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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PALERMO

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Academic year: 2022

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U N I V E R S I T A ’ D E G L I S T U D I D I P A L E R M O FA C O L T AD I GI U R I S P R U D E N Z A

C o r s o d i L a u r e a S p e c i a l i s t i c a i n G i u r i s p r u d e n z a

D I R I T T O P E N A L E E S O C I E T A ’ D E L R I S C H I O

Tesi di Relatore

Giuseppe Licheri Ch. mo Prof. Giovanni Fiandaca

A n n o a c c a d e m i c o 2 0 0 5 / 2 0 0 6

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INDICE

CAPITOLO I – LA SOCIETA’ DEL RISCHIO

1. LA SOCIETÀ DEL RISCHIO: PROFILI GENERALI 1.1. DINAMICA DI SVILUPPO

1.2.CARATTERISTICHE DEI RISCHI

2. I RISCHI DELLA MODERNIZZAZIONE E LA LORO DIPENDENZA

DAL SAPERE

2.1. INADEGUATEZZA DELL’APPROCCIO SCIENTIFICO 2.2 LA CONOSCENZA NELLA SOCIETA’ DEL RISCHIO 2.2. CONCETTO DI “SISTEMA”

3. GLOBALIZZAZIONE DEI RISCHI

3.1. ESALTAZIONE DELLE SPECIFICITA’ DI CLASSE 3.2 EFFETTO LIVELLATORE DEI RISCHI

3.3. MONDIALIZZAZIONE DEI RISCHI E NUOVE DISEGUALIANZE

4. SOCIETÀ DI CLASSE E SOCIETÀ DEL RISCHIO: DUE DIFFERENTI

PERCEZIONI DEI PERICOLI

4.1. DIVERSITA’ NELLA PERCEZIONE DEI RISCHI

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4.2. DALLA SOLIDARIETA’ PER PENURIA ALLA SOLIDARIETA’

PER PAURA?

5. CRISI DELLA RAZIONALITÀ SCIENTIFICA

5.1 ANATOMIA DI UN FALLIMENTO 5.2. RAGIONI DELL’INSUCCESSO

6. SCIENZE E DIRITTO PENALE: UNA INTRODUZIONE

6.1. CRISI DI UN MODELLO INTEGRATO DI SCIENZA PENALE?

CAPITOLO II – RISCHIO E DIRITTO PENALE:

I PRINCIPALI NODI TEORICI.

1. IL REATO COLPOSO

2. IL REATO OMISSIVO IMPROPRIO

3. RICOSTRUZIONE DEL NESSO DI CAUSALITÀ: LE CERTEZZE (?) DEL DIRITTO PENALE

4. CAUSALITÀ E RAZIONALITÀ SCIENTIFICA: DALLE CERTEZZE ALLA CRISI

4.1.LA SPIEGAZIONE CAUSALE DI EVENTI NELL’EPISTEMOLOGIA CONTEMPORANEA

4.2 CRISI DELLA RAZIONALITA’ SCIENTIFICA E RICOSTRUZIONE DEI MECCANISMI DI SPIEGAZIONE CAUSALE

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5. CAUSALITÀ E MEDICINA LEGALE

CAPITOLO III – LA RESPONSABILITA’ MEDICA

1. RICOSTRUZIONE DEL NESSO CAUSALE E RESPONSABILITÀ DEL SANITARIO: VERSO UNA VOLATILIZZAZIONE DELLA CAUSALITÀ

2. DALLA FLESSIBILIZZAZIONE AL RIEMERGERE DI UN’IDEA FORTE DI CAUSALITÀ

3. LA SENTENZA SS.UU. , CASS. , 12 LUGLIO 2002, FRANZESE 4. CRITICHE GIURIDICHE

5. RILIEVI SCIENTIFICO – EPISTEMOLOGICI.

CAPITOLO IV – IL DANNO DA PRODOTTO

1. IL DANNO DA PRODOTTO COME “BANCO DI PROVA” DEL DIRITTO PENALE NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO

1.1 DESTABILIZZAZIONE DELLE STRUTTURE “CLASSICHE”

1.2. UNA SINTESI DEI PRINCIPALI PUNTI CRITICI 2. TIPOLOGIE DI DANNO E DI RESPONSABILITÀ 3 LA CAUSALITÀ NEL DANNO DA PRODOTTO

3.1. PREMESSA

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3.2 L’ESITO DELLE PRONUNCE IN TEMA DI CAUSALITA’

3.3. LA DEFORMALIZZAZIONE DELLA CAUSALITA’

4 LE RIPERCUSSIONI SULLA STRUTTURA DEL TIPO 4.1. METAMORFOSI DELLA CONDOTTA

4.2 COMMISTIONE TRA AGIRE ED OMETTERE. INCERTEZZE LEGATE ALLA POSIZIONE DI GARANZIA

4.3. LA DESTRUTTURAZIONE DEL TIPO

5. I RISVOLTI IN TEMA DI COLPEVOLEZZA

BIBLIOGRAFIA

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CAPITOLO I

LA SOCIETA’ DEL RISCHIO

SOMMARIO: 1. La società del rischio: profili generali. – 2. I rischi della modernizzazione e la loro dipendenza dal sapere. – 3. Globalizzazione dei rischi. – 4. Società di classe e società del rischio: due differenti percezioni dei pericoli. – 5. Crisi della razionalità scientifica. – 6. Scienze e diritto penale: una introduzione.

1 LA SOCIETA’ DEL RISCHIO: PROFILI GENERALI

1.1. DINAMICA DI SVILUPPO

La modernità avanzata è sorretta da una logica di distribuzione, analogamente a quanto fino a ora è avvenuto per la modernizzazione industriale, ma con una differenza sostanziale.

Difatti, nell’epoca dell’industrializzazione, ad essere distribuita era la ricchezza, fatta di beni, denaro e capitali. La povertà e le condizioni di disagio materiale generavano una domanda da soddisfare: una popolazione affamata e in continua crescita pone all’economia, alla tecnica e alla politica l’esigenza di essere sfamata e soddisfatta nei suoi bisogni

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materiali, anche pagando il prezzo di correre dei rischi, sia dal punto di vista ambientale che da quello igienico.

In altri termini, di fronte a delle condizioni di penuria materiale non ci si è attardati a cautelarsi contro i rischi per la sicurezza umana provenienti da un tumultuoso sviluppo industriale.

Ovviamente, tale processo produttivo di ricchezza poneva problemi distributivi, cui la politica e l’economia hanno cercato di rispondere nel corso del diciannovesimo e del ventesimo secolo.

L’intera dinamica può essere così efficacemente descritta:

“Nelle condizioni date nelle società della penuria, il processo di modernizzazione ha luogo con la pretesa di usare la chiave dello sviluppo tecnico – scientifico per schiudere le fonti nascoste della ricchezza sociale1”.

Riassumendo: lo stato di povertà e di dipendenza di gran parte della popolazione pone alle istituzioni politiche ed economiche il problema della sua risoluzione; il progresso

1 ULRICH BECK, La società del rischio. Verso una seconda modernità. Edizione italiana a cura di Walter Privitera, Carocci Editore, Roma, 2000, pag. 26.

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tecnologico contiene in sé le promesse di emancipazione da tale stato di cose iniziale; i processi produttivi consentono una distribuzione di ricchezza che allevi lo stato di penuria materiale di gran parte della popolazione. Tali processi portano però con sé degli effetti collaterali – termine a cui è bene abituarsi per comprendere il prosieguo della trattazione – in termini di rischi per la salute umana e l’ambiente. In un mondo minacciato dalla fame però questi rischi possono essere anche trascurati e sottovalutati in vista del raggiungimento dell’obiettivo prioritario: attenuare le disuguaglianze2.

