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Progetto di un propulsore a effetto Hall di classe 1,35 kW

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Academic year: 2021

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Riassunto analitico

Si presenta il progetto di un propulsore a effetto Hall (HET) da 1,35 kW con schermatura magnetica. Dopo una presentazione dei cenni storici di questo concetto propulsivo è analizzato il principio di funzionamento. La modellazione proposta dei parametri adimensionali è utile sia al fine di attuare i processi di cambiamento di scala, che al processo, descritto in dettaglio, per la costruzione della mappa delle prestazioni intorno al punto nominale di disegno. L’analisi degli elementi che compongono il circuito magnetico, della topologia magnetica risultante e di alcune delle soluzioni attualmente utilizzate, è seguita dall’attività di simulazione computazionale della geometria del circuito magnetico in grado di replicare la configurazione di schermatura magnetica, che è in grado di ridurre drasticamente il deterioramento dei componenti e di conseguenza aumentare la vita operativa del sistema propulsivo. Ciascuno dei componenti del propulsore è discusso nel dettaglio, considerando le rispettive condizioni operative, i requisiti delle interfacce, dei materiali e dei processi costruttivi, privilegiando quelli con una maggior semplicità costruttiva per massimizzare le prestazioni e ridurre i costi di produzione. Infine, è presentato il modello definitivo, il quale dovrebbe essere sottoposto a simulazioni computazionali delle caratteristiche termiche e del plasma nel getto prima della costruzione di un prototipo per la sperimentazione in laboratorio.

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Abstract

A 1,35 kW with magnetic shielding Hall effect thruster (HET) model is discussed. After a brief historical overview, the working principles are discussed. Details of modeling of the performance parameters for both scaling processes and for the making of the performance map are presented. The analysis of the magnetic circuit components together with magnetic topology considerations and comparison with existing HET models is followed by magnetic simulation activity with the purpose of replicating the promising magnetic shielding topology that would enhance lifetime of the propulsion system. Each thruster’s component is analyzed in detail, considering for each one its operating conditions, interface requirements, material choice and construction process, attempting to maximize performance and limit costs. The final prototype is presented, from which thermal and discharge plasma simulations are to be carried out before the construction of a test model.

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Indice generale

Indice delle figure ... 5

Elenco dei Simboli usati... 14

1. Introduzione ... 17

1.1 Motivazioni ed obiettivi della tesi ... 17

1.2 Organizzazione del lavoro ... 18

1.3 Struttura del lavoro di tesi ... 19

2. I motori a effetto Hall ... 20

2.1 Una breve storia ... 20

2.2 Elementi del sistema propulsivo ... 33

2.3 Il Meccanismo di spinta ... 35

2.4 Indici di prestazioni ... 43

2.5 Metodi di scalatura ... 51

3. La mappa delle Prestazioni ... 58

3.1 Generalità ... 58

3.2 Relazioni tra i parametri di operazione e modellazione delle perdite ... 59

3.3 Costruzione della mappa delle prestazioni ... 61

4. Analisi magnetica... 74

4.1 Descrizione del circuito magnetico ... 74

4.1.1 Elementi del circuito magnetico ... 75

4.2 Topologia del campo magnetico ... 80

4.2.1 La schermatura magnetica ... 87

4.3 Soluzioni costruttive del circuito magnetico ... 93

4.4 Simulazione della topologia magnetica... 97

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4

5.1 La camera dielettrica ... 140

5.2 L’anodo distributore ... 152

5.3 Il circuito magnetico... 157

5.3.1 Dimensionamento delle bobine... 157

5.3.2 Il nucleo magnetico ... 163

5.3.3 I supporti delle bobine ... 168

5.3.4 I poli magnetici ... 171

5.4 Supporto della camera ... 177

5.5 Il catodo neutralizzatore ... 181

5.6 Base di supporto ... 191

6. Conclusioni e sviluppi futuri ... 195

(5)

5

Indice delle figure

Figura 2.1 Schema tipico di un Acceleratore Ionico di Hall [1]. ... 20

Figura 2.2 Schema del propulsore sperimentale dell'Acceleratore Ionico di Hall, United Aircraft [1]. ... 21

Figura 2.3 Schema TAL di A. Zharinov [1]. ... 22

Figura 2.4 Schema TAL a doppio stadio di TsNIIMash [1]. ... 23

Figura 2.5 E-Accelerator dell'IAE proposto da A. Morozov [1]. ... 24

Figura 2.6 Disegno preliminare proposto da Yu. Sharov (a sinistra) e primo SPT testato nel satellite Meteor di V. Bryzgalin (a destra), al Fakel [1]. ... 26

Figura 2.7 a) Distribuzioni dei parametri del plasma nell'SPT di V. Kim e A. Bishaev; b) Sputtering yield della ceramica a cura di I. Shkarban; entrambe condotte al MAI. [1]. 26 Figura 2.8 Sistema propulsivo EOL-2 di VNIIEM [1]. ... 27

Figura 2.9 Prima configurazione SPT con scudi magnetici di V. Kim e A. Bishaev, al MAI [1].28 Figura 2.10 Semi sezione del modello di laboratorio SPT-100 del MAI [1]. ... 29

Figura 2.11 Modello di laboratorio SPT-290 realizzato da V. Murashko al Fakel [1]. ... 30

Figura 2.12 PPS-1350-G da 1,5 kW di Snecma [2]. ... 31

Figura 2.13 BPT-4000 di Aerojet [3]. ... 32

Figura 2.14 Architettura SPT [4]. ... 33

Figura 2.15 Corrente di scarica e rendimento di corrente (ɳi = IiI) in funzione del valore massimo dell’induzione magnetica radiale [4]. ... 37

Figura 2.16 Schema della sezione di un motore a effetto Hall [5]. ... 40

Figura 2.17 Schema della distribuzione assiale del potenziale elettrico, dell'intensità del campo magnetico e del campo elettrico tipici di un HET [4]. ... 40

Figura 2.18 Getto del HT400 v2 di Alta S.P.A. [6]. ... 42

Figura 3.1 Frammento della tabella per il calcolo dell’impulso specifico previa eliminazione dei dati in eccesso. Le righe corrispondono ai valori definiti dell’intervallo di tensione e le colonne all’intervallo di corrente. ... 67 Figura 3.2 Frammento della tabella utilizzata per il calcolo dell’impulso specifico

(6)

6

della formattazione condizionale. ... 68

Figura 3.3 Frammento della tabella utilizzata per il calcolo della spinta. ... 68

Figura 3.4 Dati relativi ai valori assegnati di portata costante. ... 71

Figura 3.5 Dashboard della Mappa delle prestazioni... 73

Figura 4.1 Schema di un elettromagnete assialsimmetrico elementare. ... 75

Figura 4.2 Topologia magnetica del elettromagnete assialsimmetrico elementare. ... 76

Figura 4.3 Schema del circuito magnetico di un motore a effetto Hall. ... 77

Figura 4.4 Schema della configurazione del circuito magnetico con bobine assialsimmetriche.. 79

Figura 4.5 Topologia magnetica del propulsore H6 US [28]. ... 80

Figura 4.6 Topologia magnetica del propulsore NASA-173Mv1 [29]. ... 80

Figura 4.7 Parametri del propulsore SPT-70 in funzione del gradiente assiale del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale [8]. ... 82

Figura 4.8 Distribuzione tipica del campo magnetico radiale normalizzato sulla linea media del canale in due diverse configurazioni del circuito magnetico PPS-FLEX [31]. ... 83

Figura 4.9 Plot grafico delle proprietà isoterme delle linee di campo magnetico, simulazione computazionale del propulsore H6 US [33]. ... 84

Figura 4.10 Schema dell’andamento tipico del potenziale e della temperatura elettronica lungo la linea media del canale in un HET [35]. ... 86

Figura 4.11 Simulazioni della densità numerica (a sinistra) e della temperatura elettronica (a destra), nella sezione del propulsore sperimentale H6 US [28]. ... 86

Figura 4.12 Distribuzioni qualitative del potenziale e della temperatura elettronica lungo le pareti della camera, utilizzando la topologia tradizionale US (a sinistra) e MS (a destra) [34]. ... 88

Figura 4.13 Confronto del potenziale e della temperatura elettronica tra le configurazioni US (a sinistra) e MS (a destra) del propulsore H6 [34]. ... 89

Figura 4.14 Simulazioni del potenziale (in alto), della temperatura elettronica (in mezzo) e della densità numerica del plasma (in basso). I vettori (in basso) descrivono la densità di corrente degli ioni. Propulsore H6 [34]. ... 90

Figura 4.15 Schema della topologia dell’H6 MS [40]. ... 91

Figura 4.16 Dettaglio della simulazione computazionale della temperatura elettronica nella sezione del propulsore H6 MS [34]. ... 91

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Figura 4.17 Propulsore SPT-100, DB-Fakel [4]. ... 93

