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L'imputato che non c'è: la riforma operata con la legge n.67/2014

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CAPITOLO I

La contumacia e le garanzie del giusto processo

1. Le garanzie del giusto processo nella prospettiva europea…

Nel nuovo scenario europeo, caratterizzato dall’esistenza di molti ordinamenti aventi ciascuno particolari culture e tradizioni, viene firmata a Roma il 4 novembre 1950, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Questa predispone un particolare sistema di tutela internazionale dei diritti dell’uomo, offrendo così ai cittadini europei la possibilità di invocare il controllo giudiziario dei loro diritti davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Particolarmente interessante è l’articolo 6 CEDU anche a fronte della sua entrata, a pieno titolo, nelle fonti normative dell’Unione con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata dal Consiglio europeo di Nizza nel 2000 e il Trattato di Lisbona con cui si è modificato il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea sottoscritto il 13 dicembre 20071.

1.1 Art.6 CEDU

L’art. 6 della Convenzione europea costituisce la norma fondamentale nell’individuazione dei principi del “fair trail”- impone che lo Stato renda un servizio di giustizia di qualità ed in tempi ragionevoli2 - in assenza dei quali, non

si può parlare di giusto processo ed enuncia uno standard minimo di garanzie attribuite alla persona.

La qualifica di “giusto” suggerisce un “assetto processuale cognitivo, fondato su un sapere dialetticamente elaborato, capace di produrre una decisione giusta, pur nell'inevitabile fallibilità di ogni metodo”. 3

La norma prevede una serie di diritti che il legislatore deve rispettare ogni volta

1 Così C. PAPAGNO, Contumacia e processo equo, Milano 2010, p.92

2 L. PERILLI, Ancora sulle convenzioni fra uffici giudiziari e scuole di specializzazione in Quest.

giust., 2013, p. 163

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che interviene in materia processuale:

 lett. a) il diritto alla conoscenza degli elementi essenziali dell’accusa elevata a carico dell’imputato

 lett. b) il diritto di disporre dei mezzi necessari per preparare la difesa

 lett. c) il diritto di difendersi personalmente o a mezzo di un difensore tecnico

 lett. d) il diritto di farsi interrogare o interrogare i testimoni

 lett. e) il diritto di farsi assistere da un interprete

Si può subito notare come manchi una previsione esplicita riguardante il diritto dell’imputato ad essere presente al suo processo. Nonostante questo la Corte EDU ha più volte condannato le varie normative europee in tema di contumacia.

Ha affermato, infatti, che il processo celebrato in absentia di per sé non è illegittimo, ma lo diventa nel momento in cui non si garantisce all’imputato la conoscenza del procedimento a suo carico e adeguati rimedi “ripristinatori”. Ne consegue che i giudici di Strasburgo dovranno innanzitutto accertare la rinuncia dell’imputato a partecipare. La rinuncia - che può essere tacita o esplicita - deve essere “non equivoca”, protetta da un nucleo minimo di garanzie e non deve confliggere con altro interesse pubblico rilevante4 ; e a tal proposito la Corte

europea nella sentenza Somogyi c. Italia5 ritiene che “l’art.6 impone ad ogni Corte

nazionale l’obbligo di verificare […] se, oltre ogni dubbio ragionevole, l’imputato abbia rinunziato inequivocabilmente al suo diritto a comparire al processo”. Ciò implica un ricorso molto limitato alle “presunzioni” come strumento da cui dedurre la conoscenza legale dell’atto processuale: questo è quanto affermato nella sentenza Salabiaku c. Francia6 in cui si ravvisa la necessità di confinare le

presunzioni in limiti ragionevoli che tengano conto degli interessi in gioco e garantiscano i diritti di difesa.

In secondo luogo, in caso di esito affermativo della verifica effettuata dalla Corte europea, lo Stato non sarà considerato automaticamente responsabile ma i giudici dovranno sottoporlo ad una ulteriore verifica sulla possibilità offerta al

4 Nello stesso senso C. eur. dir. uomo, 21 settembre 1993, Zumtobel c. Austria, serie A n. 268- A 5 Cfr. C. eur. dir. uomo, 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia, in Cass. pen.2004, p.3797

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condannato di ottenere una fresh determination of the merits of the charge ovvero un nuovo processo al quale egli abbia facoltà di partecipare7. Ove manchi un

contatto ufficiale con l’imputato tale meccanismo deve operare automaticamente ma, laddove un ordinamento presentasse delle difficoltà di accesso, sarebbe in contrasto con la Convenzione8.

Peraltro, la Corte di Strasburgo nella sentenza Henaf c. Francia9 afferma che

l’efficacia di un rimedio non deve essere valutata solo in astratto, ma anche in concreto; occorre che il ricorso non sia manifestamente destinato ad essere respinto ovvero quando risulta evidente che il ricorrente resterebbe escluso dalla tutela a causa delle stringenti condizioni previste dall’ordinamento interno per ottenere il beneficio.

Tutto questo richiama quanto già sostenuto dalla Corte10, vale a dire il principio

secondo cui i diritti garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo devono essere concreti ed effettivi e non teorici ed illusori.

1.2. La Risoluzione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa e i moniti del Comitato dei diritti umani

Il Comitato dei Ministri è uno degli organi principali del Consiglio d’Europa composto dai 47 Ministri degli Esteri o dai loro rappresentanti permanenti a Strasburgo; ha il compito di sorvegliare l’esecuzione delle sentenze della Corte da parte degli Stati condannati.

Con riguardo al diritto dell’imputato di presenziare al processo, molte difficoltà sono state create dalla diversità di disciplina prevista nei singoli sistemi nazionali11. Proprio in questo contesto si inserisce la Risoluzione n. 11 del 21

maggio 1975 adottata dal Comitato in cui sono indicati i criteri da seguire qualora

7 Cfr. C. eur. dir. uomo, 16 ottobre 2001, Einhorn c. Francia; 23 novembre 1993, Poitrimol c.

Francia

8 MOSCARINI, Il giudizio in absentia nell’ottica delle giurisdizioni internazionali ed in una

recente legge italiana, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2005, p.573

9 Cfr. C. eur. dir. uomo, 27 novembre 2003, Henaf c. Francia n. 65436/01; dello stesso tenore

anche 20 novembre 1995, Pressos Compania Naviera S.A. e altri c. Belgio, serie A n. 332

10 Cfr. C. eur. dir. uomo, 19 dicembre 1989, Kamasinski c. Austria, serie A, n. 168 11

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uno Stato decidesse di ammettere un giudizio in assenza dell’imputato.

