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CARCINOMA DELLA PROSTATA

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Academic year: 2021

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(1)

Linee guida

CARCINOMA DELLA PROSTATA

Edizione 2019

Aggiornata a ottobre 2019

In collaborazione con

(2)

Coordinatore Francesco Boccardo Clinica di Oncologia Medica – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e Università degli Studi di Genova

Segretario Elisa Zanardi Clinica di Oncologia Medica – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e Università degli Studi di Genova

Estensori Salvina Barra AIRO Oncologia Radioterapica – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino - Genova

Sergio Bracarda Oncologia Medica – Azienda Ospedaliera S.Maria, Terni Massimo Gion Centro Regionale Biomarcatori - Regione del Veneto -

ULSS12 Veneziana – VE

Michelangelo Fiorentino GIUP Anatomia Patologica- Dipartimento di Medicina

Specialistica, Diagnostica e Sperimentale Università degli Studi di Bologna

Giario Conti Urologia – ASST Lariana - Como

Carlo Neumaier Radiologia – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino - Genova

Laura Evangelista Medicina Nucleare – Istituto Oncologico Veneto - Padova Carlo Terrone Clinica Urologica – IRCCS Ospedale Policlinico San

Martino e Università degli Studi di Genova

Bruno Spina Anatomia Patologica – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino - Genova

Alessandro Magli AIRO Radioterapia – Azienda Sanitaria Universitaria Integrata -

Udine

(3)

Revisori Emilio Bombardieri

AIOM Medicina Nucleare - Humanitas Gavazzeni - Bergamo

Orazio Caffo AIOM Oncologia Medica – Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari – Ospedale Santa Chiara – Trento

Giuseppe Procopio

AIOM Oncologia Medica genitourinaria – Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori – Milano

Gemma Gatta AIOM Dipartimento di Medicina Predittiva e Preventiva – Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori - Milano Barbara Alicja

Jereczek-Fossa

AIRO Radioterapia – Istituto Europeo di Oncologia IRCCS - MilanoUniversità degli Studi di Milano

Maurizio Buscarini

SIU Urologia - Policlinico Universitario Campus Biomedico - Roma

Maurizio Colecchia

GIUP Patologia Diagnostica e di Laboratorio - Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori – Milano

Gianpiero Cardone

SIRM Radiologia – IRCCS Ospedale San Raffaele Turro di Milano

Riccardo Valdagni

SIURO Radioterapia Oncologica – Fondazione IRCCS Istituto nazionale Tumori – Milano- Università degli Studi di Milano

Con la collaborazione di Luca Basso, Luigi Cerbone, Nataniele Piol, Chiara Trevisiol

Radiologia, Anatomia Patologica, Clinica di Oncologia Medica –

IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e Università degli Studi di

Genova; IRCCS Istituto Oncologico Veneto - Padova.

(4)

Indice

Figure ... 10

Glossario figure ... 10

1.0. Epidemiologia ed Eziologia ... 16

1.1. Epidemiologia ... 16

1.2. Eziologia, fattori di rischio e fattori protettivi ... 16

2.0 Genetica del carcinoma prostatico ... 18

3.0 Chemioprevenzione, diagnosi precoce e screening ... 22

3.1. Chemioprevenzione ... 22

3.2. Diagnosi precoce e screening ... 24

4.0 Anatomia patologica e classificazione ... 29

4.1. Classificazione TNM clinica del carcinoma prostatico ... 29

4.2. Classificazione istologica del carcinoma prostatico ... 30

4.3. Il referto istologico: le agobiopsie prostatiche e la prostatectomia... 34

4.3.1. Agobiopsie prostatiche ... 34

4.3.2. Prostatectomia ... 36

5.0 Diagnosi ... 42

5.1. Diagnosi: esplorazione rettale ... 42

5.2. Diagnosi: dosaggio dell’antigene prostatico specifico (PSA) ... 43

5.2.1. Metodo di dosaggio ... 43

5.2.2. Accuratezza diagnostica del PSA e dei “derivati” del PSA ... 45

5.2.3 Altri marcatori ... 46

5.3. Diagnosi: Tecniche di immagini ... 50

5.3.1. Ecografia transrettale ... 50

5.3.2. Tomografia computerizzata (TC) ... 51

5.3.3. Risonanza magnetica (RM) ... 51

5.4. Diagnosi: agobiopsia prostatica ... 55

6.0 Stadiazione ... 58

6.1. Generalità ... 58

6.2. Ruolo dell’esplorazione rettale ... 59

6.3. Ruolo della biopsia prostatica ... 59

6.4. Ruolo della linfadenectomia di staging ... 59

6.5. Tecniche d’immagine ... 62

6.5.1. Ecografia transrettale ... 62

6.5.2. TC e RM ... 62

6.5.3. Scintigrafia ossea con radiofarmaci osteotropi ... 64

6.5.4. Tomografia ad emissione di positroni (PET) ... 65

6.5.5 Ruolo del PSA ... 67

7.0 Terapia del carcinoma prostatico ... 68

7.1. Generalità ... 68

7.2. Terapia della malattia M0 ... 69

7.2.1. Premesse ... 69

7.2.2. Le politiche di sorveglianza: “watchful waiting” e “active surveillance” ... 70

(5)

7.2.4 Trattamenti multimodali ... 101

7.3. Trattamento della malattia recidiva a livello biochimico ... 112

7.3.1. Definizione di recidiva biochimica dopo trattamenti locali ... 112

7.4. Malattia recidiva clinicamente evidenziabile in loggia prostatica e/o in pelvi ... 122

7.5. Malattia metastatica (M1) ... 122

7.5.1. Terapia della malattia ormonosensibile (“hormone-naive”) ... 123

7.5.2 Terapia della malattia oligometastatica ... 152

7.5.3. Terapia della malattia resistente alla castrazione (CRPC) ... 153

7.5.4. Trattamento delle metastasi ossee ... 165

8.0. Follow-Up ... 166

8.1. Aspetti clinici ... 166

8.2. Dosaggio del PSA ... 166

8.2.1. PSA dopo prostatectomia radicale ... 166

8.2.2. PSA dopo radioterapia con intenti curativi ... 167

8.2.3. PSA in corso di terapia ormonale ... 167

8.2.4. PSA in corso di chemioterapia ... 167

8.3. Survivorship Care ... 168

8.4. Modalità organizzative e pazienti unfit ... 169

(6)

Come leggere le raccomandazioni *

Le raccomandazioni cliniche fondamentali vengono presentate in tabelle e vengono corredate dalla qualità delle evidenze a supporto e dalla forza della raccomandazione.

Nel caso in cui la qualità delle evidenze è stata valutata con metodologia SIGN (Scottish Intercollegiate Guidelines Network) la riga d’intestazione della tabella è verde, mentre è in arancione nel caso di applicazione del metodo GRADE (v. capitolo specifico alla fine di ogni linea guida).

