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ATTO D APPELLO CIVILE. CORSO INTENSIVO ESAME AVVOCATO a cura dell avv. Giulio Forleo

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ATTO D’APPELLO CIVILE

CORSO INTENSIVO ESAME AVVOCATO a cura dell’avv. Giulio Forleo

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www.ildirittopenale.blogspot.com

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2 L’APPELLO A) L’APPELLO.

a) Caratteri generali dell’istituto.

L’appello è il mezzo di impugnazione concesso dalla legge alla parte per chiedere la riforma totale o parziale di un provvedimento del giudice che essa ritiene ingiusto.

Esso introduce il giudizio di secondo grado, ossia una fase del processo, in cui il giudizio può venire rinnovato, non per un semplice e globale riesame della sentenza di primo grado ma per un nuovo esame della causa nei limiti delle specifiche censure contenute nella domanda d’appello.

La determinazione dei vizi della sentenza non è prefissata dalla legge ma è affidata alla stessa parte, la quale può lamentare quindi davanti al giudice dell’impugnazione l’integrale ingiustizia della sentenza. Di qui il carattere illimitato dell’appello – in contrapposizione agli altri mezzi di impugnazione c.d. limitati – che impedisce una distinzione tra momento rescindente e rescissorio, e cioè del momento in cui si ha l’annullamento e la caducazione del provvedimento impugnato da quello in cui si ha l’emissione di un nuovo provvedimento, destinato a sostituirsi al primo.

In altre parole, con il mezzo di impugnazione in esame è possibile dolersi sia di vizi in senso specifico che inficiano la sentenza di primo grado (cd."errores in judicando" e "errores in procedendo"), sia di vizi in senso lato, che attengono alla mera ingiustizia del provvedimento emesso in primo grado.

Per queste ragioni l’appello viene definito un mezzo di impugnazione a critica libera.

Con l’appello si ha un totale riesame della controversia e non soltanto un controllo dei vizi: è definito anche un mezzo di gravame, in quanto costituisce un mezzo devolutivo in cui il giudice di appello viene reinvestito del potere di riesaminare ciò che è già stato oggetto di esame da parte del giudice di prima istanza. L'effetto devolutivo è tuttavia potenziale e non automatico: il giudice di appello deve invero esaminare solo le questioni che le parti gli hanno devoluto.

b) I presupposti.

È regolato dagli artt. 339 e ss. del codice di procedura civile ed ha ad oggetto la contestazione di una sentenza di primo grado.

Il fine di tale impugnazione è la riforma totale o anche solo parziale della pronuncia impugnata dalla parte soccombente o parzialmente soccombente in prima istanza.

La soccombenza è elemento indefettibile che giustifica l’interesse ad impugnare.

L’art. 339 c.p.c. stabilisce che sono appellabili “le sentenze pronunciate in primo grado, purchè l’appello non sia escluso dalla legge o dall’accordo delle parti a norma dell’art. 360, secondo comma.

È inappellabile la sentenza che il giudice ha pronunciato secondo equità a norma dell’art. 114.”

La sentenza può essere impugnata chiedendo una riforma integrale oppure parziale: nel secondo caso, vengono impugnati solo alcuni punti, che rappresentano autonome statuizioni, ciascuna delle quali può essere anche oggetto di diverse impugnazioni.

L’impugnazione va proposta al giudice superiore e quindi, ai sensi dell’art. 341 cpc, le sentenze del

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giudice di pace sono appellate al Tribunale e quelle del Tribunale alla Corte di Appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza.

L’individuazione del giudice di appello, ai sensi di detta norma, attiene ad una competenza territoriale sui generis e non è applicabile al riguardo l’art. 38 c.p.c., che si riferisce esclusivamente al giudizio di primo grado.

Qualora la causa venga incardinata innanzi al giudice incompetente, il nuovo art. 50 c.p.c. stabilisce la continuazione del processo dal giudice incompetente a quello competente (translatio judicii).

Pertanto, l’appello tempestivamente proposto innanzi al giudice incompetente vale ad instaurare un processo valido che è suscettibile di prosecuzione innanzi al giudice competente se riassunto nel termine fissato dal giudice e, in mancanza di fissazione, nel termine di tre mesi (questo evidentemente non vale per chi deve sostenere l’esame di Stato e dovrà individuare nell’atto d’appello correttamente la competenza del giudice di II grado)

c) Forma dell’appello

L’appello si propone con atto di citazione ai sensi dell’art. 342 c.p.c., sulla scorta delle indicazioni contenute nell’art. 163 c.p.c., nel termine di 30 giorni dalla notifica della sentenza o, in mancanza, entro 6 mesi dalla pubblicazione (deposito) della stessa.

In seguito al decreto legge n. 83/2012, è stata radicalmente modificata la struttura dell’’atto di appello.

Si impone oggi, infatti, l’indicazione di una motivazione in luogo del pregresso riferimento all’esposizione sommaria dei fatti ed ai motivi specifici: bisognerà evidenziare, mediante un’indicazione puntuale delle parti del provvedimento, non più solo quello che non è legittimo nell’atto impugnato, ma come lo stesso dovrebbe essere innovato. Tutto completato dalla precisazione circa la rilevanza della contestazione: non contestazioni teoriche, quindi, ma rilevanti ai fini di una pronuncia favorevole.

Come evidenziato nell’esposizione dei caratteri generali, si tratta di un’impugnazione libera, ma non priva di specificità.

Secondo quanto previsto dal nuovo art. 342 c.p.c., «l’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intendono appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata».

Nella prima parte la disposizione codifica l’interpretazione data dalla giurisprudenza: l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione è un requisito di ammissibilità della stessa.

Il primo dei due requisiti posti dal n. 1 dell’art. 342 c.p.c. impone la specificazione dell’oggetto dell’appello: occorre chiarire se si intende chiedere la riforma totale o parziale della sentenza di primo grado. Si tratta di un requisito di ammissibilità dell’impugnazione che, pur non essendo prima della riforma espressamente previsto dalla legge, era già pacificamente operante.

La seconda parte del n. 1 dell’art. 342 c.p.c. richiede l’indicazione delle «modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado». Tale disposizione ha acceso il dibattito su un’eventuale trasformazione dell’appello in una impugnazione a motivi limitati.

In proposito si ritiene di aderire alla dottrina maggioritaria che esclude tale mutamento. A ben vedere, infatti, la norma non richiede la enunciazione di specifiche ragioni. Per sfuggire alla sanzione

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dell’inammissibilità, risulta sufficiente sollevare l’ingiustizia del provvedimento di primo grado e domandare al giudice di appello un nuovo giudizio di fatto. La vera novità si sostanzia nell’obbligatorietà dell’indicazione del contenuto della nuova valutazione richiesta (ad esempio per dimostrare la sussistenza del pregiudizio è necessario specificare quale sarebbe stata la corretta valutazione dei fatti e quali vantaggi avrebbe comportato per la parte).

Alla luce di quanto detto il n. 1 dell’art. 342 c.p.c., dunque, non apporta significativi elementi di novità al quadro normativo anteriore.