L’apice di questa fase storica si è raggiunta con l’affermarsi negli stati occidentali, nel corso del XX secolo, del Welfare State.

A quel punto, un nuovo processo distributivo si è innescato, ma questa volta oggetto di tale dinamica non sono più le ricchezze, bensì i rischi.

2 BECK parla a tal proposito di una “premessa legittimante del processo di modernizzazione [industriale]: la lotta contro l’evidente penuria, nel cui nome si possono accettare anche alcuni effetti collaterali (non più del tutto) imprevisti”, cit. , 27.

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Le condizioni per il passaggio dalla logica di distribuzione della ricchezza nella società della penuria alla distribuzione del rischio nella seconda modernità sono due:

• il livello raggiunto di produttività industriale

consente di limitare e marginalizzare le situazioni di bisogno materiale;

• con la crescita delle forze produttive, si liberano

rischi e potenziali autodistruttivi in dimensioni fino a oggi sconosciute.

Queste condizioni si sono verificate storicamente negli stati occidentali nella seconda metà del XX secolo, nei quali due fattori si sono combinati in maniera decisiva: uno stato sociale maturo insieme a una crescita industriale inverosimile hanno determinato la fine della lotta per il “pane quotidiano” e l’emergere dei rischi.

Possiamo sintetizzare tale passaggio in questo modo: il progresso tecnologico e produttivo ha limitato la penuria materiale; questo però ha fatto passare in secondo piano i conflitti distributivi della ricchezza; di conseguenza è venuta meno la premessa legittimante della modernità industriale di cui

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sopra – più produzione per sconfiggere la povertà diffusa anche a costo di sprigionare rischi diffilmente controllabili - ; i pericoli della crescita produttiva sono emersi in tutta la loro concretezza;

è nata una nuova conflittualità sociale legata alla distribuzione dei rischi.

Ovviamente, i due processi – distributivo della ricchezza e distributivo dei rischi - possono anche intersecarsi. Ed è ciò che avviene nei paesi occidentali, dove le situazioni e i conflitti sociali di una società distributrice di ricchezza si sovrappongono a quelli di una società distributrice di rischi.

In altre parole “ non viviamo ancora in una società del rischio, ma non viviamo più nemmeno soltanto nel quadro dei conflitti distributivi delle società della penuria3”.

3 BECK, cit. , 27.

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1.2. CARATTERISTICHE DEI RISCHI

Soffermiamoci adesso brevemente a esaminare più da vicino la fisionomia dei rischi connessi ad una crescita industriale esponenziale.

Appare subito evidente come tali rischi sprigionino un potenziale altamente distruttivo sia per l’uomo che per l’ambiente: dall’inquinamento ambientale, ai rischi per la salute umana fino al sempre incombente pericolo nucleare.

Si tratta di un percorso senza ritorno: la strada del progresso tecnologico irrefrenabile che si è scelto di percorrere ha innescato delle vere e proprie “bombe a orologeria” destinate a esplodere in un futuro non tanto lontano.

Una precisazione. i rischi non sono un’invenzione della modernità. Sono esistiti in tutte le epoche storiche. Ciò che è profondamente cambiato è il loro carattere. In precedenza i rischi erano personali, evocavano gesta e avventure temerarie.

Adesso si tratta di pericoli globali, che si spingono fino al punto

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di lasciar intravedere l’eventualità di una vera e propria autodistruzione della vita sul pianeta.

Inoltre, nel passato, i pericoli potevano essere ricondotti ad uno sviluppo insufficiente. Oggi al contrario, i rischi sono la conseguenza dello sviluppo industriale eccessivo. Sono un prodotto della modernizzazione, ed hanno una natura globale: le minacce del processo produttivo escono dalla loro sede naturale, la fabbrica, per diffondersi dovunque e minacciare tutta la vita, in tutte le sue forme; vicende come quella di Bhopal, o di Seveso sono altamente emblematiche di tutto ciò.

Sul carattere della globalità dei rischi e sulle conseguenze sociali dell’esposizione ad essi comunque si tornerà più avanti.

Concentriamoci ora sul processo attraverso cui si prende conoscenza dei rischi.

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2 I RISCHI DELLA MODERNIZZAZIONE E LA LORO DIPENDENZA DAL SAPERE

2.1. INADEGUATEZZA DELL’APPROCCIO SCIENTIFICO

Di regola, la discussione sui rischi viene impostata solo in termini tecnico – scientifici, e condotta esclusivamente con categorie tipiche delle scienze naturali. Si tratta di un errore, le cui conseguenze sono evidenti.

Affrontare una discussione sui pericoli del processo produttivo che coinvolgono l’uomo e l’ambiente senza interrogarsi su questioni di rilevanza sociale e politica rischia di limitare l’analisi a una discussione esclusivamente di carattere tecnocratico e naturalistico.

Un esempio aiuterà a comprendere meglio quanto detto: è innegabile come negli studi naturali si ricorra frequentemente al concetto di media, indispensabile per la spiegazione scientifica di un fenomeno specie se statistico. Supponiamo che un ipotetico comitato di esperti dichiari che la concentrazione di

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sostanze tossiche – nella fattispecie piombo - contenute nel latte materno delle donne residenti in una determinata regione sia mediamente innocua. Ma anche il meno acuto dei lettori potrà agevolmente rendersi conto come dietro a un valore medio come quello espresso nell’esempio si nasconda una insensibilità alla dimensione sociale del problema, e perché no, anche una dose di cinismo: dire che nel complesso il valore del piombo presente nel latte materno delle donne di una regione è mediamente innocuo significa ignorare che, nel campione prescelto, alcune donne individualmente o alcune categorie di donne sono maggiormente esposte all’effetto delle sostanze inquinanti e pertanto presentano un valore maggiore di piombo nel proprio latte.

Si finisce così, impiegando il concetto di media, con l’accettare una distribuzione socialmente diseguale del rischio:

“Chi chiede quali siano i valori medi esclude già fin dall’inizio esposizioni socialmente diseguali al rischio. Ma è proprio questo che non si può sapere. Chi sa se ci sono gruppi e condizioni di vita per i quali le concentrazioni “mediamente

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innocue” di piombo, sommate ad altre sostanze, costituiscono un pericolo mortale?4”.

In altre parole, ragionare in termini di media – e quindi in modo esclusivamente naturalistico - significa sottovalutare le conseguenze sociali e politiche dei rischi perché è evidente che le stesse sostanze inquinanti possano avere significati diversi per persone diverse.

Insomma, per illustrare lo stato dei rischi questa modalità di analisi è inadeguata in quanto prescinde dagli uomini e dalla misura della loro esposizione al rischio, nonché sottovaluta gli effetti che il singolo soggetto può subire da una esposizione a molteplici fattori di rischio e dalla interazione tra i medesimi.

Ciò che può apparire innocuo per un singolo prodotto può diventare estremamente nocivo se unito ad altre sostanze inquinanti in quei “collettori finali del consumo che sono diventati gli uomini5”.

Ma focalizziamo meglio la nostra attenzione sulla conoscenza dei rischi.

4 BECK, cit. , 33.

5 BECK, cit. , 34.

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2.2. LA CONOSCENZA NELLA SOCIETA’ DEL RISCHIO

Caratteristica fondamentale dei rischi della modernità è quella di essere invisibili, o quantomeno di non poter percepiti direttamente così come sono senza essere mediati argomentativamente; richiedono cioè una interpretazione causale. In altri termini, occorre chiedersi: da cosa sono causati?

Bisogna chiedersi quali connessioni causali intercorrono tra i rischi del processo produttivo – industriale e le situazioni di pericolo cui ciascuno di noi è esposto. Ma per conoscere queste connessioni serve un tipo di competenza che solo le scienze naturali sono in grado di fornire, serve cioè una razionalità scientifica.