Si sostiene che è di fondamentale importanza garantire le condizioni del giudizio

in absentia, le forme del suo svolgimento e i rimedi contro la sentenza che lo

conclude, data l’importanza che riveste la presenza dell’imputato sia in ragione del suo diritto ad essere sentito sia della necessità di accertare i fatti sia nello stabilire eventualmente una sanzione adeguata.

Tali criteri sono stati fissati per adeguare le disomogenee discipline nazionali ai principi dell’equo processo; si è qui enfatizzata l’esigenza che nessuno possa essere giudicato senza prima aver ricevuto effettivamente una citazione diretta a consentire la sua partecipazione al processo e la preparazione della sua difesa, a meno che non sia accertata la sua volontà di sottrarsi alla giustizia12.

Del diritto ad essere presente al processo, si è occupato anche il Comitato dei diritti umani, un organismo di controllo fondato per garantire la protezione dei diritti elencati nel Patto internazionale per i diritti civili e politici. Nella prassi del Comitato troviamo varie condanne nei confronti degli Stati che riguardano soprattutto il diritto dell’accusato di scegliersi un difensore e la tematica dell’assistenza legale gratuita e della difesa d’ ufficio.

Si ricorda la condanna alla Georgia13 per aver imposto ai ricorrenti, allontanati

dall’aula a causa del loro comportamento, difensori d’ufficio privandoli così del diritto ad essere rappresentati da un difensore scelto liberamente; oppure nel parere Campbell n. 307/1998 con cui il Comitato condanna la Giamaica: il ricorrente era stato condannato alla pena di morte e aveva proposto appello contro la sentenza di primo grado ma gli era stato notificato il nome del difensore solo alla conclusione del processo di appello, impedendogli così la consultazione dello stesso ai fini della preparazione della difesa. La condanna alla Spagna14 in cui

viene riconosciuto il diritto dell’imputato di difendersi in prima persona potendo rifiutare l’assistenza di un difensore nominato d’ufficio.

Con riguardo invece alle condanne in materia di contumacia, ne riscontriamo

12 In tal senso si veda regola n. 1 della Risoluzione in cui si afferma che un dibattimento senza

imputato può aversi solo quando questi “sia stato effettivamente raggiunto da una citazione in tempo utile per esercitare il suo diritto di difesa anche personale”

13

Cfr. Comitato dei diritti umani, caso Domukovsky e altri c./ Georgia, pareri 623, 624, 626 e 627/1995

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poche proprio per la scarsità di ordinamenti che adottano regimi processuali simili al nostro.

Caso emblematico è la condanna del nostro Paese nel caso Ali Maleki c. Italia15.

Il ricorrente era stato condannato in contumacia a 10 anni di reclusione per traffico internazionale di sostanze stupefacenti; secondo il Comitato il processo in contumacia è compatibile con il Patto internazionale dei diritti civili e politici solo se l’accusato viene avvisato con congruo anticipo del procedimento a proprio carico e delle relative accuse mosse e lo Stato deve dare la prova di aver rispettato tali formalità16. L’Italia però non aveva fornito tale prova e sosteneva che il

ricorrente fosse stato informato del procedimento dal proprio difensore d’ufficio. Il Comitato afferma che il nostro sistema di notifiche e di presunzioni legali di conoscenza non è sufficiente per soddisfare lo standard minimo di garanzie richiesto per un processo in absentia.

2. … e nella prospettiva interna

Dopo aver dato uno sguardo alla realtà europea in materia di rispetto delle garanzie dell’equo processo, è necessario focalizzare l’attenzione sull’Italia osservando se e come tali principi sono stati introdotti nel nostro ordinamento. Questo è stato reso possibile dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n.2, che ha recepito i diritti enunciati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo inserendo nell’art 111 Cost. cinque nuovi commi.

Si ritiene che la formula “giusto processo”, contenuta nella disposizione costituzionale, “assume per il legislatore un significato ben più pregnante rispetto a quello puramente semplificativo o rafforzativo di specifiche direttive che vale per la Corte costituzionale”. Questa dunque sollecita “una costante apertura all’evoluzione della coscienza e della cultura dei diritti umani in una prospettiva sopranazionale, che va oltre il semplice rispetto dei principi costituzionali”;

15

V. Comitato dei diritti umani , caso Ali Maleki c. Italia, comunicazione CCPR n.699/1996 del 27 luglio 1999

16

Cfr. Comitato dei diritti umani, 25 marzo 1983 caso Daniel Monguya Mbenge c/ Zaire, n.16/1977

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pertanto è necessaria una modifica17.

Tuttavia a prescindere dalle garanzie del giusto processo, già dalla lettura della Carta costituzionale, si ricavava il diritto di difesa dell’imputato che è previsto dall’articolo 24 comma 2. Si tratta di una norma generica che assicura all’imputato “qualsiasi diritto, potere o facoltà […] necessario o utile affinché […] ottenga che il processo si svolga o concluda nel modo a lui più favorevole”18.

Dal canto suo la Corte costituzionale19 ha dato un contenuto preciso alla norma

ribadendo che l’imputato vede tutelato dalla disposizione non solo il diritto ad una difesa tecnica intesa come “potestà effettiva dell’assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo in modo che venga assicurato il contraddittorio”20, ma anche quello all’autodifesa o difesa personale

che si realizza attraverso la personale partecipazione dell’imputato.

2.1 Il sistema delle notificazioni

Aspetto particolarmente controverso della disciplina in tema di contumacia è la conoscenza del procedimento.