Figura 4.18 Propulsore H6 da 6 kW, Jet Propulsion Laboratory, NASA [41]. ... 94

Figura 4.19 Circuito magnetico PPS-FLEX: a. Polo interno, b. Polo esterno, c. Nucleo magnetico [31]. ... 95

Figura 4.20 Propulsore HT-5k di Alta S.P.A. [42] ... 96

Figura 4.21 Finestra del generatore del MFAM (Magnetic Field Aligned Mesh) sviluppato per Hall2De. I tratti colorati corrispondono a diverse condizioni al contorno [28]. .. 98

Figura 4.22 Topologia II_femm base... 101

Figura 4.23 Topologia II_femm con gli scudi avvicinati. ... 101

Figura 4.24 Densità di flusso magnetico II_femm base. ... 102

Figura 4.25 Densità di flusso magnetico II_femm con gli scudi avvicinati di 4 mm. ... 102

Figura 4.26 Intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale II_femm base. ... 102

Figura 4.27 Intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale II_femm con gli scudi avvicinati di 4 mm. ... 102

Figura 4.28 Topologia IV_femm base. ... 103

Figura 4.29 Densità di flusso magnetico IV_femm base. ... 104

Figura 4.30 Intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale IV_femm base. ... 104

Figura 4.31 Densità di flusso magnetico IV_femm con AIF avvicinato all’asse del propulsore... 105

Figura 4.32 Intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale IV_femm con AIM avvicinato all’asse del propulsore di 2mm. ... 106

Figura 4.33 Densità di flusso magnetico IV_femm con lo spessore dell’elemento AIF aumentato da 2 mm a 4 mm. ... 107

Figura 4.34 Topologia IV_femm con traferro posteriore di 13 mm. ... 108

Figura 4.35 Densità del flusso magnetico IV_femm con traferro posteriore di 13 mm. ... 108

Figura 4.36 Intensità del flusso magnetico lungo la linea media dell’elemento BIF, nella configurazione IV_femm con traferro posteriore di 13 mm. ... 109

Figura 4.37 topologia IV_femm con traferro posto a metà dell’elemento BIF. ... 110 Figura 4.38 Densità del flusso magnetico IV_femm con traferro posto

(8)

8

a metà dell’elemento BIF. ... 110

Figura 4.39 Intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale IV_femm con traferro posto a metà dell’elemento BIF. ... 111

Figura 4.40 Topologia IV_femm con traferro a metà dell’elemento BIM e numero di spire nella bobina interna di 210. ... 112

Figura 4.41 Densità del flusso magnetico IV_femm con traferro posto a metà dell’elemento BIF e numero di spire nella bobina interna di 210... 112

Figura 4.42 Intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale IV_femm con traferro posto a metà dell’elemento BIF e numero di spire nella bobina interna di 210. ... 113

Figura 4.43 Intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale IV_femm a 5 A, con traferro posto a metà dell’elemento BIF e numero di spire nella bobina interna di 210. ... 114

Figura 4.44 Densità del flusso magnetico IV_femm a 5 A, con traferro posto a metà dell’elemento BIF e numero di spire nella bobina interna di 210... 114

Figura 4.45 Topologia IV_femm finale. ... 115

Figura 4.46 Densità del flusso magnetico IV_femm finale. ... 116

Figura 4.47 Intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale IV_femm finale. ... 116

Figura 4.48 Configurazione V_femm base. ... 117

Figura 4.49 Topologia V_femm base ... 118

Figura 4.50 Densità del flusso magnetico V_femm base ... 118

Figura 4.51 Topologia V_femm con scudo interno di spessore 1 mm. ... 119

Figura 4.52 Topologia V_femm con scudo interno di spessore 3 mm. ... 119

Figura 4.53 Densità del flusso magnetico V_femm con lo spessore dello scudo interno di 1mm (a sinistra) e di 3 mm (a destra). ... 119

Figura 4.54 Intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale V_femm al variare dello spessore dello scudo interno. ... 120

Figura 4.55 Confronto dell’intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale nella configurazione V_femm con lo spessore minimo (1mm) dello scudo interno e quello massimo (3 mm). ... 120

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Figura 4.56 Topologia V_femm con scudo esterno di spessore 1 mm. ... 121

Figura 4.57 Topologia V_femm con scudo esterno di spessore 3 mm. ... 121

Figura 4.58 Densità del flusso magnetico V_femm con lo spessore dello scudo esterno di 1mm (a sinistra) e di 3 mm (a destra). ... 121

Figura 4.59 Intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale V_femm al variare dello spessore dello scudo esterno. ... 122

Figura 4.60 Confronto dell’intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale nella configurazione V_femm con lo spessore minimo (1mm) dello scudo esterno e quello massimo (3 mm). ... 122

Figura 4.61 Sezione della configurazione VI femm. ... 123

Figura 4.62 Topologia VI_femm base. ... 124

Figura 4.63 Topologia VI_femm con AIS di 5 mm... 124

Figura 4.64 Intensità del campo magnetico radiale (in ordinata) lungo la linea media del canale (in ascissa) in diverse configurazioni che differiscono per la lunghezza dello scudo interno. La curva viola rappresenta la configurazione VI_femm base e la curva rossa corrisponde alla lunghezza minima dello scudo interno di 5 mm. .. 125

Figura 4.65 Topologia VI_femm base. ... 126

Figura 4.66 Topologia VI_femm con AOS di 3 mm. ... 126

Figura 4.67 Intensità del campo magnetico radiale (in ordinata) lungo la linea media del canale (in ascissa) in diverse configurazioni che differiscono per la lunghezza dello scudo esterno. La curva viola rappresenta la configurazione VI_femm base e la curva rossa corrisponde alla lunghezza minima dello scudo esterno di 3 mm. 127 Figura 4.68 Configurazione VII_femm base. ... 128

Figura 4.69 Topologia VII_femm base. ... 128

Figura 4.70 Topologia VII_femm con il numero di spire nella bobina interna di 105. ... 129

Figura 4.71 Topologia VII_femm con il numero di spire nella bobina interna di 155. ... 129

Figura 4.72 Intensità del campo magnetico radiale (in ordinata) lungo la linea media del canale (in ascissa) della configurazione VII_femm a partire dal numero di spire della bobina interna pari a 105 (in rosso), fino al massimo di 155 spire (in verde). La curva in colore viola rappresenta la configurazione VII_femm base. ... 130

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10

Figura 4.74 Topologia VII_femm con il numero di spire nella bobina esterna di 100. ... 131

Figura 4.75 Intensità del campo magnetico radiale (in ordinata) lungo la linea media del canale (in ascissa) della configurazione VII_femm a partire dal numero di spire della bobina esterna pari a 48 (in rosso), fino al massimo di 100 spire (in verde). La curva in colore viola rappresenta la configurazione VII_femm base. ... 131

Figura 4.76 Configurazione XI_femm base... 133

Figura 4.77 Topologia magnetica del circuito XI_femm base. ... 134

Figura 4.78 Densità del flusso magnetico nel circuito XI_femm base. ... 134

Figura 4.79 Distribuzione dell’intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media della camera nella configurazione XI_femm operante a 5 A, con il numero di spire nella bobina interna ed esterna rispettivamente di 233 e 105. ... 135

Figura 4.80 Topologia magnetica della configurazione definitiva XIV_femm. ... 137

Figura 4.81 Densità del flusso magnetico nel circuito XIV_femm finale ad una corrente di 5 A. ... 137

Figura 4.82 Distribuzione del campo magnetico radiale lungo la linea media della camera nella configurazione XIV_femm finale ad una corrente di 5 A... 138

Figura 4.83 Densità del flusso magnetico nel circuito XIV_femm finale ad una corrente di 7,5 A. ... 138

Figura 4.84 Distribuzione del campo magnetico radiale lungo la linea media della camera nella configurazione XIV_femm finale ad una corrente di 7,5 A... 139

Figura 5.1 Rendimento di spinta dell’SPT-100ML in funzione della tensione di scarica. Potenza 1,35 kW. Portata di xeno 5 mg/s. Corrente delle bobine 4.5 A [45]. ... 141

Figura 5.2 Sezione trasversale del PPS 1350 W di SEP FAKEL, con valori tipici delle condizioni di scarica [4]. ... 145

Figura 5.3 Sezioni della camera ceramica utilizzate nelle simulazioni della topologia preliminari. ... 146

Figura 5.4 Camera ceramica a fissaggio posteriore e protezione a valle degli elementi magnetici. ... 147

Figura 5.5 Soluzione piatta dell’interfaccia camera-anodo. ... 148

Figura 5.6 Soluzione incavata dell’interfaccia camera-anodo. ... 149

(11)

11

Figura 5.8 Disegno quotato della configurazione definitiva della camera ceramica. ... 151

Figura 5.9 Settore isometrico e sezione parziale della configurazione definitiva della camera ceramica. ... 151

Figura 5.10 Sezione dell’anodo distributore in corrispondenza del condotto di ingresso del propellente. ... 153