Ad analoghi rilievi si presta l’interpretazione del n. 2 dell’art. 342,comma 1 c.p.c., per il quale l’ammissibilità dell’appello è subordinata all’«indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata».

Non si pretende la indicazione di specifici errores in procedendo o in iudicando, ma delle

“circostanze” sulle quali si fonda l’errore di diritto e degli effetti che esso ha prodotto e, quindi, del pregiudizio subito.

Anche in riferimento al n. 2, pertanto, l’appello resta un mezzo di gravame a motivi illimitati, grazie al quale si può denunciare l’ingiustizia della decisione di primo grado, derivante da errori nella valutazione dei fatti o da errores in procedendo o in iudicando, fonte di specifico pregiudizio per l’appellante.

La portata precettiva delle innovazioni consiste nell’imporre, a pena di inammissibilità dell’appello, la specifica indicazione delle parti del provvedimento impugnato delle quali si chiede la riforma, degli errori di fatto e degli errori di diritto, nonché dei pregiudizi che da tali errori avrebbe subito l’appellante.

d) Domanda d’appello.

L’appello non può contenere nuove domande, a pena di inammissibilità.

Ai sensi dell’art. 345 c.p.c. possono “domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa”.

“Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio” e “non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”.

“Si ha domanda nuova per modificazione della causa petendi quando i nuovi elementi, dedotti dinanzi al giudice di secondo grado comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in prima grado e sulla quale si è svolto il contraddittorio” (cfr Cass. S.U. 15408/2003).

Riguardo alle eccezioni,invece, le parti possono proporre in appello solo eccezioni in senso proprio, rivolte cioè esclusivamente al rigetto della domanda, in relazione ai motivi di censura od ai motivi esposti già in primo grado.

Nuove eccezioni sono inammissibili.

Allo stesso modo, non possono essere prodotti nuovi documenti e nuovi mezzi di prova, salvo che la parte dimostri di non averli potuti produrre nel giudizio di primo grado, per cause ad essa non imputabili.

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Il divieto di chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova riguarda solo le prove costituende e non quelle precostituite, nel cui caso la produzione di nuovi documenti non esige uno specifico provvedimento del giudice.

Per quanto riguarda, invece, le domande e le eccezioni non riproposte, queste si intendono rinunciate ai sensi dell’art. 346 c.p.c.

Si tratta delle domande e delle eccezioni proposte in primo grado ma non accolte in sentenza: qualora in sede di gravame non vengano riproposte, allora si intendono rinunciate dalla parte impugnante.

e) Appello incidentale (art. 343 c.p.c.)

L’appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta (art. 343 c.p.c.).

Qualora invece l’interesse a proporre appello incidentale sorga dall’impugnazione proposta da altra parte che non sia l’appellante principale, si propone nella prima udienza successiva alla proposizione dell’impugnazione stessa.

La proposizione dell’appello incidentale non richiede particolari formalità ed è soggetto alla stessa disciplina di quello principale.

Il vantaggio è dato dal prolungamento dei termini di impugnazione quando è stata esperita già un’impugnazione principale e contiene una domanda distinta da quelle proposte con l’appello principale.

È ammissibile l’appello incidentale condizionato proposto contro il medesimo capo della sentenza impugnata che ha formato oggetto dell’appello principale, quando rispetto a tale capo, entrambe le parti siano risultate parzialmente soccombenti.

Con tale strumento, l’appellato manifesta la propria volontà di vedere riformata la sentenza su un capo già impugnato dall’appellante.

f) Riserva di appello

Contro le sentenze non definitive o parziali, una parte può riservarsi di proporre appello, differendo i termini.

Ai sensi dell’art. 340 c.p.c., “l’appello può essere differito qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per appellare e, in ogni caso, non oltre la prima udienza dinanzi al giudice istruttore successiva alla comunicazione della sentenza stessa”.

Esprimendo tale facoltà, la parte soccombente si riserva la possibilità di impugnare tale pronuncia contestualmente all’impugnazione della sentenza definitiva.

Qualora un’altra parte impugni immediatamente la sentenza non definitiva, la riserva perde efficacia.

Costituisce sentenza non definitiva quella che rinviando al prosieguo il riconoscimento del bene in contestazione statuisca su questioni in senso lato pregiudiziali o su domande connesse o su alcuni capi dell’unica domanda ovvero sull’an debeatur.

g) Procedimento

L’appello si propone con atto di citazione ritualmente notificato nei termini di legge (entro 30 giorni dalla notifica della sentenza oppure entro 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza non notificata – si applica la sospensione feriale nel computo dei termini).

Successivamente alla notifica dell’atto, l’appellante deve costituirsi in giudizio ed iscrivere la causa

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a ruolo, secondo le forme ed i termini previsti per le cause innanzi al tribunale.

La mancata costituzione in giudizio nei termini rende improcedibile l’appello, ai sensi dell’art. 348 c.p.c.

Se invece l’appellante non compare alla prima udienza, il giudice, con ordinanza, rinvia ad altra udienza e la mancata comparizione alla nuova udienza comporta l’improcedibilità dell’appello anche d’ufficio. (art. 348, 2 comma c.p.c.).

Filtro. L’art. 32 del D.L. 83/2012 convertito in L. 134/2012 ha inserito nel codice di procedura civile gli artt. 348 bis e 348 ter, aventi ad oggetto l’inammissibilità dell’appello. L’art. 348 bis, in particolare, prevede che fuori dei casi in cui debba essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione dovrà essere dichiarata inammissibile dal giudice competente nel caso in cui non abbia una ragionevole probabilità di essere accolta.

È stato così introdotto un filtro di inammissibilità che si basa su una valutazione di ragionevole fondatezza del gravame che dovrà svolgersi in via preliminare rispetto alla trattazione dello stesso.

Tale filtro non opera nelle cause in cui è previsto l’intervento obbligatorio del P.M. (ipotesi dalla evidente connotazione pubblicistica) e nei casi in cui la parte ha optato in primo grado per il procedimento sommario di cognizione, caratterizzato da una non formale istruttoria, che viene così recuperata non solo con il già previsto appello più aperto ai nuovi mezzi di prova ma, appunto, con un’impugnazione senza filtri di inammissibilità.

In altri termini, quando il giudice ritenga che l’impugnazione non abbia fondatezza nel merito, dichiara l’inammissibilità con ordinanza, altrimenti procede alla trattazione, senza adottare alcun provvedimento.

L’ordinanza di inammissibilità potrà essere pronunciata soltanto nell’ipotesi in cui nessuna delle impugnazioni principali e incidentali non tardive abbia ragionevoli probabilità di essere accolta.

In caso di inammissibilità, sarà impugnabile per Cassazione la sentenza di primo grado e questo assorbe ogni tutela costituzionalmente necessaria.

L’appellante deve formare il proprio fascicolo di parte ed inserire nello stesso copia uso appello della sentenza impugnata, pena l’improcedibilità dell’appello.

(Tuttavia la giurisprudenza dominante stabilisce che non è improcedibile l’impugnazione quando, al momento della decisione, si trovi comunque allegata agli atti una copia della sentenza, anche se è stata depositata nell’intervallo tra l’udienza di precisazione delle conclusioni e quella di discussione).