La Corte europea aveva affermato nella sentenza Colozza c. Italia21 che

l’imputato può scegliere di non partecipare al suo processo purché frutto di una scelta consapevole, cosciente ed “inequivoca”, fissando peraltro i principi ispiratori per rendere il processo in assenza conforme alla Convenzione.

Per realizzare tale condizione è fondamentale la conoscenza del procedimento da parte dell’interessato e delle accuse che gli vengono mosse.

Questo permette poi all’imputato di valutare quale strategia processuale adottare anche scegliendo la non partecipazione al processo quale espressione del diritto di difesa.

17 P. FERRUA, Il giusto processo, II ed., Bologna, 2007, p.37 ss.

18 Così ritiene M. SCAPARONE, Evoluzione ed involuzione del diritto di difesa, Milano 1980,

p.21

19 Cfr. Corte cost., 14 gennaio- 1° febbraio 1982, n.9, in Giur. cost. 1982, p.59 20 Cfr. Corte cost., sent. 8-18 marzo 1957, n.46, in Giur. cost. 1957, p.587

21 Cfr. C. eur. dir. uomo, 12 febbraio 1985, sent. Colozza c.Italia n. 9024/80; secondo la Corte “non

risulta che il ricorrente abbia avuto notizia dell’apertura del procedimento contro di lui” ma “ si riteneva semplicemente che egli dovesse essere al corrente delle notificazioni depositate nella cancelleria del giudice istruttore e poi del tribunale”

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Il sistema delle notificazioni disciplinato dal codice del 1988 pone una serie di problematiche sulle quali si sono soffermate la giurisprudenza della Cassazione e della Corte Costituzionale.

Punctum dolens della disciplina riguarda proprio l’accertamento da parte del

giudice circa l’effettiva conoscenza dell’atto che realizza la vocatio in iudicium dalla quale dedurre la rinunzia dell’imputato a partecipare al processo.

La disciplina della notificazione degli atti è ispirata a criteri formali e la norma principale cui riferirsi è l’art. 157 c.p.p. che opera allorquando non vi sia stata una dichiarazione di domicilio da parte dell’imputato.

La disposizione innanzitutto pone come regola generale di notifica “la consegna di copia alla persona”, successivamente elenca tutta una serie di luoghi in cui l’atto viene consegnato qualora la prima modalità non sia praticabile22.

Le varie forme di notifica non sono però alternative e quindi scelte a discrezione del notificatore, ma “caratterizzati dalla misura decrescente della garanzia di effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario”23.

Si pongono, a questo proposito, particolari problematiche dal momento che configurano delle ipotesi di “presunzione legale” e cioè mere formalità che, una volta rispettate, fanno presumere la conoscenza da parte dell’imputato; non pare però raggiunta la prova di conoscenza certa richiesta dalla Corte EDU la quale ha affermato che una conoscenza ipotetica e non ufficiale delle accuse, non soddisfa le esigenze della Convenzione che, invece, impone di informare l’imputato “in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico24” ai

sensi dell’art.6.

Il diritto all’informazione sulle accuse si configura come orientato alla preparazione della difesa e dunque una conoscenza solamente presunta non è sufficiente per affermare la compatibilità del processo in assenza con la Convenzione.

Dal canto suo la Corte di Cassazione25 ha affrontato la problematica degli effetti

22 Si ricorda la consegna al familiare convivente, l’invio per posta nel caso in cui l’avviso di

ricevimento della raccomandata non sia stato sottoscritto dall’imputato

23 P. SILVESTRI, Parte II:Le nuove disposizioni in tema di processo “in assenza”dell’imputato in

Relazione redatta dal massimario della Corte di cassazione, Napoli, 17 aprile 2014, p.43

24 Cfr. C. eur. dir. Uomo, 25 marzo 1999, Pélissier e Sassi c. Francia, n. 25444/94 25 Cfr. Cass. S.U., 27 ottobre 2004 in Cass.pen. 2005, p.1148

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che la notificazione della citazione, eseguita in forme diverse, provoca ai fini della regolare instaurazione del contraddittorio.

La vicenda riguardava il ricorso del Sig. Michele Palumbo contro la sentenza della Corte d’Appello di Napoli con cui viene confermata la condanna pronunciata nei confronti del ricorrente dal tribunale della stessa città per i reati di truffa e di millantato credito. Nel ricorso viene dedotta la violazione dell’articolo 161 c.p.p. dal momento che nel corso dell’interrogatorio di garanzia il ricorrente aveva eletto domicilio presso il difensore mentre gli atti successivi gli sono stati notificati presso il suo domicilio a mani di familiari. Peraltro il ricorrente deduce che in primo grado e in appello è rimasto contumace e che gli era stato notificato presso il domiciliatario solamente l’avviso di deposito con l’estratto della sentenza. La VI sezione della Corte di Cassazione sostiene inizialmente la necessità di comminare la sanzione di nullità di cui all’art. 179 comma 1 c.p.p. per “omessa citazione dell’imputato” sia nel caso in cui la notificazione dell’atto non sia avvenuta sia quando questa risulti viziata perché eseguita in forme diverse da quelle previste dalla legge a condizione però che, in quest’ultimo caso, il procedimento sia inidoneo a determinare la conoscenza effettiva dell’atto. Quindi la notificazione a mano di persona convivente, nonostante l’imputato avesse eletto domicilio presso il difensore, non determina una nullità assoluta ma una nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178 lett. c) c.p.p. in quanto non può ritenersi configurata una citazione omessa con la conseguente possibilità di sanatoria ex art 184 c.p.p.

Tuttavia, qualora la notificazione venisse effettuata con modalità diverse da quelle stabilite dalla legge, pur apparendo idonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto, ma in concreto tale effetto non risultasse, la nullità dovrà considerarsi insanabile.

La Cassazione26 in questa pronuncia ha voluto porre l’accento sul criterio

dell’effettività della conoscenza considerato prevalente rispetto a quello della mera regolarità formale della notifica.

Questo però rischia di creare dei problemi a livello applicativo perché si valorizza la discrezionalità del giudice laddove impone di accertare se la notifica eseguita in

26

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modo irregolare si sia tradotta in una lesione al diritto all’informazione processuale della parte27.