Figura 5.11 Settore dell’anodo distributore anulare. ... 154

Figura 5.12 Camera di distribuzione con (sinistra) e senza (destra) setto intermedio [50]. ... 154

Figura 5.13 Sezione scomposta con fori radiali dell’anodo distributore in evidenza. ... 155

Figura 5.14 Sezione quotata dell’anodo distributore in corrispondenza del condotto di immissione del gas. ... 156

Figura 5.15 Standard AWG ... 158

Figura 5.16 Tool per il calcolo dell’ingombro delle bobine. ... 159

Figura 5.17 Potenza (P) e peso (W) delle bobine operanti a 7,5 A. Il numero di spire delle bobine è stato impostato su 210 e 114, nella bobina interna ed esterna rispettivamente. 160 Figura 5.18 Potenza (P) e peso (W) delle bobine operanti al valore massimo ammissibile di corrente per ciascuna denominazione del filo elettrico. ... 162

Figura 5.19 Tabella dei dati riguardanti il dimensionamento delle bobine. ... 162

Figura 5.20 Disegno del nucleo magnetico con asole di riferimento e centraggio. ... 164

Figura 5.21 Semi sezione quotata del nucleo magnetico. ... 165

Figura 5.22 Dettagli quotati del nucleo magnetico. a) Foro per testa della vite svasata M1,6 UNI 6109-67. b) Asola per il passaggio del filo della bobina esterna. c) Asola per il passaggio del filo della bobina interna. c) Sezione dell’asola per il riferimento del supporto della bobina esterna. d) Sezione dell’asola per il riferimento della bobina interna. ... 166

Figura 5.23 Dettaglio del posizionamento delle spine di riferimento e del riferimento cilindrico dei supporti delle bobine nel nucleo magnetico. ... 167

Figura 5.24 Configurazione definitiva del nucleo magnetico. ... 167

Figura 5.25 Supporto della bobina interna con asole di incastro. ... 169

Figura 5.26 Supporto della bobina esterna con asole di incastro. ... 169

Figura 5.27 Supporto della bobina interna, con evidenza delle quote della sezione e il dettaglio dell’intaglio per passaggio dei fili della bobina. ... 170

(12)

12 Figura 5.28 Supporto della bobina esterna, con evidenza delle quote della sezione e

il dettaglio dell’intaglio per passaggio dei fili della bobina. ... 171

Figura 5.29 Polo magnetico interno. ... 172

Figura 5.30 Polo magnetico interno con evidenza della sezione quotata. ... 173

Figura 5.31 Collegamento con vite dei componenti interni del circuito magnetico. ... 174

Figura 5.32 a. Sezione del polo magnetico esterno utilizzata durante la simulazione; b. Sezione del polo magnetico esterno nella configurazione definitiva... 175

Figura 5.33 Polo magnetico esterno con la rispettiva sezione quotata. ... 176

Figura 5.34 Vista esplosa del collegamento tra l’anodo, la camera e il supporto della camera. 178 Figura 5.35 Sezione del collegamento tra l’anodo, la camera e il supporto della camera. ... 179

Figura 5.36 Vista posteriore del fissaggio della camera e dell’anodo al supporto della camera. 179 Figura 5.37 Sezione del fissaggio del supporto della camera e dei componenti del circuito esterno. ... 180

Figura 5.38 Schema dell’architettura del catodo neutralizzatore. ... 182

Figura 5.39 Caratteristica elettrica del OHC sviluppato da Andrenucci et. Al. [53] ... 185

Figura 5.40 Schema dei componenti del tubo catodico. ... 188

Figura 5.41 Configurazione del catodo neutralizzatore per l’HET 1350 W. ... 190

Figura 5.42 Flangia dell’interfaccia della base di supporto e la parte posteriore del nucleo magnetico. ... 191

Figura 5.43 Configurazione di partenza della base del propulsore. ... 192

Figura 5.44 Soluzione della base con collegamento smontabile del supporto del neutralizzatore. ... 193

Figura 5.45 Soluzione monoblocco della struttura di supporto del HET 1350 W. ... 194

Figura 6.1 Topologia magnetica del HET 1350 W. ... 196

Figura 6.2 Distribuzione dell’intensità del campo magnetico radiale lungo la linea media del canale con la corrente nelle bobine pari a 5 A. ... 197

Figura 6.3 Densità del flusso magnetico durante il funzionamento del circuito magnetico alla corrente di 7,5 A. ... 198

Figura 6.4 Distribuzione del campo magnetico radiale lungo la linea media della camera con la corrente nelle bobine pari a 7,5 A. ... 198

(13)

13 Figura 6.6 Caratteristiche di ingombro massimo del PPS 1350-G [61] ... 200 Figura 6.7 Ingombro massimo del prototipo del HET 1350 W. ... 201

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Elenco dei Simboli usati

𝐴 Sezione trasversale della camera di scarica [𝑚𝑚2]

𝐴𝑤 Area delle pareti interne della camera di scarica [𝑚𝑚2]

𝑏 Larghezza della camera di scarica [𝑚𝑚]

𝐵 Campo magnetico [𝑇]

𝐵𝑚𝑎𝑥 Intensità massima del campo magnetico sulla linea media della camera [𝑇]

𝐵𝑜𝑝𝑡 Intensità ottimale del campo magnetico [𝑇]

𝐵𝑟 Componente radiale del campo magnetico [𝑇]

𝐵𝑟𝑚𝑎𝑥 Intensità massima del campo magnetico radiale sulla linea media del canale [𝑇]

𝐵𝑟𝑜𝑝𝑡 Intensità ottimale del campo magnetico radiale [𝑇]

𝑐𝑖 Costante di proporzionalità tra il potenziale di ionizzazione e il costo di energia

per ione [−]

𝑑 Diametro di mezzeria della camera di scarica [𝑚𝑚]

𝐷 Coefficiente di diffusione [𝑚2⁄ ] 𝑠

𝑒 Carica elettrica elementare [𝐶]

𝐸 Campo elettrico [𝑉 𝑚⁄ ]

𝐸𝐼 Costo di energia per ione generato [𝐽]

𝑔0 Costante gravitazionale standard sulla superficie della Terra [𝑚 𝑠⁄ ] 2

𝐼 Corrente elettrica di scarica [𝐴]

𝐼0 Corrente di scala [𝐴]

𝐼𝑐 Corrente elettrica nelle bobine del circuito magnetico [𝐴]

𝐼𝑐Corrente massima tollerata dal filo elettrico [𝐴]

𝐼𝑒 Corrente elettronica [𝐴]

𝐼𝑒𝑧 Componente assiale della corrente elettronica [𝐴]

𝐼𝑖 Corrente ionica [𝐴]

𝐼𝑠 Corrente ionica della specie s [𝐴]

𝐼𝑠𝑝 Impulso specifico [𝑠]

𝐼𝑠𝑝 𝑙𝑖𝑚 Impulso specifico limite [𝑠]

𝑗𝐻 Densità di corrente di Hall [𝐴 𝑚⁄ 2]

𝑘 Modo di scala [−]

𝐾 Costante di Boltzmann [𝐽 𝐾⁄ ]

𝐿 Lunghezza del canale di scarica [𝑚𝑚]

𝐿𝐴 Lunghezza caratteristica della zona di accelerazione [𝑚𝑚]

𝐿𝐷 Lunghezza caratteristica della zona di diffusione [𝑚𝑚]

𝐿𝐼 Lunghezza caratteristica della zona di ionizzazione [𝑚𝑚]

𝑚 Massa dell’elettrone [𝑘𝑔]

𝑀 Massa degli ioni e degli atomi neutri [𝑘𝑔]

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𝑚̇0 Portata di massa di scala [𝑘𝑔 𝑠⁄ ]

𝑚̇𝑎 Portata di massa anodica [𝑘𝑔 𝑠⁄ ]

𝑚̇𝑐 Portata di massa catodica [𝑘𝑔 𝑠⁄ ]

𝑚̇𝑖 Portata di massa ionica [𝑘𝑔 𝑠⁄ ]

𝑚̇𝑖𝑀𝐼 Portata si massa del flusso con diversi gradi di ionizzazione [𝑘𝑔 𝑠⁄ ]

𝑚̇𝑛 Portata di massa degli atomi neutri [𝑘𝑔 𝑠⁄ ]

𝑚̇𝑠 Portata di massa della specie s [𝑘𝑔 𝑠⁄ ]

𝑛 Densità numerica del plasma [𝑚−3]

𝑛𝑀𝐼 Densità numerica del flusso con diversi gradi di ionizzazione [𝑚−3]

𝑛𝑠 Densità numerica della specie s [𝑚−3]

𝑝𝑒 Pressione elettronica [𝑃𝑎]

𝑃 Potenza elettrica fornita al propulsore [𝑊]

𝑃𝑎 Potenza dissipata all’anodo [𝑊]

𝑃𝑐 Potenza dissipata dalle bobine del circuito magnetico [𝑊]

𝑃𝐼 Potenza spesa per la ionizzazione del gas [𝑊]

𝑃𝑈 Potenza utile [𝑊]