L’appellante inoltre è tenuto a depositare in giudizio anche il fascicolo di primo grado, mentre suddetto obbligo non incombe in capo al convenuto, il quale deve depositare la propria comparsa di costituzione e risposta, l’atto di appello notificato e la procura.

La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva (art. 282 c.p.c.) e, di conseguenza, è prevista la possibilità che il giudice d’appello, su istanza della parte proposta con l’impugnazione principale o incidentale, sospenda in tutto o in parte l’efficacia esecutiva ovvero, se questa è iniziata, l’esecuzione della sentenza, ordinando, qualora lo ritenga opportuno, il versamento di una cauzione (art. 283 c.p.c.).

Ciò è possibile quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti: il giudice dovrà pertanto tener conto, da un lato, della probabile fondatezza dell’impugnazione proposta e, dall’altro lato, dei pregiudizi che potrebbero derivare

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dall’adempimento della sentenza, bilanciando i due elementi.

Sull’istanza di sospensione il giudice provvede alla prima udienza, con ordinanza non impugnabile (né revocabile o modificabile e neppure reclamabile al collegio).

Qualora vi siano ragioni di urgenza, la parte può, tramite ricorso, chiedere al giudice (ovvero, in caso di procedimento di fronte alla corte d’appello, al presidente del collegio) che la decisione sulla sospensione sia pronunciata prima dell’udienza di comparizione delle parti.

Il giudice fissa con decreto in calce al ricorso la data di apposita udienza, ordinando alle parti la comparizione in camera di consiglio e, se ricorrono giusti motivi di urgenza, con lo stesso decreto può provvisoriamente disporre l’immediata sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza. Quest’ultimo sarà poi confermato, modificato o revocato all’udienza in camera di consiglio.

La trattazione avviene innanzi al Collegio ma il Presidente dello stesso può delegare per l’assunzione dei mezzi istruttori uno dei suoi componenti; esaurita l’attività di cui all’art. 350 (ed eventualmente 351) c.p.c., il giudice può anzitutto pronunciare un’ordinanza relativa alle prove (art. 356 c.p.c.) ammettendo una prova nuova, disponendo la rinnovazione totale o parziale dell’assunzione già avvenuta in primo grado ovvero anche ammettendo una prova illegittimamente non ammessa dal giudice di primo grado; se competente è la corte d’appello l’assunzione delle prove è collegiale, a pena di nullità.

In questi casi – così come in tutti gli altri casi in cui il giudice dia disposizioni per effetto delle quali il procedimento deve continuare – si applicano le disposizioni sull’istruzione probatoria (artt. 191 ss.

c.p.c.).

Quando invece non devono essere assunti nuovi mezzi di prova, il giudice, senza essere obbligato a fissare una nuova udienza, invita le parti a precisare le conclusioni e dispone lo scambio delle memorie conclusionali e delle repliche ai sensi dell’art. 190 c.p.c.

La sentenza è depositata entro il termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica e va in ogni caso (id est: non solo quando riforma, ma anche quando conferma) a sostituire la sentenza impugnata.

Di fronte alla corte d’appello ciascuna parte ha il diritto di chiedere che la causa sia discussa oralmente di fronte al collegio, dovendo in tal caso formulare una doppia istanza, dapprima in sede di precisazione delle conclusioni e poi al momento del deposito delle memorie di replica alle conclusionali. Il presidente del collegio, con decreto, fissa la data dell’udienza di discussione – da tenersi entro sessanta giorni – e designa il relatore. La discussione è preceduta dalla relazione della causa e la sentenza è depositata in cancelleria nei sessanta giorni successivi.

Se invece l’appello è proposto al tribunale, ciascuna parte può chiedere che, successivamente allo scambio delle conclusionali, sia fissata udienza di discussione non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse medesime; la sentenza viene depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi.

h) Rimessione al primo giudice – Improcedibilità ed inammissibilità dell’appello.

Il giudice di appello può decidere di rimettere la causa al giudice di primo grado per ragioni di giurisdizione negata (art. 353 c.p.c.) oppure per altri motivi indicati nell’art. 354 c.p.c., ossia se dichiara nulla la citazione introduttiva oppure se ritiene dovesse essere integrato il contraddittorio in

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primo grado o se dichiara la nullità della sentenza a norma dell’art. 161 c.p.c.

Ulteriore caso di rimessione è dato dalla riforma della sentenza che ha pronunciato sull’estinzione del processo.

Qualora l’appello venga dichiarato inammissibile o improcedibile, questo non può essere riproposto neanche se non è ancora decorso il termine di legge.

i) Riassunto della riforma del 2012

Ricapitolando quanto detto nei capitoli precedenti, al fine di una migliore comprensione delle novità apportate al codice di procedura civile dalla legge n. 134 del 7.08.2012 si riassumono i tratti salienti della riforma.

Innanzitutto occorre puntualizzare che essa sarà applicabile ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione: pertanto dal giorno 11.9.2012.

La novità più dirompente è probabilmente una sorta di udienza filtro: il nuovo appello è filtrato, ovvero sottoposto ad un filtro circa la ragionevole probabilità di accoglimento; il ricorso è dichiarato inammissibile con ordinanza non reclamabile quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolto, ferma restando la necessità, codificata dall’art. 348 ter c.p.c., di ascoltare le parti - sul punto - all’udienza ex art. 350 c.p.

Vengono aboliti gli “specifici motivi” richiesti in appello; con la riforma serve la motivazione dell’appello stesso: la motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:

- l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;

- l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

In tema di prove nuove, viene eliminato il riferimento all’indispensabilità: oggi l’ingresso di prove nuove è ammissibile solo ove la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

La novità più dirompente, però, si ribadisce, emerge dalla lettera del nuovo art. 348 bis c.p.c.: fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, l'impugnazione e' dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta.

Tale enunciazione non vale per le cause in cui è obbligatoria la presenza del pubblico ministero e nel grado di appello ad ordinanza decisoria conclusiva di rito sommario di cognizione.

All'udienza di cui all'articolo 350 c.p.c. il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l'appello, a norma dell'articolo 348 bis, comma 1° c.p.c., con ordinanza succintamente motivata anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o piu' atti di causa e il riferimento a precedenti conformi.

Quando è pronunciata l'inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell'articolo 360 c.p.c., ricorso per Cassazione.

In tal caso, il termine per il ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità.

L'ordinanza di inammissibilità e' pronunciata solo quando sia per l'impugnazione principale che per

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quella incidentale di cui all'articolo 333 c.p.c. ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 348 bis c.p.c.; in mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza; in pratica: o entrambe le impugnazioni sono inammissibili, così da dichiarare l’inammissibilità, oppure deve essere dichiarata l’ammissione (in caso di ammissibilità solo di una impugnazione); non c’è spazio per l’inammissibilità parziale.

Tutto quanto detto vale anche per il rito del lavoro.

L’elemento di maggior rilievo è dato sicuramente dalla ragionevole probabilità di accoglimento.