Dal punto di vista probatorio, secondo la stessa sentenza, sarà l’imputato a dover rappresentare gli elementi in grado di avvalorare la propria affermazione circa il raggiungimento della conoscenza dell’atto. Si osserva infatti che “in un processo basato sull’iniziativa della parti è normale che anche l’esercizio dei poteri officiosi del giudice sia mediato dall’attività delle parti, quando dagli atti non risultano gli elementi necessari per l’esercizio di quei poteri e solo le parti sono in grado di rappresentarli al giudice e di procurarne l’acquisizione”.

A fronte di questa affermazione della Corte c’è chi ritiene, in senso critico, che il sistema non impone all’imputato oneri probatori circa la mancata conoscenza della vocatio in iudicium e quindi si è in presenza di un’operazione creativa della giurisprudenza di legittimità28.

Il nostro sistema in tema di contumacia cerca di mostrarsi attento a tali problematiche prevedendo all’art. 420-bis comma 1 cpp la rinnovazione “dell’udienza preliminare a norma dell’art.419, comma 1, quando è provato o appare probabile che l’imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza”.

Quindi anche nel caso di una notificazione effettuata regolarmente, il giudice ha il potere di valutare la probabilità della conoscenza dell’interessato. Tale valutazione risponde all’esigenza di fornire una “clausola di salvaguardia”29 per

fronteggiare il rischio che i meccanismi formali creino un divario tra conoscenza effettiva e conoscenza legale; questa garanzia è funzionale ad assicurare la presenza dell’imputato, che è momento essenziale per la realizzazione del contraddittorio30.

L’apprezzamento probabilistico crea però dei caratteri di ambiguità in quanto affida alla sensibilità del giudice sia la delibazione della natura e del peso degli elementi probatori disponibili sia la determinazione del quantum di prova

27 M. VESSICHELLI, Sul regime delle nullità della notificazione all’imputato dell’atto di

citazione in Cass pen 2005, p.1159

28 A. MACRILLO, Nullità derivante dalla mancata citazione dell’imputato presso il domicilio

eletto, in Dir.pen.proc, 2005, p.726

29 G. DI CHIARA, Prima notificazione all’imputato non detenuto e patologie del secondo

accesso:note a margine di una declaratoria di manifesta infondatezza, in Giur. Cost., 2000, p.3371

30 A. PENNISI,voce Notificazione, III, diritto processuale penale, in Enc.giur. Treccani, vol XXI,

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necessario a integrare il requisito della probabilità”31.

1.1 Le pronunce della Corte Costituzionale sugli artt. 159-160 c.p.p.

Gli artt. 159 e 160 c.p.p. sono stati oggetto di varie pronunce della Corte Costituzionale; in particolare i giudici a quibus riscontravano la violazione, da parte di tali norme, di principi fondamentali espressi dalla Carta Costituzionale in particolare il diritto di difesa (art. 24) e il principio del contraddittorio (art.111, comma 3); tali censure tuttavia sono rimaste prive di riscontro.

L’art. 159 c.p.p regola la disciplina della notificazione all’imputato irreperibile statuendo la possibilità per l’autorità giudiziaria di effettuare nuove ricerche qualora non fosse possibile eseguire le notificazioni nei modi previsti dall’art.157. In caso di esito negativo, la stessa autorità emette decreto di irreperibilità con il quale ordina che la notificazione venga eseguita al difensore precedentemente designato.

Si assiste ancora una volta ad un divario tra conoscenza “reale” e conoscenza “legale” che “raggiunge la sua massima espansione con il rito della notifica all’imputato irreperibile”32.

Il legislatore ha limitato l’efficacia del decreto di irreperibilità, disciplinata dall’art.160 comma 1, per far fronte ad esigenze di garanzia sul fronte del diritto di difesa.

Secondo quanto affermato nella relazione al codice di procedura penale, la normativa prevista agli artt. 159 e 160 è giustificata dal fatto che, essendo la conoscenza della citazione da parte dell’irreperibile “evenienza del tutto ipotetica”, sarebbe stato “irragionevole prevedere l’obbligo della rinnovazione della citazione dal momento che ne sarebbe scaturito un regime di paralisi processuale, dovendo la nuova citazione essere notificata con il rito degli irreperibili […] con la ineluttabile conseguenza di una ulteriore citazione, e così via all’infinito”33.

31 E.M. CATALANO, L’accertamento dei fatti processuali,in Indice pen., p. 558 32

A.PENNISI, voce Notificazione, cit., p.3

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Molte sono state le questioni di legittimità presentate alla Corte Costituzionale in cui i ricorrenti paventano l’ipotesi di una sospensione del processo per gli irreperibili.

Si ricorda, a tal proposito, la sentenza n. 399/199834 emessa a seguito delle

censure mosse dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria con ordinanza 2 giugno 1997 per violazione degli artt. 3, 10, 24 Cost. da parte degli artt. 159 e 160 c.p.p. La vicenda riguardava la richiesta di rinvio a giudizio dell’imputato, risultato irreperibile prima che fosse possibile invitarlo a dichiarare o eleggere domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p. Si dispongono nuove ricerche ai sensi dell’art. 159 che però avevano dato esito negativo, quindi viene emesso decreto di irreperibilità e la notificazione dell’udienza preliminare era stata eseguita mediante consegna di copia al difensore. Il giudice a quo ritiene pertanto che la disciplina debba essere sottoposta al vaglio del Giudice delle Leggi poiché consente l’instaurazione e definizione di un processo all’insaputa dell’imputato con conseguente disparità di trattamento e violazione del diritto di difesa. Il procedimento instaurato, secondo il rimettente, sarebbe dunque una fictio e darebbe luogo a procedimenti penali inutili a carico di stranieri casualmente presenti sul territorio italiano. Ricorda inoltre che nei Paesi definiti più avanzati, come gli ordinamenti di common law, la presenza dell’imputato dinanzi al giudice è necessaria35.

La Corte ha respinto la questione affermando che la libertà del legislatore nel disporre i mezzi idonei per soddisfare i principi del giusto processo, si era tradotta nella previsione di meccanismi reintegrativi e nella possibilità per l’irreperibile di ottenere una nuova pronuncia sulla fondatezza dell’accusa mossa, una volta comparso.