Qualità dell’evidenza

SIGN (1) Raccomandazione clinica (3)

Forza della raccomandazione

clinica (2)

B

Nel paziente oncologico in fase avanzata di malattia, con dolore di diversa etiologia, la somministrazione di FANS e paracetamolo dovrebbe essere effettuata per periodi limitati e con attenzione ai possibili effetti collaterali.

Positiva debole

(1) Qualità dell’evidenza SIGN: PRECEDE LA RACCOMANDAZIONE

Nell’approccio SIGN, la qualità delle evidenze a sostegno della raccomandazione veniva valutata tenendo conto sia del disegno dello studio sia di come esso era stato condotto: il Livello di Evidenza veniva riportato nel testo a lato della descrizione dei soli studi ritenuti rilevanti a sostegno o contro uno specifico intervento.

Livelli di Evidenza SIGN

1 Revisioni sistematiche e meta-analisi di RCT o singoli RCT 1 ++ Rischio di bias molto basso.

1 + Rischio di bias basso.

1 - Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili.

2 Revisioni sistematiche e meta-analisi di studi epidemiologici di caso/controllo o di coorte o singoli studi di caso/controllo o di coorte.

2 ++ Rischio di bias molto basso, probabilità molto bassa di fattori confondenti, elevata probabilità di relazione causale tra intervento e effetto.

2 + Rischio di bias basso, bassa probabilità presenza fattori di confondimento, moderata probabilità di relazione causale tra intervento e effetto.

2 - Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili, esiste un elevato rischio che la relazione intervento/effetto non sia causale.

3 Disegni di studio non analitici come report di casi e serie di casi.

4 Expert opinion.

La Qualità Globale delle Evidenze SIGN veniva quindi riportata con lettere (A, B, C , D) che sintetizzavano il disegno dei singoli studi, unitamente all’indicazione sulla diretta applicabilità delle evidenze e alla eventuale estrapolazione delle stesse dalla casistica globale.

Ogni lettera indicava la “fiducia” nell’intero corpo delle evidenze valutate a sostegno della

raccomandazione; NON riflettevano l’importanza clinica della stessa e NON erano sinonimo della forza

della raccomandazione clinica.

(7)

Certezza Globale delle Prove SIGN

A

Almeno una meta-analisi o revisione sistematica o RCT valutato 1++ e direttamente applicabile alla popolazione target oppure

Il corpo delle prove disponibili consiste principalmente in studi valutati 1+ direttamente applicabili alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto

B

Il corpo delle prove include studi valutati 2++ con risultati applicabili direttamente alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto.

Prove estrapolate da studi valutati 1++ o 1+

C

Il corpo delle prove include studi valutati 2+ con risultati applicabili direttamente alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto.

Prove estrapolate da studi valutati 2++

D

Prove di livello 3 o 4

Prove estrapolate da studi valutati 2+

Dal 2016 le LG AIOM hanno abbandonato il metodo di valutazione delle prove secondo SIGN in quanto quest’ultimo ha deciso di integrare l’approccio GRADE che basa la certezza delle prove su 5 principali dimensioni: RISCHIO DI BIAS, INCONSISTENZA, INDIRECTNESS, IMPRECISIONE e PUBLICATION BIAS e che suddivide la valutazione della certezza delle prove in quattro livelli: MOLTO BASSA, BASSA, MODERATA, ALTA. Per raccomandazioni prodotte o aggiornate dal 2016, infatti, la tabella delle raccomandazioni subisce delle leggere modifiche.

Certezza Globale

delle prove Raccomandazione

Forza della raccomandazione

clinica ALTA

I pazienti con tumore pN+ oppure sottoposti a intervento resettivo senza adeguata linfoadenectomia (<D2) o anche R1 devono essere sottoposti a radiochemioterapia adiuvante (68,73)

Positiva forte

(2) LA FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE CLINICA

La forza della raccomandazione clinica viene graduata in base all’importanza clinica, su 4 livelli:

Forza della raccomandazione

clinica

Terminologia Significato

Positiva Forte

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’”intervento” xxx dovrebbe essere preso in considerazione come opzione di prima intenzione”

L’intervento in esame dovrebbe essere considerato come prima opzione di prima intenzione (evidenza che i benefici sono prevalenti sui danni)

Positiva Debole

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’”intervento” xxx può essere preso in considerazione come opzione di prima intenzione, in alternativa a yyy”

L’intervento in esame può essere considerato come opzione di prima intenzione, consapevoli dell’esistenza di alternative ugualmente proponibili (incertezza riguardo alla prevalenza dei benefici sui danni)

(8)

Forza della raccomandazione

clinica

Terminologia Significato

Negativa Debole

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’”intervento” xxx non dovrebbe essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in alternativa a yyy”

L’intervento in esame non dovrebbe essere considerato come opzione di prima intenzione; esso potrebbe comunque essere suscettibile di impiego in casi altamente selezionati e previa completa condivisione con il paziente (incertezza riguardo alla prevalenza dei danni sui benefici)

Negativa Forte

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’”intervento” xxx non deve essere preso in considerazione come opzione di prima intenzione”

L’intervento in esame non deve essere in alcun caso preso in considerazione (evidenza che i danni sono prevalenti sui benefici)

(3) LA RACCOMANDAZIONE CLINICA

Deve esprimere l’importanza clinica di un intervento/procedura/strumento. Dovrebbe essere formulata sulla base del P.I.C.O.* del quesito (popolazione, intervento, confronto, outcome). In alcuni casi può contenere delle specifiche per i sottogruppi, indicate con il simbolo √.

QUESITI AFFRONTATI CON APPROCCIO FORMALE GRADE

Le raccomandazioni scaturite dall’applicazione di tutto il processo formale GRADE sono strutturate come nell’esempio sottostante.

QUESITO xx: ……….

RACCOMANDAZIONE:

Forza della raccomandazione:

Motivazioni/Commenti al bilancio Beneficio/Danno:

Sono state rilevate le seguenti limitazioni:

Conclusioni per motivare il bilancio beneficio/danno:

Votazione forza raccomandazione Votazione bilancio Beneficio/Danno Positiva

forte

Positiva debole

Negativa debole

Negativa

forte Favorevole Incerto Sfavorevole

Implicazioni per le ricerche future:

Certezza delle Prove

La certezza delle prove è stata giudicata ……. per i seguenti motivi:

Certezza globale delle prove: …….

(9)

CONFLITTO DI INTERESSE

Come da Manuale Metodologico LG AIOM 2019, I membri del panel si astengono dalla votazione della forza della raccomandazione quando fanno parte dell’authorship di uno o più lavori considerati per la raccomandazione.