Il giudice si pronuncia sulla questione della ragionevole probabilità tramite ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi; quest’ultima non è impugnabile, essendo previsto – al più – che dalla data (della comunicazione o notificazione) dell’ordinanza suddetta decorra il termine per proporre ricorso per Cassazione, fermo restando il dies ad quem decadenziale fissato dall’art. 327 c.p.c.

Sono ipotizzabili almeno quattro impostazioni diverse per rispondere:

-la tesi della probabilità giurisprudenziale;

-la tesi dei due terzi;

-la tesi della ragionevolezza;

-la tesi (preferibile) del fumus boni iuris rafforzato.

Quando non si applica il filtro: casi codificati ed impliciti

Il filtro de quo non si applica, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., quando è proposto per le cause in cui è necessario l’intervento del Pubblico Ministero, ex art. 70 c.p.c., e quando si appella un’ordinanza decisoria a rito sommario di cognizione, ex art. 702 quater c.p.c.

Accanto ai suddetti casi codificati, però, si ritiene che ben possano sussistere altri casi, per così dire impliciti in cui non è predicabile il filtro e tantomeno la c.d. udienza filtro.

I possibili casi di inapplicabilità del filtro, in via implicita sono almeno:

1) quando il giudice pronuncia con sentenza l’inammissibilità (ad esempio in quanto l’atto è tardivo);

2) quando viene dichiarata con sentenza l’improcedibilità (ad esempio per costituzione tardiva dell’appellante);

3) quando proposti appello principale ed incidentale, solo uno di questi non ha ragionevole probabilità di accoglimento; in tal caso, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza ex art. 348 ter c.p.c.

Il nuovo art. 342 c.p.c.,post novella del 2012, richiede che l’appello, oltre a soddisfare i requisiti di cui all’art. 163 c.p.c.:

-sia motivato;

-contenga, a pena d’inammissibilità, l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;

-contenga, a pena d’inammissibilità, l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Pertanto, emerge che se prima era richiesta l’esposizione sommaria dei fatti, oggi dopo lanovella bisogna indicare esattamente al giudice le parti appellate e le modifiche richieste: non va indicato

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10 solo quello che non va, ma anche come dovrebbe andare.

Inoltre vanno indicate le circostanze da cui deriva la violazione di legge, unitamente alla loro rilevanza pratica.

L’appellante dovrà subito specificare quali aspetti della sentenza contesta: non basterà l’indicazione del capo o della statuizione del dispositivo, ma dovranno essere indicate anche le parti di motivazione della sentenza che si vogliono mettere in discussione; se l’impugnazione vorrà colpire la sentenza in tutte le sue parti, allora non basterà il riferimento generico a tutti i contenuti della stessa, poiché tutto l’atto va motivato.

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11 B) NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Capo II: DELL'APPELLO

Art. 339.

(Appellabilità delle sentenze)

Possono essere impugnate con appello le sentenze pronunciate in primo grado, purché l'appello non sia escluso dalla legge o dall'accordo delle parti a norma dell'articolo 360, secondo comma.

E' inappellabile la sentenza che il giudice ha pronunciato secondo equità a norma dell'articolo 114.

Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell'articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.

Art. 341 (Giudice dell'appello)

L'appello contro le sentenze del giudice di pace e del tribunale si propone rispettivamente al tribunale e alla corte di appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza.

Art. 342 (Forma dell'appello)

L'appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte dall'articolo 163. L'appello deve essere motivato. La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità:

1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;

2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall'articolo 163-bis.

Art. 345

(Domande ed eccezioni nuove)

Nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa.

Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio.

Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio.

Art. 348

(Improcedibilità dell'appello)

L'appello è dichiarato improcedibile, anche d'ufficio, se l'appellante non si costituisce in termini.

Se l'appellante non compare alla prima udienza, benché si sia anteriormente costituito, il collegio, con ordinanza non impugnabile, rinvia la causa ad una prossima udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all'appellante. Se anche alla nuova udienza l'appellante non compare, l'appello è

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12 dichiarato improcedibile anche d'ufficio.

Art. 348-bis

(Inammissibilità dell'appello)

Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta.

Il primo comma non si applica quando:

a) l'appello è proposto relativamente a una delle cause di cui all'articolo 70, primo comma;

b) l'appello è proposto a norma dell'articolo 702-quater.

Art. 348-ter

(Pronuncia sull'inammissibilità dell'appello)

All'udienza di cui all'articolo 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l'appello, a norma dell'articolo 348-bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Il giudice provvede sulle spese a norma dell'articolo 91.

L'ordinanza di inammissibilità è pronunciata solo quando sia per l'impugnazione principale che per quella incidentale di cui all'articolo 333 ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 348-bis. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza.

Quando è pronunciata l'inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell'articolo 360, ricorso per cassazione. In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità. Si applica l'articolo 327, in quanto compatibile.

Quando l'inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell'articolo 360.

La disposizione di cui al quarto comma si applica, fuori dei casi di cui all'articolo 348-bis, secondo comma, lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado.

Art. 352 (Decisione)

Esaurita l'attività prevista negli articoli 350 e 351, il giudice, ove non provveda ai sensi dell'articolo 356, invita le parti a precisare le conclusioni e dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell'articolo 190; la sentenza è depositata in cancelleria entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.

Se l'appello è proposto alla corte di appello, ciascuna delle parti, nel precisare le conclusioni, può chiedere che la causa sia discussa oralmente dinanzi al collegio. In tal caso, fermo restando il rispetto dei termini indicati nell'articolo 190 per il deposito delle difese scritte, la richiesta deve essere riproposta al presidente della corte alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.

(13)

13

Il presidente provvede sulla richiesta fissando con decreto la data dell'udienza di discussione da tenersi entro sessanta giorni; con lo stesso decreto designa il relatore.

La discussione è preceduta dalla relazione della causa; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi.

Se l'appello è proposto al tribunale, il giudice, quando una delle parti lo richiede, dispone lo scambio delle sole comparse conclusionali a norma dell'articolo 190 e fissa l'udienza di discussione non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse medesime; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi.

Quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell’articolo 281-sexies.

(14)

14

C) MODELLO DELL’APPELLO (ex art. 342 come novellato dalla L. 134/2012)

CORTE D'APPELLO DI ...

ATTO DI CITAZIONE IN APPELLO

Per Tizio, C.F.___________, nato a ________, il______, residente in__________, via__________, n.___, elettivamente domiciliato in______, via___, n.__, presso lo studio dell’Avv._____________, C.F.___________, il quale lo rappresenta e difende, in virtù di procura in calce al presente atto, e dichiara di voler ricevere le comunicazioni al n. di fax____________ o all’indirizzo di posta elettronica certificata________comunicato al proprio ordine, ex art. 125, co.1, c.p.c.

CONTRO

Caio (C.F.___) rappresentato e difeso dall’Avv.____ (C.F.____) FATTO

In data ____ veniva formulato atto di citazione diretto a ____ nei confronti di ____

In fase istruttoria emergeva che _____ come desumibile da quanto scritto _____

In data ____ venivano presentate le memorie conclusionali e, successivamente, le repliche, con cui si chiedeva ___

Con sentenza n. ____ pubblicata in data ___ notificata in data __ il Tribunale di .__ statuiva che ___

(1)

Avverso la predetta sentenza, errata e ingiusta, interpone appello l’istante, con il presente atto, al fine di ottenerne l’integrale riforma, per i seguenti motivi in

ovvero

Avverso i capi nn. <…> della prefata sentenza, errati e ingiusti, interpone appello l’istante, con il presente atto, al fine di ottenerne la riforma, per i seguenti motivi in

ovvero

Con il presente scritto difensivo si impugna la suddetta sentenza esattamente nella parte di cui al n.