Il remittente aveva inoltre proposto, quale meccanismo reintegrativo, la sospensione del processo per gli irreperibili.

La Corte sostenne l’impossibilità di adottare tale rimedio essendo un compito del legislatore effettuare la scelta tra due opzioni normative: una di tipo preventivo/inibitorio – si sospende il processo se vi è la prova che l’imputato ne

1988, n.250, suppl. ord. n.2, p.116

34

Corte Cost., sent. 10-12 dicembre 1998, n.399, in Giur. Cost., 1998, p.3454 ss

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ignori lo svolgimento – e l’altra di tipo successivo/riparatorio in virtù della quale il processo può essere celebrato al ricorrere delle suddette condizioni ma, qualora l’imputato apprenda a posteriori di essere stato giudicato, deve ottenere una nuova pronuncia da parte di un organo giurisdizionale dopo essere stato ascoltato . La sua introduzione infatti avrebbe coinvolto “istituti del diritto penale sostanziale e del processo penale, quali la prescrizione dei reati […], che andrebbero ripensati in un nuovo quadro sistematico nel quale la mancanza di un rito per gli irreperibili fosse divenuta elemento caratterizzante”.

Tuttavia parte della dottrina36 ritiene che queste affermazioni non siano più valide

alla luce dell’introduzione dei principi del giusto processo nell’art. 111 Cost. Sostiene infatti che la Corte si sia fatta condizionare da una nota sentenza della Corte EDU37 in cui i giudici di Strasburgo mostravano di ritenere sufficienti gli

strumenti riparatori adottati dall’Italia.

Rileva inoltre che la CEDU tutela il diritto dell’imputato di presenziare al processo nella veste di garanzia soggettiva ma, nella logica dell’art. 111 Cost. che introduce il principio del contraddittorio, la presenza dell’imputato è qualcosa di più del semplice esercizio di un diritto soggettivo; se all’imputato non viene concessa l’opportunità di intervenire in giudizio non può dirsi rispettato il principio del contraddittorio e senza contraddittorio non esiste un processo penale conforme alla legalità costituzionale.

Tra le soluzioni funzionali al rispetto della nuova nozione costituzionale di processo, è compatibile l’inibizione della celebrazione del processo fino al momento della conoscenza effettiva dell’atto di citazione da parte dell’imputato. Non ha senso consentire la celebrazione di un processo che “non possiede i connotati minimi per potersi definire tale e i cui esiti cognitivi la Costituzione considera non attendibili”.

Tra l’altro la soluzione della Corte EDU, per la quale i rimedi esclusivamente reintegrativi sarebbero sufficienti, è incompatibile anche con quanto affermato nel preambolo della Risoluzione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, in

36 In tal senso si esprime F. CAPRIOLI,“Giusto processo” e rito degli irreperibili in Leg. pen.

2004, p.589

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cui si definisce la presenza dell’imputato “presupposto di un contraddittorio integrale e quindi di un esito processuale attendibile”.

In materia poi si registrano anche pronunce più recenti tra le quali sembra opportuno segnalare la sent. n.117/200738.

La Corte era stata investita della questione di legittimità costituzionale degli artt. 159, 160, 420- quater comma 1 e 484 c.p.p. per violazione degli artt. 3, 10 comma 1, 97 comma 1 e 111 commi 2,3,4 Cost. dal Tribunale di Pinerolo con ordinanza 31 gennaio 2006 nella parte in cui impongono di dichiarare la contumacia nei confronti degli imputati irreperibili e non prevedono la sospensione obbligatoria del processo.

La vicenda, in particolare, riguardava la notificazione di un decreto di citazione effettuata a seguito di emissione del decreto di irreperibilità, mediante copia al difensore d’ufficio e dunque l'imputato, non comparso al dibattimento, è stato dichiarato contumace.

Il rimettente rammenta il rigetto della questione di legittimità espresso nella sentenza n.399/1998 ritenendo però mutato il quadro costituzionale di riferimento, rappresentato dai cambiamenti apportati all’art. 111 che "sembra porsi in contrasto con la possibilità che un processo venga celebrato nella totale ignoranza dell'imputato irreperibile, e dunque auspica un ripensamento da parte della Corte. Sosteneva, peraltro, la necessità di una rivisitazione della questione dovuta alla costituzionalizzazione del principio del contraddittorio che lo ha reso non solo una garanzia soggettiva per l'imputato, ma anche una garanzia oggettiva per l'ordinamento, sicché può ben dirsi che senza contraddittorio non esiste un processo penale conforme alla legalità Costituzionale.

Un processo siffatto postula che l'imputato sia a conoscenza dell'accusa al fine di scegliere se essere presente o decidere come difendersi; questo richiede la conoscenza del processo da parte dell’interessato. Si configurerebbe dunque la necessità di sospendere il processo penale a carico dell’irreperibile perché fino al momento in cui l'imputato non è messo nelle condizioni di conoscere l'accusa, non esiste nemmeno un "simulacro” di contraddittorio.

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Il giudice rimettente inoltre ritiene che il nostro ordinamento già conosce ipotesi di sospensione obbligatoria del processo qualora l'imputato sia incapace di stare in giudizio e peraltro si configura un'ipotesi di violazione dell'art. 3 Cost. inteso come principio di ragionevolezza posto che in presenza di situazioni di inconsapevolezza dell'accusa, viene prevista solamente nei casi di cui agli articoli 70 e 71 c.p.p. la sospensione obbligatoria del processo.

La Corte rigetta la questione; innanzitutto attribuisce rilevanza al principio del contraddittorio nella sua dimensione “soggettiva” cioè come diritto al confronto con il proprio accusatore e all’acquisizione di prove a discolpa.

Successivamente affronta anche la questione del consenso dell’imputato quale deroga al principio del contraddittorio sottolineando come il consenso presuppone la conoscenza del procedimento e che l’imputato può rinunciare al processo, però, in forma non equivoca. Nel processo contro gli irreperibili la rinuncia a partecipare viene rilevata dallo stesso stato di irreperibilità ed è irrilevante che questi abbiano avuto conoscenza dell’atto notificato.