Nelle tabelle riassuntive delle raccomandazioni viene espressamente indicato il potenziale conflitto di interesse per ciascuna raccomandazione (vedi esempio sottostante)

Certezza Globale

delle prove Raccomandazione

Forza della raccomandazione

clinica

MODERATA

In pazienti con melanoma in stadio IIIA (con metastasi al linfonodo sentinella di almeno 1 mm), IIIB, IIIC o IIID con mutazione BRAF V600 una terapia adiuvante con dabrafenib+trametinib dovrebbe essere presa in considerazione come prima opzione terapeutica

Positiva forte

COI: Astenuti per possibili conflitti di interesse: Dr. Xxxxx, Dr. Yyyyy e Dr. Zzzzz

(10)

Figure

Glossario figure

OT= ormonoterapia

PD= progressione di malattia

PR= prostatectomia radicale

RT= radioterapia

(11)

Figura 1.1 - Terapia della malattia localizzata M0

ASPETTATIVA DI VITA

TERAPIA LOCALE CLASSE DI

RISCHIO

Molto basso o basso rischio

1

PR

> 10 anni

< 10 anni

RT Esterna

2

Brachiterapia

3

Sorveglianza attiva

4

RT Esterna

2

Vigile attesa

5

1. Vedere «classificazione di rischio» paragrafo 7.2.1 2. Vedere quesito clinico N°2

3. Per volumi prostatici>15-20 ml e <50 ml; no precedente TURP

4. Solo all’interno di rigorosi protocolli di follow-up, basati sulla ripetizione sistematica delle biopsie prostatiche, del dosaggio del PSA, della visita clinica e, in casi selezionati, della RMmp. Vedi anche quesito clinico N°1

5. Terapia palliativa da avviare in caso di progressione clinica

(12)

Figura 1.2 - Terapia della malattia localizzata M0

CLASSE DI RISCHIO

TERAPIA LOCALE

TERAPIA SISTEMICA

Rischio intermedio

1

PR

± linfadenectomia

pelvica

3

RT esterna

4

Rischio alto e molto alto

1

RT esterna

PR

+ linfadenectomia pelvica

2,3

± OT

+ OT

1. Vedere «classificazione di rischio» paragrafo 7.2.1 2. In casi altamente selezionati, vedere paragrafo 7.2.3.1.3

3. Valutare trattamenti adiuvanti a seconda della presenza o meno di fattori prognostici sfavorevoli (vedi paragrafo7.2.4.2 e quesito clinico N°3)

4. Vedere anche quesito clinico N°2

(13)

Figura 2 - Terapia della malattia recidiva dopo trattamenti locali

RICADUTA (definizione

dopo ristadiazione)

TERAPIA ALLA RICADUTA TERAPIA

INIZIALE

Fattori favorevoli2

Fattori sfavorevoli3

RT + OT

OT5 Progressione

biochimica1

±

progressione a livello della

prostata e/o pelvica.

RT esterna, Brachiterapia

Ricaduta in loggia

prostatica e/o in pelvi

Ricaduta solo biochimica1 PR

1. per la definizione di ricaduta/progressione biochimica in funzione del trattamento locale vedere paragrafo 7.3.1.

2. Fattori favorevoli (tutte le caratteristiche di seguito elencate): PSA pre-chirurgia <

10 ng/ml, PSA DT > 10 mesi, Gleason < 7, valori di PSA prima di iniziare RT ≤ 0.5 ng/ml.

3. Fattori sfavorevoli: PSA>1.5 ng/ml, Gleason ≥7, margini positivi, PSA pre- chirurgia >10 ng/ml, PSA DT < 10 mesi.

4. Le varie opzioni terapeutiche derivano da evidenze scientifiche differenti, rappresentate in alcuni casi da studi retrospettivi, in altri da studi prospettici, pertanto hanno una diversa qualità dell’evidenza; per tali specifiche si rimanda al testo (paragrafo 7.3.1.1) e al quesito clinico N°4.

5. Nei pazienti nei quali sia evidenziabile anche una progressione a livello prostatico e/o pelvico, può essere preso in considerazione un approccio di tipo locale: chirurgia di salvataggio, crioterapia, HIFU, brachiterapia, radioterapia focale (con fotoni o protoni); ma le evidenze scientifiche sono ancora scarse e derivanti da studi retrospettivi.

Osservazione4 RT4

RT +

Bicalutamide4 OT4

(14)

Figura 3 – Terapia della malattia metastatica (M1):

ormonosensibile (HNPC)

• LH-RHa agonista (± antiandrogeno non steroideo per le prime 4 settimane)

• LH-RHa Agonista + antiandrogeno non steroideo

• LH-Rha Antagonista

• LH-RH agonista + RT prostata (nei pazienti M1 alla diagnosi con malattia «low

volume»

1,2

)

• LH-RH Agonista ± Antiandrogeno non steroideo + Docetaxel ( 6 cicli) (specie nei pazienti M1 alla diagnosi con malattia «high volume»

1,3

)

• LH-RH agonista + Abiraterone

4

(specie nei pazienti M1 alla diagnosi con malattia «high risk»

5,6

)

Vedi

trattamento M1 CRPC

1. per la definizione di malattia «low volume» e «high volume» vedere paragrafo 7.5.1.3.

2. Vedere quesito clinico N°9 3. Vedere quesito clinico N°8

4. Abiraterone non è al momento rimborsato in Italia per tale indicazione 5. Per la definizione di «high risk» vedere paragrafo 7.5.1.5

6. Vedere quesito clinico N°7

PD M1

HNPC

(15)

Figura 4 –Terapia della Malattia Metastatica (M1):

resistente alla castrazione (CRPC)

I LINEA

Mantenimento dello stato di castrazione + :

•Docetaxel1

•Abiraterone Acetato2

•Enzalutamide

Mantenimento dello stato di castrazione + :

Se I Linea con Docetaxel :

•Abiraterone Acetato2

•Cabazitaxel1

•Enzalutamide Se I linea con Abiraterone Acetato

•Docetaxel1

•Enzalutamide Se I linea con Enzalutamide:

•Docetaxel1

•Abiraterone Acetato2

Mantenimento dello stato di castrazione + :

•Enzalutamide3

•Abiraterone acetato2,3

•Cabazitaxel1,4,5

•Radium2236

•Trial Clinico

•Terapia di Supporto

II LINEA LINEE

SUCCESSIVE

PD PD

1. Somministrato in associazione a prednisone 10 mg/die.

2. Somministrato in associazione a prednisone/prednisolone 10 mg/die.

3. Se non utilizzato in precedenza.

4. Solo nei pazienti che hanno già effettuato un precedente trattamento con Docetaxel.

5. Preferibile se nelle linee precedenti è già stato somministrato Abiraterone o Enzalutamide

6. Se malattia esclusivamente ossea e sintomatica, secondo le attuali indicazioni AIFA.

M1 CRPC

(16)

1.0. Epidemiologia ed Eziologia 1.1. Epidemiologia

La maggior parte dei Registri Tumori rileva un aumento dell’incidenza del carcinoma prostatico, che attualmente, in molti Paesi occidentali, rappresenta il tumore più frequente nel sesso maschile

1-3

. In Italia il carcinoma della prostata è attualmente la neoplasia più frequente tra i maschi e rappresenta oltre il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età

4

. Nel 2018 erano attesi circa 35.000 nuovi casi.

