La stadiazione linfonodale è molto importante nel trattamento del carcinoma prostatico. Purtroppo le attuali
metodiche non invasive utilizzate per identificare la presenza di metastasi linfonodali sono ancora poco
affidabili. Le tecniche di imaging convenzionali (TC e RM) si basano sulla forma e dimensione linfonodale
ed hanno una bassa sensibilità e specificità, mentre nuove tecniche diagnostiche, come la PET con diversi
tracianti e la linfografia con RM e microparticelle di ossido di ferro, sono ancora in fase sperimentale ed
attualmente non possono essere raccomandate per riconoscere metastasi linfonodali prima del trattamento
1-3.
Pertanto la linfadenectomia pelvica rimane ad oggi la procedura più utilizzata per la stadiazione dei
linfonodi regionali. Purtroppo si tratta di una procedura non scevra da possibili complicanze post-operatorie
come linfoceli, trombosi venosa, lesioni uretereali, vascolari e nervose, linfedemi, ematomi, febbre, che
possono prolungare il ricovero del paziente e richiedere ulteriori trattamenti talora anche invasivi
4-7.
Il rischio individuale di positività linfonodale può essere stimato preoperatoriamente mediante
l’utilizzo di nomogrammi dedicati che prendono in considerazione diverse variabili, fra le quali il
valore di PSA, il Gleason score, lo stadio clinico, la percentuale di frustoli bioptici positivi per
carcinoma
8-11. Recentemente è stato messo a punto un nomograma che prende in considerazione anche i
risultati della RM multiparametrica (stadio clinico T e diametro massimo della lesione indice)
12. Una
linfoadenectomia estesa, eseguita esclusivamente nei pazienti con un rischio di interessamento linfonodale >
7%, secondo questo nomogramma, riduce in modo significativo il numero di dissezioni linfonodali pelviche
non necessarie, con rischio di misconoscere solo l'1,5% dei pazienti con linfonodi positivi.
Il valore soglia in base al quale omettere la linfadenectomia (5-7% secondo la letteratura), andrebbe
comunque discusso con il paziente sulla base dei rischi e benefici (omettendo la linfadenectomia si evitano le
complicanze ma si può lasciare in sede uno o più linfonodi metastatici, la cui rimozione non è correlata con
certezza ad un aumento di sopravvivenza globale ma influisce certamente sulla scelta di una terapia
adiuvante e sul follow- up).
Rispetto alla linfadenectomia “limitata”, comprendente la sola fossa otturatoria, l’esecuzione della
linfadenectomia estesa (comprendente linfonodi otturatori, iliaci esterni ed iliaci interni) presenta un
tasso di positività linfonodale significativamente superiore e potrebbe migliorare la sopravvivenza
libera da malattia in alcuni sottogruppi di pazienti
13-15. Inoltre, la fossa otturatoria è la prima sede di
metastatizzazione solamente in circa il 50% dei casi
13.
Il migliore template della linfoadenectomia per il carcinoma della prostata è tuttavia ancora controverso e se
è uninanimemente riconosciuta l’importanza della rimozione dei linfonodi iliaci interni, si discute se
estendere la rimozione anche ai linfonodi iliaci comuni (almeno fino all’incrocio con l’uretere) e ai linfonodi
presacrali. Secondo alcuni Autori rimuovendo anche tali linfonodi il rischio di sottostadiazione linfonodale
viene ridotto al minimo
16,17.
L’estendere i limiti della linfoadenectomia comporta però un incremento del tasso di complicanze a fronte di
un non sicuro effetto terapeutico in tutti i pazienti. Da qui i tentativi di esplorare, anche nel carcinoma della
prostata, la rimozione primaria del linfonodo sentinella (il primo linfonodo che riceve linfa dalla prostata)
con l’obiettivo di ridurre la morbilità associata alla linfoadenectomia estesa, preservando la massima
accuratezza diagnostica. Diverse sono le metodiche descritte, ma al momento attuale esse sono da ritenersi
ancora in fase di studio e validazione
18-21.
In assenza di studi prospettici randomizzati non è possibile esprimere con sicurezza un giudizio sul ruolo
terapeutico della linfoadenectomia. Tuttavia esistono diverse casistiche retrospettive mono o
multi-istituzionali, studi derivanti da registri tumori e revisioni di letteratura, che riportano risultati oncologici
soddisfacenti in pazienti cN0, riconosciuti N+ dopo prostatectomia radicale associata a linfoadenectomia.
Seiler et al. hanno ottenuto una sopravvivenza causa specifica a 10 anni del 60% in una serie di 88 pazienti;
in presenza di un singolo linfonodo positivo la sopravvivenza causa specifica a 10 anni saliva al 75%, con un
20% di probabilità di assenza di recidiva biochimica pur senza terapia adiuvante
22. Cheng et al. riportano un
79% di sopravvivenza causa specifica a 10 anni in una serie di 322 pazienti, il 92% dei quali ha ricevuto una
terapia adiuvante con antiandrogeni
23. In uno studio multicentrico comprendente 703 pazienti, tutti sottoposti
a trattamento adiuvante, la sopravvivenza causa specifica a 15 anni è stata del 78% con una sopravvivenza
libera da recidiva biochimica del 58% a 10 anni
24. I principali fattori prognostici sono risultati il numero di
linfonodi metastatici (≤ 2 o > 2), il Gleason score, la densità linfonodale, lo stadio patologico e i margini
chirurgici. Steuber et al., in uno studio retrospettivo su 158 pazienti pN+, 50 dei quali sottoposti a sola
linfoadenectomia e successiva ormonoterapia e i restanti 108 sottoposti anche a prostatectomia radicale,
hanno riportato una sopravvivenza causa specifica a 10 anni del 46% versus 81%. La sopravivenza libera da
progressione clinica a 10 anni dimostra un trend simile (31% versus 61%). In una serie monoistituzionale del
MSKCC di 369 pazienti pN+ trattati con prostatectomia radicale e linfoadenectomia, senza successiva
terapia adiuvante, la sopravvivenza causa specifica a 10 anni è stata del 72% con una probabilità di
sopravvivenza libera da metastasi a 10 anni del 65%. Un elevato Gleason score e più di 3 linfonodi
interessati sono risultati costituire elementi sfavorevoli per la progressione biochimica. Due studi derivanti
da registri tumori (Registo tumori di Monaco di Baviera e SEER data base USA), riportano sopravvivenze
superiori al 50% a 10 anni con prostatectomia radicale associata a linfoadenectomia nei pazienti pN+,
rispetto a risultati significativamente inferiori in assenza di terapia locale. Risultati analoghi sono riportati in
uno studio su più di 2000 mila pazienti cN+ identificati tramite il National Cancer data base USA. Infine, in
una revisione sistematica della letteratura del 2014 si suggersice un possibile vantaggio in sopravvivenza
determinato dalla linfoadenectomia pelvica associata alla prostatectomia, tuttavia si precisa che tale
questione andrebbe chiarita mediante uno studio prospettico randomizzato.
In attesa di più accurati sistemi di stadiazione, la linfoadenectomia di staging andrebbe quindi riservata
ai pazienti considerati a rischio alto o intermedio (basandosi sui livelli del PSA, sul Gleason score, e
sulla stadiazione clinica e radiologica) preferibilmente utilizzando gli appositi nomogrammi che
possono aiutare a valutare il rischio di invasione linfonodale. Tuttavia bisogna anche ricordare che i
nomogrammi potrebbero sottostimare il rischio reale di invasione linfonodale; per tale motivo sono
auspicabili nuovi e più accurati sistemi di determinazione del rischio di estensione linfonodale della malattia.
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