Ora, il potenziale altamente autodistruttivo che i rischi del moderno processo produttivo dispiegano sono tali da far si che nella loro definizione la razionalità scientifica non sia sola, e che con essa concorra una partecipazione “emotiva”, ovvero: chi è esposto a un rischio silenzioso ed esteriormente invisibile non si accontenta delle determinazioni date dagli scienziati, perché

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prima o poi il rischio diventerà evidente, e non potrà più essere occultato con formule matematiche o con esperimenti. Costui – o costoro, basti pensare ai gruppi di cittadini che si battono contro la realizzazione di impianti produttivi considerati pericolosi – pretenderanno di intervenire nelle modalità di determinazione del rischio. Ovviamente tale intervento emotivamente partecipato e mosso da aspettative e valutazioni sociali si realizzerà con gli strumenti della scienza.

Altri scienziati a loro volta sosterranno con altrettanti argomenti della razionalità scientifica le ragioni del processo produttivo e industriale sotto esame, e saranno portati a minimizzare i rischi.

In sintesi: la razionalità scientifica, unica tecnicamente in grado di spiegare i nessi causali che si innestano sui rischi della modernità e quindi a esplicitare gli stessi, si trova pressata da un lato dalle esigenze del progresso tecnologico che chiede ad essa una legittimazione – cioè sostanzialmente una minimizzazione dei rischi in esso contenuti – e dall’altro dalle paure dei soggetti coinvolti. Cioè una pluralità di spinte sociali contrastanti finisce con l’agitare la razionalità scientifica.

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La conseguenza di ciò è chiara: si assiste alla perdita del monopolio della razionalità scientifica nella definizione dei rischi.

Tale perdita deriva direttamente da due fattori, il primo dei quali è rappresentato da una causa interna alla razionalità scientifica: la valutazione dei rischi oggi avviene sempre più sulla base di leggi di tipo probabilistico, quindi per loro natura incerte. Ad esempio, di fronte ai rischi dell’impiego dell’energia nucleare, la scienza non dà risposte sicure, ma solo probabili.

Ma quando anche un solo incidente nucleare è sufficiente per annientare tutte le forme di vita in regioni grandi quanto uno stato sovrano, come ci si può accontentare della mera probabilità che un rischio non si verifichi?

Questo interrogativo spiega anche il secondo fattore di perdita del monopolio della razionalità scientifica. Per valutare i rischi ci si accontenta sempre meno di una spiegazione probabilistica e si guarda sempre più a una prospettiva di valori, sintetizzabile così: è accettabile il rischio della distruzione di molte vite umane per produrre energia atomica?

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Ciò comporta valutazioni politiche, etiche e sociali che sfuggono naturalmente alla razionalità scientifica, ma sono piuttosto il terreno di elezione della razionalità sociale, due forme di conoscenza sempre più divaricate tanto da far parlare di un dialogo tra sordi in cui “una parte pone interrogativi cui gli esperti dei rischi non rispondono, e l’altra dà risposte che così come sono non vanno al nocciolo di quanto era stato chiesto6

Ma nel contempo le due forme di razionalità diventano sempre più interdipendenti: la razionalità sociale influenza quella scientifica nella definizione dei rischi accettabili (accettiamo o meno l’installazione di un determinato insediamento produttivo o la realizzazione di una certa infrastruttura?) ma ne è a sua volta influenzata (per esprimersi sul quesito precedente serviranno altri argomenti scientifici rassicuranti o al contrario inquietanti).

Come a dire che “la razionalità scientifica senza quella sociale rimane vuota, ma la razionalità sociale senza quella scientifica rimane cieca7”.

6 BECK, cit. , 39 – 40.

7 BECK, cit. , 40.

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In buona sostanza, nella nuova modernità definire i rischi comporta da un lato il ricorso a contenuti teorici – provenienti dalla razionalità scientifica – dall’altro la prospettiva di un riferimento ai valori emergenti nella razionalità sociale.

Ciò implica due ulteriori aspetti tra di loro congiunti: una pluralizzazione conflittuale dei rischi della civiltà e la molteplicità delle loro definizioni.

I pericoli della modernizzazione avanzata si moltiplicano, e questo avviene anche in una dialettica interna agli stessi causata dalle incertezze della razionalità scientifica in sede di definizione dei medesimi e dai valori contrapposti che si agitano nella sfera della razionalità sociale. Ad esempio, è a tutti noto come per risolvere il problema dell’effetto serra sia necessario ridurre il ricorso nella produzione di energia a combustibili fossili quali petrolio e carbone preferendo fonti alternative; tra di esse viene individuata l’energia nucleare, ed è risaputo come i sostenitori del suo impiego utilizzino tale argomento a sostegno della propria tesi; nondimeno, l’energia nucleare, proposta come alternativa a i combustibili fossili e quindi come rimedio a un

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rischio – l’effetto serra – porta con sé altri rischi in conflitto con quello verso cui essa si pone come soluzione8.

Gli stessi fattori – incertezza della scienza e valori socialmente contrapposti – sono all’origine del secondo aspetto poc’anzi esposto: la molteplicità delle definizioni di rischio.

Gli interessi sociali ed economici si contrappongono nelle definizioni di rischio. “Ogni causa socialmente riconosciuta viene messa massicciamente sotto pressione perchè si modifichi9”. Cosa causa l’inquinamento ambientale? Forse l’utilizzo massiccio delle automobili? O forse le emissioni prodotte dalle centrali elettriche a carbone e a petrolio? O forse nulla di tutto ciò dovendosi piuttosto individuare la responsabilità del fenomeno nelle sostanze dannose prodotte dagli stati confinanti e trasportate dal vento?

Come si vede, per ogni rischio una serie di argomentazioni scientifiche e di proposte pratiche contrapposte viene sfoderata da chiunque sia pubblicamente messo sul “banco

8 Si potrebbe sintetizzare il tutto ricorrendo a una domanda retorica: “E’ preferibile morire per l’effetto serra causato dal ricorso ai combustibili fossili oppure a seguito di un incidente nucleare conseguente all’utilizzo di una tecnologia che si propone come risolutiva del pericolo legato al surriscaldamento del pianeta?”.

9 BECK, cit. , 42.

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degli imputati”. Marginalmente, è da sottolineare come in una dinamica di tal genere, i media rivestano un ruolo fondamentale nell’orientare la politica e la comunità verso una definizione di rischio piuttosto che un’altra.

2.3. CONCETTO DI “SISTEMA”

Come visto, il panorama si è fatto complicato: gli scienziati tentano di definire i rischi ma, pressati come sono tra le paure delle fasce sociali esposte ai medesimi e gli interessi economici contrapposti di chi, con i propri processi produttivi, causa il rischio e vuole allontanare da sé i sospetti e coloro i quali invece promettono soluzioni per quel rischio – che ovviamente siano a beneficio del proprio processo produttivo, si ritrovano ad elaborare delle definizioni confliggenti: l’unica vittima di tutto ciò è la razionalità scientifica, che perde il proprio primato definitorio acquisito nel corso di secoli10.

10 “L’effetto sociale delle definizioni del rischio non dipende dalla loro validità scientifica” BECK, cit. , 43.

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Tutta questa pluralità oggettiva di rischi e delle loro definizioni porta a una conseguenza: il sorgere di un concetto di sistema di catene causali e cicli di danni, in cui i nessi eziologici che legano tra di loro i pericoli e i fattori che li producono si aggrovigliano fino a perdersi in un intricato labirinto. “Le cause si perdono in un amalgama complessivo di attori e condizioni, reazioni e controreazioni, il che procura al concetto di sistema evidenza sociale e popolarità11”. Inutile dire come in questo labirinto si perda anche la responsabilità, aspetto questo che dovrebbe inquietare molto i giuristi!