L’incidenza del carcinoma prostatico ha mostrato negli ultimi decenni una costante tendenza all’aumento, particolarmente intorno agli anni 2000, in concomitanza con la maggiore diffusione del test del PSA quale strumento per lo screening opportunistico. A partire dal 2003 il trend di incidenza si è moderatamente attenuato, specie tra i 50 e i 60 anni. Come per altre neoplasie, l’incidenza fa registrare un gradiente Nord- Sud: rispetto ai 144,4 casi x 100.000/anno tra residenti del Nord-Italia, le regioni del Centro fanno infatti registrare un –3% (140,0/100.000) e quelle del Sud addirittura un –25% (109,00/100.000). Queste differenze oltre al diverso impiego del PSA come test di screening

4

sono probabilmente spiegabili con la differente incidenza di possibili fattori di suscettibilità e, soprattutto, col diverso stile di vita, in particolare la dieta e il minore introito di fattori di tipo protettivo come gli antiossidanti. Nel 2015 nel nostro Paese si sono osservati 7.196 decessi per cancro prostatico (ISTAT), pur dovendo sottolineare che le comorbidità generalmente presenti nelle persone anziane possono rendere complesso separare i decessi per tumore della prostata da quelli con tumore della prostata. In considerazione della diversa aggressività delle differenti forme tumorali, il carcinoma prostatico, pur trovandosi al primo posto per incidenza, in Italia occupa il terzo posto nella scala della mortalità, nella quasi totalità dei casi riguardando maschi al di sopra dei 70 anni. Si tratta comunque di una causa di morte in costante moderata diminuzione (–1,9% per anno) da oltre un ventennio (4). A conferma del diverso ruolo giocato dall’anticipazione diagnostica, legata ad una più elevata quota di sovra- diagnosi nell’Italia Settentrionale, rispetto al Centro e al Meridione, non si osservano sostanziali differenze di mortalità per questa neoplasia fra le varie aree del Paese, con livelli assestati su 30-35 decessi ogni 100.000 abitanti/anno, leggermente superiori nel meridione

4

.

La sopravvivenza dei pazienti con carcinoma prostatico, non considerando la mortalità per altre cause, è attualmente attestata al 91,4% a 5 anni dalla diagnosi, in costante e sensibile crescita

4

.Il principale fattore correlato a questa tendenza temporale è dato dall’anticipazione diagnostica e dalla progressiva diffusione dello screening opportunistico, comportante evidentemente una quota di sovradiagnosi, peraltro con distribuzione disomogenea sul territorio nazionale. A ciò è ascrivibile, per la sopravvivenza, un gradiente Nord-Sud presente nel Paese (intorno al 92% al Nord, al 91% al Centro e 88% al Sud; dati standardizzati per età)

4

. Infine, per quanto riguarda i dati di prevalenza riferiti al nostro paese, si stima che tra gli uomini che convivono con una pregressa diagnosi di neoplasia, 458.000 di essi, pari a circa il 30%, abbia ricevuto una pregressa diagnosi di carcinoma prostatico. Il 55% di queste diagnosi è stato formulato da meno di 5 anni e il 14% da più di 10 anni. La maggior parte delle diagnosi viene formulata in individui di età avanzata (6811 casi ogni 100.000 ultrasettantacinquenni). La quota di gran lunga maggiore dei pazienti è presente al Nord (1.428 casi ogni 100.000 abitanti nel Nord-Ovest, 1395 nel Nord-Est) rispetto al Centro (1015) e al Sud (588)

4

.

1.2. Eziologia, fattori di rischio e fattori protettivi

Non vi è dubbio che l'eziologia del carcinoma prostatico sia multifattoriale e sia il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici (responsabili della familiarità e della diversa incidenza nelle razze umane) ed ambientali (dieta, cancerogeni presenti nell’ambiente).

Fattori di rischio:

(17)

• Razza (la razza nera è più a rischio per i più elevati livelli circolanti di androgeni, di DHT e di 5-alfa reduttasi)

5-7

.

• Fattori ormonali (elevati livelli circolanti di testosterone e di IGF-1 predispongono all’insorgenza del tumore)

8

.

• Storia familiare di tumore della prostata (circa il 25% dei pazienti)

• Fattori genetici (9% di forme ereditarie; 43% nei pazienti con età < 55 anni)

6,7

[vedi anche capitolo sulla genetica del carcinoma prostatico]

• Stile di vita: dieta (eccessivo apporto calorico e di grassi)

8,9

.

Obesità

11,12

• Altezza

11,12

• Fumo

11

• Prodotti caseari; introito di calcio

11

Fattori protettivi:

• Attività fisica

11

• Caffè

11

• Pomodori

11

• Pesce

11

• Vitamina D

11

• Statine

11

Il grado di evidenza è diverso; per alcuni fattori l’evidenza è forte (per esempio età, razza. storia familiare, alterazioni genetiche) per altri è debole (per esempio il consumo di prodotti caseari,l’introito di calcio), per altri ,come l’altezza, è debole rispetto al rischio globale di cancro della prostata ma elevato in relazione ai tumori più avanzati e alle forme più letali.In generale l’evidenza relativa ai possibili effetti protettivi è bassa, fatto salvo per l’attività fisica,che tuttavia sembrerebbe maggiormente collegata al rischio di mortalità per tutte le cause nei pazienti con diagnosi di carcinoma prostatico. Secondo alcuni autori, l’estrema eterogeneità del carcinoma prostatico dal punto di vista biologico e clinico, che fa sì che a fianco di neoplasie con caratteristiche indolenti coesistano neoplasie aggressive, rapidamente evolutive ed altamente letali,

dovrebbe far considerare separatamente i fattori di rischio per le neoplasie globalmente intese e quelli che predispongono maggiormente allo sviluppo delle neoplasie con maggiore potenziale evolutivo

11

. Vero è che in molti Paesi i risultati degli studi epidemiologici più recenti possono essere parzialmente inficiati dall’utilizzo del PSA come test di screening opportunistico, per la possibile associazione tra la pratica di sottoporsi a controlli regolari del PSA e lo stile di vita, in particolare le abitudini alimentari.

Per quanto riguarda la familiarità, si stima che il rischio sia almeno raddoppiato nel caso un familiare di primo grado risulti affetto da questa neoplasia

7

. Se due o più parenti di primo grado risultano affetti, il rischio aumenta di 5-11 volte

7

. In realtà, solo un piccolo sottogruppo di pazienti affetti da carcinoma della prostata (meno del 15 %) ha una malattia su base ereditaria (tra i criteri di ereditarietà: presenza di tre o più familiari affetti, o almeno di due familiari che hanno sviluppato la malattia prima dei 55 anni). Il carcinoma eredo- familiare di solito viene diagnosticato più precocemente rispetto al carcinoma sporadico

7

(vedi anche capitolo 2.0).