È dunque sufficiente, ai fini del rispetto del diritto di difesa, prevedere delle misure ripristinatorie.

La Consulta inoltre con riguardo al profilo della disparità di trattamento dell’irreperibile rispetto all'incapace, rileva che la situazione di quest'ultimo non può fungere da tertium comparationis. È sufficiente infatti da un lato, osservare che l'incapace può essere fisicamente presente, dall'altro che è prevista per lui la nomina di un curatore speciale cui la legge demanda l'esercizio di facoltà processuali nell'interesse dell'incapace stesso. Ciò rende non adattabile alla situazione dell’irreperibile la sospensione del processo stabilita per l’imputato incapace.

La Corte non ha ritenuto di dover spendere altre parole sulla questione e dunque si può rilevare come, con questa sentenza, si è persa l’occasione per invitare il legislatore o prendere una posizione , sull’adozione di una soluzione inibitoria per riportare il sistema dettato per gli irreperibili entro il rispetto dei parametri di cui agli artt. 24 comma 2 e 111 comma 3 Cost.39

39

(15)

2.3 La “scomoda posizione” del difensore d’ufficio

A seguito della dichiarazione di contumacia, viene nominato un difensore d’ufficio affinché possa tutelare gli interessi del contumace.

Il codice di rito del 1930 all’art.499 comma 3 stabiliva che, in questi casi, “il difensore rappresenta l’imputato a tutti gli effetti”.

In questa norma è stata individuata da alcuni40 una forma di rappresentanza

legale.

Altri41 invece parlavano di utilizzo improprio del termine rappresentanza in

quanto il difensore “era un organo di giustizia che agisce nei limiti dei poteri conferitigli dalla legge e svolge la sua complessa funzione in relazione all’interesse di libertà perché l’ordine giuridico-penale sia attuato con il rispetto dei diritti e degli interessi dell’imputato”.

Siffatta previsione è sostenuta da una ragione storica: la norma voleva superare il sistema delineato dal codice di rito del 1913 in cui si rilevavano dei limiti all’attività del difensore del contumace tra cui l’impossibilità di presentare prove a discolpa.

Altri, invece, ritengono che l’art. 499 comma 3 codice di rito 1930, con la formula “a tutti gli effetti”, indichi la necessità che il dibattimento continui regolarmente, e che non sia da sospendere.

Questa formula però è stata ritenuta “iperbolica”42 in quanto vi sono atti

personalissimi dell’imputato che possono essere compiuti solamente dallo stesso e dunque viene eliminata dal nuovo codice del 1988.

Il nostro ordinamento, a differenza di altri43, cerca di tutelare l’imputato contumace dal punto di vista del diritto di difesa statuendo la necessità di nominare un difensore ma si deve notare come a tali sforzi, nella pratica, non consegua una sua effettiva tutela; infatti il difensore non può compiere certi atti propri dell’imputato e dunque non è in grado di determinare quella identità e

40 G. LEONE, Trattato di diritto processuale penale, vol.II , Napoli 1961, p.450

41 G. SABATINI, Trattato dei procedimento speciali e complementari nel processo penale,Torino

1956, p.263

42 F. CORDERO, Procedura penale, IX ed., Torino 1987, p.216 43 V. in modo più dettagliato infra Cap.IV

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pienezza di effetti che il rappresentato avrebbe conseguito agendo di persona44.

Problema particolare si era venuto a creare nel caso di sospensione o rinvio dell’udienza; in questi casi era sufficiente l’annuncio in presenza del difensore o si doveva procedere alla notifica al contumace?

Per cercare di limitare gli effetti lesivi al diritto di difesa, è stata sostenuta45 la

necessità di notificare un nuovo avviso al contumace in quanto la conoscenza della nuova udienza non può farsi derivare da un mero avviso orale; peraltro si deve considerare che l’imputato contumace non viene considerato “presente” e dunque non si può applicare in via analogica l’art. 477 comma 3 secondo cui in caso di sospensione, l’avviso sostituisce la notificazione per coloro che devono considerarsi presenti.

Per quanto riguarda invece la possibilità per il difensore d’ufficio di impugnare la sentenza contumaciale46, la Corte di Cassazione47, decidendo su un ricorso presentato dal Sig. Vangjelai Fatmir condannato in contumacia, lo ha ritenuto non manifestamente infondato nella parte in cui viene preclusa all’imputato la possibilità di ottenere la restituzione in termini per appellare la sentenza, nel caso in cui questo fosse stato proposto dal difensore d’ufficio.

La questione viene rimessa ala Corte costituzionale48 la quale nel 2009 corregge la disciplina ai sensi dell’art. 175 c.p.p., consentendo al contumace che non aveva avuto conoscenza del procedimento, di impugnare la sentenza, ove tale rimedio fosse stato già proposto dal difensore.

Entrambe le Corti confermano che il difensore nominato d’ufficio, non ha il potere di surrogare completamente l’imputato contumace.

2.3.1. La negoziazione della prova

Aspetto particolarmente delicato è rappresentato dagli accordi sulla prova cioè l’acquisizione concordata degli atti compiuti durante le indagini preliminari al

44 A. MANGIARACINA, Garanzie partecipative, cit., p.153 45

L. FILIPPI,Il processo penale dopo la “Legge Carotti”.L.16 dicembre 1999, n.479.Art.19, in

Dir.pen.proc. 2000, p.192

46 A. MANGIARACINA, Garanzie partecipative, cit., p.153

47 V. ordinanza n.428 del 17 settembre 2008 in www.gazzettaufficiale.it 48 C. cost., 30 novembre 2009, n. 317

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fascicolo per il dibattimento.

Gli accordi devono essere espressione della volontà dell’imputato cosa che invece non può avvenire se questi è assente; ne consegue che sarà il difensore a raggiungere tale accordo con il Pm. In queste situazioni si rischia di assistere a fenomeni di acquisizione onnicomprensiva della prova dal momento che il sistema processuale non prevede limiti alla quantità di atti sui quali può convergere un accordo con conseguente violazione del principio di eguaglianza rispetto a coloro che sono assistiti da un difensore di fiducia.

