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TRIBUNALE DI VERONA SEZIONE FALLIMENTARE OSSERVA

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C.P. n. 18/15

TRIBUNALE DI VERONA SEZIONE FALLIMENTARE

Il Tribunale di Verona, composto da:

Dr. Monica Attanasio Presidente Dr. Silvia Rizzuto Giudice Dr Pier Paolo Lanni Giudice rel

a scioglimento della riserva assunta nel sub procedimento ex art. 186 LF relativo al

concordato preventivo della ,

OSSERVA

Con ricorso depositato il 26.10.21 la per il tramite del patrimonio destinato

“ ”, quale cessionaria dei crediti privilegiati e chirografari della

nei confronti della , ha chiesto, ai sensi dell’art. 186 LF, la risoluzione del concordato proposto da quest’ultima ed omologato con decreto del 17.1.17.

In particolare, il ricorso è stato basato sui rilievi contenuti nella relazione del Commissario giudiziale del 28.4.17, con cui era stata evidenziata la situazione di stallo della procedura e l’impossibilità di assicurare il pagamento integrale dei crediti privilegiati e comunque di qualsiasi percentuale dei crediti chirografari sulla base dei ricavi realizzati e previsti.

Con comparsa depositata il 19.11.21 si è costituita in giudizio la società resistente e ha contestato la fondatezza del ricorso per violazione dell’obbligo di buona fede ed abuso del diritto.

In particolare, la resistente ha evidenziato l’imputabilità della situazione di stallo della procedura proprio alla condotta dell’istituto di credito, il quale aveva prima promesso la concessione di un finanziamento per il completamento di uno dei due cantieri edili posti a base del piano di concordato, aveva poi confermato la promessa dopo l’apertura della procedura di concordato e l’omologa dello stessa ed infine aveva negato il finanziamento promesso.

Orbene, ai fini della decisione va affermata innanzi tutto la tempestività dell’istanza di risoluzione, poiché il termine per l’esecuzione del concordato era stato previsto per la fine dell’anno 2020 e comunque è stato prorogato di 6 mesi ai sensi dell’art. 9 D.L. n. 23/20.

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Ciò premesso, in fatto va rilevato che: -) la proposta di concordato si basava su un piano di continuità diretta impostato sul completamento di due cantieri edili (e la vendita delle relative unità immobiliari), attraverso due finanziamenti in esecuzione del concordato ai sensi dell’art. 182 quater LF, uno dei quali dell’importo di € 3.900.000 e relativo al cantiere di Bovolone (Vr) era stato promesso dalla

, già creditore privilegiato ed ipotecario considerato dalla proposta; -) ed infatti con e.mail del 24.6.15 (allegata al piano di concordato), tale istituto di credito aveva comunicato alla società che “in risposta alla proposta di piano concordatario ai sensi dell’art. 161 VI comma L.F. … i nostri organi deliberanti hanno deciso: … la concessione di nuova finanza ipotecaria di € 3.900.000,00 (euro tremilioninovecentomila/00) da utilizzarsi, ai sensi dell’art. 182 quinquies L.F., con mutuo a Stato Avanzamento Lavori per ultimare il cantiere in Bovolone, garantito da ipoteca di secondo grado sul costruendo immobile in Bovolone”; -) su questo presupposto era stata dichiarata aperta la procedura con decreto del 5.1.16; -) con lettera del 6.10.16, lo stesso istituto di credito aveva confermato la volontà di concedere il finanziamento precisando che “confermiamo che, ad oggi, non sono state assunte delibere difformi rispetto a quanto comunicato con la nostra mail del 24 giugno 2015 riportata nell’allegato A del piano in continuità…”; -) sul questo presupposto e con l’adesione dell’istituto di credito il concordato è stato omologato con decreto del 17.1.17;

-) con pec del 28.2.18 l’istituto di credito, a seguito dell’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa, aveva confermato la volontà di concedere il finanziamento promesso pur a seguito della sua sottoposizione a procedura concorsuale, dichiarando espressamente che “presa visione delle delibere assunte dalla ex in data 23 giugno 2015 e 29 agosto 2016 e tenuto conto dell’avvenuta omologa del concordato preventivo in data 20 dicembre 2016, ha deliberato di confermare quanto a suo tempo deliberato dalla ”; -) con istanza del 28.4.20 la società ricorrente aveva chiesto l’autorizzazione a sottoscrivere il finanziamento in questione alle condizioni indicate da (poi divenuta

), nel frattempo succeduta nella titolarità della posizione della

nei confronti della ricorrente e, con decreto del 17.5.2020, il Tribunale aveva dichiarato il non luogo a provvedere sull’istanza, rilevando la corrispondenza del finanziamento a quanto previsto dal piano e l’esclusione della necessità di un provvedimento autorizzativo ai fini della sottoscrizione dei finanziamenti previsti dal piano e riconducibili alla previsione contenuta nell’art. 182 quater L.F.; -) con PEC del

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17.11.20 aveva confermato la volontà di dar corso al finanziamento in origine promesso da , chiedendo però una garanzia sulla

“tenuta del piano concordatario” e specificamente “l’acquisizione di una nuova attestazione e di una nuova omologazione del piano”; -) nell’ultima relazione periodica del 28.4.21 il Commissario giudiziale, nel ripercorrere tutte le comunicazioni ed i

rapporti intercorsi prima con e poi con e

nell’evidenziare il rifiuto ingiustificato dell’istituto di credito di dar corso al finanziamento alle condizioni previste dal piano di concordato, aveva rilevato la conseguente situazione di stallo della procedura e l’impossibilità per la società ricorrente di rispettare gli impegni assunti con la proposta di concordato.