L’obesità è stata correlata con il rischio di carcinoma prostatico in diversi studi, con risultati contrastanti; la

maggior parte degli studi sembrerebbe tuttavia indicare un aumentato rischio di carcinoma prostatico nonché

un’associazione con il rischio di letalità per carcinoma prostatico nei pazienti dopo la diagnosi

11,12

.D’altra

parte l’obesità è implicata nella disregolazione di varie pathways ormonali che comportano aumentati livelli

di insulina, estradiolo e citochine di tipo infiammatorio che possono avere un ruolo patogenetico nella

cancerogenesi prostatica

11

. Anche l’altezza è stata correlata con il rischio di sviluppare un carcinoma

prostatico, specie neoplasie più avanzate ed aggressive, anche se, nuovamente, i risultati dei vari studi sono

contrastanti. Non del tutto conclusivi sono anche gli studi sul ruolo del fumo di sigaretta, così come

sull’assunzione di calcio e di prodotti caseari, che in genere contengono elevate quantità di calcio

11,12

. Un

meccanismo potenziale di associazione tra elevata assunzione di calcio e incidenza del carcinoma prostatico,

(18)

potrebbe essere mediato dalla soppressione dei livelli circolanti di diidrossi-vitamina D (che è ipotizzata avere effetti protettivi) e ad un aumentato livello di IGF

11

.Più solidi sembrerebbero invece i dati a favore dell’effetto protettivo legato al consumo di pesce e di caffè

11

nonché all’uso di statine per abbassare il colesterolo

11

Fattori come il consumo di cibo e alcool, il comportamento sessuale, l’infiammazione cronica e l'esposizione professionale sono stati tutti correlati con l’eziopatogenesi della malattia e con la progressione neoplastica

10

. Anche in questo caso i risultati sono tuttavia contrastanti

11,12

. In realtà oggi si tende ad attribuire maggiore rilevanza dal punto di vista etiopatogenetico alla ridotta esposizione a possibili fattori protettivi come le Vitamine C e D, gli oligoelementi, e gli antiossidanti (si veda anche 3.1)

10,13

.

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2.0 Genetica del carcinoma prostatico

La familiarità è un fattore di rischio noto per il carcinoma della prostata

1-3

. Il carcinoma prostatico è inoltre

associato alla sindrome HBOC (hereditary breast and ovarian cancer) e alla sindrome di Lynch, entrambe

legate a mutazioni germinali dei geni coinvolti nel riparo del DNA

4-8

. E’stato rilevato che circa il 10% dei

pazienti affetti da carcinoma prostatico e che hanno sviluppato almeno un’ulteriore neoplasia sono portatori

di mutazioni germinali associate ad un aumentato rischio oncogeno

9

. Alla luce di queste evidenze appare

ragionevole approfondire a livello anamnestico la presenza di neoplasie nello stesso paziente e/o nei suoi

familiari per evidenziare eventuali sindromi ereditarie che comportano un elevato rischio di cancro e per

suggerire un’eventuale consulenza genetica. Globalmente circa il 12% dei pazienti affetti da carcinoma

prostatico in fase metastatica è portatore di mutazioni germinali a carico di almeno uno dei 16 geni coinvolti

nel riparo del DNA, più frequentemente a livello del gene BRCA2

10,11

. La percentuale di mutazioni di questi

(19)

localizzate

12

.In uno studio condotto su pazienti affetti da carcinoma prostatico metastatico in fase di resistenza alla castrazione, la percentuale di mutazioni germinali a carico di geni coinvolti nel riparo del DNA è risultata ancora maggiore

13

.Sembra pertanto che la percentuale di mutazioni germinali a carico di geni coinvolti nel riparo del DNA sia progressivamente maggiore in funzione dello stadio e della fase di evoluzione della malattia. La percentuale di mutazioni germinali a carico di questi geni, e in particolare di BRCA2, è risultata inoltre maggiore nei pazienti con una storia familiare di carcinoma mammario

14

e negli ebrei Ashkenazi

15

. Le mutazioni germinali a carico di BRCA2, e in minor misura, di BRCA1 implicano un aumentato rischio di sviluppare il cancro della prostata

7,8,15,16

. Altre mutazioni a carico di geni coinvolti nel riparo del DNA come ATM, PALB2 e CHEK2, rappresentano pure un fattore di maggiore suscettibilità a sviluppare un cancro prostatico

17-20

. Inoltre le neoplasie prostatiche degli individui portatori di mutazioni a carico dei geni BRCA1 e 2 si sviluppano più precocemente e tendono ad avere un comportamento più aggressivo che è causa di una ridotta speranza di vita

21-26

. Un recente studio su una ampia coorte di pazienti trattati con inibitori del recettore androgenico di nuova generazione (ARSI), ha evidenziato il significato prognostico sfavorevole di alterazioni del gene RB1. Peraltro in questo studio le mutazioni di BRCA 1 e 2 non mostravano alcun valore predittivo sulla risposta a questi farmaci rispetto ai pazienti che non presentavano queste mutazioni

27

. Il carcinoma della prostata è inoltre spesso associato a mutazioni somatiche. Mutazioni somatiche dei geni coinvolti nel riparo del DNA sono state descritte nel 19% delle neoplasie localizzate alla prostata e nel 23 % delle neoplasie metastatiche in fase di resistenza alla castrazione. La maggior parte di queste mutazioni interessa i geni BRCA2 e ATM

10-11

. Queste mutazioni somatiche sono non infrequentemente associate ad analoghe mutazioni germinali. Mentre lo screening genetico può avere qualche rilevanza nei soggetti sani con familiarità o con consanguinei affetti da sindromi eredo-familiari, in quanto suscettibili di un monitoraggio con ripetizione del PSA (vedi capitolo 3.2), nei pazienti già affetti dal cancro ed in particolare in quelli che sviluppano una malattia resistente alla castrazione, lo screening per eventuali mutazioni di questi geni, incluse le mutazioni di tipo somatico, potrebbe avere una qualche utilità nell’indirizzare le scelte terapeutiche. Diversi studi suggeriscono che le mutazioni a carico di diversi geni implicati nel riparo del DNA possano predisporre alla risposta agli inibitori di Poly-ADP ribosio-polimerasi (PARP). Gli studi con Olaparib ed altri PARP inibitori hanno mostrato risultati promettenti

28-30

. Al Congresso ESMO di settembre 2019 sono stati presentati i risultati dello studio PROFOUND, uno studio di fase III che ha confrontato Olaparib versus enzalutamide o abiraterone su un totale di 245 pazienti affetti da CRPC M1 con alterazioni geniche di BRCA 1,2 e/o ATM. I pazienti sono stati randomizzati in un rapporto di 2:1 (162 nel braccio di trattamento con Olaparib e 83 nel braccio di trattamento con enzalutamide o abiraterone, trattamento scelto a discrezione del medico). L’end point primario di questo studio era la rPFS mentre l’OS era compresa tra gli endpoint secondari. Nello studio è stata inoltre inclusa un’altra coorte di pazienti (N=142) che presentavano altre alterazioni geniche. Per entrambe le coorti era consentito il cross-over ad Olaparib dopo la revisione centrale in cieco dei risultati.