𝑃𝑤 Potenza dissipata alle pareti della camera di scarica [𝑊]

𝑟𝐿 Raggio di Larmor [𝑚]

𝑟𝐿𝑒 Raggio di Larmor degli elettroni [𝑚]

𝑟𝐿𝑖 Raggio di Larmor degli ioni [𝑚]

𝑅 Raggio medio della bobina del circuito magnetico [𝑚]

𝑠 Specie ionica con numero di carica generico [−]

𝑆 Sezione trasversale del filo elettrico [𝑚2]

𝑇 Spinta [𝑁]

𝑇𝑀𝐼 Spinta nel caso di flusso con diversi gradi di ionizzazione [𝑁]

𝑇𝑒 Temperatura elettronica [𝑒𝑉]

𝑇𝑒𝑚𝑎𝑥 Intensità massima della temperatura elettronica [𝑒𝑉]

𝑇𝑠 Spinta prodotta dalla specie s [𝑁]

𝑢𝑒 Velocità di deriva elettronica [𝑚 𝑠⁄ ]

𝑢𝑖 Velocità di deriva ionica [𝑚 𝑠⁄ ]

𝑢𝑛 Velocità degli atomi neutri [𝑚 𝑠⁄ ]

𝑢𝑠 Velocitò di deriva della specie s [𝑚 𝑠⁄ ]

𝑢𝐷 Velocità di deriva diamagnetica [𝑚 𝑠⁄ ]

𝑢𝐸 Velocità di deriva 𝑬 × 𝑩 [𝑚 𝑠⁄ ]

𝑣∗ Velocità ideale di scarica elettrostatica [𝑚 𝑠⁄ ]

𝑣𝑒 Velocità effettiva di scarica [𝑚 𝑠⁄ ]

𝑣𝑒𝑀𝐼 Velocità effettiva di scarica del flusso con diversi gradi di ionizzazione [𝑚 𝑠⁄ ]

𝑣𝑒𝑙 Velocita degli elettroni [𝑚 𝑠⁄ ]

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𝑉 Potenziale di scarica [𝑉]

𝑉𝑎 Potenziale anodico [𝑉]

𝑉𝐴 Potenziale par l’accelerazione [𝑉]

𝑊 Massa della bobina del circuito magnetico [𝑘𝑔]

𝑍 Numero di carica [−]

𝑍𝑠 Numero di carica della specie s [−]

𝛼 Parametro delle perdite sul contorno [−]

𝛽 Parametro delle perdite di ionizzazione [𝑒𝑉 ∙ 𝐶 𝑘𝑔⁄ ]

𝛽𝑒 Parametro di Hall [−]

𝛾 Modo di scala [−]

𝜀𝑎 Coefficiente di perdite all’anodo [−]

𝜀𝐼 Coefficiente di perdite di ionizzazione [−]

𝜀𝐿 Coefficiente di perdite totale [−]

𝜀𝑤 Coefficiente di perdite alle pareti della camera di scarica [−]

𝜁 Fattore di scala [−]

𝜁𝑠 Fattore di proporzionalità della densità numerica della specie s [−]

ɳ𝑖 Rendimento di corrente [−]

ɳ𝑚 Rendimento di massa [−]

ɳ𝑇 Rendimento di spinta [−]

ɳ𝑣 Rendimento della dispersione delle velocità ioniche [−]

ɳ𝜑 Rendimento della divergenza del getto [−]

𝜆𝐷 Frazione della lunghezza di diffusione [−]

𝜇 Coefficiente di mobilità [𝑚2⁄𝑉 ∙ 𝑠]

𝜈𝑒 Frequenza di collisione elettronica [𝑠−1]

𝜉𝑠 Frazione della corrente ionica totale della specie s [−]

𝜋1 Coefficiente di proporzionalità della spinta [−]

𝜋2 Coefficiente di proporzionalità della velocità effettiva di scarica [−]

𝜌𝐶𝑢 Densità di massa del rame [𝑘𝑔 𝑚⁄ 3]

𝜎 Resistività elettrica [𝛺 ∙ 𝑚𝑚]

𝜎𝑒𝑙 Sezione trasversale di impatto tra elettroni e neutri [𝑚2]

𝜑 Semi-angolo di divergenza del getto [−]

𝜙 Potenziale elettrostatico [𝑉]

𝜙𝐼 Potenziale di ionizzazione in volt [𝑉]

𝜙𝐼 𝑒𝑉 Potenziale di ionizzazione in elettronvolt [𝑒𝑉]

𝜓 Superficie a intensità costante del campo magnetico [−]

𝜔𝑐 Frequenza di ciclotrone [𝑠−1]

𝜔𝑐𝑒 Frequenza di ciclotrone elettronica [𝑠−1]

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1. Introduzione

1.1 Motivazioni ed obiettivi della tesi

I motori a effetto Hall, in breve HET (Hall Effect Thruster), rivestono particolare importanza in relazione al grande successo che hanno riscosso nel corso della loro breve storia. Le opportunità che questo tipo di motore offrono sono molteplici, in primo luogo, offrono la possibilità di ottenere un più efficiente utilizzo di propellente rispetto ai sistemi propulsivi chimici o a gas freddo. Inoltre, la grande esperienza acquisita nelle missioni di volo spaziale, ha reso i motori a effetto Hall un sistema propulsivo appetibile per l’industria per quanto riguarda impeccabili fattori di sicurezza ed affidabilità. Lo dimostra certamente il fatto che sono centinaia le missioni spaziali che hanno utilizzato e utilizzano tutt’oggi gli HET.

La ricerca sui motori a effetto Hall, finalizzata a migliorarne il rendimento ed a comprendere più a fondo i meccanismi coinvolti, ne ha avuto ad oggetto modelli di diverse potenze e dimensioni e ad oggi ha permesso di avere una visione più chiara sul loro funzionamento. Storicamente, il primo livello di potenza HET in orbita fu di 1350 watt, un livello di potenza facilmente disponibile a bordo delle missioni spaziali odierne ed in particolare nelle missioni geostazionarie (GEO) che utilizzano gli HET principalmente per il controllo di assetto nord sud.

L’obiettivo di questo lavoro di tesi è di guidare i passi per la progettazione di un prototipo di HET, privilegiando le tecnologie collaudate rispetto a quelle che richiedono sperimentazione e ricerca on modo da sviluppare un prototipo appetibile per le esigenze dell’industria contemporanea. Questo propulsore sarà quindi un HET da 1,35 kW che dovrà tener conto delle più recenti accorgimenti tecnologici disponibili nella ricerca scientifica, privilegiando le soluzioni che possiedono una maggiore semplicità costruttiva e quelle che offrono migliori criteri per estendere la vita operativa e per massimizzare l’ampiezza dell’intervallo delle condizioni di scarica. In tal modo sarà dunque possibile ottenere prestazioni elevate e contemporaneamente minimizzare l’ingombro e i costi di produzione.

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1.2 Organizzazione del lavoro

L’attività di ricerca preliminare è stata volta ad uno studio approfondito degli HET, con particolare attenzione al loro funzionamento, al loro sviluppo e agli effetti che le diverse scelte progettuali comportano. La ricerca ha permesso di individuare che le caratteristiche del sistema che produce il campo magnetico degli HET condizionano profondamente le caratteristiche di funzionamento. Di conseguenza, è stato analizzato il funzionamento del programma di simulazione magnetostatica Femm 4.2, per condurre la simulazione computazionale della topologia risultante in base all’architettura del circuito magnetico.

Nella prima fase del lavoro sono stati analizzati i principali processi fisici coinvolti nel funzionamento dei motori a effetto Hall e sono state considerate le espressioni analitiche che vincolano le relazioni tra i parametri di funzionamento. Lo studio delle relazioni e della modellazione dei processi di perdita coinvolti ha condizionato la scelta di presentare il procedimento necessario alla realizzazione di uno strumento grafico utile a prevedere le caratteristiche di funzionamento del progetto intorno al punto di disegno, calibrato sulla base dei parametri nominali di funzionamento del propulsore SPT-100 utilizzato come riferimento.

Lo sviluppo di un prototipo ha preso forma nell’articolata interazione tra la modellazione solida degli elementi del propulsore, facendo uso di un software CAD (Computer Aided Design), la simulazione magnetostatica del rispettivo campo magnetico, la delineazione di ciascun componente e la fattibilità costruttiva. Questa fase ha comportato un processo iterativo di definizione delle caratteristiche del prototipo, delle modifiche suggerite dall’analisi dei risultati delle simulazioni e dei vincoli imposti dalla produzione industriale, che ha avuto termine quando il progetto è giunto a soddisfare i requisiti di specifica prefissati.

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1.3 Struttura del lavoro di tesi

I risultati sono stati presentati tramite la stesura del presente lavoro di tesi, che è strutturato in sei parti, delle quali la presente ne costituisce il primo capitolo e vuole essere anche un’introduzione. Nel secondo capitolo verranno poi presentati i motori a effetto Hall, nel tentativo di offrire una visione d’insieme della loro storia e dunque del loro sviluppo. Particolare attenzione verrà rivolta ai principi fisici che governano il funzionamento di questa categoria di propulsori, ai parametri di rendimento e ai metodi di scalatura.