Un esempio che illustra meglio il concetto di sistema: di chi è la responsabilità per l’inquinamento dei suoli? La causa prima sembrerebbe essere il ricorso indiscriminato ai fertilizzanti in agricoltura: l’evento si potrebbe quindi imputare agli agricoltori e all’impiego da essi fatto dei fertilizzanti.

O forse responsabili sono le industrie che li producono?

Ma i fabbricanti possono fare ciò perché sono stati gli scienziati a fornire loro le giustificazioni che attestano la sicurezza dei loro prodotti; in fin dei conti però, sono state le autorità

11 BECK, cit. , 43.

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amministrative – su impulso di quelle politiche – che, rassicurate dalla scienza, hanno consentito l’utilizzazione dei fertilizzanti; si ritorna così al primo anello della catena: gli agricoltori. Isolare una responsabilità – morale o politica - in queste condizioni diventa impossibile: vedremo nel prosieguo della trattazione se gli strumenti del diritto penale contemporaneo siano idonei a sanzionare una responsabilità di tipo giuridico – penale.

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3 GLOBALIZZAZIONE DEI RISCHI

3.1. ESALTAZIONE DELLE SPECIFICITA’ DI CLASSE

Accennavamo in precedenza al carattere globale assunto dai rischi nella modernità e alle conseguenze sociali che essi provocano.

Conviene partire da quest’ultimo aspetto. La storia della modernità è la storia di una lotta per attenuare le disegualianze e, perché no, una storia di lotta di classe, il cui scopo è quello di redistriburire la ricchezza prodotta dal progresso tecnologico e industriale.

Ciò postula una situazione di partenza in cui le ricchezze non sono distribuite allo stesso modo, ma sono concentrate in poche mani. In base a questa premessa, le masse “escluse” da questa distribuzione organizzano conseguentemente i propri piani d’azione.

Un fenomeno in parte analogo può essere riscontrato anche nella società del rischio. Ovviamente, le modalità di

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distribuzione dei rischi si differenziano profondamente dalle modalità di distribuzione delle ricchezze, ma ciò non toglie che molti rischi siano distribuiti in forma specifica per ceti o per classi.

“La storia della distribuzione del rischio mostra che i rischi, come le ricchezze, aderiscono allo schema di classe, ma al rovescio: le ricchezze si accumulano in alto, i rischi in basso.

I questo senso i rischi sembrano rinsaldare la società di classe, non superarla12”. Ma solo in questo senso!

Fermiamoci un attimo ad osservare più attentamente la dinamica: è evidente come a un basso reddito si coniuga un basso livello di sicurezza, e viceversa la ricchezza economica sia anche premessa indispensabile per allontanare da sé i rischi indesiderati. I ricchi non abitano vicino agli impianti inquinanti, i poveri si; i ricchi possono mangiare cibi biologici, i poveri no; i ricchi e - si spera – istruiti hanno maggiori probabilità, quantomeno informative, di evitare i rischi, i poveri e i disinformati ne hanno minori.

12 BECK, cit. , 46.

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3.2. EFFETTO LIVELLATORE DEI RISCHI

Ma questo risvolto “classista” della società dei rischi è solo uno degli aspetti sociali del processo di modernizzazione in atto.

E’ innegabile infatti come i rischi - oltre a rinsaldare le differenze di classe – possano sortire anche l’effetto opposto e cioè dispiegare un innegabile effetto livellatore delle differenze sociali e di classe.

Per rendersene conto basta soffermarsi su un dato elementare: tra i maggiori pericoli cui il mondo contemporaneo è esposto vi sono l’inquinamento dell’aria e delle acque. Ora, è evidente a tutti come l’acqua e l’aria inquinata siano bevute e respirate da tutti. Quale sarebbe in questo caso la soluzione, forse non bere e non respirare?

In sintesi: i rischi per un verso esaltano le differenze di classe, per l’altro dispiegano obiettivamente un effetto livellatore. In essi perciò è insita una tendenza immanente alla globalizzazione.

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Principale motore di ciò è quello che possiamo definire come effetto boomerang, che introduce una plateale contraddizione nella società dei rischi il cui potenziale politico è esplosivo: prima o poi, i rischi ricadono anche su chi li ha prodotti e ne ha tratto profitto.

Per illustrare l’effetto boomerang possiamo riprendere l’esempio sopra utilizzato a proposito del concetto di sistema:

l’uso massiccio dei fertilizzanti in agricoltura ha portato dapprima a una crescita della produttività dei suoli che si è ovviamente tradotta in un aumento degli utili, ma ecco che, per innalzare ancora di più il livello di produttività, è stato rafforzato l’impiego dei fertilizzanti, con la conseguenza questa volta invece di ridurre la fertilità del suolo: l’utile per ettaro è cresciuto, ma non con la rapidità con cu isi è intensificato il ricorso a fertilizzanti e pesticidi. Risultato: inquinamento del suolo, perdita di fertilità, minore produttività, minore reddito per gli agricoltori. Responsabili e vittime finiscono per coincidere

Quanto or ora esposto, ci porta a comprendere come l’effetto boomerang non sia limitato soltanto alle conseguenze di tipo sociale e, per così dire ideale, ma scende anche sul piano di

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concretissimi effetti economici: “l’effetto boomerang non è detto che si manifesti solo direttamente, come una minaccia per la vita; può prodursi anche indirettamente, tramite il denaro, la proprietà, la legittimazione. (…) . La moria dei boschi non si limita a far scomparire intere specie di uccelli. Fa diminuire anche il valore economico delle proprietà terriere. Dove si costruisce o si progetta la costruzione di una centrale atomica o di una centrale a carbone, calano i prezzi dei terreni. (…): la proprietà viene svalutata, ciò a cui assistiamo è una forma strisciante di espropriazione ecologica13”. Quindi chi è esposto a rischi non solo subisce un danno alla propria persona, ma anche al suo patrimonio!

Concetto questo interessante, anche per l’elemento di contraddizione che inserisce : il progresso produttivo e industriale porta innegabili vantaggi economici ai suoi attori e beneficiari; ma costoro non possono illudersi di non pagare il prezzo dei rischi da loro messi in circolazione. E si tratta non solo di un prezzo “ideale” ma di un concreto prezzo economico, che porta a un livellamento non solo per quanto riguarda

13 BECK, cit. , 50.

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l’esposizione ai rischi, ma anche i contraccolpi economici. Forse il tanto temuto “pericolo comunista” si sta realizzando attraverso i pericoli innescati dal processo – tutto capitalista – di produzione industriale?

La condizione di globalità dei rischi si può osservare anche con riguardo ad altri due aspetti.

3.3. MONDIALIZZAZIONE DEI RISCHI E NUOVE DISEGUALIANZE

In primo luogo, nella società dei rischi, l’effetto livellatore già descritto fa si che a una classe di coinvolti dal rischio non si contrapponga una classe di non coinvolti, bensì una classe di non ancora coinvolti.

“La diffusione inflazionaria delle malattie fa sì che chi oggi dispone ancora di un cospicuo capitale in termini di salute e benessere fisico domani possa ritrovarsi tra gli assistiti delle casse mutue, e dopodomani tra i paria: gli invalidi e i malati cronici. (…): una condizione priva di rischi si può trasformare

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dall’oggi al domani in un coinvolgimento irreversibile14”.

Nessuno può considerarsi al riparo!