3, pag. 3 dove si dice che “…” ed il n. 4, pag. 4 dove si dice che “…”; si chiede la modifica di tali parti in favore di una pronuncia che affermi

-…..

-…..

DIRITTO (2)

Tutto quanto esposto viene richiesto per la seguente motivazione:

(15)

15

1. TITOLO MOTIVO (che riassuma in poche parole la censura che si muove alla sentenza) - il fatto, per come enunciato dal giudice di prime cure, non è condivisibile perché in contrasto con

………

- La nuova ricostruzione è rilevante ai fini della decisione perché…..

Si evidenzia che la richiesta è in linea con la giurisprudenza prevalente di cui alle sentenze …., così sussistendo numerosissime probabilità di accoglimento (3).

2. ISTANZA SOSPENSIONE SENTENZA

Le considerazioni sopra esposte in fatto e in diritto dimostrano la fondatezza dei motivi dell’appello che lasciano presumere la probabile riforma della sentenza impugnata.

Nelle more del presente giudizio, tuttavia, l’istanza rischia di vedersi irreversibilmente pregiudicata dall’esecuzione della sentenza gravata, che ha disposto _______

Risultano, dunque, integrati i gravi motivi che, ai sensi, dell’art. 283 c.p.c., giustificano la sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.

Tanto affermato, l’odierno appellante

CITA

Il __________ a comparire innanzi alla Corte d'Appello di ____ per l'udienza del ____, con invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata, ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c., ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al collegio designato ai sensi dell'art. 168 bis c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica la decadenza di cui all'art. 343 c.p.c.

(appello incidentale), per ivi sentire accogliere le seguenti CONCLUSIONI

Voglia la Corte d'Appello di ..., in riforma della sentenza impugnata:

- in via preliminare, accogliere l’istanza di sospensione della esecuzione della sentenza impugnata;

- in via principale, ritenere fondati i motivi di gravame e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata condannare ______ a_______

con vittoria delle spese, competenze e onorari dei due gradi di giudizio.

Ai sensi dell'art. 14, D.P.R. n. 115 del 2002, si dichiara che il valore della presente causa è di € ...

Si depositano:

1) copia autentica della sentenza di primo grado;

2) il fascicolo di primo grado dell'appellante.

_______, lì _________

(16)

16

Firma

Avv. _________________

PROCURA (4)

La sottoscritta Sempronia, nata a __________, il __________, residente in _________ alla via _________, n. ____ (cod. fisc. ____________) delega l’Avv. ____________a rappresentarla e difenderla nel presente giudizio ed in ogni successiva fase e grado, compresa esecutiva, conferendogli all’uopo ogni più ampia facoltà di legge nessuna esclusa, ivi compresa quella di conciliare, transigere, quietanzare, incassare somme, chiamare in causa terzi, spiegare domande riconvenzionali, nominare sostituti in udienza ed indicare domiciliatari,

Elegge domicilio presso lo studio dello stesso avvocato in ___________via __________ n.

__________.

Dichiara di essere stata informata della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati disciplinata dagli artt. 2 e ss. D.L. 134/2014 e di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dal D.Lgs. 28/2010 e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del decreto, nonché dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, come da atto allegato.

Dichiara, inoltre, di essere stati edotta sui rischi del presente contenzioso e sul grado di complessità dell’incarico, nonché di avere ricevuto tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal conferimento alla conclusione dell’incarico e, in particolare, di essere stati resi edotti, in linea di massima, sulle seguenti voci di costo: ...

Infine, dichiarano di essere stati edotti sulla polizza assicurativa professionale dell’avvocato n. ..., stipulata con la compagnia ... il ... con scadenza al ... e massimale di euro ...

Dichiara inoltre di aver ricevute tutte le informazioni previste ai sensi dell'art. 13 del Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR) e art. 13 del D.lgs 196/2003 e s.m.i. e presta il proprio consenso al trattamento dei dati personali per l’espletamento del mandato conferito.

La presente procura è apposta anche ai sensi dell’art. 18, co. 5, DM Giustizia 44/2011, come sostituito dal DM Giustizia 48/2013.

_______, lì _________

Firma _______________

La firma è autentica ed è stata apposta in mia presenza Avv. _______________

(1) Dopo l’illustrazione dell’iter del processo di primo grado, conviene ribadire la volontà di

(17)

17

proporre l’impugnazione. A seguito dell’entrata in vigore della riforma dell’appello intervenuta con l’art. 54 del D.L. n. 83/2012, convertito in L. n. 134/2012, non sono più ammissibili le impugnazioni generiche. Non è pertanto più ammissibile l’utilizzo di formule di stile “ampie”, dovendosi invece circoscrivere con precisione l’oggetto dell’appello, a pena di inammissibilità dell’impugnazione:

l’appellante deve specificare, in altri termini, se chiede la riforma totale o parziale della sentenza di primo grado (vedi art. 342, comma 1, n. 1) c.p.c. come novellato dall’art. 54 del D.L. n. 83/2012).

(2) L’art. 342 c.p.c. richiede, a seguito della riforma operata con l. 134/2012, che l’appello sia motivato, a pena d’inammissibilità. Tale motivazione, pretesa dal suddetto art. 342 c.p.c., impone una riformulazione dell’atto di appello; bisognerà, infatti, redigere l’atto con una parte che evidenzia i rilievi che si muovono alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, e un’altra parte nella quale si indica la versione dei fatti che si sostiene.

(3) Poiché il giudice d’appello può dichiarare l’inammissibilità basandosi su precedenti giurisprudenziali ex art. 348 ter c.p.c., allora al fine di evitare tale pronuncia può essere utile indicare la presenza di orientamenti favorevoli all’accoglimento dell’impugnazione. Quando è pronunciata l’inammissibilità, prima di procedere alla trattazione (sentite le parti), viene emessa un’ordinanza succintamente motivata, anche attraverso il rinvio ad uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi.

(4)In sede d’esame, di fronte ad un atto d’appello è sempre meglio riproporre la procura anche se conferita in primo grado ed è consigliabile inserirla in calce piuttosto che a margine dell’atto.

Ricordatevi che la procura deve essere redatta nello stesso foglio dell’atto e mai in uno totalmente separato da quelli che userete per la prova scritta.

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18 D) ESEMPI DI APPELLO

TRACCIA 1

Dopo aver inutilmente esperito il tentativo di mediazione obbligatoria, la signora Caia, proprietaria di un’unità immobiliare al piano terra dell’edificio condominiale di Via Gamma n. 43, convenne il Condominio innanzi al Tribunale di Trieste per vedersi risarcire il danno cagionatole dalla realizzazione di un ascensore nella corte interna dell'edificio condominiale.