Il terzo capitolo sarà dedicato alla Performance Map, al processo utilizzato per la sua realizzazione con l’indicazione dei dettagli più approfonditi, per la compilazione dei dati necessari in un foglio di calcolo elettronico.

Il quarto capitolo riguarda l’analisi delle caratteristiche del campo magnetico del propulsore, l’analisi delle architetture individuate in letteratura, la delineazione degli elementi che lo producono e le caratteristiche del processo di simulazione computazionale.

Il quinto capitolo sarà dedicato all’analisi dei componenti fondamentali di un HET da 1,35 kW, alle funzioni dei singoli componenti e alle condizioni di funzionamento, fattori che determinano la scelta dei processi costruttivi. Verranno esposte le soluzioni individuate in letteratura e i criteri che guideranno la scelta di quelle più adeguate. L’ordine di presentazione dei componenti è strutturato secondo il criterio dei vincoli di dimensionamento: a partire dalla scelta di conservare la larghezza della camera di scarica rispetto al propulsore di riferimento, ciascun componente successivo deriverà i suoi vincoli di progetto dai componenti precedenti.

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2. I motori a effetto Hall

2.1 Una breve storia

Le prime ricerche sull’applicazione dell’effetto Hall per scopi propulsivi risalgono ai primi anni sessanta e si svolgevano in maniera indipendente negli Stati Uniti e nell’Unione Sovietica. Negli USA la ricerca è stata condotta nel Lewis and Langley Research Centers, AVCO/Everett, EOS, Curtis Wright e United Aircraft. I dispositivi studiati prendevano il nome di Acceleratori Ionici di Hall (Hall Ion Accelerator) e avevano in comune la geometria anulare della camera di accelerazione. Il campo magnetico era applicato in direzione prevalentemente radiale per tutta la lunghezza della camera di scarica con il campo elettrico in direzione assiale. Le differenze giacevano nei livelli di potenza impiegati e nei metodi utilizzati per pre-ionizzare il gas propellente. Nella Figura 2.1 è mostrato un esempio di questo tipo di dispositivo che utilizza un filamento per la ionizzazione del gas in prossimità dell’anodo e un altro alla sezione di scarica per neutralizzare il getto.

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Nel tentativo di minimizzare le perdite del Acceleratore Ionico di Hall, la United Aircraft ha scoperto che utilizzando il cesio come propellente, la ionizzazione completa poteva essere ottenuta in prossimità dell’anodo attraverso il bombardamento elettronico, lo schema del propulsore da loro proposto è mostrato nella Figura 2.2. La ricerca sui propulsori di Hall è stata abbandonata negli USA alla fine degli anni sessanta in favore di altri propulsori elettrici come quello a griglie ioniche.

Figura 2.2 Schema del propulsore sperimentale dell'Acceleratore Ionico di Hall, United Aircraft [1].

Nel 1961, in URSS, Askold Zharinov otteneva il certificato d’autore per l’invenzione dello schema TAL (Thruster with Anode Layer), mostrato in Figura 2.3. Il TAL è un propulsore relativamente semplice in cui il catodo serve contemporaneamente a generare il campo magnetico radiale, a contenere il plasma nella scarica e a creare il campo elettrico necessario all’accelerazione degli ioni nel plasma, per mezzo della differenza di potenziale rispetto all’anodo che è posto alla base del canale, attraverso il quale si inserisce il gas propellente. Purtroppo le idee di Zharinov non sono state portate avanti dall’IAE (Institute of Atomic Energy) e così ne 1962 egli andò a lavorare presso TsNIIMash. Lo sviluppo del TAL è dunque stato portato avanti, affidando il ruolo di generazione

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22 del campo magnetico a un circuito indipendente dagli elettrodi e utilizzando un emettitore di elettroni che svolgeva i ruoli di catodo e di neutralizzazione del getto. Nel 1967 il primo TAL a doppio stadio (Figura 2.4) di TsNIIMash è stato operato con successo. L’attività di ricerca dei TAL è stata condivisa con la Corporazione Energiya di Razzi e Spazio, con la Scuola di Alta Tecnologia Brauman (BHTSc), con l’Istituto di Aviazione Kharkov (KhAI) e con l’università statale Dnepropetrovsk, ottenendo negli anni successivi livelli di prestazioni dei TAL adeguati alle missioni saziali.

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Figura 2.4 Schema TAL a doppio stadio di TsNIIMash [1].

Nel 1964, nel laboratorio dell’IAE allora gestito da German Shepkin, un gruppo di ricercatori sotto la guida di Alexey I. Morozov, tra i quali Yu. Esipchuk e Yu. Sharov, hanno progettato il propulsore denominato “E-accelerator” mostrato in Figura 2.5. Rispetto al TAL, è stato aumentato il volume di plasma attraversato dal campo elettrico, utilizzando una camera in quarzo più lunga e modulando il campo magnetico attraverso dei solenoidi.

Nell’anno successivo, Morozov ha presentato in una pubblicazione l’equazione della distribuzione del potenziale del plasma conosciuta come “Potenziale Termalizzato” e con essa anche la possibilità di utilizzare le linee del campo magnetico per focalizzare il flusso di ioni. Per poter controllare la distribuzione del potenziale elettrico era quindi necessario moderare la temperatura degli elettroni nel canale. Morozov propose quindi di introdurre all’architettura del propulsore una camera in ceramica per il contenimento del plasma, che avrebbe permesso contemporaneamente di aumentare il volume del fluido attraversato dal campo elettrico, di resistere all’elevata temperatura del getto e di mantenere una bassa temperatura elettronica alle pareti attraverso un’elevata emissione di elettroni secondari.

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Figura 2.5 E-Accelerator dell'IAE proposto da A. Morozov [1].

Nel 1968, su richiesta di Morozov, appoggiata da Lev Artsimovich (a capo della Divisione di Ricerca di Plasma dell’IAE) e da Andronik Iosiphian (presidente del Istituto di Elettromeccanica Sovietico VNIIEM e capo progettista dei satelliti Meteor), il Comitato Statale di Energia Atomica decise di approvare una prova in volo del sistema propulsivo sperimentale (EPS – Experimental Propulsion System) a bordo del satellite Meteor. La supervisione dell’intero progetto è stata affidata all’IAE, mentre lo sviluppo dell’EPS fu a carico del FDB (Future Design Bureau) Fakel, quello del PPU (Power Processing Unit) fu affidato al DB Zarya e infine l’integrazione e il collaudo a VNIIEM con la partecipazione degli altri. Nello sviluppo sono stati coinvolti anche il MAI (Moscow Aviation Institute) e TsiAM (Tsentral Institute of the Motorbuilding). Così negli anni 1969-1970, il modello dell’EPS è stato dapprima sviluppato, manifatturato e testato all’IAE e successivamente fu trasferito al FDB Fakel che, in collaborazione con DB Zarya e la supervisione del IAE, tra il 1970 e il 1971 hanno apportato migliorie significative, anche in relazione al catodo, da parte della squadra di B. Arkhipov. La versione finale di volo è stata infine inviata al VNIIEM per l’integrazione. Il 29 dicembre del 1971 l’EPS SPT (Stationary Plasma Thruster) denominato

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25 EOL-1 fu lanciato a bordo del satellite Meteor e ha avuto il proprio debutto in volo nel 1972, operando per circa 180 ore. Nella Figura 2.6 sono affiancati il modello proposto da Yu. Sharov (a sinistra) e il primo SPT a bordo del satellite Meteor sviluppato da V. Bryzgalin e altri, al FDB Fakel.

Nel tempo trascorso tra il 1969 e il 1972, gli esperti del IAE V. Mikhailichenko ed E. Petrov hanno scoperto che il rendimento di spinta dell’SPT poteva essere migliorato significativamente producendo un elevato gradiente assiale del campo magnetico radiale a partire dall’anodo fino alla sezione di scarica. Queste scoperte erano in sintonia con l’analisi teorica della stabilità del flusso ionico sottoposto ai campi elettrico e magnetico, perpendicolari tra loro, condotta da Morozov. In una serie di esperimenti condotti tra il 1972 e il 1974 nel MAI, i ricercatori V. Kim e A. Bishaev sono stati in grado di ottenere le distribuzioni locali dei parametri del plasma all’interno del canale di accelerazione (Figura 2.7 a)). Un gruppo di scienziati sotto la guida di I. Shkarban sono riusciti a misurare lo sputtering yield1 della ceramica sotto il bombardamento degli ioni generati da una sorgente di plasma con lo stesso principio di funzionamento dell’SPT (Figura 2.7 b)).

