bien chez les protes- tants que chez les catholiques.

Reste un dernier domaine, qui a été découvert plus récemment, celui de l’augustinisme littéraire. La prise de conscience décisive en la matière peut être datée du livre de Pierre Courcelle, Les «Confessions» de saint Au- gustin dans la tradition littéraire: antécédents et postérité, paru en 1963

33

. Pour le XVII

e

siècle, la notion d’augustinisme littéraire s’est révélée parti- culièrement féconde grâce à deux grandes thèses: celle de Philippe Sellier en 1970, Pascal et saint Augustin

34

, et celle de Jean Lafond en 1977, La Rochefoucauld, Augustinisme et littérature

35

. Je me propose de considérer l’augustinisme littéraire à travers deux rubriques: la conception de l’homme et la conception de la littérature

36

.

33 Paris, Etudes Augustiniennes.

34 Paris, A. Colin. Dans la réédition de 1995 chez Albin Michel, l’ouvrage est ouvert par une préface décisive pour notre sujet: «Augustinisme et littérature classique», p. I-XII (reprise dans Port-Royal et la littérature, éd. cit., t. II, pp. 253-66). Il en faut dire autant des deux volumes du même auteur intitulés Port-Royal et la littérature, Paris, Champion, 1999-2000.

35 Paris, Klincksieck. A compléter par l’important article: «Augustinisme et épicurisme au XVIIesiècle», dans Le Siècle de saint Augustin, XVIIeSiècle, n. 135, avril/juin 1982, pp. 149-68.

36 Un troisième aspect a déjà été traité dans mon article «L’influence de la conception augus- tinienne de l’histoire au XVIIesiècle», dans Le Siècle de saint Augustin, XVIIe Siècle, n. 135, avril/juin 1982, pp. 216-41.

L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au XVIIesiècle

21

(22)

Il semble que le XVII

e

siècle ait surtout retenu de saint Augustin son côté pessimiste. Alors qu’il existe chez lui de splendides célébrations de la beauté du monde et de la grandeur de l’homme, les auteurs classiques mettent l’accent sur les thèmes de l’obscurité, de la labilité, de la dé- chéance – qui, certes, sont tout aussi augustiniens. L’homme augustinien est un être fondamentalement in-quiet, sans repos. On le lit dans une phrase célèbre à la première page des Confessions, adressée à Dieu:

Tu nous as faits orientés vers toi, et notre cœur est sans repos (inquietum) tant qu’il ne repose pas en toi

37

.

A quoi fait écho l’Ecrit sur la conversion du pécheur de Pascal: l’âme ne peut arrêter son ascension «qu’elle ne se soit rendue jusqu’au trône de Dieu, dans lequel elle commence à trouver son repos»

38

. Si l’homme est inquiet, s’il ne peut rester en place, c’est qu’il a perdu son véritable lieu et qu’il est exilé loin de sa patrie dans ce que saint Augustin appelle magnifi- quement après Platon la «région de la dissemblance (in regione dissimilitu- dinis)»

39

. L’événement capital qui ouvre l’histoire humaine et qui durera par ses effets jusqu’au terme de l’histoire n’est autre que le péché originel, sur lequel saint Augustin a tant écrit. Adam avait été créé dans un état sur- naturel de droiture et de perfection; il était exempt de souffrance et de convoitise charnelle: s’il a mangé, avec Eve, le fruit défendu, ce n’était donc pas par gourmandise (ses sens étaient dociles à sa raison), mais pour s’affranchir du joug de Dieu, pour devenir Dieu à son tour. Le péché ori- ginel est un péché d’orgueil, par lequel l’homme a voulu être à lui-même sa propre fin. En se révoltant contre Dieu, l’homme a déclenché la révolte de la création contre lui-même et en lui-même. Son corps s’est révolté contre son esprit et par là il est tombé sous l’empire de la concupiscence (cupiditas, libido), qui est l’amour des créatures séparé de l’amour de Dieu.

Si l’on ne garde pas à l’esprit la lecture augustinienne de la chute, on s’interdit de comprendre un grand nombre de textes du XVII

e

siècle, à

37 Les Confessions, trad. E. Tréhorel et G. Bouissou, Paris, Etudes Augustiniennes, «Biblio- thèque Augustinienne», 2 vol., 1992.