In particolare, Caia lamentava che, pur non essendo mai stata convocata alle assemblee inerenti all'impianto di ascensore, mai notiziata delle delibere al riguardo adottate e mai coinvolta nella divisione delle rispettive spese, il Condominio avesse comunque realizzato un ascensore che comportava una notevole riduzione di luce e aria al suo appartamento e che oggettivamente impediva l'uso di una rilevante porzione (tre quarti) della corte condominiale ove era stato ubicato.

Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva il Condominio Gamma, il quale dimostrava che l’installazione dell’ascensore fosse frutto di una legittima delibera condominiale, mai impugnata, e quindi tuttora valida ed efficace, adottata peraltro per eliminare le barriere architettoniche presenti nell’edificio in favore delle varie persone anziane ivi residenti.

Il Tribunale di Trieste rigettava la domanda sul presupposto che le delibere che avevano deciso l'installazione dell'impianto di ascensore non erano state impugnate precedentemente dall'attrice, a nulla rilevando l'omessa convocazione della stessa alle relative assemblee, in quanto soltanto in sede di impugnativa ex art. 1137 c.c. sarebbe stato possibile dedurre l'invalidità delle decisioni assembleari, causa del ravvisato pregiudizio della proprietà esclusiva della singola condomina. Tali delibere sarebbero perciò risultate tuttora valide e vincolanti anche per la signora Caia, con conseguente carenza dei presupposti per l'azione di risarcimento, ex art. 2043 c.c..

Il candidato, assunte le vesti di legale di Caia, rediga atto di appello avverso la suddetta decisione di primo grado.

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19 POSSIBILE SOLUZIONE TRACCIA 1

CORTE D’APPELLO DI TRIESTE

ATTO DI CITAZIONE IN APPELLO EX ART. 342 C.P.C.

Per Caia (C.F.________), nata a______ il________ e residente in ________ alla via _________

n._____, rappresentata e difesa dall’Avv._________ (C.F.___________), presso il cui studio sito in ... alla via .... elegge domicilio, giusta procura in calce al presente atto, dichiarando di voler ricevere le comunicazioni relative al presente giudizio di appello al seguente indirizzo PEC ... ovvero al seguente numero di fax ...;

– appellante – Contro

Il Condominio di Via Gamma n. 43, in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso nel precedente grado di giudizio dall’avv. ... , presso il cui studio sito in ... , alla via ... n. .... ha eletto domicilio,

– appellato – per la riforma della sentenza n. … depositata in data …, non notificata, resa inter partes dal

Tribunale di Trieste, Giudice …., nel procedimento iscritto al n. di R.G. … SINTESI DELLO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO

- Con atto di citazione ritualmente notificato in data ..., Caia, nella qualità di condomina e proprietaria di un appartamento sito nel Condominio di Via Gamma n. 43, conveniva dinanzi al Tribunale di Trieste il Condominio Gamma al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a causa della decisione dell’assemblea condominiale di realizzare un ascensore nella corte interna dell'edificio.

- In particolare, l’attrice rappresentava che, pur non essendo mai stata convocata alle assemblee propedeutiche all’approvazione dell’impianto di ascensore, mai notiziata delle delibere al riguardo adottate e mai coinvolta nella divisione delle rispettive spese, il Condominio avesse comunque realizzato un ascensore che comportava una notevole riduzione di luce e aria al suo appartamento e che oggettivamente impediva l'uso di una rilevante porzione (tre quarti) della corte condominiale ove era stato ubicato.

- Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva il Condominio Gamma, il quale deduceva che l’installazione dell’ascensore fosse frutto di una legittima delibera condominiale, mai impugnata, e quindi tuttora valida ed efficace, adottata peraltro per eliminare le barriere architettoniche presenti nell’edificio in favore delle varie persone anziane ivi residenti.

- In maniera del tutto inaspettata, non rilevando la nullità delle delibere per violazione dell’art. 1120 c.c., con sentenza n.______ del ... il Tribunale di Trieste rigettava la domanda risarcitoria sul presupposto che le delibere che avevano deciso l'installazione dell'impianto di ascensore non erano state impugnate precedentemente dall'attrice, non avendo nessun rilievo l'omessa convocazione della stessa alle relative assemblee, in quanto soltanto in sede di impugnativa ex art. 1137 c.c. sarebbe stato

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possibile dedurre l'invalidità delle decisioni assembleari, causa del ravvisato pregiudizio della proprietà esclusiva della singola condomina. Secondo la pronuncia “de qua” tali delibere sarebbero perciò risultate tuttora valide e vincolanti anche per la signora Caia, con conseguente carenza dei presupposti per l'azione di risarcimento, ex art. 2043 c.c..

Con il presente atto si intende appellare la predetta sentenza in ognuno dei capi e dei punti che hanno determinato il rigetto delle argomentazioni della Sig.ra Caia, in particolare, nella parte in cui ha statuito che:

1) le delibere assembleari sono tuttora valide e vincolanti per la Sig.ra Caia dal momento che non erano state impugnate precedentemente dall'attrice, a nulla rilevando l'omessa convocazione della stessa alle relative assemblee, in quanto soltanto in sede di impugnativa ex art. 1137 c.c. sarebbe stato possibile dedurre l'invalidità delle decisioni assembleari, causa del ravvisato pregiudizio della proprietà esclusiva della singola condomina (da pag. _____ a pag. ____);

2) la mancata impugnazione e la conseguente validità delle delibere assembleari che hanno autorizzato l’installazione dell’ascensore determinano la carenza dei presupposti per la proposta azione di risarcimento, ex art. 2043 c.c.. (da pag ___ a pag _____).

Si richiede pertanto che Codesta Illustrissima Corte voglia riformare la sentenza impugnata alla stregua dei seguenti

MOTIVI DI APPELLO

1) Error in iudicando et in procedendo - Violazione e falsa applicazione artt. 1120, 1121, 1136, 1137, 2043 c.c. – Nullità della delibera – Autonomia azione risarcitoria.

La sentenza appellata è errata e va riformata là dove, facendo malgoverno della disciplina dell’impugnazione delle delibere condominiali e non rilevando nella specie la nullità delle stesse per violazione dell’art. 1120 c.c., ha illegittimamente subordinato l’azionata tutela risarcitoria nei confronti del condominio alla mancata attivazione della tutela demolitoria di cui all’art. 1337 c.c., dovendo invece considerarla come opzione giudiziaria del tutto autonoma.

Nel caso di specie è indubbio, infatti, che, vertendo la controversia sulla realizzazione di un ascensore all’interno di un cortile condominiale, vengano in rilievo le norme dettate dal codice civile in merito alle cosiddette “innovazioni”, di cui agli artt. 1120 e 1121 (v. ex multis Cass. Pen. Sez. 6, 09/03/2017, n. 6129)

Come noto, nell’ambito del generale diritto di utilizzare i beni comuni condominiali, disciplinato e delimitato dall’art. 1102 c.c., i condomini possono altresì disporre delle innovazioni, dovendosi intendere come tali le modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa stessa, lasciandone immutate sia la consistenza che la destinazione.