1 Quando un solido è bombardato con atomi, ioni o molecole, se l'energia delle particelle incidenti è maggiore della

energia di legame dei solidi, gli atomi nel solido sono espulsi dalla superficie. Il fenomeno è chiamato sputtering e tale è utilizzato in italiano. Lo sputtering yield è il parametro per quantificare il fenomeno e ha unità di quantità di materiale eroso per ione incidente.

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Figura 2.6 Disegno preliminare proposto da Yu. Sharov (a sinistra) e primo SPT testato nel satellite Meteor di V. Bryzgalin (a destra), al Fakel [1].

Figura 2.7 a) Distribuzioni dei parametri del plasma nell'SPT di V. Kim e A. Bishaev; b) Sputtering yield della ceramica a cura di I. Shkarban; entrambe condotte al MAI. [1].

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27 Parallelamente a queste ricerche, nel Fakel, allora gestito dal capo progettista R. Snarsky, un gruppo coordinato dal progettista primario K. Kozubsky si occupava di apportare migliorie allo schema funzionale e alla gestione e immagazzinamento del propellente, mentre contemporaneamente nel SPhTI (Snezhinsk Physical-Technical Institute) un altro gruppo si occupava dei miglioramenti del PPU, tra cui il leader nella progettazione di quello precedente, L. Novoselov.

Nel 1974, a soli due anni di distanza dal primo, si svolgeva il secondo test in volo dell’SPT denominato EOL-2 a bordo del satellite Meteor-Priroda N 2 di VNIIEM, grazie anche alla collaborazione con gli altri enti. Il sistema propulsivo (Figura 2.8) è stato operato per oltre 600 ore con 273 accensioni, nel corso di due anni e tre mesi e quando il funzionamento è stato interrotto, il sistema era ancora in piene condizioni operative.

Figura 2.8 Sistema propulsivo EOL-2 di VNIIEM [1].

Successivamente, al Fakel sono stati condotti esperimenti sulla durata operativa dei propulsori testati in volo. È stato individuato che uno degli elementi più critici per l’intero sistema propulsivo era l’erosione delle pareti ceramiche della camera di scarica. Inoltre, il tasso di erosione era progressivamente meno intenso nell’intervallo temporale di esecuzione dei test. In particolare, Yu. Kondakov derivò una legge semi-empirica per calcolare la variazione del tasso di usura nel tempo. Tra il 1973 e il 1974, nel tentativo di trovare la configurazione del campo magnetico che massimizzasse il rendimento di spinta, i ricercatori del MAI Vladimir Kim e Andrey Bishaev

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28 introdussero per la prima volta gli scudi magnetici all’architettura SPT (Figura 2.9). I modelli di laboratorio furono costruiti con uno spessore maggiore della camera di accelerazione, specie in prossimità della sezione di scarica, con lo scopo di compensare il problema dell’usura.

Figura 2.9 Prima configurazione SPT con scudi magnetici di V. Kim e A. Bishaev, al MAI [1].

L’allora studente Vyacheslav Kozlov, basandosi sul fatto che la zona di accelerazione del propulsore è quella in cui il campo elettrico è più intenso ed è posta in corrispondenza della zona della scarica in cui il l’induzione magnetica è massima, suggerì e sperimentò al Fakel la possibilità di spostare la zona di accelerazione oltre la sezione di scarica per far in modo di ridurre l’interazione degli ioni del getto con gli elementi strutturali del propulsore e quindi aumentare la durata operativa del propulsore. L’idea è stata successivamente approfondita e perfezionata da V. Kozlov assieme a V. Kim al MAI nel modello di laboratorio SPT-100 (Figura 2.10) nel periodo tra il 1975 e il 1978. Il modello di laboratorio dell’SPT-100 fu sottoposto ad una serie di test accelerati che hanno dimostrato che la durata operativa poteva eccedere le 5000 ore. In seguito i prototipi dell’SPT-100 furono inviati al FDB Fakel e lo sviluppo e ottimizzazione della versione finale di volo fu svolta a cura di N. Maslennikov, B. Arkhipov, V. Ivanov, Yu. Gorbachev,

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29 superando test di funzionamento di oltre 9000 ore. Gli SPT-100 sono operativi in volo spaziale dal 1995.

Figura 2.10 Semi sezione del modello di laboratorio SPT-100 del MAI [1].

Gli SPT-100 sono stati utilizzati principalmente per il controllo d’assetto dei satelliti, in quanto forniscono un notevole risparmio di peso di propellente rispetto ai propulsori chimici a parità di spinta totale erogata. Solo dopo la caduta dell’Unione Sovietica, nel 1991, è trapelato in occidente il livello di maturità che la tecnologia SPT aveva raggiunto nell’URSS. Con ben oltre 200 esemplari lanciati senza subire alcun guasto in volo, l’SPT-100 aveva già raggiunto da anni il TRL (Technology Readyness Level) massimo e anche altri HET di potenze diverse erano già stati qualificati per il volo, come il potente SPT-290 da 35 kW con Impulso specifico nominale di 3000s, mostrato in Figura 2.11.

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Figura 2.11 Modello di laboratorio SPT-290 realizzato da V. Murashko al Fakel [1].

Il complesso di queste considerazioni ha indirizzato l’interesse globale verso un approfondimento delle caratteristiche degli HET. La comprensione dei processi coinvolti avrebbe permesso di estendere l’utilizzo anche ad altri tipi di manovre, come il trasferimento orbitale. A questo scopo, molti enti spaziali e università hanno messo a punto i loro prototipi HET di diverse potenze e dimensioni e hanno sviluppato e perfezionato nel tempo modelli analitici più accurati per modellarne il funzionamento e la progettazione. I maggiori contributi alla ricerca, in particolare, provengono dagli studi svolti negli Stati Uniti, in Francia, in Russia e in Italia.

Una missione unica nella storia dei motori a effetto Hall è rappresentata dalla la missione di esplorazione lunare SMART-1 lanciata nel 2003 dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Si tratta della prima volta in cui un HET, in particolare il modello PPS-1350-G da 1,5 kW di Snecma (Figura 2.12), è stato utilizzato come propulsore primario per il trasferimento orbitale dalla terra (orbita LEO) alla luna. Il successo della missione, che ha dimostrato la possibilità concreta di utilizzare gli HET anche in manovre di questo tipo, ha permesso di intensificare le ricerche per

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31 migliorare ulteriormente le prestazioni e le capacità di operazione in più ampi intervalli di potenza, impulso specifico e spinta (throttling).

Figura 2.12 PPS-1350-G da 1,5 kW di Snecma [2].

Il primo HET statunitense ad essere utilizzato in una missione spaziale è stato il BPT-4000 di Aerojet (Figura 2.13), lanciato nel 2010 nel satellite militare Geostazionario (GEO), primo della costellazione “Advanced Extremely High Frequency”. Con 4,5 kW, questo propulsore risulta essere ad oggi quello con il più alto livello di potenza testato in volo operativo. Esso è particolarmente apprezzato in relazione ad un particolare fenomeno rilevato recentemente durante un test di 10400 ore di funzionamento: se inizialmente il propulsore aveva mostrato livelli normali di usura, dopo 5600 ore di funzionamento, esso esibiva un comportamento a “erosione zero”. Lo studio di questo fenomeno ha portato allo sviluppo di più accurati criteri per la progettazione del

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32 campo magnetico, in una configurazione denominata “MS” o Magnetic Shielding. Si tratta forse del più importante traguardo raggiunto nella storia HET: la protezione magnetica della camera di accelerazione può ridurre drasticamente il problema dell’usura e quindi anche la necessità di utilizzare costosi materiali ceramici per la sua costruzione.

Figura 2.13 BPT-4000 di Aerojet [3].

In definitiva, indipendentemente dai numerosi e promettenti vantaggi che questa tecnologia propulsiva è in grado di offrire alle future missioni spaziali, date le loro molteplici potenzialità, le applicazioni passate di questo sistema propulsivo hanno ben dimostrato di essere all’altezza di soddisfare diversi dei requisiti propulsivi delle missioni commerciali odierne, in particolare del controllo d’assetto dei veicoli spaziali, grazie alla loro sicurezza, affidabilità ed efficienza.

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2.2 Elementi del sistema propulsivo

Il sistema propulsivo nel suo complesso, per una missione di controllo di assetto, è composto da diversi sistemi: i propulsori (in genere quattro per il controllo nord-sud), il controllo del flusso e dell’immagazzinamento del propellente, il controllo termico attivo, il controllo e filtraggio della potenza elettrica ed infine il controllo della direzione di spinta e delle interfacce elettriche. Altri sottosistemi possono essere integrati per la fase di decollo ma nelle pagine che seguono concentreremo tuttavia l’attenzione soltanto sul propulsore e i suoi elementi.

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34 La Figura 2.14 rappresenta schematicamente l’architettura caratteristica di un HET, composto da quattro elementi fondamentali: il catodo, l’anodo, la camera di scarica e il sistema magnetico. Come mostrato in figura, il propellente viene immesso attraverso l’anodo anulare che è posto alla base della camera ceramica, la quale è circondata da un elettromagnete che genera il campo magnetico necessario a produrre il getto.

