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DALLA FLESSIBILIZZAZIONE AL RIEMERGERE DI UN’IDEA “FORTE” DI CAUSALITA’

Nel documento UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PALERMO (pagine 103-127)

LA RESPONSABILITA’ MEDICA

E RESPONSABILITA’ DEL SANITARIO: VERSO UNA VOLATILIZZAZIONE DELLA CAUSALITA’?

2 DALLA FLESSIBILIZZAZIONE AL RIEMERGERE DI UN’IDEA “FORTE” DI CAUSALITA’

Verso la fine del secolo, il pendolo della giurisprudenza di legittimità in materia di ricostruzione del nesso causale e responsabilità del medico per omesso impedimento dell’evento lesivo, sembra nuovamente oscillare in direzione di un concetto di causa penalmente rilevante in senso “forte”. Si ricomincia infatti a leggere nelle sentenze formule come alto gradi di

74 VENEZIANI, cit. , 257.

probabilità razionale, e si torna perfino a chiedere, in sede di ricostruzione del nesso eziologico, una probabilità confinante con la certezza, se non addirittura la certezza stessa che la condotta doverosa avrebbe impedito l’evento.

Il clima culturale in cui maturano queste sentenze della corte di Cassazione è segnato da una maggiore attenzione della dottrina alle problematiche connesse alla causalità,che si dispiega in direzione di un deciso recupero delle funzioni garantistiche sottese al principio in esame.

A tal proposito, meritano di essere brevemente analizzati due contributi decisivi al radicarsi di questo nuovo convincimento in materia.

Il primo di essi è rappresentato dalla riscoperta e dalla accresciuta fortuna che hanno riscosso – in quegli anni a cavallo fra i due secoli – le opere di FEDERICO STELLA.

La posizione di questo studioso è invero particolarmente radicale.

Essa prende spunto da una interessante constatazione che non è scevra da valutazioni politico – ideologiche: negli ordinamenti democratici, in cui prevalgono esigenze di garanzia

dei diritti individuali, i sistemi processualpenalistici sono tutti incentrati sulla presunzione di innocenza dell’imputato, contrariamente a quanto avviene invece nei regimi totalitari in cui l’imputato è presunto colpevole fin dall’inizio del processo e spetta a egli discolparsi.

La presunzione di innocenza, secondo STELLA, si unisce, sul terreno probatorio, al principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio (in realtà principio di matrice anglo – americana ), secondo cui, per potere condannare in sede penale – a differenza che in sede civile in cui varrebbe la regola del più probabile che no – la prova della responsabilità dell’imputato – e quindi della sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie – dovrebbe essere certa, e superare per l’appunto la barriera rappresentata dal dubbio ragionevole. Esplicita è in questo senso la critica al principio – previsto dal nostro ordinamento – del libero convincimento del giudice, che lascerebbe spazio a una discrezionalità troppo ampia e addirittura sarebbe il residuo di concezioni ideologiche di stampo autoritario.

Tutto ciò, trasferito nella materia che ci interessa, significa che per poter affermare la sussistenza del nesso di causalità nel

caso di condotte omissive del medico, è indispensabile che la condotta doverosa sia idonea a impedire l’evento con un coefficiente probabilistico vicinissimo a cento, ossia alla certezza.

Premessa logica per sostenere ciò è la negazione del carattere ipotetico della causalità omissiva, che, al contrario, secondo STELLA, avrebbe carattere reale. Le parole dello studioso sono riprese alla lettera dalla Corte di Cassazione.

“In una visione moderna della causalità” scrive la Corte

“le entità che entrano in relazione di causa ed effetto non sono forze od energie materiali, ma processi o eventi, sicché, se ciò è vero, bisogna includere tra quelle entità anche i processi statici – il tavolo che rimane immutato, si dice, è un processo statico, (…) – con la conseguenza che, nella relazione di causa ed effetto, entra anche l’omissione, il non – fare”. Prosegue la Corte, impiegando le parole di Stella, “sotto il profilo dell’accertamento, il procedimento utilizzato per stabilire se l’omissione è condizione statica necessaria non è diverso, ma identico, nella sua struttura, a quello cui si ricorre per giustificare la causalità dell’azione. Identico è infatti l’oggetto della spiegazione: un avvenimento del passato; identico il

giudizio che si deve compiere per individuare la condizione necessaria: il giudizio controfattuale o ipotetico teso ad appurare se, senza la condotta attiva od omissiva, l’evento si sarebbe o non si sarebbe verificato; identico il procedimento da impiegare, in via strumentale, per compiere i giudizio controfattuale: (…);

identica la struttura probabilistica della spiegazione offerta e identico perciò il carattere probabilistico dell’enunciato esplicativo75”.