In secondo luogo, gli attori dei processi tecnologici e industriali produttori dei rischi possono essere tentati, per tentare di difendersi – quanto meno nel breve periodo - dall’effetto boomerang di trasferire altrove tali processi, nell’illusione di mettersi così al riparo dai pericoli che essi, novelli Frankenstein, hanno incautamente innescato.

E ciò puntualmente avviene: con il trasferimento nei paesi in via di sviluppo dei processi produttivi più inquinanti e pericolosi si pongono le premesse per il crearsi di nuove disegualianze internazionali15. Ciò è comprensibile solo se poniamo attenzione a quella circostanza che poc’anzi avevamo definito come la premessa legittimante di tutta la modernità industriale: più tecnologia per alimentare lo sviluppo della produzione industriale attraverso cui sconfiggere la miseria senza curarsi del costo in termini di rischi e pericoli, almeno

14 BECK, cit. , 52.

15 “il proletariato della società globale del rischio risiede sotto le ciminiere, vicino alle raffinerie e alle fabbriche chimiche dei centri industriali del terzo mondo”, BECK, cit. , 54.

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finché il livello di povertà risulta intollerabile. Tale premessa, in via di superamento nei paesi occidentali, continua tutt’oggi a essere una triste realtà per gran parte degli Stati e per le loro popolazioni, per le quali “le complesse strutture degli impianti chimici, (…), sono simboli di successo conquistati a caro prezzo.

La minaccia di morte che essi contengono rimane invece invisibile16”.

Fino a quando per questi paese la minaccia visibile della morte per fame sarà più evidente della minaccia invisibile di morte per avvelenamento, nulla potrà arrestare la loro corsa all’emulazione di un modello di sviluppo industriale senza freni che l’occidente ha inventato e trasferito in tutto i mondo.

Questa condizione offre una invitante occasione al management delle imprese occidentali: trasferire nel terzo mondo le produzioni più rischiose consente loro di acquisire una patina di irreprensibilità in casa propria.

E’ sufficiente a tale scopo delocalizzare qualche impianto produttivo pericoloso in paesi in cui la concorrenza della miseria è talmente intensa da vincere sulle paure e sui timori per

16 BECK, cit. , 55.

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l’ambiente e per le persone derivanti dalle produzioni medesime;

in cui l’”ingenuità industriale” della popolazione è tale da consentire alle direzioni d’industria di emanare regolamenti di sicurezza che essi sanno già in anticipo che non verranno mai applicati, perché non potranno mai essere applicati. In questo modo dicevamo, il management acquisisce una veste di irreprensibilità ambientale che consente ad esso di scaricare ogni responsabilità in caso di morti e incidenti ai limiti culturali della popolazione interessata.

Ma anche questo processo di esportazione del rischio altro non è che un vano e illusorio tentativo di ripararsi dall’effetto boomerang. Spesso si dimentica infatti, il carattere planetario che oggi ha assunto la società mondiale: le fortissime diseguaglianze internazionali e le interconnessioni nel mercato mondiale portano davanti alla porta di casa dei ricchi le tragedie dei sobborghi dei paesi poveri: “l’effetto boomerang finisce con l’investire proprio quei paesi ricchi che si sono liberati dai rischi trasferendoli altrove, ma poi importano a basso prezzo prodotti alimentari. Veicolati da frutta, chicchi di cacao,

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mangimi, foglie di tè, i pesticidi fanno ritorno nelle loro patrie altamente industrializzate17”.

E il cerchio della globalizzazione dei rischi della civiltà così si chiude.

4 SOCIETA’ DI CLASSE E SOCIETA’ DEL RISCHIO:

DUE DIFFERENTI PERCEZIONI DEI PERICOLI

4.1. DIVERSITA’ NELLA PERCEZIONE DEI RISCHI

Solleviamo lo sguardo dagli aspetti specifici della società del rischio che abbiamo analizzato – caratteri dei rischi, dinamiche di percezione degli stessi e dimensione globale del fenomeno – per tentare di abbracciare il tutto con una visione d’insieme.

Le società di classe – tali sono quelle nascenti dalla modernizzazione industriale – sono caratterizzate da un problema di fondo: il soddisfacimento di bisogni materiali

17 BECK, cit. , 58.

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visibili. La molla dell’agire in esse consiste nel dare una risposta a bisogni per definizione concreti e visibili: fame, sete, riparo.

In queste società, certezze e scontri sono visibili: la fame e l’opulenza, le baracche e i grattacieli sono certi e visibili.

Nelle società del rischio invece, tutte queste certezze divengono inesistenti, e la spinta all’agire non proviene dal desiderio di soddisfare bisogni materiali, ma dal timore di soccombere di fronte a pericoli irreali e invisibili.

E’inevitabile che nello scontro tra le certezze e i bisogni concreti e visibili della società di classe e i rischi e le incertezze invisibili della società del rischio siano destinate a prevalere le prime. Si crea così un consenso di fronte allo sviluppo impetuoso della produzione industriale. Più impianti chimici, più energia nucleare, più fertilizzanti e pesticidi in agricoltura potranno renderci più ricchi, più sazi, più opulenti. Cosa volete che siano i timori di sparute Cassandre per l’uomo e per l’ambiente a fronte di tali concretissimi vantaggi? “L’evidenza delle necessità rimuove dalla coscienza la percezione dei rischi.

(36)

Si badi bene: solo la loro percezione, non la loro reale esistenza con i suoi effetti18”. E infatti i rischi non vengono rimossi anzi.

Continuano ad esistere e ad agire sotto traccia, fino a quando l’evidenza di pericoli che fino a ieri sembravano spauracchi agitati dai paurosi – o forse incubi irreali da scacciare e di fronte ai quali ci si copre gli occhi per non vedere – prende forma concreta. “Appena il pericolo viene messo a fuoco e comincia a crescere, i vantaggi e le differenze si dissolvono.

Prima o poi i rischi finiscono col rappresentare minacce che relativizzano e minano i vantaggi ad essi connessi19”.

18 BECK, cit. , 59.

19 BECK, cit. , 61.

(37)

4.2. DALLA SOLIDARIETA’ PER PENURIA ALLA SOLIDARIETA’ PER PAURA?

Ecco che a questo punto si verifica un fenomeno che non ci saremmo aspettati: la comunanza di interessi “di classe” che caratterizza la modernità industriale si presenta amplificata nella società del rischio, sotto forma di una inedita solidarietà per paura.

Infatti, il carattere globale dei rischi messi in circolo, una volta che essi abbiano acquisito concretezza, mette tutti di fronte allo stesso pericolo, e crea così una comunanza del tutto nuova;

nuova perché mina i confini degli stati nazionali e delle alleanze economiche; nuova perché fa emergere comunità di pericolo anziché classi sociali ideologicamente contrapposte come siamo abituati a vedere.

Quello che muta rispetto alla solidarietà di classe, è che nella solidarietà per paura vi è una diversa qualità della comunanza.

(38)

Le società di classe erano caratterizzate dall’ideale dell’uguaglianza; le società del rischio dal progetto di sicurezza.

“Il sogno della società classista è che tutti vogliano e debbano avere una parte della torta. Il fine della società del rischio è che tutti siano risparmiati dai veleni20”.

Diversa è anche la molla verso l’azione che caratterizza le due società: “La spinta di fondo della società classista può essere riassunta in una frase: ho fame! La dinamica messa in movimento con la società del rischio si esprime invece con la frase: ho paura!”.

In una sola frase, la solidarietà di classe – data dalla condivisione della medesima situazione di bisogno materiale e dal medesimo desiderio di soddisfare tali necessità – è sostituita da una comunanza indotta dalla paura dei medesimi rischi; paura questa, che travalica le classi sociali, i blocchi economici e le barriere politiche e culturali per accomunare il ricco e il povero, il progressista e il conservatore, l’indù e il musulmano.