Nei pazienti con mutazioni di BRCA 1,2 e/o ATM, la rPFS mediana è risultata pari a 7.39 mesi nel braccio

in trattamento con Olaparib versus 3.55 mesi (HR 0.34 [95% CI 0.25-0.47] p<0.0001). Anche la durata

mediana della OS è risultata superiore nei pazienti assegnati ad Olaparib: 18.5 mesi versus 15.11(HR 0.64

[95%CI:0.43-0.97]) p=0.0173

31

. Si tratta di risultati non ancora pubblicati in estenso e presentati solo pochi

giorni fa, per tali motivi al momento l’uso dei PARP inibitori nella terapia del carcinoma della prostata non

ha ancora ricevuto l’approvazione in nessun Paese. È stato inoltre riportato che difetti nel riparo del DNA

sono in grado di predire la risposta del carcinoma prostatico resistente alla castrazione al cisplatino e ai suoi

derivati

32-34

. Questi dati tuttavia non possono tradursi in raccomandazioni specifiche ma piuttosto

suggeriscono l’opportunità di implementare studi basati sull’uso dei platino-derivati nei pazienti che

presentano mutazioni dei geni del riparo del DNA. Analogamente è difficile tradurre nella pratica clinica le

indicazioni che provengono da studi che suggeriscono che i pazienti affetti da carcinoma prostatico resistente

alla castrazione e portatori di mutazioni di BRCA1/2 siano più sensibili al trattamento con abiraterone o

enzalutamide piuttosto che al trattamento con taxani

13

. È stato evidenziato che mutazioni somatiche dei geni

MLH1, MSH2, MSH6 e PMS2 possono indurre instabilità dei micro satelliti tumorali e difetti nei

meccanismi di riparazione del DNA per errori di appaiamento (mismatch repair: MMR) e sono talvolta

associate a mutazioni germinali e a sindrome di Lynch

4,35

. L’incidenza di queste mutazioni è comunque

molto bassa

35,36

. Un’associazione è stata infine riportata tra mutazioni somatiche o germinali dei geni

coinvolti nel MMR e neoplasie prostatiche ad istologia duttale e intra duttale, che rappresentano una ridotta

(20)

minoranza tra i differenti tipi istologici del carcinoma prostatico (vedi capitolo 4.0) che hanno una prognosi peggiore rispetto alle forme acinari

37-39

. In particolare l’istologia intraduttale sembrerebbe relativamente comune nei pazienti affetti da carcinoma prostatico portatori di mutazioni germinali di BRCA2

40

. Dal punto di vista applicativo è attualmente difficile formulare raccomandazioni sullo screening genetico, anche per la indisponibilità (non rimborsabilità) del test per i pazienti affetti da carcinoma prostatico nel nostro Paese. Alcune linee guida, come ad esempio le linee guida NCCN americane

41

, raccomandano uno screening genetico mediante tecniche di sequenziamento (next generation sequencing: NGS) a livello germinale includente un pannello di geni comprendente BRCA2, BRCA1, ATM, CHEK2, PALB2, MSH2, MSH6 e PMS2, specialmente nei pazienti con storia familiare positiva, in quelli a rischio alto e molto alto (indipendentemente dalla familiarità), in quelli con ascendenza Ashkenazi e in quelli con istologia intra duttale. Secondo gli esperti americani diversi tra i predetti geni potrebbero essere studiati anche a livello somatico così come i geni coinvolti nel MMR o l’instabilità dei micro satelliti. I pazienti positivi allo screening dovrebbero essere inviati a consulenza genetica (per escludere la predisposizione alla Sindrome di Lynch) mentre quelli affetti da tumore con MSI potrebbero essere candidati in seconda, terza linea a trattamento con Pembrolizumab, un immuno-checkpoint inibitore che nel nostro Paese non ha ancora ottenuto il riconoscimento da parte di AIFA in questa indicazione. Per altro il problema di chi sottoporre a screening genetico e del come farlo è ancora aperto anche negli USA, che forse rappresentano il Paese più attento a questa problematica. Infatti a fronte della cautela espressa da alcuni autori, particolarmente nei soggetti non ancora colpiti dal cancro ma considerabili a rischio (per familiarità o presenza nell’albero genealogico di neoplasie mammarie e/o ovariche)

42

, altri sottolineano come se, per esempio, si limitasse lo screening dei pazienti con cancro della prostata agli individui a rischio secondo le linee guida NCCN o in funzione dello score di Gleason, si perderebbe una percentuale consistente di pazienti che comunque presentano mutazioni significative

36

. Senza contare il problema dei costi che l’allargamento indiscriminato dello screening genetico verrebbe a comportare e quello relativo alla possibilità concreta di affrontare in maniera appropriata una domanda così ampia da parte di genetisti esperti, in grado di collaborare validamente con gli specialisti oncologi ed urologi.

Bibliografia Genetica del carcinoma prostatico

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3.0 Chemioprevenzione, diagnosi precoce e screening 3.1. Chemioprevenzione

Il cancro della prostata può essere considerato un candidato ideale per misure di chemioprevenzione, dietetica e farmacologica, a causa di caratteristiche specifiche quali l’elevata incidenza della malattia, la lunga latenza, l’endocrino-dipendenza e la presenza di lesioni pre-neoplastiche potenziali precursori del carcinoma (neoplasia prostatica intraepiteliale [PIN], specie nella forma high-grade). Come si è già detto (vedi capitolo su epidemiologia e fattori di rischio), la reale utilità di misure correttive della dieta e degli stili di vita è tuttora oggetto di controversia, dal momento che la maggior parte delle informazioni disponibili al riguardo derivano da studi di tipo caso-controllo e che i risultati degli studi prospettici disponibili non hanno finora dato risultati probanti

1

. Va ricordato in questo contesto lo studio SELECT (Selenium and Vitamin E Cancer prevention Trial) condotto dall’Istituto Nazionale del Cancro negli USA che ha arruolato 32.400 uomini e che aveva lo scopo di valutare l’effetto sull’incidenza del cancro (per altro non solo del cancro della prostata) del Selenio e/o della Vitamina E. Questo studio infatti ha fornito risultati sostanzialmente negativi

2

. Diversi studi hanno valutato il possibile ruolo di farmaci come gli inibitori della lipo-ossigenasi, i modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni (SERMs) e gli inibitori della 5-alfa-reduttasi

4-8

. Nel 2003, è stato pubblicato il primo studio di chemioprevenzione con inibitori della 5-alfa-reduttasi su larga scala condotto su una popolazione di 18.882 uomini, asintomatici, con esplorazione rettale (DRE) negativa e PSA < 3 ng/ml, che sono stati randomizzati a ricevere Finasteride (5mg/die) o placebo per 7 anni (PCPT trial)

9

. Lo studio ha dimostrato una riduzione del numero dei casi incidenti di carcinoma prostatico nel gruppo trattato con finasteride (18,4% vs 24,4%). Tuttavia nel gruppo dei trattati, oltre ad una maggiore tossicità, si è osservato un significativo aumento del numero di tumori con un alto Gleason score

9

. Tale dato è stato interpretato ipotizzando che l’azione del farmaco, riducendo il volume della prostata, introduca un bias di rilevazione.