Un’altra, autorevole, “suggestione” che ha indubbiamente influenzato il revirement della giurisprudenza di legittimità, è rappresentata in quegli anni, dai lavori della commissione ministeriale incaricata di elaborare un progetto di riforma della parte generale del codice penale, la cd. “Commissione Grosso”, dal nome del suo presidente.

Nell’articolato del progetto sono contenute due disposizioni in tema di causalità: l’art. 13 comma 1 prevede che, “Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se la sua azione od omissione non è condizione necessaria dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato”;l’art. 14 invece

75 Cass. , Sez. IV , 28 settembre 2000, Baltrocchi, in CENTONZE, cit. , 279.

dispone che, nei reati omissivi, “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionalo, se il compimento dell’attività omessa avrebbe impedito con certezza l’evento”.

E’ indispensabile a questo punto, fare riferimento alla Relazione che accompagna il progetto preliminare76 e che chiarisce meglio di qualunque commento, la volontà del legislatore.

“La Commissione ha innanzitutto preso atto che la causalità, ed in particolare il modello nomologico-deduttivo (integrato dal rinvio alle leggi di copertura), sta attraversando una fase critica. Vi sono infatti materie in cui l'erosione da parte della giurisprudenza di tale paradigma causale appare evidente, e con riferimento alle quali tende ad affermarsi una ricostruzione della causalità ancorata a fattori di tipo prognostico-probabilistico, se non addirittura consistente nella rilevazione del rischio, o dell'aumento del rischio connesso all'esercizio di una determinata attività. Ciò si verifica, ad esempio, in settori

76 Consultabile su internet all’indirizzo

www.giustizia.it/studierapporti/riformacp/comm_grosso2.htm

quali: a) l'attività medica, (…). La giurisprudenza che si sta orientando verso ricostruzioni della causalità centrate su mere rilevazioni di tipo probabilistico, o su mere correlazioni condotta-rischio (o aumento del rischio), coglie un aspetto sicuramente importante della società moderna, sempre più caratterizzata da attività complesse, professionalizzate, (…). In questo senso essa risponde alla esigenza di rafforzare la tutela penale in materie che coinvolgono beni giuridici di rilevante spessore (vita, salute, ambiente, ecc.), introducendo una flessibilità applicativa delle norme sulla causalità (…).

Il costo di scelte di questo tipo è tuttavia elevato sul terreno della salvaguardia del principio di legalità e di tipicità delle fonti di responsabilità penale, rischiando, nei casi più macroscopici, di attentare addirittura al principio di personalità della responsabilità penale. (…). Il principio di tassatività-determinatezza e il principio di personalità della responsabilità, che conformano il sistema penale anche a livello di enunciato costituzionale, impongono pertanto di salvaguardare la funzione selettiva del nesso di causalità, e di formulare una disciplina per quanto possibile tassativa.”

“La soluzione proposta risulta ispirata ai seguenti criteri:

- prevedere (art. 13 comma 1) come principio cardine che

"nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se la sua azione od omissione non è condizione necessaria dell'evento da cui dipende la esistenza del reato". Si tratta sostanzialmente della enunciazione del principio della conditio sine qua non, già enunciato nel comma 1 dell'art.40 c.p. Rocco, qualificato dal riferimento al concetto di 'condizione necessaria'.

- separare, in ragione della evidente diversità di struttura, e della conseguente opportunità di formulare una disciplina specifica che tenga conto delle sue peculiarità, la c.d. causalità nei reati omissivi rispetto alla causalità materiale dei reati di azione, pur sottolineando nel comma 1 dell'art. 13 che in entrambi i casi il profilo di condizionalità necessaria costituisce requisito indispensabile.”

“Sul problema della causalità nei reati omissivi, la Commissione ha ritenuto di dovere proporre una formulazione che, pur muovendosi nel solco del vigente art. 40 cpv., comporta una meditata presa di distanza dall'interpretazione che ne è data dalla giurisprudenza prevalente. Secondo l'art.14 "non impedire