38 Dans Œuvres complètes de Pascal, éd. J. Mesnard cit., t. IV, 1992, p. 42.

39 Les Confessions, VII, 10.

22

Gérard Ferreyrolles

(23)

commencer par les Pensées de Pascal. C’est le péché originel qui explique chez Pascal la misère de l’homme, et aussi le mélange de grandeur dans cette misère, car si nous n’étions pas déchus d’une condition meilleure, nous ne sentirions pas notre misère comme misère mais comme nature:

«ce qui est nature aux animaux, nous l’appelons misère en l’homme»

40

adaptation de la formule d’Augustin «vitium hominis natura pecoris»

41

. Sur le dogme du péché originel, Pascal écrit nettement:

sans ce mystère, le plus incompréhensible de tous, nous sommes incompréhen- sibles à nous-mêmes

42

.

En conséquence, le concept de concupis- cence sera un concept-clé chez Pascal, comme chez ces autres éminents augustiniens du XVII

e

siècle que sont Nicole en ses Essais de morale et Bossuet en son Traité de la concupis- cence

43

. Dans les Pensées, on ne retrouve pas seulement le concept de concupiscence, mais le système des trois concupiscences élaboré par saint Augustin et qui est repris jusque dans sa formulation latine au fragment 460: libido sentiendi (le désir déréglé des plaisirs sensi- bles), libido sciendi (la passion de connaître ce qui est inutile pour le salut ou «curiosité»), li- bido dominandi (l’orgueil). Ce système augus- tinien structure la pensée pascalienne, car il sert dans les Pensées à réorganiser l’histoire de

la philosophie, comme on le voit au fragment 178: «les trois concupiscen- ces ont fait trois sectes, et les philosophes n’ont fait autre chose que suivre

40 Pensées, éd. cit., fr. 149.

41 De gratia et peccato originali, II, 40, n. 46.

42 Pensées, éd. cit., fr. 164.

43 Voir G. Ferreyrolles, «Augustinisme et concupiscence: les chemins de la réconciliation», dans Littérature et séduction, Mélanges en l’honneur de Laurent Versini, Paris, Klincksieck, 1997, p.

171-182, et «Du discours théologique à la réflexion morale: prolégomènes à la concupiscence», dans Caractères et passions au XVIIesiècle, Dijon, Editions Universitaires de Dijon, 1998, pp. 75-87.

L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au XVIIesiècle

23

Hyacinthe Rigaud et David Leclerc, Jacques-Bénigne Bossuet, Musée Bossuet, Meaux

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une des trois concupiscences» – les épicuriens la volupté, les cartésiens la curiosité, les stoïciens l’orgueil. Les trois concupiscences correspondent aussi à trois sortes d’hommes, puisque la libido sentiendi menace surtout les riches et les rois; la libido sciendi les savants, la libido dominandi les sa- ges

44

. Mais elles renvoient également chacune à une zone de notre person- nalité, qui que nous soyons: la première touche le corps, la seconde l’intel- ligence, la troisième la volonté. Et par ce biais, le système des concupis- cences finit par recouvrir la totalité de ce qui existe, car les trois concupis- cences sont superposables aux fameux trois ordres pascaliens

45

.

Mais il est possible d’aller encore plus profond. Toutes les actions vo- lontaires de l’homme sans la grâce sont dictées par la concupiscence, mais qu’y a-t-il à la racine de la concupiscence? Pourquoi souhaitons-nous la richesse, la science ou la sagesse? Parce que nous y voyons notre intérêt. A la racine de notre amour pour les créatures se trouve l’amour de nous- mêmes. Comme l’écrit Augustin, «si diligis aurum, prius te diligis quam aurum»

46

. La concupiscence, dira Arnauld dans la même ligne, c’est l’amour de soi dans les créatures

47

, et Pascal, au fragment 421: «tout tend à soi». Nous tenons chez saint Augustin la source de l’anthropologie des moralistes français du XVII

e

siècle, à savoir la notion d’amor sui, que le classicisme traduit par «amour-propre». L’amour-propre, on le sait, est le principe auquel La Rochefoucauld ramène toutes les actions des hom- mes, même les plus altruistes en apparence. La première édition des Maximes, datée de 1665, s’ouvrait sur une définition semblable à celle d’Arnauld: «l’amour-propre est l’amour de soi-même et de toutes choses pour soi»

48

. Saint Augustin pose que les hommes n’agissent jamais que par l’un de ces deux motifs: l’amour de soi (si la nature est laissée à elle- même) ou l’amour de Dieu (si elle est guérie par la grâce), et qu’en fonc-

44 Voir Pensées, éd. cit., fr. 761.

45 Voir Pensées, éd. cit., fr. 339.

46 «Si tu aimes l’or, tu t’aimes toi-même avant d’aimer l’or» (Sermon 37, 4).