Ciò nonostante, i risultati dello studio hanno indotto la Food and Drug Administration (FDA) americana a

scoraggiare l’utilizzo della Finasteride a scopo chemio-preventivo, anche per l’assenza di differenza nella

mortalità dei due gruppi e per gli effetti collaterali legati all’utilizzo di questo farmaco

1

. È di recente

pubblicazione uno studio osservazionale che ha fornito dati aggiornati sull’incidenza di tumore prostatico nei

(23)

Erano disponibili dati riguardanti il 75,1% (14.176 su 18.880) dei soggetti arruolati nello studio

10

. A un follow-up mediano di 16 anni, sono stati registrati in totale di 3244 casi di cancro della prostata nella popolazione oggetto di studio, 1805 nel braccio assegnato a placebo e 1439 nel braccio trattato con finasteride. La riduzione dell’hazard ratio per incidenza di tumore prostatico nel gruppo di pazienti trattato con finasteride è stata del 21,1% rispetto al gruppo che ha assunto placebo (HR 0.79; 95 % CI 0.74-0.84 p<

0.001). Tuttavia, per la natura e la fonte stessa dei dati raccolti, non è stato possibile ottenere informazioni riguardanti il Gleason dei tumori diagnosticati. Non sono stati inoltre ottenuti da questa nalisi dati di mortalità

10

. Dati di mortalità sono stati invece forniti da una analisi ancora più recente

11

, ad un follow-up mediano di 18.4 anni. Questa analisi ha evidenziato una mortalità globale del 32% tra i pazienti trattati con finasteride e del 31% tra quelli assegnati al placebo, e solo una lieve riduzione della mortalità cancro specifica (0,44% vs 0.59%) a favore di pazienti trattati con finasteride, per altro non statisticamente significativa (considerando il piccolo numero di eventi correlabile direttamente al cancro prostatico:

rispettivamente 42/3048 e 56/2979). Questi dati sono probabilmente rassicuranti rispetto a quelli riportati inizialmente, perché sembrerebbero suggerire che l’incremento di neoplasie ad alto grado tra gli esposti alla finasteride in realtà non si accompagna (almeno a lungo termine) ad un aumento della mortalità cancro- specifica; tuttavia non modificano probabilmente le precedenti raccomandazioni della FDA americana. Lo studio denominato REDUCE ha valutato l’utilizzo di un altro inibitore della 5 alfa reduttasi, la dutasteride, in uomini a rischio di sviluppare un carcinoma prostatico. Questo studio ha arruolato circa 6.300 uomini, di età variabile tra i 50 e i 75 anni, con biopsia prostatica negativa eseguita nei 6 mesi precedenti la randomizzazione e PSA compreso tra 2,5 e 10 ng/ml (se <60 anni), o tra 3 e 10 ng/ml (se ≥ 60 anni). I soggetti sono stati randomizzati a ricevere dutasteride (0,5 mg/die) o placebo e successivamente valutati mediante ripetizione delle biopsie prostatiche a 2 e a 4 anni dall’inizio del trattamento (è inoltre stata eseguita una re-biopsia ogni qual volta si sia sospettata la presenza di un tumore prostatico)

10

. Nei pazienti trattati con dutasteride si è osservata una riduzione pari al 22,8% del rischio di sviluppare un carcinoma prostatico, senza significativo incremento nella percentuale di neoplasie ad elevato Gleason score e con un profilo di tossicità accettabile. Va sottolineato, tuttavia, che anche in questo caso non sono emerse, almeno ad ora, differenze nel rischio di mortalità

12

.

Le attuali evidenze scientifiche e la mancanza di dati robusti di mortalità non consentono di generare raccomandazioni, anche se appare sconsigliabile l’impiego di inibitori della 5alfa reduttasi o l’integrazione della dieta con oligo-elementi e vitamine a scopo chemio-preventivo, se non all’interno di eventuali studi controllati. L’impiego nella pratica clinica degli inibitori della 5alfa reduttasi è pertanto limitato al trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna. Analogamente, le evidenze attualmente disponibili non consentono di raccomandare specifici cambiamenti nello stile di vita (e in particolare nell’ alimentazione)su base individuale al fine di diminuire il rischio di sviluppare la malattia, anche se un ridotto consumo di grassi animali e un incremento del consumo di frutta, cereali e verdura, posono essere in ogni caso consigliabili unitamente all’aumento dell’attività fisica, come mezzo di prevenzione delle neoplasie, in genere, e delle malattie cardiovascolari.

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12. Andriole GL, Bostwick DG, Brawley OW, et al. Effect of dutasteride on the risk of prostate cancer. The New England Journal of Medicine 2010; 362(13): 1192-202.

3.2. Diagnosi precoce e screening

Poiché non è prevedibile, almeno a breve termine, ottenere una riduzione dell’incidenza della malattia attraverso la prevenzione primaria, non vi è dubbio che la prevenzione secondaria rimanga, teoricamente, lo strumento più adeguato per influire sulla storia naturale della malattia e per ridurne la letalità. Il mezzo ipotizzabile è quindi lo screening, in particolare lo screening di popolazione; il test di screening che è apparso potenzialmente più confacente allo scopo, per considerazioni complessive di costi, convenienza e accuratezza diagnostica, è il dosaggio periodico del PSA. Affinché una procedura di screening possa essere proponibile, sia a livello individuale che di popolazione, è necessario che l’efficacia (riduzione della mortalità) e il rapporto costi/benefici siano confermati oltre ogni dubbio mediante studi prospettici randomizzati. Simili studi sono stati condotti in Europa (ERSPC) e negli USA (PLCO) e nel 2009 hanno prodotto i primi dati relativi all’impatto dello screening sulla mortalità

1,2

L’European Randomized Study of Screening for Prostate Cancer (ERSPC) è stato avviato all’inizio degli

anni ’90 in sette Paesi europei e ha arruolato un totale di 182.000 soggetti, di età compresa tra i 50 e i 74

anni, che sono stati randomizzati ad essere sottoposti a dosaggio periodico del PSA (in media ogni 4 anni,

ma con differenze tra i protocolli applicati nei diversi Paesi partecipanti per quanto riguarda la periodicità

dell’esecuzione del test, i cut-off utilizzati e l’eventuale esecuzione contemporanea dell’esplorazione rettale

e/o dell’ecografia transrettale) o a far parte del gruppo di controllo. Dopo un follow-up mediano di 9 anni,

l’incidenza cumulativa di neoplasia prostatica è risultata dell’8,2% nel gruppo di screening e del 4,8% in

quello di controllo, con un HR di 0.80 (p=0.04) a favore degli individui arruolati nel braccio di screening

1

.