un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo, se il compimento dell'attività omessa avrebbe impedito con certezza l'evento" (s'intende, l'evento verificatosi hic et nunc, da individuare secondo i normali criteri in materia di causalità). L'aggiunta apportata al vigente dettato normativo ha funzione restrittiva rispetto all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'omissione antidoverosa sarebbe causale quando l'impedimento dell'evento si sarebbe ottenuto con un grado di probabilità (apprezzabile), anche lontano dalla certezza. La Commissione è ben consapevole che tale ultimo indirizzo risponde ad esigenze condivisibili di reazione contro inadempimenti colpevoli anche gravi, ma ritiene che una soluzione che rinunciasse al requisito dell'impedimento certo si porrebbe in contrasto non semplicemente con il criterio della condizione necessaria, ma, soprattutto, con il principio di personalità della responsabilità. Senza la certezza dell'effetto impeditivo (s'intende, quella probabilità confinante con la certezza che può ragionevolmente raggiungersi) è infatti logicamente contraddittorio attribuire all'omissione, ancorchè antidoverosa, il valore di condizione sine qua non dell'evento,

non potendosi escludere che l'evento si sarebbe verificato anche se l'azione doverosa omessa fosse stata compiuta. In tal caso l'evento sarebbe, per l'omittente, un fatto altrui, che non può essere ascritto a suo carico pena la violazione dell'art. 27 Cost.”

A onor del vero, va detto anche che la Commissione Grosso, in sede di presentazione del progetto definitivo ha così modificato il testo dell’art. 14: “Non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo, se il compimento dell'attività omessa avrebbe impedito l'evento con probabilità confinante con la certezza”.

Ciò sembrerebbe a prima vista un arretramento sul fronte della richiesta di un accertamento rigoroso del nesso di causalità anche nei reati omissivi impropri. La novità è stata così giustificata dalla commissione: “In questo modo non si è inteso comunque indebolire l'orientamento, chiaramente espresso nella Relazione al Progetto preliminare, di definire con rigore l'ambito di rilevanza del rapporto causale precludendo abnormi interpretazioni estensive che avevano trovato spazio nella elaborazione giurisprudenziale; si è semplicemente inteso adeguare la formulazione della norma alla realtà della disciplina

che si intendeva enunciare. Già nella Relazione al testo originario dell'articolato si era infatti scritto che per "certezza"

doveva ovviamente intendersi "quella probabilità confinante con la certezza che può ragionevolmente raggiungersi", e che ciò che contava era superare definitivamente gli indirizzi secondo cui l'omissione antidoverosa sarebbe causale quando l'impedimento dell'evento si sarebbe ottenuto con un grado di probabilità apprezzabile anche lontano. Il che risulta pienamente confermato anche dalla nuova dizione usata”.

Una dichiarazione questa che, ad avviso di chi scrive, pare chiaramente una presa di distanza della commissione da soluzioni radicali quali quelle proposte da STELLA e un invito a un maggior realismo nelle pretese di accertamento del nesso condizionalistico.

La sintesi di questi orientamenti culturali si trova condensata in tre pronunce della Corte di Cassazione, tutte della medesima sezione – la IV – e tutte coeve, risalenti al medesimo periodo – Autunno 2000.

Tali sentenze riprendono letteralmente interi passi della relazione della commissione Grosso e dei testi di FEDERICO

STELLA, già esposti precedentemente nella nostra trattazione.

Giunti a questo punto, giova solamente ricordare come le tre sentenze summenzionate riconoscono ancora una volta come la teoria condizionalistica integrata dal ricorso alla sussunzione sotto leggi scientifiche sia l’unico modello accolto nel nostro ordinamento per la spiegazione del nesso di causalità.

Esse inoltre risolvono le ambiguità delle formule utilizzate in precedenza sempre dalla Suprema Corte, quale ad esempio l’espressione alto grado di probabilità cui, ad avviso della Corte non può essere dato altro significato che quello “ che le attribuisce la scienza e, prima ancora, la logica, cui la scienza si ispira, e che non può non attribuirle il diritto. Per la scienza non vi è alcun dubbio che dire alto grado di probabilità, altissima percentuale, numero sufficientemente alto di casi, voglia dire che, in tanto il giudice può affermare che un’azione o un’omissione sono state causa di un evento, in quanto possa effettuare i giudizio controfattuale avvalendosi di una legge o

proposizione scientifica che enunci una connessione tra eventi in una percentuale vicina a cento77”.

Coerentemente – concludono così tutte e tre le sentenze citate – “ una spiegazione statistica adeguata del singolo evento lesivo presuppone una legge statistica con un coefficiente percentualistico vicino a cento e deve sfociare in un giudizio sul nesso di condizionamento di alta probabilità logica o di elevata credibilità razionale, dove alta ed elevata stanno ad indicare un giudizio che si avvicina al massimo, alla certezza78”.