47 Voir A. Arnauld, Œuvres (Paris-Lausanne, S. d’Arnay, 1775-1783), t. X, p. 405; t. XVII, p. 325; t. XVIII, p. 580.

48 Cette maxime est devenue dans les éditions modernes la «maxime supprimée» n. 1. Dans l’excellente édition de L. Plazenet, Réflexions ou sentences et maximes morales et réflexions diverses (Paris, Champion Classiques, 2005): p. 209.

24

Gérard Ferreyrolles

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tion du motif qui les fait agir ils appartiennent soit à la cité terrestre, soit à la Cité de Dieu. L’Avertissement au lecteur des Maximes montre que leur auteur opère le même partage entre les hommes: il

n’a considéré les hommes que dans cet état déplorable de la nature corrompue par le péché, [et ainsi] la manière dont il parle de ce nombre infini de défauts qui se rencontrent dans leurs vertus apparentes ne regarde point ceux que Dieu en préserve par une grâce particulière

49

.

Les Maximes comme les Pensées entendent montrer que l’homme ré- duit à ses propres forces n’enfante que des fantômes de vertus et qu’il reste prisonnier de son amour-propre

50

. Pourquoi, demandera-t-on peut- être, La Rochefoucauld n’a-t-il pas décrit comme Pascal la «félicité de l’homme avec Dieu?»

51

Parce que son œuvre n’a pas de fi-

nalité directement apologétique. La Rochefoucauld est un mondain écrivant pour des mondains, dans le but à la fois de procurer une connaissance plus aiguë du cœur humain et un plaisir littéraire; il n’a pas à faire intervenir explicitement de données religieu- ses puisque son domaine d’étude est la nature, non la surnature; et il peut d’autant moins le faire que la doctrine classique interdit de mêler le profane et le sacré, par crainte de compromettre la sainteté de la re- ligion dans l’activité séculière, voire mondaine, qu’est la littérature. La Rochefoucauld – et il en est de même pour tout moraliste classique –, n’a pas à annoncer positivement le christianisme comme voie de salut;

en revanche, son anthropologie est informée par une théologie qui est celle de saint Augustin, de sorte qu’il est légitime de lire dans les Maximes l’expression d’un augustinisme laïcisé.

49 Ed. cit., p. 133.

50 Sur la commune anthropologie augustinienne de La Rochefoucauld et de Pascal, voir Ph.

Sellier, «La Rochefoucauld, Pascal, saint Augustin», Revue d’Histoire Littéraire de la France, 1969, 69, pp. 551-75 (repris dans Port-Royal et la littérature, éd. cit., t. II, pp. 139-67), et l’introduction de L. Plazenet à son édition des Maximes, pp. 11-40.

51 Pensées, éd. cit., fr. 40.

L’augustinisme dans la vie intellectuelle française au XVIIesiècle

25

Louis-Michel Petit (1791-1844), François de La Rochefoucauld, incisione

(26)

Saint Augustin n’appartient pas seulement à l’histoire de la théologie et à l’histoire des idées, il appartient aussi à l’histoire de la littérature. A la différence de l’expression sèche et purement conceptuelle des scolasti- ques, les Pères de l’Eglise – et au premier rang d’entre eux, saint Augustin – mettent en œuvre rhétoriquement et poétiquement les ressources du langage

52

. Pour autant, les relations de l’augustinisme et du fait littéraire ne sont pas univoques. La littérature apparaît en effet aux augustiniens comme une activité problématique pour trois principales raisons: son rapport au moi, son rapport au plaisir et son rapport à la vérité.

Le rapport au moi, tout d’abord. Si l’amour de soi est au principe de tout mal, la littérature ne doit-elle pas être condam- née d’entretenir et d’exhiber le narcissisme des auteurs? Le cas le plus évident est celui de l’autobiographie. L’écriture de soi prend comme inévitablement le tour d’un auto- panégyrique, à tout le moins d’une apolo- gie de sa personne et de son action. Et quand bien même l’on parlerait contre soi, l’amour-propre y trouverait encore son compte puisque, comme l’écrit La Roche- foucauld, «on aime mieux dire du mal de soi-même que de n’en point parler»

53

. Ce que les port-royalistes reprochent par exemple à Montaigne n’est point tant ce qu’il dit de lui-même que le propos délibéré d’être la matière de son livre. En écho au «moi haïssable»

54

pascalien, les auteurs de la Logique dite de Port-Royal, Arnauld et Nicole, stigmatisent l’entreprise des Essais:

Un des caractères des plus indignes d’un honnête homme est celui que Montai- gne a affecté, de n’entretenir ses lecteurs que de ses humeurs, de ses inclina-

52 C’est un élément fondamental dans l’approche de la relation entre «jansénisme et littéra- ture»: voir l’article de J. Mesnard qui porte ce titre dans La Culture du XVIIesiècle, Paris, P.U.F., 1992, pp. 247-60.

