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CRISI DELLA RAZIONALITA’ SCIENTIFICA E RICOSTRUZIONE DEI MECCANISMI DI SPIEGAZIONE

Nel documento UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PALERMO (pagine 75-84)

I PRINCIPALI NODI TEORICI

DALLE CERTEZZE ALLA CRISI

4.2. CRISI DELLA RAZIONALITA’ SCIENTIFICA E RICOSTRUZIONE DEI MECCANISMI DI SPIEGAZIONE

CAUSALE

La crisi della razionalità scientifica “morde” in profondità il concetto penale di causalità attualmente in uso e mutuato dalla epistemologia neopositivista, che fa appello come poc’anzi esposto a un modello di spiegazione causale di tipo nomologico – deduttivo. Che sia proprio il modello di spiegazione deduttivo la causa dell’impasse? In altre parole: un modello deduttivo è davvero il più appropriato a soddisfare le esigenze conoscitive proprie della giustizia penale? E inoltre: tale modello è ancora scientificamente affidabile o è minacciato da nuove proposizioni?

Per rispondere al primo quesito si deve scendere nel dettaglio della struttura del modello suddetto.

Presupposto fondamentale di ogni spiegazione causale secondo il paradigma nomologico – deduttivo è che tra le

premesse figurino, accanto alla legge di copertura, anche determinate condizioni iniziali C, e che le stesse non mutino, ma si conservino identiche a ogni applicazione pratica del modello.

Ora, mentre l’esigenza di mantenere condizioni iniziali C uguali può essere soddisfatta nelle scienze naturali – appieno nelle discipline non sperimentali come la matematica o la fisica (in cui le condizioni iniziali non mutano mai), con più difficoltà nelle discipline empiriche come la biologia (in cui l’identità delle condizioni iniziali è incerta, ma sempre verificabile – non lo stesso può dirsi per il diritto penale, che non è supportato da una ricerca sperimentale: “ L’impasse è qui determinata dalla base di conoscenza disponibile, essendo ovvio che l’accertamento processuale non condivide i tempi e la natura in progress della ricerca scientifica, e che – a differenza di questa – si deve

“accontentare” di postulati dati già per acquisiti47”.

In sostanza, quando impiega leggi statistiche, per funzionare il modello nomologico – deduttivo richiede che le condizioni iniziali non mutino rispetto a quelle incluse come

47 OMBRETTA DI GIOVINE, Lo statuto epistemologico della causalità penale tra cause sufficienti e condizioni necessarie, in RIDPP, Giuffrè, Milano, 2002, 650.

premesse della spiegazione, e che la loro immutabilità sia empiricamente verificata o verificabile. Praticamente richiede l’applicazione della clausola coeteris paribus.

Ma queste esigenze non possono essere adempiute nel processo penale, in cui piuttosto si corre il rischio di ricorrere ad asserzionii tacite e non dimostrate.

E se non è possibile dare dimostrazione processuale delle condizioni iniziali C assunte come premessa – insieme alla legge di copertura L – da cui consegue l’evento L , la forza inferenziale del modello declina.

Risulta, così, come il ragionamento causale penalistico fondato sul paradigma nomologico non consenta di conseguire la certezza della spiegazione causale.

Ma vi è di più. L’impiego di argomenti logico – deduttivi è destinato a scontrarsi con un inevitabile ricorso ad elementi di segno opposto e cioè di tipo induttivo.

Per poter applicare il modello deduttivo a partire da leggi scientifiche si deve, come è noto, ridescrivere l’evento concreto inserendo quegli elementi di ripetibilità che consentano di inquadrare lo stesso in una classe di eventi – tipo su cui applicare

successivamente la legge scientifica di copertura: “ Tale ragionamento [ giuridico], deve partire da quello che in epistemologia è definito un event – token (contrapposto all’event – type, l’altro nome dell’evento generico), vale a dire, da un fatto storico con tutte le caratterizzazioni che presenta nel suo verificarsi concreto, e quindi verificare, vuoi anche attraverso intuizioni progressive, la possibilità di sussumere quest’ultimo al di sotto di una legge scientifica, in modo da indurre una più o meno probabile conclusione48”.

Sembrerebbe quasi che il modello nomologico – deduttivo risulti del tutto inadeguato alle esigenze del diritto penale, essendo piuttosto esso più adatto a soddisfare le esigenze conoscitive proprie delle scienze naturali piuttosto che fornire la spiegazione causale di eventi a posteriori. Si profila quindi concretamente il rischio – o l’opportunità – di dover mettere da parte siffatto modello per accogliere invece un modello di spiegazione causale elaborato dalla scienza penalistica “ad uso e

48 DI GIOVINE, cit. , 656 – 657.

consumo” della giustizia penale, e basato su un ragionamento di tipo induttivo49”.

Meglio accantonare per un momento questa prospettiva e continuare a indagare sulla crisi del modello nomologico.

Merita in particolare di essere approfondita meglio in particolare, la presa di coscienza da parte della scienza della propria incapacità di fornire risposte univoche alle sollecitazioni – provenienti dalla giustizia penale – in tema di ricostruzione del nesso causale.

Tale presa d’atto deriva dalla consapevolezza che nello studio delle cause dei fenomeni naturali, sempre più spesso ci si trova di fronte a ipotesi di cd. causazione multipla: l’evento cioè insorge come conseguenza di una rete di causazione (web of causation) in cui non è isolabile il ruolo esclusivo e determinante di un singolo agente.