3. LA SENTENZA SS.UU. , CASS. , 12 LUGLIO 2002, FRANZESE

Le sentenze emesse dalla Corte di Cassazione a cavallo tra il precedente e l’attuale decennio – che ricostruiscono il livello di probabilità richiesto tra la condotta doverosa del sanitario e l’impedimento dell’evento lesivo in termini di certezza o di probabilità confinante con la medesima – non esauriscono lo

77 Cass. , Sez. IV , 29 novembre 2000, Musto, in CENTONZE, cit. , 285.

78 Cass. , Sez. IV , 28 settembre 2000, Baltrocchi.

sforzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità sul tema, delicatissimo della causalità in ambito medico.

La stessa dottrina, d’altro canto, preso atto della insanabile divergenza sul tema in seno alla giurisprudenza – ormai ventennale – della quarta sezione penale della Cassazione, aveva sollecitato la medesima ad adottare una soluzione per quanto possibile definitiva sul tema, obiettivo questo non altrimenti raggiungibile se non attraverso una pronuncia a sezioni unite79.

L’attesa pronuncia è giunta infine il 12 luglio 2002: la quarta sezione della Cassazione rimetteva il ricorso alle sezioni unite sul rilievo dell’esistenza di un ormai radicale contrasto interpretativo, formatosi all’interno della stessa sezione, in ordine alla ricostruzione del nesso causale tra condotta omissiva ed evento, con particolare riguardo alla responsabilità professionale del medico.

La questione sottoposta alle sezioni unite è riassumibile così: se, “in tema di reato colposo omissivo improprio, la sussistenza del nesso di causalità fra condotta omissiva ed

79 Come auspicato fra gli altri da FIANDACA, nota di richiami a Cass. , 23 Gennaio 2002, Orlando, Foro Italiano , Zanichelli, Bologna, 2002, II, 420.

evento, (…), debba essere ricondotta all’accertamento che con il comportamento dovuto ed omesso l’evento sarebbe stato impedito con elevato grado di probabilità ‘vicino alla certezza’, e cioè in una percentuale di casi ‘quasi prossima a cento’, ovvero siano sufficienti, a tal fine, soltanto ‘serie ed apprezzabili probabilità di successo’ della condotta che avrebbe potuto impedire l’evento80”.

E’ opportuno ora intraprendere l’analisi della pronuncia giurisprudenziale.

La Suprema Corte , dopo aver – nel punto 1 della motivazione – ripercorso il contrasto interpretativo sorto in seno alla quarta sezione, nel punto 2 riafferma in modo netto e deciso come la nozione di causa penalmente rilevante prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza italiana e – cosa che più di ogni altro conta – fatta propria dal legislatore è quella propria della teoria condizionalistica o della condicio sine qua non – da noi esposta al capitolo 2 del presente lavoro – con il suo corredo rappresentato dalla struttura controfattuale del giudizio e dalla sussunzione sotto leggi scientifiche.

80 Cass. , SS. UU. , 12 luglio 2002, Franzese, in Foro Italiano, 2002, II, 609 – 610 .

Al punto 3 della motivazione, la Corte si impegna a motivare le funzioni e le ragioni sottese alla teoria condizionalistica che tutt’ora rendono il ricorso a questo schema insostituibile: “ Dello schema condizionalistico integrato dal criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche sono state sottolineate, da un lato, la portata tipizzante, in ossequio alle garanzie costituzionali di legalità e tassatività delle fonti di responsabilità penale e di personalità della stessa ( Cost. , art.

25, 2° comma, e 27, 1° comma), e dall’altro, nell’ambito delle fattispecie casualmente orientate, la funzione selettiva delle condotte rilevanti e perciò delimitativa dell’area dell’illecito penale 81”.

La scelta decisa in favore della teoria condizionalistica viene ribadita dai giudici di legittimità anche in relazione alle fattispecie omissive improprie, nelle quali si fa notare come “ la presenza (…), di un forte nucleo normativo, relativo sia alla posizione di garanzia che agli specifici doveri di diligenza, la cui inosservanza fonda la colpa dell’agente, tende ad agevolare una prevaricazione di questi elementi rispetto all’ordinaria sequenza

81 Cass. , SS. UU. , 12 luglio 2002, Franzese, cit. , 618.

che deve muovere dalla spiegazione del nesso eziologico. Di talché,” prosegue la Corte, “ con particolare riferimento ai settori delle attività medico – chirurgiche, (…) e del danno da prodotto, dall’erosione del paradigma causale nell’omissione, (…), trae alimento la teoria dell’ << imputazione oggettiva dell’evento>>82”. L’applicabilità del modello dell’aumento del rischio di verificazione dell’evento lesivo come criterio attributivo di una responsabilità penale nei reati omissivi impropri viene a fondo contestata dal Supremo Consesso, il quale non accetta che le difficoltà probatorie e il valore meramente probabilistico che la spiegazione causale viene ad assumere nei settori in esame legittimi un affievolimento dell’obbligo del giudice di pervenire a un rigoroso accertamento della causalità.