20 BECK, cit. , 65.

(39)

5. CRISI DELLA RAZIONALITA’ SCIENTIFICA

5.1 ANATOMIA DI UN FALLIMENTO

Sempre più spesso la discussione pubblica che si sviluppa in occasione di importanti scelte su questioni di fondo riguardanti lo sviluppo tecnico – industriale , - si pensi per esempio al dibattito intorno al nucleare o alla realizzazione di complesse infrastrutture di trasporto quali reti ferroviarie ad alta velocità e simili - , genera nel corpo sociale una spaccatura che sembra riproporre la distinzione operata in tutt’altro ambito da Umberto Eco fra apocalittici e integrati.

Da un lato, i sostenitori tout – court delle ragioni dello sviluppo e del progresso tecnologico: novelli epigoni delle ottocentesche “magnifiche sorti e progressive”, si affidano baldanzosi con fiducia alle rassicurazioni degli scienziati e degli ingegneri, guardando con compassione a chi osi avanzare dubbi o proporre varianti in corso d’opera. Costoro sono paghi delle asserzioni scientifiche sui rischi, e confidano nella capacità degli

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esperti di determinare obiettivamente e in maniera vincolante i pericoli. Si affrettano a liquidare come “irrazionali” le critiche che larghe fasce dell’opinione pubblica muovono verso quest’approccio. Le considerano frutto di una ostilità nei confronti della tecnica e di una errata percezione dei dettagli e delle valutazioni degli esperti.

In sostanza ritengono che le proteste siano un problema di informazione, risolvibile attraverso un aumento delle dosi di conoscenza tecnico – scientifica iperspecializzata, con la conseguenza però di ingenerare ulteriore confusione in un’opinione pubblica di per sé frastornata.

In realtà, proteste, timori, ansie, preoccupazioni, non possono essere liquidate soltanto come un difetto di comunicazione. Esse sono la precisa conseguenza di una insufficienza della conoscenza scientifica nei riguardi del rischio, di una sua incapacità di reagire ai pericoli, di neutralizzarli e di fornire così sicurezza alla sfera pubblica.

La razionalità tecnico – scientifica, a fronte dei crescenti rischi e pericoli della civiltà, ha fallito.

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Questo fallimento è da imputare non a singoli scienziati o a singole discipline ma è invece il fallimento strutturale di un metodo utilizzato per affrontare determinati problemi: “le scienze non sono assolutamente in grado di reagire adeguatamente ai rischi della civiltà, poiché sono ampiamente corresponsabili della loro nascita e crescita21”.

5.2. RAGIONI DELL’INSUCCESSO

La ragione di questo fallimento è da individuare nella compartecipazione della razionalità scientifica allo sviluppo del presente stato di cose. Ciò con riferimento a un triplice ordine di osservazioni.

• In primo luogo, la razionalità scientifica è

prevalentemente orientata alla produttività e all’incremento dei vantaggi economici senza pensare ai rischi: “ ( …): nello sforzo di incrementare la produttività, i rischi sono sempre stati trascurati, e ciò

21 BECK, cit. , 78.

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vale anche per l’oggi. La priorità più urgente della curiosità tecnico – scientifica è l’utilità per la produttività. Solo dopo , ( …), si pensa ai pericoli che possono crearsi22”.

• In secondo luogo, la razionalità scientifica paga

un’insanabile divergenza di percezione dei rischi rispetto alla razionalità sociale. Quelli che gli scienziati chiamano “effetti collaterali” sono, per chi vi è colpito,

“tossire come se si abbaiasse” “ansimare rauchi in cerca d’aria” e “avere il viso viola in caso di nebbia”. Tale diversità nella percezione dei pericoli si fa evidente quando ad essi si tenta di dare una causa e, successivamente, un responsabile.

E’ noto infatti come la razionalità scientifica applichi rigorosamente, nella dimostrazione dei rischi, il principio di causalità: essa cioè ritiene esistenti soltanto quei rischi per cui risultano esistenti delle cause univoche, con la conseguenza che , ogni qualvolta le cause dei pericoli non appaiano certe e univoche, il

22 BECK, cit. , 79.

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rischio stesso non viene considerato tale. E’ chiaro qual è il limite di questa impostazione: fissare un parametro rigido nel riconoscimento dei fattori causali di determinati eventi, significa restringere la cerchia dei rischi non riconosciuti. Viceversa, applicare un “filtro a maglie larghe” nel riconoscimento dei fattori causali di determinati pericoli comporta una maggiore possibilità di riconoscerli socialmente come tali23.

Sono chiare le implicazioni giuridiche di ciò: fin quando la scienza applicherà criteri restrittivi nell’accertamento della sussistenza dei nessi di causalità, saranno pochi gli eventi lesivi riconosciuti come tali e scarse le possibilità di imputare ad essi la responsabilità di un determinato soggetto e di applicare le relative sanzioni, e questo a prescindere dal tipo di responsabilità e di sanzioni, siano esse penali, civili o amministrative.

• Infine, attraverso il ricorso al concetto di valore massimo consentito, un po’ di avvelenamento diventa

23 “Una liberalizzazione della dimostrazione causale equivarrebbe ad una rottura degli argini, con relativa inondazione di rischi e di danni ancora da riconoscere”, BECK, cit. , 82 – 83 .

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normalità: “ i valori massimi consentiti rendono possibile una razione permanente di avvelenamento collettivo

standardizzato. ( …). L’esigenza di per sé ovvia di non essere avvelenati viene respinta come utopistica24”.

24 BECK, cit. , 85.

(45)

6 SCIENZE E DIRITTO PENALE: UNA INTRODUZIONE

6.1. CRISI DI UN MODELLO INTEGRATO DI SCIENZA PENALE?

Dall’analisi sin qui svolta delle linee generali e dei problemi strutturali connessi alla società del rischio, un dato emerge con chiarezza: la crisi della razionalità scientifica, che ovunque non è più in grado di fornire risposte certe e univoche alla pressante richiesta di sicurezza che su di essa scarica una società perplessa e titubante di fronte ai pericoli sprigionati dalla modernizzazione industriale.

A questa crisi non sfuggono neppure quei settori della razionalità scientifica e quelle discipline che, più di ogni altre, presentano connessioni col diritto e – per quanto più da vicino ci interessa – col diritto penale.

Si impone però una breve introduzione, relativa al rapporto tra diritto penale e scienza.

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Nel corso del ventesimo secolo, l’ambizione di tutti i sistemi penali della modernità, - ossia trovare un titolo di legittimazione quanto più incontrovertibile – si è orientata verso la creazione di un legame più stretto con le scienze empiriche e sociali.

Obiettivo del pensiero penalistico, era quello di creare un modello neoilluministico di scienza penalistica, all’interno del quale avvenisse – per mezzo di una integrazione sempre più stretta tra dogmatica giuridica e scienze empirico – sociali – il contemperamento di due esigenze:

• “ ( …) , il potenziamento delle garanzie

individuali, anche grazie alla rilettura degli istituti penalistici alla stregua dei principi costituzionali;

• ( … ), il rafforzamento della razionalità

strumentale del diritto penale – ( …) – grazie all’utilizzazione di conoscenze empiriche ricavabili dal sapere scientifico25”.

25 GIOVANNI FIANDACA, Il giudice di fronte alle controversie tecnico – scientifiche, il diritto e il processo penale, da AA.VV. , Pensare la complessità,itinerari interdisciplinari, a cura di S.

Costantino e C. Rinaldi, Sigma Edizioni, Palermo 2004, 175.