53 Maxime 138.

54 Cf. Pensées, éd. cit., fr. 494.

26

Gérard Ferreyrolles

Michel Eyquem de Montaigne

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tions, de ses fantaisies, de ses maladies, de ses vertus et de ses vices; et (…) il ne naît que d’un défaut de jugement aussi bien que d’un violent amour de soi- même

55

.

Mais, d’un autre côté, saint Augustin peut être considéré comme l’in- venteur de l’autobiographie avec ses Confessions: comment sortir de la contradiction? Tout simplement en pratiquant l’autobiographie sur le modèle donné par Augustin. C’est ainsi que nombre de familiers ou de solitaires de Port-Royal – Pontis, Arnauld d’Andilly, Lancelot, Hamon, Fontaine, Du Fossé, etc. – ont écrit leurs Mémoires: non point comme les mondains (Mademoiselle de Montpensier, le cardinal de Retz ou Bussy-Rabutin) pour donner une image flatteuse d’eux-mêmes, mais pour repérer rétrospectivement dans leur vie leurs manquements person- nels ainsi que les marques de la miséricorde divine. Les Mémoires pren- nent ainsi le double caractère des Confessions d’Augustin, celui d’un aveu et celui d’une louange. La référence augustinienne peut se lire jusque dans le titre de l’œuvre, ainsi dans la Relation de plusieurs circonstances de la vie de M. Hamon faite par lui-même sur le modèle des «Confessions» de saint Augustin

56

.

En second lieu, le rapport au plaisir. L’une des finalités, pour ne pas dire la finalité, de la littérature – comme de l’art en général – est de pro- curer un plaisir. Saint Augustin ne condamne pas le plaisir en soi, mais il s’inquiète de l’objet dans lequel on le place. Ni les mots ni les choses ter- restres ne doivent être l’objet d’une jouissance, car ils n’ont pas le statut de fin: les mots ne sont que les signes des choses naturelles, qui sont elles- mêmes les signes des choses divines. Les uns et les autres renvoient donc ultimement à Dieu, seul objet légitime de jouissance

57

. Or le plaisir des mots, le «plaisir du texte» risque sans cesse de captiver le lecteur ou l’au-

55 La Logique ou l’Art de penser, IIIepart., chap. 20, a, 6 (éd. Clair et Girbal, Paris, P.U.F., 1965, p. 267).

56 Voir Port-Royal et les Mémoires, Chroniques de Port-Royal, n. 48, 1999. Plusieurs de ces Mémoires issus de Port-Royal ont été publiés récemment, chez Champion ou chez Nolin.

57 On reconnaît ici la thèse essentielle du De doctrina christiana, traité fondateur de la rhéto- rique chrétienne et l’«une des “sources” majeures de la culture européenne au XVIe et au XVIIe siècles» (M. Fumaroli, L’Âge de l’éloquence, Paris, Droz, 2002 [1èreéd. 1980], coll. «Titre courant», p. 70).

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(28)

diteur, de le retenir à l’harmonie du vers ou aux cadences de la période oratoire, au lieu de le faire passer à la méditation des réalités suprasensi- bles. C’est ainsi que, dans un domaine voisin, saint Augustin s’accuse dans les Confessions de s’être laissé plusieurs fois charmer par les mélodies de la musique sacrée au détriment du sens pourtant salutaire des paroles chantées

58

. On se trouve ici, comme dans le cas précédent – le rapport au moi –, devant une antinomie: l’écrivain ou l’orateur, en visant le plaisir de celui à qui ils s’adressent, ne lui procurent qu’une délectation sensible et le maintiennent au niveau de la concupiscence, mais en même temps, s’ils ne lui procurent pas ce plaisir, ne seront ni lus ni écoutés. Cette diffi- culté frappe particulièrement les auteurs chrétiens qui entendent édifier leur public, par exemple les apologistes comme Pascal et les prédicateurs comme Bossuet: ils dénoncent la concupiscence qui rend l’homme es- clave du plaisir, mais comment le faire parvenir à la vérité libératrice si- non en lui parlant le seul langage auquel il soit désormais sensible, celui du plaisir? L’efficacité réclame le recours à «l’art d’agréer»