Il propellente più adeguato per il propulsore risulta essere lo xeno, per la sua elevata massa atomica, per il suo basso potenziale di ionizzazione e perché, data la sua natura non inquinante né tossica è facile da gestire e immagazzinare. Talvolta, specie per scopi di ricerca, sono impiegati anche altri gas nobili come l’argo e il krypto che sono più abbondanti in natura e che pertanto hanno un costo relativamente minore. Il propellente è immagazzinato in un serbatoio e fornito al propulsore attraverso un regolatore di portata che gestisce il rapporto dei flussi tra il catodo e l’anodo.

La camera è un componente costruito in un materiale in grado di isolare il plasma prodotto nel motore durante il funzionamento, si caratterizza per una elevata differenza tra i potenziali di prima e seconda ionizzazione in modo da permettere la formazione delle guaine di contenimento del getto di plasma e per essere in grado di sopportare l’elevata temperatura di quest’ultimo, che deriva principalmente dall’impatto degli ioni ad alta energia sulle pareti.

Il circuito magnetico è l’insieme degli elementi che occorrono per produrre il campo magnetico necessario alla generazione della spinta. Si tratta di una struttura composta da un materiale ferromagnetico che ospita delle bobine di filo elettrico. L’architettura di questo circuito magnetico è la chiave del corretto funzionamento del propulsore e rappresenta la sfida più importante della progettazione.

Il catodo cavo è l’elemento che ha la funzione di fornire gli elettroni al propulsore. Ad esso sono vincolati dei sistemi necessari all’accensione, come un riscaldatore e un elettrodo di contenimento. Per migliorare l’affidabilità del propulsore è frequente anche l’utilizzo di due catodi, la scelta è da considerarsi in funzione della missione. Infine, vi sono alcuni componenti che completano il propulsore, tra i quali gli elementi meccanici per il posizionamento relativo e il supporto dei diversi elementi, quelli per l’isolamento termoelettrico e quelli per l’adeguato contenimento del flusso di propellente.

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2.3 Il Meccanismo di spinta

La semplicità dell’architettura di un HET, priva di griglie e di superfici di controllo, rende difficile l’identificazione di tutti i meccanismi coinvolti nella generazione della spinta e delle zone del propulsore in cui i diversi fenomeni fisici del plasma hanno luogo. In un’analisi macroscopica, il canale della camera è suddiviso in tre zone principali, una zona di diffusione a monte, in prossimità dell’anodo dove il propellente è immesso nella camera, una zona di ionizzazione in prossimità dell’uscita del canale, dove avviene l’intensa ionizzazione del propellente e una zona di accelerazione interna, che è soltanto una frazione della zona di accelerazione in cui avviene la maggiore caduta di potenziale del propulsore e che si estende anche al di fuori della camera a valle nel getto.

Il sistema di distribuzione del propellente somministra il gas dai serbatoi in due flussi: uno principale alla base della camera (𝑚̇𝑎) e uno molto meno intenso attraverso il catodo cavo neutralizzatore (𝑚̇𝑐). La portata totale di gas (𝑚̇) è quindi:

𝑚̇ = 𝑚̇𝑎 + 𝑚̇𝑐

La portata del catodo dipende dal particolare disegno utilizzato e dalle condizioni di funzionamento, ma risulta essere circa:

𝑚̇𝑐 ≅ (0.05~0.1) 𝑚̇𝑎

Per cui in prima approssimazione è possibile trascurare la portata catodica rispetto a quella anodica o riferirsi soltanto alla portata anodica e scrivere:

𝑚̇𝑎 ≅ 𝑚̇

Il flusso di propellente anodico deve essere immesso nella camera con la più bassa velocità assiale (𝑣𝑛) possibile per minimizzare la distanza percorsa prima di un evento di ionizzazione.

Nella zona di diffusione, la temperatura degli elettroni del plasma è molto bassa (2-3 eV) così come il campo elettrico (Δ𝜙 ≈ 1 𝑉), ma si istaura un gradiente di pressione quasi-lineare che risulta la forzante della diffusione degli elettroni e che dà origine al nome della zona. In questa zona il plasma è debolmente ionizzato e la velocità degli ioni è molto bassa, nella modellazione

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36 quasi-unidimensionale il flusso di ioni in questa zona ha una lenta deriva in direzione dell’anodo. L’estensione della zona di diffusione (𝐿𝐷) è dell’ordine del 50-60% del canale. A monte della zona di diffusione si istaura la pre-guaina, che è molto sottile (~1 𝑚𝑚) ed è la regione di transizione tra la zona di diffusione e la guaina, in cui gli ioni sono accelerati per raggiungere la velocità di Bohm per l’ingresso nella guaina. La guaina anodica ha una lunghezza dell’ordine della lunghezza di Debye del plasma e in essa si istaura un salto di potenziale (𝑉𝑎) per garantire la continuità della

corrente e far sì che il flusso di elettroni che arriva per diffusione dal plasma quasi neutrale nel canale, sia il medesimo che raggiunge l’anodo.

A valle della zona di diffusione, l’energia o temperatura degli elettroni risulta sufficiente a produrre l’eccitazione e la ionizzazione degli atomi di xeno (12,12 𝑒𝑉), per mezzo delle collisioni tra le due specie. La marcata transizione dalla zona di diffusione a quella di ionizzazione è collegata alla dipendenza esponenziale della sezione trasversale di ionizzazione dalla temperatura elettronica. Nella zona di ionizzazione compaiono i valori massimi della distribuzione assiale della temperatura elettronica e della densità numerica (e quindi anche della pressione). La zona inizia circa quando il potenziale inizia a decrescere e finisce nel punto in cui la temperatura degli elettroni è massima. La lunghezza della zona di ionizzazione (𝐿𝐼) è di circa il 15-18% della lunghezza totale

del canale e dipende fortemente dalla distribuzione del campo magnetico. Negli SPT ottimizzati esiste un valore del specifico campo magnetico radiale che massimizza il rapporto tra la corrente ionica (𝐼𝑖) e la corrente di scarica (𝐼), che equivale al massimo del rapporto tra la corrente ionica e quella elettronica in direzione assiale (𝐼𝑒𝑧). Queste distribuzioni sono mostrate nella Figura 2.15, nella quale è evidenziato il valore ottimale del campo magnetico radiale (𝐵𝑟𝑜𝑝𝑡), l’operazione del propulsore con un intensità del campo magnetico inferiore a quella ottimale può comportare delle instabilità nel plasma. L’intensità massima del campo magnetico è calibrata in maniera tale da avere effetti significativi sulle traiettorie del fluido elettronico ma non su quello ionico e questo può essere ottenuto sfruttando l’elevata differenza tra le masse delle specie cariche.

In un sistema di riferimento in moto con la velocità di deriva complessiva di ciascun fluido di particelle cariche, il loro moto segue un orbita circolare attorno alle linee di campo magnetico nota come orbita di Larmor. Le caratteristiche di quest’orbita sono il raggio, noto come raggio di Larmor (𝑟𝐿) e la frequenza di rivoluzione, nota come frequenza di ciclotrone (𝜔𝑐), che dipende

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37 del moto in direzione parallela (pedice ∥) e perpendicolare (pedice ⊥) al vettore di campo magnetico permette di scrivere:

𝑢𝑖⊥ = 𝑟𝐿𝑖 𝜔𝑐𝑖 𝑢𝑒⊥ = 𝑟𝐿𝑒 𝜔𝑐𝑒 𝜔𝑐𝑖 = 𝑍 𝑒 𝐵 𝑀 𝜔𝑐𝑒 = 𝑒 𝐵 𝑚

Figura 2.15 Corrente di scarica e rendimento di corrente (ɳ𝑖= 𝐼𝑖⁄ ) in funzione del valore massimo dell’induzione 𝐼 magnetica radiale [4].