La soluzione potrebbe essere quella di intendere l'espressione utilizzata dall’art. 493 c.p.p. “atti contenuti nel fascicolo del Pm”, come singoli atti escludendo così la possibilità di acquisizioni in toto degli atti delle indagini preliminari dal momento che l'accordo per l'acquisizione totale sarebbe incompatibile con la natura stessa del giudizio ordinario e con le garanzie dibattimentali49.

Peraltro, c’è chi ha rilevato il rischio che l’acquisizione in blocco di atti d’indagine trasformi il rito ordinario in un giudizio abbreviato “anomalo”50 in

quanto la richiesta o il consenso dell’accordo provengono dal difensore senza procura speciale e inoltre, a differenza del rito abbreviato, l’imputato non potrà beneficiare dello sconto di pena.

A tal proposito il Tribunale di S. Maria Capua Vetere con ordinanza 26 maggio 2000, ha sollevato la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale degli artt.493 comma 3 e 495 c.p.p. “nella parte in cui non prevedono che l’imputato esprima il consenso, personalmente o a mezzo di procura speciale”. Si rileva come le norme impugnate, in caso di accordo per l'acquisizione dell'intero fascicolo delle indagini, siano idonee a configurare "un giudizio semplificato allo stato degli atti, analogo al rito abbreviato in rapporto al quale, diversamente da quest'ultimo, non sarebbe previsto né il presupposto del consenso personale dell'imputato, né il trattamento premiale di riduzione della pena".

La Corte costituzionale51 si è pronunciata con una sentenza di rigetto osservando

49 G..L. FANULI, Riflessioni sull’istituto della acquisizione di atti su accordo delle parti in Cass.

pen. 2001, p.356

50 P. FERRUA, Ilgiusto processo, cit., p.144

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in primo luogo che, pur essendo pacifica l'esistenza di attività che l'imputato ha facoltà di esercitare contribuendo così all'acquisizione delle prove ed al controllo di legalità del suo svolgimento, il difensore si presenta indubbiamente come il garante dell'autonomia dell'imputato in grado quindi di assicurare le cognizioni giuridiche e tecniche che gli consentono di valutare adeguatamente le situazioni in causa.

In secondo luogo rileva come i due istituti sono “assolutamente disomogenei e non assimilabili, posto che gli accordi che possono intervenire fra le parti in ordine alla formazione del fascicolo per il dibattimento, non escludono il diritto di ciascuna di esse ad articolare pienamente i rispettivi mezzi di prova secondo l’ampio potere loro assegnato per la fase dibattimentale; ciò a differenza di quanto avviene per il rito abbreviato, la cui peculiarità consiste proprio nel fatto di essere un modello alternativo al dibattimento che […] consente una limitata acquisizione di elementi integrativi, che lo configurano quale rito a prova contratta “.

Dunque, l’unico correttivo per riequilibrare il sistema, a fronte di condotte irresponsabili dei difensori dei contumaci, è costituito dal potere per il giudice di disporre l’assunzione di mezzi di prova relativi agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento ex art. 507 comma 1-bis.

C’è chi ha sostenuto in dottrina che siamo di fronte al solito meccanismo di tipo compensatorio secondo cui l’incremento di poteri giurisdizionali può servire da “contrappeso agli eccessi nei comportamenti tenuti secondo una logica di parte”. Si tratta cioè della tipica convinzione di civil law che ritiene sufficientemente garantita la fisiologia del sistema processuale sulla base di una successiva judicial

review in ordine all'operato delle parti52.

Altri53 hanno affermato che la norma mira a rendere “controllabile e superabile da

parte del giudice […] un eventuale patto per frodare l’accertamento dei fatti”. Altri ancora hanno sostenuto l'evidente irrazionalità del sistema che ne scaturisce dal momento che, nonostante il difensore non possa chiedere che il processo venga definito allo stato degli atti ai sensi dell’art. 438 c.p.p. senza una procura

52 L. MARAFIOTI, Prova negoziata e contraddittorio,in Cass. pen.,2002, p. 2947

53P.TONINI,L’alchimia del nuovo sistema probatorio: una attuazione del giusto processo?,Padova

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speciale conferitagli dall'imputato, può invece concordare con il Pm che vengano acquisiti tutti gli atti di prova contenuti nel fascicolo di cui all’art 433 c.p.p. e quindi in sostanza che il processo sia ugualmente definito allo stato degli atti senza nemmeno la riduzione di pena54.

2.3.2. La modifica dell’imputazione

L’art. 520 c.p.p. rubricato “Nuove contestazioni all’imputato contumace o assente” dispone che “Quando intende contestare i fatti o le circostanze indicate negli artt. 516 e 517 all’imputato contumace o assente, il pubblico ministero chiede al presidente che la contestazione sia inserita nel verbale del dibattimento e che il verbale sia notificato per estratto all’imputato”.

Questa norma garantisce al contumace o all’assente l’esplicazione del diritto di difesa personale dal momento che, in questi casi, il giudice dovrà sospendere l’udienza, fissarne una nuova e notificare all’imputato il verbale del dibattimento affinché possa decidere se mantenere lo status di assente/contumace oppure comparire.

Questo meccanismo opera però solo quando la modifica dell’imputazione avviene durante il dibattimento; qualora invece si verifichi durante l’udienza preliminare, tale modifica non è assistita dalle medesime garanzie.

In quest’ultima fase del processo, infatti, se l’imputato non è presente, la modifica dell’imputazione viene comunicata al difensore d’ufficio eccetto nel caso previsto dall’art.423 comma 2 – contestazione di un fatto nuovo - dal momento che è necessaria la presenza dell’imputato.

Si è parlato in questi casi di “rappresentanza legale necessaria”55 in cui si trascura

la necessità di chiedere un termine a difesa di modo che il difensore possa mettersi in contatto con l’imputato il quale potrebbe anche decidere di comparire56.