A ciò si aggiunge “l’affermazione di un’idea circolare di causa (il cd. feedback) che rinnega la necessaria antecedenza cronologica della causa rispetto all’effetto, ed in cui, pertanto, le

49 “Il modello nomologico viene finalmente allo scoperto per quello che è e, soprattutto, per quello che serve: più che a spiegare, a surrogare sul piano probatorio una spiegazione causale che, per essere tale in senso stretto, dovrebbe invece essere fornita a posteriori”, DI GIOVINE, cit. , 659 – 660.

diverse catene causali si intersecano tra loro dando luogo a combinazioni stocastiche, per questo, non predicibili50”.

Per reagire a questa situazione di impotenza, emerge forte nel mondo delle scienze naturali e della filosofia della conoscenza la tentazione di rigettare la “vecchia” logica binaria di matrice aristotelica, fondata sul principio di identità o di non contraddizione – se A è A, non può essere non A -, logica cui comunque continua ad afferire anche il ragionamento probabilistico – secondo uno schema così sintetizzabile: E proviene al 90 % da A e al 10 % da non A, tertium non datur51 – .

Tentazione questa che fornisce lo spunto ad alcuni per contrapporre alla logica binaria una logica di tipo sfumato o cd.

fuzzy, in cui alla contrapposizione vero – falso si affianca un terzo valore di verità a carattere indeterminato, in cui le parole d’ordine non sono più “precisione” “certezza” o “probabilità”

(alta o bassa che sia), bensì “vaghezza” e “indefinitezza”. Una logica rappresentabile bene con l’immagine della web of

50 DI GIOVINE, cit. , 662.

51 “la probabilità non intacca (…) la rappresentazione senza sfumature, dicotomica, del mondo, anzi vi fa conto, limitandosi a mostrare come scommettere su e in un mondo siffatto. In teoria della probabilità vale sempre la logica aristotelica del A o non A” BART KOSKO, Il fuzzy – pensiero, Baldini & Castoldi, Milano, 1999, 27.

causation, in cui il singolo agente causale perde da solo la propria capacità inferenziale per annullarsi in una vera e propria nebulosa di fattori causali interagenti che è impossibile cogliere con una rappresentazione bipartita, ma solo con uno sguardo d’insieme che rimanda sempre la stessa raffigurazione, una rete.

“La rete costituisce il complesso causale sufficiente a produrre l’evento (sufficient complex) ma l’evento non lo implica nella sua totalità come sua premessa necessaria (unnecessary complex). All’interno della rete e degli oscuri meccanismi che la governano, le condizioni causali possiedono ruoli diversi. Vi è almeno una componente non ridondante ( non – redundant component), vale a dire una condizione senza la quale l’evento, pur in presenza di altri fattori, non si sarebbe verificato. La condizione necessaria non è però da sola sufficiente a produrre l’evento (insufficient component): ad essa si affiancano più cause secondarie disposte a raggiera intorno all’evento52”.

Prima di dichiarare definitivamente superato – per le finalità conoscitive proprie del diritto penale – il modello

52 CARLO PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale, profili dommatici e politico – criminali, Giuffrè, Milano, 2004, 167.

nomologico, ci si può chiedere se ne sia possibile tentare un parziale recupero, magari integrandolo con un ragionamento di tipo induttivo.

Vi è infatti in dottrina chi ha proposto di utilizzare un concetto bifasico di causa penalmente rilevante, attraverso una bipartizione dei momenti logici sottesi all’analisi del nesso eziologico. Si può così semplificare tale orientamento: dal momento che il paradigma nomologico – per i motivi precedentemente esposti – non è in grado di assicurare certezza alla conclusione, ciò non esclude che la tradizionale teoria condizionalistica impiegata dalla dottrina penalistica per la ricostruzione del nesso causale non possa ancora essere usata, a patto però che al giudizio nomologico – deduttivo si accompagni anche un ragionamento di tipo induttivo.

In altri termini: il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche resta valido ed efficace per individuare la causa sufficiente di un evento, ma ad esso dovrà accompagnarsi un giudizio di tipo induttivo per individuare se la condotta umana in esame sia per caso condizione necessaria al prodursi della causa sufficiente.

Così, “nella prima fase, la conditio si appoggia al modello nomologico nella ricerca del perché di un certo fenomeno dal punto di vista naturalistico, dovendo a tal fine accontentarsi di una causa sufficiente ma non necessaria ( intesa come previsione generale, astratta ed ex ante); la medesima se ne può invece emancipare in seconda battuta, quando si interroga sul ruolo che in questo contesto ha concretamente svolto la singola condotta umana53”. Lo schema logico di accertamento della causalità seguirà quindi questo percorso: dall’evento concreto si risale all’individuazione di una causa sufficiente in base al paradigma nomologico – deduttivo, poi si restringe il campo di ricerca alla condotta umana, e si verifica se essa non sia condizione necessaria della causa sufficiente.

E’ evidente come ci si trovi a ragionare su un terreno altamente scivoloso. Indugiare ulteriormente sull’analisi delle riflessioni epistemologiche sul tema rischia di farci perdere di vista il filo del discorso sul rapporto tra categorie penalistiche consolidate in materia di causalità e i disorientamenti provocati dalla crisi della razionalità scientifica. Meglio ricondurre la

53 DI GIOVINE, cit. , 667.

riflessione sui binari del ragionamento giuridico, non senza aver fatto prima un breve excursus sul terreno della medicina legale.

Nel documento UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PALERMO (pagine 75-84)