Ipotizzando che il fluido ionico abbia un numero di carica (𝑍) unitario, dato che nel suddetto sistema di riferimento la velocità in direzione ortogonale al vettore di campo deve essere la stessa per entrambe le specie, ne consegue che il raggio di Larmor del fluido ionico deve essere molto maggiore di quello del fluido elettronico. Il parametro che controlla gli effetti complessivi del

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38 campo magnetico sul moto delle particelle è il rapporto tra la frequenza di ciclotrone e la frequenza di collisione. Siccome nel fluido ionico la frequenza di ciclotrone è molto minore della frequenza di collisione, il loro rapporto è trascurabile entro la lunghezza della camera (𝐿) e quindi anche l’effetto del campo magnetico su di loro, per cui la velocità del flusso ionico si sviluppa in direzione pressoché assiale nella direzione del campo elettrico e si dice non magnetizzato. Nel fluido elettronico succede una situazione complementare: il campo magnetico radiale ha un forte effetto su di esso e crea un’anisotropia nelle caratteristiche del moto degli elettroni che tentano di attraversarlo, per cui il fluido elettronico si dice magnetizzato entro la lunghezza della camera. In queste condizioni il plasma nella camera risulta parzialmente magnetizzato, condizione che può essere riassunta nella relazione:

𝑟𝐿𝑒 ≪ 𝐿 ≪ 𝑟𝐿𝑖

Siccome sono gli elettroni ad alta energia i principali portatori della corrente nel plasma, il rapporto tra la loro frequenza di ciclotrone (𝜔𝑐𝑒) e quella di collisione (𝜈𝑒) è noto come parametro di Hall (𝛽𝑒) ed è riferito sia al fluido elettronico che al plasma. A causa dell’elevata frequenza di ciclotrone degli elettroni, il parametro di Hall risulta essere molto maggiore dell’unità:

𝛽𝑒 =

𝜔𝑐𝑒 𝜈𝑒 ≫ 1

Da una parte, i coefficienti di trasporto del fluido elettronico in direzione assiale sono inibite per un fattore inversamente proporzionale al quadrato del parametro di Hall (in un’approssimazione lineare) rispetto a quelle in direzione parallela al vettore di campo magnetico:

µ𝑒⊥ = µ𝑒∥ 1 + 𝛽𝑒2 ≈ µ𝑒∥ 𝛽𝑒2 = 𝑒 𝜈𝑒 𝑚 𝜔𝑐𝑒2 = 𝑚 𝜈𝑒 𝑒 𝐵2 𝐷𝑒⊥ = µ𝑒⊥ 𝐾 𝑇𝑒 𝑒

Dall’altra parte, l’elevato valore del parametro di Hall mette in luce le componenti della velocità di deriva elettronica che scaturiscono dalla componente magnetica della forza di Lorentz. La prima è la velocità di deriva 𝑬 × 𝑩 indicata con 𝑢𝐸, che risulta:

𝒖𝐸 =

𝑬 × 𝑩 𝐵2

(39)

39 La seconda è la velocità di deriva diamagnetica (𝒖𝐷):

𝒖𝐷 =𝛁𝑝𝑒× 𝑩 𝑒 𝑛 𝐵2

Ipotizzando per semplicità (Figura 2.16) che il campo magnetico sia disposto in direzione radiale (𝑩 = −𝐵 𝒆̂𝑟) e il campo elettrico, perpendicolare a quello magnetico, sia diretto secondo la

direzione assiale (𝑬 = 𝐸 𝒆̂𝑧 = −𝛁𝜙) così come il gradiente di pressione elettronica (𝛁𝑝𝑒 =

|𝜵𝑝𝑒|𝒆̂𝑧), allora entrambe le derive magnetiche degli elettroni sono dirette in direzione azimutale

nel propulsore e insieme danno origine alla densità di corrente di Hall (𝑗𝐻), il cui nome deriva

dall’analogia con la corrente chiusa che circola in un magnetron: 𝑗𝐻 ≅ 𝑗𝑒𝜃 = 𝑒 𝑛 𝑢𝑒𝜃 ≅ 𝑒 𝑛 (𝑢𝐸+ 𝑢𝐷)

La deriva degli elettroni si sviluppa quindi in direzione prevalentemente azimutale e la lenta deriva verso l’anodo è prodotta dalle collisioni con gli ioni, con gli atomi neutri e con le pareti della camera. A livello cinetico, le collisioni degli elettroni in deriva azimutale trasformano la loro velocità di deriva (direzionata) in quella (non direzionata) termica. Quindi le collisioni causano la dissipazione della velocità di deriva che il campo elettrico deve compensare aggiungendo altra energia agli elettroni. Questo meccanismo di trasporto assiale, dominato dalle collisioni, rende gli HET degli ottimi dispositivi ionizzanti e alla fine del sottile strato di ionizzazione quasi la totalità del propellente è stata ionizzata.

Le distribuzioni assiali tipiche del potenziale, dell’intensità massima del campo magnetico e del campo elettrico lungo il canale del propulsore sono mostrate nella Figura 2.17 in cui la sezione di uscita del canale “Exit 1” è da preferire alla sezione “Exit 2” per evitare un eccessivo danneggiamento delle superfici della camera e dei poli del circuito magnetico come verrà discusso nel capitolo 4, a proposito della topologia del campo magnetico.

(40)

40

Figura 2.16 Schema della sezione di un motore a effetto Hall [5].

Figura 2.17 Schema della distribuzione assiale del potenziale elettrico, dell'intensità del campo magnetico e del campo elettrico tipici di un HET [4].

(41)

41 Gli ioni prodotti alla fine della zona di ionizzazione sono accelerati dal campo elettrico che si istaura tra il plasma nella scarica a valle con potenziale vicino a quello catodico e il plasma alla base del canale con potenziale anodico, nella zona dove il campo magnetico è massimo (intorno alla sezione “Exit 1” in Figura 2.17). L’accelerazione degli ioni avviene in parte all’interno del propulsore nella zona finale del canale (𝐿𝐴) e in parte all’esterno di essa. L’energia cinetica degli

ioni deriva in parte dall’energia fornita direttamente dal campo elettrico ma soprattutto dall’interazione con gli elettroni. Dato che l’effetto del campo elettrico è della stessa intensità ma di segno opposto per gli ioni e gli elettroni, nel plasma gli effetti si bilanciano e la spinta (𝑻), che è la forza di reazione alla variazione della quantità di moto degli ioni, è vincolata magneticamente al corpo del propulsore tramite la forza elettromotrice di Hall.

𝑻 = −2𝜋 ∭ 𝒋 × 𝑩 𝑟 𝑑𝑟 𝑑𝜃 𝑑𝑧 = −2𝜋 ∭ 𝑀 𝑛 𝑑𝑡𝒖𝑖 𝑟 𝑑𝑟 𝑑𝜃 𝑑𝑧 ≈ −𝐴 𝐿𝐴 𝒋𝐻× 𝑩

I risultati sperimentali mostrano che l’energia cinetica degli ioni nel getto è proporzionale alla differenza di potenziale (𝑉) applicata tra gli elettrodi e per questo motivo la spinta è definita quasi-elettrostatica. La velocità di deriva del flusso ionico risulta proporzionale alla velocità ideale di scarica elettrostatica (𝑣∗), che è ottenuta nelle ipotesi di flusso unidimensionale in cui il numero

di carica (𝑍) degli ioni è unitario:

𝑢𝑖 ~ √2 𝑒 𝑉 𝑀 = 𝑣∗

Il flusso di elettroni emesso dal catodo cavo si fraziona in due, una parte, detta primaria, si dirige verso la camera del propulsore per innescare il meccanismo di ionizzazione durante la lenta deriva verso l’anodo, mentre la restante frazione incrocia il flusso di ioni ad alta velocità, neutralizzando la carica del getto.

Nel paragrafo seguente ci occuperemo di come ottenere l’espressione della spinta attraverso parametri di rendimento, per modellare macroscopicamente i fenomeni che comportano un discostamento dalla situazione ideale.

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43

2.4 Indici di prestazioni

I principali parametri che controllano l’operazione di un HET sono la differenza di potenziale interelettrodica (𝑉), la potenza elettrica (𝑃), la portata di propellente anodica (𝑚̇𝑎 ≅ 𝑚̇) e

l’intensità massima del campo magnetico (𝐵𝑚𝑎𝑥). Per ogni combinazione di tensione e portata, il

campo magnetico massimo deve essere aggiustato al valore ottimale (𝐵𝑜𝑝𝑡) per evitare le

fluttuazioni di potenza, le instabilità nel plasma e per massimizzare il rendimento di spinta (ɳ𝑇). Quest’ultimo è definito come il rapporto tra la potenza utile (𝑃𝑈), ovvero quella strettamente necessaria ad ottenere un dato livello di spinta e la potenza richiesta per farlo, che in questo caso è di tipo elettrico (𝑃).

ɳ𝑇 = 𝑃𝑈 𝑃

Per motivi pratici, risulta conveniente esprimere la potenza utile attraverso parametri direttamente misurabili o controllati. A questo fine è adatto introdurre la velocità effettiva di scarica (𝑣𝑒) definita come il rapporto tra la spinta (𝑇) misurata e la portata totale immessa (𝑚̇):

𝑣𝑒 = 𝑇 𝑚̇

In questo modo, la potenza utile può essere espressa come la potenza cinetica associata alla velocità effettiva scarica:

𝑃𝑈 = 1 2⁄ 𝑚̇ 𝑣𝑒2

E quindi l’espressione del rendimento di spinta risulta: ɳ𝑇 = 𝑚̇ 𝑣𝑒 2 2 𝑃 = 𝑇 𝑣𝑒 2 𝑃 = 𝑇2 2 𝑚̇ 𝑃

Il rendimento di spinta è il fattore che tiene conto di tutti i processi di perdita coinvolti nella generazione della spinta. Nell’analisi condotta in seguito, tutti i parametri utilizzati per descrivere il flusso degli ioni fanno riferimento ad un flusso ionico ideale in cui il numero di carica (𝑍) è unitario, con una velocità di deriva perfettamente assiale e omogenea sulla larghezza del canale.

Riferimenti

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