Sebbene, da un lato, anche le innovazioni soggiacciano alla disciplina generale che ne prescrive la relativa approvazione da parte dell’assemblea con la maggioranza prevista dall’art. 1136, commi 2 e 3, c.c., dall’altro lato, vista la maggiore pervasività e stabilità nel tempo della scelta, lo stesso art.

1120 all’ultimo comma individua dei limiti inderogabili a tale potere, per cui “Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne

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alterino il decorso architettonico o che rendano talune parti dell’edificio inservibili all’uso anche di un solo condomino”.

In proposito, considerata la perentorietà del divieto imposto dalla norma e dell’interesse che mira a tutelare, secondo la giurisprudenza unanime della Cassazione “è certamente da qualificare nulla la deliberazione, vietata dall'art. 1120 c.c., che sia lesiva dei diritti individuali di un condomino su una parte comune dell'edificio, rendendola inservibile all'uso e al godimento dello stesso, trattandosi di delibera avente oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea” (arg. da Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806; Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12930; Cass. Sez. 6-2, 14/9/2017, n. 21339; Cass.

Sez. 2, 25/06/1994, n. 6109).

Proprio tale ultimo aspetto è sfuggito ai giudici di prime cure allorquando, non inquadrando correttamente la tipologia di invalidità da cui fossero affette le delibere assembleari “de quibus”, hanno statuito erroneamente che le stesse fossero valide ed efficaci per effetto della loro mancata impugnazione nei termini.

Costituisce ius receptum, difatti, il principio per cui la nullità di una deliberazione dell'assemblea condominiale comporta che la stessa, a differenza delle ipotesi di annullabilità, non implichi la necessità di tempestiva impugnazione nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 1137 c.c. Una deliberazione nulla, secondo i principi generali degli organi collegiali, non può, pertanto, finchè (o perchè) non impugnata nel termine di legge, ritenersi valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio, come si afferma per le deliberazioni soltanto annullabili.

La nullità della deliberazione assembleare costituisce, perciò, fatto ostativo all'insorgere del potere- dovere dell'amministratore, ex art. 1130 c.c., n. 1, di darne attuazione, differentemente dalle ipotesi di mera annullabilità, non incidendo questa sul carattere vincolante delle decisioni del collegio dei condomini per l'organo di gestione fino a quando non siano rimosse con pronuncia di accoglimento dell'impugnazione proposta a norma dell'art. 1137 c.c.

Alle deliberazioni prese dall'assemblea condominiale si applica, peraltro, il principio dettato in materia di contratti dall'art. 1421 c.c., secondo cui è comunque attribuito al giudice, anche d'appello, il potere di rilevarne d'ufficio la nullità, ogni qual volta la validità (o l'invalidità) dell'atto collegiale rientri tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere (con riferimento proprio ad azione risarcitoria, cfr. Cass. Sez. 2, 10/03/2016, n. 4726; inoltre, si vedano Cass. Sez. 2, 17/06/2015, n. 12582; Cass. Sez. 2, 12/01/2016, n. 305; Cass. Sez. 6 -2, 15/03/2017, n. 6652).

Non è perciò corretta l'affermazione del Tribunale di Trieste secondo cui la violazione dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c. e la conseguente nullità della deliberazione assembleare siano deducibili solo in sede d'impugnazione di detta delibera, nel caso di specie pacificamente mai proposta.

L'accertamento dell'invalidità può costituire, infatti, una questione pregiudiziale rispetto al riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni soltanto nelle ipotesi di annullabilità della delibera, ovvero in ipotesi di vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, o al procedimento di convocazione o di informazione della stessa, o alla maggioranza occorrente in relazione all'oggetto.

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Se la delibera annullabile non sia impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 1137 c.c., il comportamento del condomino assume, invero, un significato di acquiescenza all'espressione di volontà collegiale, sicchè la praticabilità dell'accesso alla tutela risarcitoria avverso una delibera assembleare annullabile in via complementare ed integrativa alla tutela demolitoria può affermarsi unicamente per quegli eventuali danni che non siano riparabili con l'eliminazione della delibera e delle modificazioni della realtà materiale da essa discendenti, salva poi la necessità della prova degli elementi oggettivi e soggettivi del danno, nonchè del nesso di causalità tra questo e la delibera invalida.

Soluzione diversa va affermata quando la domanda di risarcimento dei danni avanzata dal singolo condominio si ricolleghi all'esecuzione di una deliberazione dell'assemblea nulla, e cioè che abbia oggetto impossibile, illecito, o non rientrante nelle competenze condominiali, o che incida sui diritti individuali inerenti alle parti comuni o alla proprietà esclusiva di ognuno dei partecipanti.

Sul punto la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che “La delibera dell'assemblea di condominio, che privi un singolo partecipante dei propri diritti individuali su una parte comune dell'edificio, rendendola inservibile all'uso e al godimento dello stesso, integra un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al condomino medesimo; quest'ultimo, lamentando la nullità della suddetta delibera, ha perciò la facoltà di chiedere una pronuncia di condanna del condominio al risarcimento del danno, dovendosi imputare alla collettività condominiale gli atti compiuti e l'attività svolta in suo nome, nonché le relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli, e rimanendo il singolo condomino danneggiato distinto dal gruppo ed equiparato a tali effetti ad un terzo. Essendo la nullità della delibera dell'assemblea fatto ostativo all'insorgere del potere - dovere dell'amministratore di eseguire la stessa, l'azione risarcitoria del singolo partecipante nei confronti del condominio è ravvisabile non soltanto come scelta subordinata alla tutela demolitoria ex art.

1137 c.c., ma anche come opzione del tutto autonoma”. (Cassazione civile, sez. II, 26.09.2018, n.

23076).

Alla luce di quanto detto, la sentenza emessa dal Tribunale di Trieste è errata e deve essere riformata nella parte in cui rigetta la domanda semplicemente sulla scorta del fatto che non sia stata impugnata tempestivamente la delibera dell’assemblea condominiale, essendo pacifico che, nelle ipotesi di nullità il condomino leso ha la piena facoltà di proporre autonoma azione di risarcimento danni, non potendosi configurare l’impugnazione ex art. 1137 c.c. quale presupposto indispensabile per la esperibilità dell’azione ex art. 2043 c.c.. La nullità, infatti, non impone la tempestiva impugnazione del verbale dell’assemblea nel termine di 30 giorni dalla decisione ed implica il possibile rilievo della stessa d’ufficio da parte del giudice.

II) Error in iudicando et in procedendo – Violazione e falsa applicazione artt. 1120 e 2043 c.c. – Grave pregiudizio nell’uso del bene condominiale - Sussistenza dei presupposti per il risarcimento dei danni.

Fermo restando quanto detto nel primo motivo di impugnazione, la sentenza si presenta illegittima anche nella parte in cui, nel valutare la sussistenza dei presupposti per il risarcimento del danno,

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avrebbe dovuto rilevare la nullità ex art. 1120 c.c. delle delibere dell'assemblea del Condominio di via Gamma n. 43, che hanno effettivamente privato la condomina-appellante dei propri diritti individuali su una parte comune dell'edificio, rendendola inservibile all'uso e al godimento della stessa.