Tale riduzione è dell’ordine di grandezza di quella ottenibile mediante lo screening mammografico per il

carcinoma della mammella o mediante la colonscopia per il carcinoma del colon-retto. Tuttavia, la differenza

nel rischio assoluto di morte è risultata essere di 0,71 morti per 1000 uomini screenati: ciò significa che

1.410 soggetti devono essere sottoposti a screening e 48 di essi devono essere trattati per prevenire una

singola morte per carcinoma prostatico. Le conclusioni alle quali giungono gli autori sottolineano entrambi

questi aspetti: infatti, a fronte di una riduzione della mortalità cancro-specifica dell’ordine del 20%, lo

screening mediante PSA è risultato associato ad un elevato rischio di sovradiagnosi, e quindi di sovra

trattamento, nell’ordine del 50%. Queste conclusioni sono tuttora valide, nonostante successive analisi dello

studio abbiano dimostrato un aumento nel tempo della “resa” della procedura di screening. L’aggiornamento

dei dati di mortalità pubblicato nel marzo 2012, infatti, oltre a confermare una riduzione del 21% del rischio

legato alla mortalità cancro-specifica, riporta una riduzione del 29% dopo aggiustamento per la non-

compliance (intention to screen) e continua a evidenziare anche un tasso rilevante di sovradiagnosi. Infatti, a

11 anni di follow-up, il numero dei pazienti che è necessario screenare (sottoporre a biopsia) è pari a 1.055 e

il numero dei pazienti che è necessario sottoporre a prostatectomia per evitare una singola morte è risultato

più basso (37), ancorché sempre eccessivo in termini assoluti

3

.Un ulteriore aggiornamento dei dati, a un

(25)

follow up di 13 anni, dimostra che questi numeri si sono ulteriormente ridotti rispettivamente a 781 uomini che è necessario sottoporre a biopsia e 27 i pazienti da avviare a prostatectomia radicale

4

. Questi dati sembrano suggerire la possibilità che il beneficio possa ulteriormente aumentare nel tempo, soprattutto a favore degli individui più giovani con una speranza di vita più lunga. Tuttavia, è opportuno ricordare che la riduzione di mortalità non si è verificata in tutti i paesi partecipanti allo studio ERSPC; infatti in Finlandia (nazione in cui è stato reclutato il 49,4% di tutti gli uomini arruolati dall’ ERSPC) non si è evidenziato alcun beneficio in termini di mortalità nei soggetti sottoposti a screening

5

.

Lo studio americano (PLCO) ha invece arruolato 76.693 uomini, randomizzati a essere sottoposti a dosaggio annuale del PSA ed esplorazione rettale o a controllo. Dopo un follow-up medio di 7 anni, il tasso di mortalità è risultato molto basso (2,0 per 10.000 persone-anno nel gruppo di screening, 1,7 in quello di controllo) senza alcuna differenza statisticamente significativa fra i 2 gruppi a confronto. E’ importante sottolineare che lo studio PLCO soffre di gravi carenze nel disegno e nella conduzione: (i) la popolazione randomizzata era già stata per buona parte (50%) sottoposta a screening su base opportunistica, con il conseguente abbattimento dei casi incidenti; (ii) i casi positivi allo screening non sono stati gestiti all’interno del programma ma, di fatto, affidati ai medici di famiglia (in realtà solo nel 40% dei soggetti in cui era indicata una biopsia, questa è stata effettivamente eseguita); (iii) una quota importante (>50%) degli individui nel braccio di controllo, e quindi esente da screening all’interno dello studio, è stata invece oggetto di screening spontaneo. Lo studio PLCO rischia pertanto di essere poco informativo circa la reale efficacia di un programma di screening organizzato; prova ne sia il fatto che gli autori, nel più recente aggiornamento dei risultati dello studio del 2012, giungono a concludere che, dopo 13 anni di follow-up, non vi sono differenze di mortalità fra uno screening di tipo organizzato ed uno opportunistico (e non fra uno screening organizzato e il non fare nulla)

6

.

Nel 2017 è stata pubblicata una rivalutazione dei risultati del PLCO eseguita confrontando i soggetti sottoposti a screening (organizzato od opportunistico) e con quelli che non avevano avuto una determinazione di PSA. L’analisi dell’anticipo diagnostico medio ha portato a stimare negli uomini che hanno avuto almeno un dosaggio di PSA una riduzione di mortalità cancro-specifica del 25-32%, confrontabile quindi con quella rilevata nell’ERSPC

7

.Questi dati vanno però considerati con cautela in quanto si tratta di una proiezione basata su un modello matematico che assimila lo screening organizzato a quello opportunistico; tale assunzione non sarebbe del tutto sostenibile sulla base di un’analisi eseguita sui dati dell’ERSPC che evidenzia come lo screening opportunistico sia meno efficace e porti a un tasso più elevato di sovradiagnosi rispetto allo screening organizzato

8

.

Con le stesse cautele, debbono essere considerati anche i risultati dello studio di Göteborg, altro trial sullo screening mediante PSA, per quanto più favorevoli in termini di beneficio prodotto dallo screening rispetto ai dati dello ERSPC

9

. Va tuttavia sottolineato come questo studio sia relativamente più piccolo, soprattutto se confrontato con gli altri due trial sopra indicati, e per giunta con una parziale sovrapposizione di popolazione con il trial ERSPC. L’apparente superiorità del vantaggio osservato nel braccio assegnato allo screening è probabilmente spiegata dal basso tasso di contaminazione con lo screening opportunistico nel braccio inizialmente assegnato alla semplice osservazione. Queste considerazioni rendono le conclusioni dello studio poco generalizzabili alla popolazione della maggior parte dei paesi occidentali, nei quali una fetta considerevole degli uomini adulti si sottopone comunque allo screening opportunistico con il PSA.

In generale, i dati dello studio ERSPC sembrano essere più robusti di quelli del PLCO e più generalizzabili di quelli di Göteborg. Tuttavia giova ricordare che né lo studio Americano né lo studio Europeo hanno sinora dimostrato alcun benefico in termini di mortalità globale, un obiettivo che comunque dovrebbe raggiungere qualunque programma di screening quando venga proposto come procedura di popolazione.

Nel 2018 sono stati pubblicati i risultati di un altro studio randomizzato e controllato sull’uso del PSA per lo

screening del cancro della prostata, condotto nel Regno Unito dal 2001 al 2009 (The Cluster Randomized

Trial of PSA Testing for Prostate Cancer [CAP])

10

. Lo studio CAP ha incluso 415.357 uomini, randomizzati

in un braccio di screening e uno di controllo. I soggetti sottoposti a screening hanno ricevuto una sola

determinazione di PSA con l’obiettivo di ridurre il rischio di sovradiagnosi e l’elevato tasso di falsi positivi

riscontrati nell’ERSPC e verosimilmente conseguenti alle determinazioni ripetute di PSA. Dopo un follow-

up mediano di 10 anni non è stata riscontrata una riduzione di mortalità nei soggetti sottoposti a screening

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