Tenuto conto di tali rilievi può giudicarsi acquisita la prova delle seguenti

circostanze di fatto: 1) , prima, e , poi, hanno

promesso alla società ricorrente la concessione di un finanziamento di € 3.900.000, riconducibile alla previsione contenuta nell’art. 182 quater comma 1 LF; 2) su questo presupposto la procedura concordataria è stata aperta ed omologata, anche con l’adesione della stessa banca, quale creditrice; 3) nonostante le plurime sollecitazioni, anche del Commissario Giudiziale, l’istituto di credito, pur confermando più volte la disponibilità, non ha dato corso alla promessa, giungendo da ultimo a condizionare la stessa ad eventi incomprensibili dal punto di vista giuridico, come la richiesta di una

“nuova omologazione del piano”; 4) a causa della mancata concessione del finanziamento promesso e del conseguente omesso completamento del cantiere edile di Bovolone, il piano di concordato non è stato eseguito nel termine previsto.

La sintesi esposta rende configurabile in modo evidente una fattispecie di abuso del diritto di azione e di violazione dell’obbligo di buona fede da parte dell’istante, poiché la situazione di stallo della procedura invocata a fondamento dell’istanza è stata dallo stesso provocata, per aver, prima, consentito l’apertura e l’omologazione della procedura concorsuale con una promessa di finanziamento (più volte confermata) e, poi, violato (senza alcuna valida giustificazione) gli impegni assunti.

Al riguardo, richiamato in termini adesivi, il più recente orientamento di legittimità sul fondamento dei due istituti (abuso del diritto e violazione dell’obbligo di buona fede), sul rapporto di genere a specie esistente tra gli stessi e sulle conseguenze non solo risarcitorie, ma anche semplicemente impeditive (exceptio doli generalis) dell’esercizio del diritto fatto valere con abuso o violazione della buona fede (sotto forma di rinuncia implicita, decadenza o consumazione dell’azione: v. Cass. n. 16473/21), va rilevato, con

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specifico riferimento alla violazione dell’obbligo di buona fede, che nella fattispecie in esame: a) l’obbligo violato è quello previsto dall’art. 1375 c.c., riferito all’esercizio dei diritti collegati alle pretese creditorie di derivazione contrattuale dell’istituto di credito, come considerate dalla proposta di concordato, e quello previsto dall’art. 1337 c.c.

riferito alla promessa di finanziamento; b) la violazione dell’obbligo è riferibile all’istante, perché ha espressamente confermato la promessa di finanziamento originariamente formulata dalla (fermo restando che, se anche si volesse considerare in via atomistica il suo ruolo di cessionario del credito della

, gli sarebbero comunque opponibili dal debitore ceduto tutte le eccezioni formulabili nei confronti del cedente circa l’idoneità del titolo negoziale a sorreggere l’azione).

Ne consegue che deve ritenersi precluso all’istante l’esercizio del diritto di chiedere la risoluzione del concordato, per l’effetto impeditivo dell’azione determinato dall’esercizio del diritto stesso con modalità abusive e comunque in violazione dell’obbligo di buona fede.

Del resto, che l’abuso del diritto e la violazione dell’obbligo di buona fede possano rilevare in termini impeditivi anche in relazione alle azioni dei creditori nelle procedure concorsuali trova espressa conferma in disposizioni come quelle contenute nell’art. 12 comma 3ter e 12 bis comma 3bis della legge n. 3/12 (da ritenersi espressive di un principio generale, rilevante in tutte le procedure concorsuali).

La domanda dell’istante deve quindi essere rigettata.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno quindi poste a carico dell’istante nella misura liquidata in dispositivo, applicando i valori medi previsti dal DM n. 55/14 per le procedure prefallimentari (alla luce del richiamano all’art. 15 LF contenuto negli artt. 186 e 137 LF) ed individuando il valore del procedimento sulla base del riferimento al passivo della procedura concordataria.

Inoltre, l’istante deve essere condannato ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c., poiché nella sua iniziativa è configurabile una forma di responsabilità processuale aggravata non solo per il carattere abusivo in sé dell’azione, ma anche per la proposizione di difese manifestamente infondate a sostegno dell’azione (come, in particolare, la difesa volta a far valere il subentro solo nella posizione creditoria e non anche nei rapporti relativi al finanziamento, sostenuta nell’udienza del 26.11.21 e contraddetta da tutta la documentazione su richiamata).

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In particolare, tenuto conto del valore del procedimento (e dell’entità delle spese di lite), della sua finalità, della sua natura ed infine della natura sanzionatoria della condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c., nel caso di specie il danno può essere liquidato in una somma corrispondente alla liquidazione delle spese di lite.

P.Q.M.

- rigetta l’istanza ex art. 186 LF proposta dalla ;

- condanna la . a rimborsare alla le spese di

lite che liquida in complessivi € 4.835, oltre rimborso forfettario delle spese generali (15 %) e cpa;

- condanna la a pagare alla l’ulteriore

somma di € 5.000 ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c.

Così deciso nella camera di consiglio del 17/12/21

Il Presidente

Dott.ssa Monica Attanasio

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