Proprio con riferimento all’installazione degli ascensori negli edifici, si è sviluppata una copiosa giurisprudenza della Corte di Cassazione volta ad individuare i criteri di contemperamento tra i vari interessi coinvolti, tra i quali devono altresì includersi quelli delle persone disabili interessate alla eliminazione delle barriere architettoniche.

In proposito costituisce principio consolidato quello per cui tale contemperamento di interessi si debba arrestare di fronte ai limiti imposti dall’art. 1120 c.c., avendo la Suprema Corte statuito che “In tema di condominio, l'installazione di un ascensore su area comune allo scopo di eliminare le barriere architettoniche costituisce un'innovazione che, ex art. 2, commi 1 e 2, l. n. 13 del 1989, va approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, commi 2 e 3, c.c, ovvero che, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap, con l'osservanza dei limiti previsti dal comma 3 del citato art. 2, che, prevede che vadano sempre osservati i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c., di modo che tale installazione è vietata se comporta per il condomino un rilevante pregiudizio per l'originaria e naturale utilizzabilità del pianerottolo”. (Cassazione civile sez. VI, 14/09/2017, n.21339).

In virtù di quanto detto, non vi è chi non veda come, nel caso di specie, comportando l’installazione dell’ascensore un rilevante ed indiscutibile pregiudizio (tre quarti della superficie) per l’originaria e naturale utilizzabilità del cortile, la condomina Caia ha tutto il diritto di ottenere il ristoro del danno subito, così come richiesto e quantificato in primo grado, ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Tanto affermato, l’odierna appellante Caia, ut supra domiciliata, rappresentata e difesa CITA

Il Condominio Gamma, in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso nel primo grado di giudizio dall’Avv._______ ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ___________,a comparire innanzi alla Corte d'Appello di Trieste per l'udienza del …, con invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata, ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c., ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al collegio designato ai sensi dell'art. 168 bis c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica la decadenza di cui all'art. 343 c.p.c., per ivi sentire accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia la Corte d'Appello di Trieste, in riforma della sentenza impugnata, emessa dal Tribunale di Trieste n. ______ del_______, depositata il_______, ed in accoglimento del presente appello:

- accertare e dichiarare il diritto al risarcimento dei danni derivanti dall’esecuzione della delibera

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condominiale nulla, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui agli artt. 1120 c.c. e 2043 c.c.;

- per l’effetto condannare il Condominio Gamma al risarcimento, in favore dell’appellante, dei danni subiti, oltre interessi e rivalutazione monetaria;

- con vittoria delle spese, competenze e onorari dei due gradi di giudizio.

Ai sensi dell'art. 14, D.P.R. n. 115 del 2002, si dichiara che il valore della presente causa è di € ... e pertanto il contributo unificato da versare è pari a _____.

Si depositano:

1) copia autentica della sentenza di primo grado;

2) il fascicolo di primo grado dell'appellante.

_______, lì _________

Firma Avv. _________________

PROCURA

La sottoscritta Caia nata a __________, il __________, residente in _________ alla via _________, n. ____ (cod. fisc. ____________) delega l’Avv. ____________a rappresentarla e difenderla nel presente giudizio d’appello avverso la sentenza del Tribunale di Trieste n. _____ del ______,ed in ogni successiva fase e grado, compresa esecutiva, conferendogli all’uopo ogni più ampia facoltà di legge nessuna esclusa, ivi compresa quella di conciliare, transigere, quietanzare, incassare somme, chiamare in causa terzi, spiegare domande riconvenzionali, nominare sostituti in udienza ed indicare domiciliatari.

Elegge domicilio presso lo studio dello stesso avvocato in ___________via __________ n.

__________.

Dichiara di essere stata informata della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati disciplinata dagli artt. 2 e ss. D.L. 134/2014 e di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dal D.Lgs. 28/2010 e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del decreto, nonché dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, come da atto allegato.

Dichiara, inoltre, di essere stati edotta sui rischi del presente contenzioso e sul grado di complessità dell’incarico, nonché di avere ricevuto tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal conferimento alla conclusione dell’incarico e, in particolare, di essere stati resi edotti, in linea di massima, sulle seguenti voci di costo: ...

Infine, dichiarano di essere stati edotti sulla polizza assicurativa professionale dell’avvocato n. ..., stipulata con la compagnia ... il ... con scadenza al ... e massimale di euro ...

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Dichiara inoltre di aver ricevute tutte le informazioni previste ai sensi dell'art. 13 del Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR) e art. 13 del D.lgs 196/2003 e s.m.i. e presta il proprio consenso al trattamento dei dati personali per l’espletamento del mandato conferito.

La presente procura è apposta anche ai sensi dell’art. 18, co. 5, DM Giustizia 44/2011, come sostituito dal DM Giustizia 48/2013.

_______, lì _________

Firma _______________

Le firme sono autentiche e sono state apposte in mia presenza Avv. _______________

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26 TRACCIA 2

Un quindicenne trasportato su un ciclomotore guidato da un coetaneo e rovinato a terra a causa dell’urto con il guard-rail alla sua destra, fu ricoverato in ospedale per fratture alla gamba destra, interessanti anche il ginocchio.

Per errori diagnostici dei medici, non accortisi della lesione di un’arteria, l’arto andò in cancrena e, dopo sette giorni, dovette essere amputato.

Il tribunale, decidendo sulla conseguente domanda risarcitoria, ritenne che per il 50% il fatto fosse ascrivibile alla stessa vittima (per aver viaggiato su un mezzo abilitato al trasporto del solo conducente) e che, per l’altra metà, il danno dovesse essere solidalmente risarcito dalla SAI s.p.a.

(quale impresa designata dal Fondo di garanzia, chiamato a rispondere dell’abbagliamento provocato da un’autovettura non identificata), dal primario ortopedico dell’ospedale dove il paziente era stato inizialmente ricoverato e della ASL di cui l’ospedale costituiva un presidio (per il ritardo nella diagnosi di pregiudizio del circolo arterioso della gamba).

Liquidò il danno, patrimoniale e non patrimoniale, in complessivi€ 1.000.000 e condannò solidalmente i responsabili al risarcimento nella misura di € 500.000.

Il ragionamento del Tribunale è stato in sostanza il seguente:

a) la vittima aveva viaggiato su un ciclomotore, che non è abilitato al trasporto di due persone e che, se le trasporta, ha un minore equilibrio e aveva così violato le disposizioni del codice della strada sicché l’evento si era verificato per il 50% per un comportamento a lui stesso ascrivibile;

b)l’errore dei medici non valeva ad interrompere il nesso causale tra il comportamento contra legem del conducente della vettura non identificata e l’evento dannoso finale (amputazione della gamba);

c) la SAI s.p.a. (per il Fondo di garanzia) doveva dunque rispondere dei danni solidalmente con il primario e con la ASL;

d) in applicazione dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., il risarcimento doveva però essere contenuto solo nella metà del danno, perché il danneggiato aveva concorso col suo comportamento a cagionarlo.

Senza ripetere il fatto, rediga il candidato atto di appello nell’interesse del danneggiato, illustrando le ragioni per le quali chiedereste la riforma della sentenza.

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