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COMMISTIONE TRA AGIRE ED OMETTERE

Nel documento UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PALERMO (pagine 171-176)

IL DANNO DA PRODOTTO

4. LE RIPERCUSSIONI SULLA STRUTTURA DEL TIPO

4.2. COMMISTIONE TRA AGIRE ED OMETTERE

INCERTEZZE LEGATE ALLA POSIZIONE DI GARANZIA

Nel già citato caso Ledersprayfall, i giudici tedeschi hanno affermato la responsabilità penale degli amministratori della società produttrice a titolo di lesioni colpose omissive per i danni alla salute dei consumatori cagionati prima che venisse deliberato di non ritirare il prodotto dal mercato, e a titolo di lesioni dolose per gli eventi dannosi avvenuti successivamente a questa decisione.

Quanto alla responsabilità dolosa, essa è stata ricollegata alla decisione, adottata dal consiglio d’amministrazione della società nel maggio del 1981, di non ritirare dal mercato il prodotto nonostante fin dai mesi precedenti si fossero verificati una serie di edemi polmonari “sospetti”.

La decisione collegiale di non ritirare il prodotto è stata considerata come una condotta attiva, consistente in una

manifestazione di volontà rilevante verso l’esterno, sebbene nel caso di specie si fosse in sostanza deciso di non decidere nulla124!

Ora, è del tutto evidente che nel settore del danno da prodotto, la presa di coscienza della pericolosità di un bene per la salute dei consumatori impone il suo ritiro dal mercato. La norma di comportamento ha quindi la struttura di un comando, trasgredibile solo con una condotta omissiva, con l’inerzia di chi doveva adottare i provvedimenti opportuni (ritiro dal mercato, modifica della composizione del prodotto...) e non l’ha fatto.

E’ impossibile quindi qualificare una decisione collegiale alla stregua di un facere; eliminando mentalmente la delibera, l’evento dannoso – sempreché esso fosse davvero imputabile allo spray – si sarebbe comunque verificato!

“In questo contesto, il travisamento operato dalle Corti tedesche sta nel proiettare una cornice di materialità sulla deliberazione collegiale, intravedendo nell’esercizio del diritto di voto e nell’esito finale altrettante unità di azione

124 “Non si è avuto riguardo al contenuto della decisione ( che si è risolta nel lasciare immutata la situazione di asserito pericolo), ma alla sua forma, al fatto cioè che costituisse la risultante di una pluralità di manifestazioni di volontà rilevante verso l’esterno”, PIERGALLINI, cit. , 238.

naturalisticamente percepibili e dunque produttive di conseguenze sulla realtà esterna125”.

Relativamente alla responsabilità a titolo di omissione, essa è stata imputata agli amministratori della società in quanto costoro sono stati gli artefici di una “precedente situazione pericolosa” e su costoro gravava l’obbligo di rimuoverla a titolo di garanti della tutela del bene incolumità fisica dei consumatori ( cd. posizione di garanzia ex Ingerenz).

Tale situazione di pericolo sarebbe stata cagionata dalla messa in circolazione del prodotto, considerata come un comportamento preliminare a rischio crescente, la cui riprorevolezza però, viene fatta derivare dal verificarsi dei primi casi di danno e non dalla consapevolezza della pericolosità del prodotto (inesistente ex ante nel momento in cui il prodotto viene commercializzato, ma verificabile solo ex post dopo che il danno si è già verificato).

Ora, lo svolgimento di attività rischiose è generalmente preso in considerazione dall’ordinamento penale ( cfr. ad esempio la categoria del rischio consentito), che circonda di regole

125PIERGALLINI, cit. , 240.

cautelari – molto spesso scritte e formalizzate in atti normativi – lo svolgimento di queste attività. Basti pensare alla circolazione stradale, agli infortuni sul lavoro, ecc... . Tutti settori in cui il pericolo di gravi danni a beni giuridici di importanza basilare ( vita, incolumità fisica) è connesso allo svolgimento di attività peraltro utili e consentite dall’ordinamento – previo giudizio di bilanciamento di interessi con gli altri valori in campo – .

Affinché tutto ciò sia possibile, è però necessario disporre di una base nomologica di giudizio: occorre conoscere le modalità di svolgimento causale che conducono dal pericolo al danno. Solo conoscendo ciò, è possibile individuare misure cautelari destinate a eliminare o a ridurre il rischio.

Nel danno da prodotto invece, è proprio tale base nomologica ad essere carente. La pericolosità del prodotto non è definibile prima della sua immissione in commercio, ma solo dopo che si sono verificati i primi danni alla salute dei consumatori; diventa così impossibile enucleare regole cautelare efficaci, e “i soggetti interessati non sono messi nelle condizioni di conoscere in anticipo, che cosa l’ordinamento penale richiede loro: saranno chiamati a rispondere non già per aver omesso di

esercitare il necessario controllo su determinate fonti di pericolo, ma – essenzialmente – per aver incardinato un rischio (generale) individuabile nella messa in circolazione dei prodotti126”.

E’ evidente come, giunti a questo punto, non si possa più parlare di rischio consentito.

Emerge piuttosto un generale principio di profilassi nello svolgimento di attività lecite dannose così sintetizzabile: dal momento che non sono chiari i meccanismi che provocano il danno alla salute dei consumatori, chiunque produce o mette in commercio un prodotto per il quale non si è ancora in grado di stabilire se sia dannoso o no ha un generale obbligo di impedire o minimizzare il danno derivante dal prodotto.

Ma dal momento che, come si è osservato, nulla può fare il produttore per impedire l’evento lesivo perché nulla si sa sulla nocività del prodotto, ecco che tale principio di profilassi finisce col veicolare una forma di responsabilità sostanzialmente oggettiva, pericolosamente in contrasto con i principi del nostro ordinamento.

126PIERGALLINI, cit. , 244.

Appare quindi chiaro il vulnus inferto al principio di tassatività: “l’obbligo di impedire l’evento poggia sulla violazione di un precedente obbligo di prevenzione, che non supera il vaglio di alcuna legge di copertura e che non può quindi incardinare alcun dovere penalmente rilevante. L’agente, cioè, si trova davanti all’impossibilità di reperire una regola cautelare preconfezionata, non avendo a disposizione né regole di esperienza comuni, né tantomeno norme cautelari positivizzate idonee a conformare la sua condotta127”.

Nel documento UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PALERMO (pagine 171-176)