(47)

Insomma, una vera e propria “rifondazione” del diritto penale su basi scientifiche, in cui i vari saperi avrebbero dovuto contribuire alla realizzazione di questo obiettivo, assistendo il legislatore e il giudice in ordine soprattutto a tre momenti: la fase genetica di creazione delle fattispecie incriminatici, la fase della applicazione giudiziale delle norme penali ai casi concreti, la fase esecutiva della pena a seguito di condanne definitive.

Questo ambizioso progetto ha avuto successo?

Probabilmente la risposta è negativa26.

Tuttavia è innegabile la necessità del contributo del sapere scientifico per ricostruire i presupposti della responsabilità penale, e questo non soltanto nell’ambito dell’accertamento processuale, quanto sullo stesso versante delle categorie sostanziali del diritto penale.

Esistono cioè istituti e categorie che non è possibile prendere in considerazione senza il riferimento a conoscenze extragiuridiche. Per fare un elenco, certo incompleto: la

26 ( … ) è verosimile che il progetto di una ( per dir così) “scientifizzazione” del diritto penale si alimentasse sin dall’origine di una illusione “scientista”. Si aggiunga il crescente “disincanto”

verso le certezze della razionalità scientifica che è andato diffondendosi nella complessa e frammentata atmosfera culturale di “ postmodernità”che stiamo ormai vivendo.”, FIANDACA, cit.

, 176.

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causalità, l’imputabilità e la pericolosità sociale, la colpevolezza, ecc..

Si comprende quindi come, ai fini della nostra trattazione, è indispensabile affrontare l’argomento dei rapporti tra diritto penale e scienze empirico – naturali. Come più volte sottolineato, l’incapacità della razionalità scientifica di rispondere ai timori posti dalla modernizzazione industriale, è una delle cause dell’affermarsi della stessa società del rischio.

Davanti a una prospettiva così catastrofica, la paura per le proprie sorti ha portato l’opinione pubblica a chiedere alle istituzioni una migliore protezione delle risorse umane. Nella gran parte dei casi, queste esigenze di protezione si indirizzano verso la sanzione penale.

Tali aspettative si dirigono però verso un terreno – quello del diritto penale – che negli ultimi anni attraversa una fase di profondo ripensamento, interessato com’è da disordinate espansioni - tendenze panpenalistiche che hanno portato più di uno studioso a utilizzare la metafora della metropoli cresciuta caoticamente per descrivere il volto odierno del diritto penale – e altrettanto repentine contrazioni e deflazioni. Se a ciò

(49)

aggiungiamo la crisi della razionalità scientifica che è, al contempo, causa dell’esplodere dei timori e delle incertezze dell’opinione pubblica e fonte di perplessità nel diritto penale, il quadro che ne viene fuori è altamente intricato.

Proveremo a dipanare alcuni fili d’Arianna all’interno di questo labirinto, prendendo a oggetto soprattutto lo studio di uno di quei concetti del diritto penale sostanziale suscettibile di essere riempito di senso solo facendo ricorso a conoscenze extragiuridiche – e segnatamente scientifiche-naturali - : il concetto di causalità.

L’analisi sarà condotta con riguardo ad alcuni settori in cui esso - a causa dei due fenomeni convergenti di crisi della razionalità scientifica e crescita delle insicurezze legate alla società del rischio – è sottoposto a tensioni particolari: il settore della responsabilità medica e la materia della responsabilità del produttore per il danno da prodotto.

(50)

CAPITOLO II

RISCHIO E DIRITTO PENALE:

I PRINCIPALI NODI TEORICI

SOMMARIO: 1. Il reato colposo. – 2 Il reato omissivo improprio. – 3 Ricostruzione del nesso di causalità: le certezze (?) del diritto penale. – 4.

Causalità e razionalità scientifica: dalle certezze alla crisi. – 5. Causalità e medicina legale.

1. IL REATO COLPOSO

I settori della responsabilità medica e del danno da prodotto appaiono oggi come un duro banco di prova per le tradizionali categorie penalistiche, sottoposte alle tensioni di quella che abbiamo poc’anzi definito come la modernità postindustriale: in essi infatti assistiamo alla difficile compenetrazione tra modelli teorici pensati nel contesto della società industriale dei secoli diciannovesimo e ventesimo – con tutto il suo retroterra di solide certezze illuministiche e garantiste – ed esigenze pratiche di una società contemporanea che di punti di riferimento saldi si trova priva, e che tenta di reagire alle insicurezze e ai rischi scaricando le stesse sul diritto penale, che

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sembra quasi dover pagare il fio del desiderio di sicurezza perduta!

La responsabilità penale in questi ambiti è terreno scivoloso, dal momento che coinvolge i punti nevralgici della costruzione penalistica: il reato colposo e il reato commissivo mediante omissione, altrimenti detto reato omissivo improprio.

Non si può così prescindere dalla breve osservazione dell’assetto che i suddetti istituti hanno nel diritto vigente.

Secondo la dottrina più convincente, gli elementi costitutivi della fattispecie colposa sono più complessi rispetto a quelli del reato doloso.

E difatti, già sul terreno della tipicità sono presenti alcuni nodi problematici particolarmente ostici, che si rivelano tutt’altro che dotati di linearità; ci riferiamo al concetto di azione penalmente rilevante, all’inosservanza delle regole precauzionali di condotta, alla violazione del dovere di diligenza e alla causazione dell’evento.

E’ noto come l’art. 42 del c.p. richieda, per la punibilità delle azioni e omissioni prevedute dalla legge come reato, la sussistenza di due coefficienti psicologici, la coscienza e la

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volontà. Tale requisito ha indubbiamente una funzione

“selettiva”, essendo funzionale cioè all’obiettivo di distinguere ciò che è azione o omissione penalmente rilevante da ciò che non lo è, secondo un ragionamento che si potrebbe sintetizzare così: “ è azione o omissione penalmente rilevante – e costituisce quindi presupposto per un addebito di responsabilità penale – solo quell’azione o omissione commessa con coscienza e volontà”.

Appare intuibile come solo nei reati dolosi la coscienza e la volontà rappresentano essere coefficienti psicologici effettivi – nel senso che l’azione dolosa è effettivamente cosciente e volontaria, laddove invece nel reato colposo “ assumono rilevanza penale non solo comportamenti coscienti e volontari, ma anche comportamenti che non corrispondono al concetto di azione quale dato sorretto dalla coscienza e volontà come coefficienti psicologici effettivi27”.

Di conseguenza, nei reati colposi, per azione o omissione cosciente e volontaria si deve intendere quella azione o

27 GIOVANNI FIANDACA – ENZO MUSCO, Diritto penale, Parte generale. IV edizione, Zanichelli Editore, Bologna, 2001, 499.

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omissione cosciente e volontaria in quanto dominabile e controllabile mediante l’attivazione dei poteri di arresto e impulso che presiedono alla volontà umana.

In questo senso quindi “vi è azione penalmente rilevante finchè è possibile muovere un rimprovero per colpa; (…), i presupposti dell’azione finiscono col coincidere con le condizioni che rendono possibile l’imputazione colposa. (…):

azione e colpa stanno e cadono insieme28”. Ovviamente, il requisito della coscienza sarà integrato da un coefficiente psicologico effettivo solo nella cd. colpa cosciente, in cui per l’appunto si rimprovera al soggetto di aver preveduto l’evento di danno come conseguenza della sua azione ma di aver agito nonostante ciò, confidando nelle proprie capacità di controllo e dominio delle proprie azioni.

Nella cd. colpa incosciente invece – che rappresenta la maggior parte dei casi di reato colposo – è proprio il requisito della coscienza a difettare, sicché l’azione o omissione viene addebitata al soggetto in quanto egli ha omesso di dominare con

28 FIANDACA – MUSCO, cit. , 500.

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la propria volontà l’azione non osservando, pur potendolo, le regole di diligenza richieste dalla situazione concreta.