59

, que Pascal met en œuvre dans les Pensées, et même à la rhétorique du «plaisant» qu’il déploie dans les Provinciales

60

. Il est significatif de le voir se justifier, à la XI

e

Provinciale, par une citation du De doctrina christiana:

Qui oserait dire que la vérité doit demeurer désarmée contre le mensonge, et qu’il sera permis aux ennemis de la foi d’effrayer les fidèles par des paroles for- tes, et de les réjouir par des rencontres d’esprit agréables; mais que les catholi- ques ne doivent écrire qu’avec une froideur de style qui endorme les lecteurs?

61

La norme augustinienne ne rejette pas le plaisir littéraire ni les presti- ges de la rhétorique, mais elle exige que leurs séductions profanes se can-

58 Voir Confessions, X, 33, n. 50.

59 Cf. De l’esprit géométrique, dans Œuvres complètes de Pascal, éd. J. Mesnard cit., t. III, 1991, p. 416.

60 «On me demande pourquoi j’ai employé un style agréable, railleur et divertissant. (…) J’ai vu qu’il fallait écrire d’une manière qui pût être lue avec plaisir par les femmes et par les gens du monde» (Déclaration de Pascal au sujet des Provinciales, dans Œuvres complètes de Pascal, éd. J.

Mesnard cit., t. I, 1964, p. 1075).

61 Traduction abrégée d’un passage de De doctrina christiana, IV, 2, dans Les Provinciales, Pensées et opuscules divers, éd. Ph. Sellier/G. Ferreyrolles/L. Cognet, Paris, Le Livre de Poche/Clas- siques Garnier, coll. «La Pochothèque», 2004, p. 448.

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Gérard Ferreyrolles

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tonnent au rôle de moyens au service de la vérité. Bossuet l’exprime dans son Sermon sur la parole de Dieu par une formule qu’il emprunte égale- ment à Augustin:

La sagesse marche devant comme la maîtresse, l’éloquence s’avance après comme la suivante

62

.

Enfin, le rapport à la vérité. Pour un chrétien en général, et pour un augustinien en particulier, il est fondamental. Or une grande part de la production littéraire est composée de fictions, essentiellement celles du roman et du théâtre. Ces deux genres littéraires sont critiqués, pour ne pas dire condamnés, par les augustiniens du XVII

e

siècle parce qu’ils en- traînent le lecteur ou le spectateur dans l’univers du faux. D’où la phrase assassine de Pierre Nicole dans sa première Visionnaire en 1665:

un faiseur de romans et un poète de théâtre est un empoisonneur public, non des corps, mais des âmes des fidèles

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.

Le théâtre spécialement est au XVII

e

siècle l’objet de querelles récur- rentes: autour de 1639, puis dans la décennie 1660-1670 (en 1667 paraît le Traité de la comédie de Nicole), enfin en 1694 (année des Maximes et réflexions sur la comédie de Bossuet). Chez les catholiques du grand siècle, lorsqu’on veut légitimer le genre théâtral, on invoque saint Thomas

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, qui voit dans les spectacles scéniques, pourvu qu’ils soient décents, un diver- tissement propre à favoriser l’eutrapélie; inversement, lorsqu’on veut condamner le théâtre, on invoque saint Augustin, qui appelle les jeux scé- niques (ludi scenici) des spectacles honteux (spectacula turpidinum)

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. Les raisons pour lesquelles Augustin prononce cette «excommunication» sont diverses, mais la plus profonde est d’ordre métaphysique et tient à son

62 Bossuet, Œuvres oratoires, éd. J. Lebarq, Ch. Urbain et E. Levesque, Paris, Hachette, t.

III, 1916, p. 627; d’après De doctrina christiana, IV, 10. Cf. G. Ferreyrolles, «Les trois fonctions de l’éloquence dans le Carême du Louvre», Les Amis de Bossuet, n. 30, 2002, pp. 15-27.

63 Cité dans l’édition critique procurée par L. Thirouin, Traité de la comédie de Nicole et au- tres pièces d’un procès du théâtre, Paris, Champion, 1998, p. 219.

64 Summa theologi

æ

, IIa IIae, q. 168.

65 De civitate Dei, I, 32.

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