Viene così con l’essere sconfessato l’orientamento pluriennale della quarta sezione che conduce ad una

“volatilizzazione” del nesso eziologico: “ Le sezioni unite non condividono questa soluzione, (…), poiché , come è stato sottolineato dall’opposto, più recente e menzionato indirizzo giurisprudenziale (…), con la tralaticia formula delle << serie ed

82 Cass. , SS. UU. , 12 luglio 2002, Franzese, cit. , 618 – 619.

apprezzabili probabilità di successo >> dell’ipotetico intervento salvifico del medico, si finisce per esprimere coefficienti di probabilità indeterminati, mutevoli, manipolabili dall’interprete, talora attestati su standard davvero esigui83”.

La posizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione si va delineando marcatamente: l’unico modello di spiegazione casuale valido in ambito penalistico è quello fondato sulla teoria condizionalistica integrata dalla sussunzione sotto leggi scientifiche; tale modello è pienamente valevole anche per la esplicazione della causalità omissiva; sono da respingere tutti quegli orientamenti giurisprudenziali che, a partire da pretese difficoltà probatorie, tentano di legittimare “ un’attenuazione del rigore nell’accertamento del nesso di condizionamento necessario, e , con essa una nozione “debole” della causalità che, (…) finirebbe per comportare un’abnorme espansione della responsabilità per omesso impedimento dell’evento, in violazione dei principi di legalità e tassatività della fattispecie e della garanzia di responsabilità per fatto proprio84”.

83 Cass. , SS. UU. , 12 luglio 2002, Franzese, cit. , 620.

84 Cass. , SS. UU. , 12 luglio 2002, Franzese, cit. , 620.

Pur con questa decisa presa di posizione, la Suprema Corte ha ben presente come la definizione del concetto di causa penalmente rilevante venga strettamente a dipendere dal metodo dell’accertamento probatorio valido nell’ambito del processo penale.

Facendo propri i più avanzati orientamenti epistemologici già oggetto di esposizione nel presente lavoro, le Sezioni Unite si rendono conto chiaramente di come il modello nomologico – deduttivo di spiegazione causale non sia integralmente applicabile al diritto penale in quanto esso si scontra con un momento di accertamento processuale sorretto da ragionamenti di tipo induttivo, in cui “i dati informativi giustificativi della conclusione non sono contenuti per intero nelle premesse, dipendendo essi da ulteriori elementi conoscitivi estranei alle premesse85”. Oltretutto, lo stesso metodo condizionalistico orientato secondo leggi scientifiche richiede che ci si distacchi da un ragionamento esclusivamente deduttivo, poiché questo per funzionare richiede che le circostanze iniziali in cui viene operato il giudizio controfattuale siano empiricamente verificabili o, in

85 Cass. , SS. UU. , 12 luglio 2002, Franzese, cit. , 621.

alternativa, siano considerate immutate con l’ausilio della clausola coeteris paribus. Ma è evidente come entrambe queste condizioni non siano realizzabili in un processo penale: difatti, il giudice è privo sia della specifica competenza che degli strumenti tecnici che gli consentano un’attenta disamina di tali circostanze;

e, del resto, applicando la clausola coeteris paribus si avrebbe il risultato di un’enunciazione non dimostrabile concernente l’immutabilità delle circostanze iniziali.

Tutto ciò richiede che si prenda atto di come l’accertamento giudiziale contenga in sé una ineliminabile componente induttiva, e come con essa debbano fare i conti le categorie penalistico – sostanziali in un circuito di cd.

processualizzazione delle categorie sostanziali86.

“Di talché”, conclude la Corte, “ ove si ripudiasse la natura preminentemente induttiva dell’accertamento in giudizio e si pretendesse comunque una spiegazione causale di tipo deterministico e nomologico – deduttivo, (…), si finirebbe col frustrare gli scopi preventivo – repressivi del diritto e del

“Di talché”, conclude la Corte, “ ove si ripudiasse la natura preminentemente induttiva dell’accertamento in giudizio e si pretendesse comunque una spiegazione causale di tipo deterministico e nomologico – deduttivo, (…), si finirebbe col frustrare gli scopi preventivo – repressivi del diritto e del

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