La violazione delle regole precauzionali di condotta rappresenta poi un altro degli elementi tipici della fattispecie obiettiva nei reati colposi, come previsto dal comma 3 dell’art. 43 c.p. , rilevando anche in sede di giudizio di colpevolezza, tanto da far parlare gli studiosi di “ doppia misura del dovere di diligenza29”.

In sintesi, al soggetto agente si rimprovera di avere, con la propria azione o omissione, violato quelle regole cautelari che rappresentano “ la cristallizzazione di giudizi di prevedibilità ed evitabilità ripetuti nel tempo30”, e la cui origine, come è noto, può essere sociale o giuridica.

Il dovere di diligenza poi è doppio perché, in sede di tipicità si verifica che il soggetto abbia agito rispettando le regole cautelari con la diligenza propria dell’homo eiusdem professionis et condicionis – cioè la misura della diligenza viene valutata alla stregua di un parametro oggettivo - ; in sede di colpevolezza

29 FIANDACA – MUSCO, cit. , 524.

30 FIANDACA – MUSCO, cit. , 502.

(55)

invece il giudizio sul rispetto del dovere di diligenza viene

“personalizzato”, verificando se “il soggetto che ha agito in concreto era in grado ( …) di impersonare il tipo ideale di agente collocato nella situazione data31”.

La particolarità della struttura del reato colposo viene poi in rilievo anche per quanto riguarda la causazione dell’evento.

La nozione di evento semplicemente inteso come risultato esteriore riconducibile casualmente alla condotta umana non è sufficiente in questo caso: nel reato colposo l’evento non solo dev’essere riconducibile eziologicamente alla condotta negligente o imprudente del soggetto, ma per imputare la medesima al soggetto è indispensabile che l’evento sia di quelli del tipo descritto dalla regola cautelare violata e ne rappresenti una concretizzazione: “in altri termini, l’evento deve apparire come una concretizzazione del rischio che la norma di condotta violata tendeva a prevenire32”. Ovviamente ciò è dettato da una imprescindibile esigenza di garanzia, essendo contrario al principio di personalità della responsabilità penale che un

31 FIANDACA – MUSCO, cit. , 511.

32 FIANDACA – MUSCO, cit. , 516.

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soggetto venga chiamato a rispondere per un fatto che, pur rappresentando la conseguenza materiale della propria condotta, non appaia in realtà come la concretizzazione del rischio che si intendeva prevenire.

2. IL REATO OMISSIVO IMPROPRIO

E’ nota a tutti l’origine delle cd. fattispecie omissive improprie: esse derivano dal “connubio” tra la clausola di equivalenza contenuta nell’art. 40 cpv. c.p. – la quale stabilisce che “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” – e le singole fattispecie di parte speciale. “Proprio per effetto di un simile innesto sorge una nuova fattispecie incentrata sul mancato impedimento dell’evento33”. Fattispecie che, è il caso di ricordarlo, si caratterizza per essere dotata di autonomia strutturale, in quanto

“incrimina l’inosservanza dell’obbligo di impedire l’evento [ e

33 FIANDACA – MUSCO, cit. , 547.

(57)

perciò] non può non essere imperniata su di una norma di comando34”.

L’ambito di operatività dell’art. 40 cpv. è limitato ai soli reati di evento e, nell’ambito della medesima categoria, ai soli reati causali puri, gli unici suscettibili di subire la conversione di cui sopra.

La particolarità nel terreno dei reati omissivi impropri è duplice, dal momento che la struttura del medesimo diverge dal tradizionale modello di illecito commissivo per due motivi:

• in primis, tra gli elementi della fattispecie obiettiva

non troviamo un’azione e un evento casualmente riconducibile alla stessa, bensì una omissione o, meglio ancora, “da un lato la condotta omissiva di mancato impedimento e, dall’altro, l’evento non impedito35”, ed è tra questi due elementi che dovrà essere dimostrata l’esistenza di un nesso di causalità;

• l’obbligo giuridico di agire per impedire l’evento non può gravare genericamente su tutti i cittadini, ma

34 FIANDACA – MUSCO, cit. , 547.

35 FIANDACA – MUSCO, cit. , 553.

(58)

esclusivamente su coloro i quali rivestano una particolare posizione di garanzia nei confronti dell’incolumità del bene giuridico altrui: il dovere di impedire eventi lesivi a carico di beni altrui non può che rappresentare un’eccezione, ammissibile in presenza, appunto, di un obbligo giuridico.

E’evidente come un obbligo di siffatta natura incombe sul medico o sul produttore, che sono pertanto costituiti garante dei beni giuridici vita e integrità personale – rispettivamente – dei propri pazienti e dei consumatori dei propri prodotti, stante la indiscussa rilevanza che la tutela di essi riveste nell’ordinamento penale vigente, in accordo con la concezione contenutistico – funzionale di individuazione degli obblighi di garanzia.

Occorre soffermarsi sul primo dei due motivi di particolarità che caratterizzano i reati omissivi impropri: la sussistenza del nesso di causalità si configura in tali fattispecie non già tra un’azione e un evento, bensì tra un’omissione – il mancato impedimento dell’evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire – e un evento.

(59)

La difficoltà è di tutta evidenza: nei reati omissivi impropri uno dei due poli del rapporto di causazione dell’evento è rappresentato da qualcosa di privo di un sostrato materiale – empirico, da una non-azione per l’appunto36.

Giocoforza è impossibile non sostenere la diversità tra il rapporto di causalità esistente nei reati commissivi e quello esistente nei reati omissivi impropri: “mentre nei reati commissivi si tratta di stabilire un nesso di derivazione tra dati reali del mondo esterno (…), nell’ambito delle fattispecie omissive improprie il problema è di verificare se e in che modo l’eventuale compimento dell’azione dovuta avrebbe inciso sul corso degli accadimenti e, in particolare, se sarebbe valso a evitare la verificazione dell’evento lesivo37”.

Per determinare quindi l’esistenza o meno del nesso eziologico tra l’omissione e l’evento è necessario emettere un giudizio ipotetico o prognostico: si suppone come mentalmente

36 Vale la pena anticipare in questa sede come tale ricostruzione di uno dei due poli della causalità omissiva come privo di un sostrato empirico sia attualmente oggetto di contestazione da parte di studiosi che, rifacendosi all’insegnamento di Federico Stella, ritengono che anche l’omissione sia dotata di una sua materialità e parlano a tal proposito di causalità reale, vd. infra

37 FIANDACA – MUSCO, cit. , 554.

(60)

esistente l’azione doverosa e si verifica se, in presenza di essa, l’evento lesivo sarebbe venuto meno oppure no .

Tale giudizio dev’essere effettuato anche in quest’ambito mediante l’ausilio della teoria condizionalistica corretta dal ricorso al modello di spiegazione causale della sussunzione sotto leggi scientifiche, e attraverso l’impiego quindi di una formula che suona più o meno così: “l’omissione è causa dell’evento quando non può essere mentalmente sostituita dall’azione doverosa senza che l’evento venga meno”.

Il punto più problematico riguarda a questo punto il grado di attendibilità della spiegazione causale raggiungibile nel campo della causalità omissiva: con quale probabilità l’azione doverosa avrebbe potuto evitare l’evento perché sussista la responsabilità penale in capo al soggetto per mancato impedimento dello stesso?

In questo contesto già di per sé caratterizzato da numerose difficoltà interpretative e applicative si inseriscono tutti i dubbi che tormentano la categoria penalistica della causalità, divenuta – a seguito della crisi della razionalità scientifica e della incertezza che connota ad oggi le scelte sociali – terreno di scontro tra opposte concezioni dell’intervento penale che così possono

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