Tale previsione però presta il fianco a censure di legittimità costituzionale per

54 Così FANULI G.L., Riflessioni sull’istituto della acquisizione, cit., p. 357 55

G. FRIGO, Art.423 c.p.p. in M.CHIAVARIO, Commentario al nuovo codice di procedura

penale, vol. IV, Torino 1990, p.64

56

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violazione dell’art.24 comma 2 Cost. nonostante risponda perfettamente a quanto affermato nella legge delega ove non si esige, in fase di udienza preliminare, “la previsione di adeguate garanzie per la difesa”.

In più57 non è prevista la possibilità per l’imputato di chiedere riti alternativi, atto peraltro personalissimo, che quindi non può essere compiuto dal difensore. Qui il pregiudizio arrecato è irreversibile perché il termine ultimo per chiedere il giudizio abbreviato e l’ applicazione della pena su richiesta, è la formulazione delle conclusioni nell’udienza preliminare.

Questa previsione si mostra ancora più lesiva del diritto di difesa a seguito della maggiore rilevanza attribuita dalla legge n. 479/ 1999 all’udienza preliminare in base alla quale è necessario il rispetto del contraddittorio e dunque la presenza dell’imputato.

La Corte costituzionale però non ha condiviso tali censure: era stata sollevata la questione di legittimità dell’art.423 c.p.p. per violazione degli art. 3 e 111 Cost. nella parte in cui non prevede che, in caso di modifica dell’imputazione, il pubblico ministero possa richiedere che la modificata contestazione venga inserita nel verbale di udienza e notificato per estratto all’imputato contumace.

La questione viene sollevata dal Tribunale militare di Padova con ordinanza emessa il 20 gennaio 2000.

Il giudice rimettente ritiene ravvisabile la violazione dell'art 3 Cost. in quanto, considerato che la disciplina della contumacia introdotta per l'udienza preliminare dalla legge 16 dicembre 99 n. 479 è assimilabile a quella propria della fase dibattimentale, si determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento in merito alla conoscibilità della modifica dell’imputazione "fra imputati soggetti a tale modifica nell’udienza preliminare e imputati soggetti alla stessa modifica nell’udienza dibattimentale”.

Si ravvisa, inoltre, la violazione dell’art. 111 Cost. in quanto non sarebbe assicurata un’ effettiva contraddittorietà tra le parti e neppure le condizioni necessarie all’imputato per preparare la propria difesa - ad esempio scegliendo l'applicazione della pena su richiesta - a seguito della modifica.

57

(21)

La Corte58 si è pronunciata con una sentenza di rigetto escludendo che siano

mutate “le connotazioni eminentemente processuali che […]contraddistinguono l’essenza [dell’udienza preliminare]” pur sottolineando come le modifiche apportate alla stessa dalla legge n.479/99, “hanno contribuito a delineare, in termini di maggiore pregnanza, la struttura, la dinamica e i contenuti decisori di quella fase” e quindi la necessità di una disciplina più snella rispetto a quella per il dibattimento.

Afferma, inoltre, che il giudice a quo si fonda sull'errore di ritenere tra loro compatibili disposizioni iscritte all'interno di fasi processuali eterogenee quali sono da un lato l'udienza preliminare e dall'altro il dibattimento di primo grado. La Corte è stata poi investita di un’analoga questione di legittimità riferita alla mancanza di un obbligo per il giudice dell’udienza preliminare di disporre la notificazione al contumace del verbale di udienza a seguito di una modifica dell’imputazione; in questa sede la Consulta ha affermato che la preclusione che si determina per il contumace nell’accesso ai riti alternativi è connessa al rischio che l’imputato si assume nel momento in cui decide di restare contumace accettando le conseguenze derivanti dall’impossibilità per il difensore di compiere certi atti processuali.

È stato sostenuto in dottrina che così riaffiora quel connotato di sanzione che caratterizzava in passato la posizione del contumace il quale, pur esercitando un diritto che la legge gli riconosce, finisce per subire un pregiudizio .

L’unico strumento attraverso il quale il contumace potrebbe tutelarsi consiste nel conferire al proprio difensore una procura speciale atta a porlo nelle condizioni di accedere ad un rito alternativo a fronte di una modifica dell’imputazione.

Tuttavia l’accesso ad un rito alternativo, in quanto deroga al principio del contraddittorio, esige il consenso consapevole dell’imputato ma una procura speciale su un evento futuro e incerto, non può dirsi rispettoso del disposto de

quo59.

Peraltro nell’ipotesi della procura conferita alternativamente per il rito abbreviato o per l’applicazione della pena su richiesta è necessaria una scelta del difensore

58

Corte cost., ord. 4-8 giugno 2001, n. 185, in Giur. cost., 2001, p.1428 ss

59

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con conseguenze rilevanti per l’imputato se si tiene conto della diversità dei benefici che garantisce un rito piuttosto che l’altro.

Si può in conclusione concordare nell’esigenza di non appesantire la fase dell’udienza preliminare ma questo non deve tradursi in una contrazione delle garanzie difensive soprattutto se attengono all’esercizio di diritti inderogabili, quale quello di conoscere tempestivamente e con esattezza l’accusa mossa e di assumere consapevolmente le relative determinazioni60.

3. Le proposte dalla dottrina

Il tema del processo in contumacia è stato più volte oggetto di critiche sia da parte della giurisprudenza interna ed europea sia da parte della dottrina: sono stati sollevati giudizi negativi su entrambi i fronti ma anche prospettate soluzioni e ipotesi di riforma della disciplina.

Soffermandoci, in particolare, sulla dottrina possiamo notare come una delle soluzioni maggiormente proposte sia la sospensione del processo per gli irreperibili – oggi adottata dalla nuova legge 67/2014 - per salvaguardare la disciplina da eventuali censure in sede europea.

Proprio la Corte europea infatti aveva stabilito che, di per sé, il processo in assenza dell’imputato non è illegittimo purché assistito da particolari garanzie come la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato e la previsione di rimedi “riparatori” come la possibilità di riaprire il procedimento oppure la celebrazione di un nuovo giudizio, stavolta con la presenza dell’imputato.

Peraltro, si è pronunciato sul tema anche il Comitato dei diritti umani dell’ONU nella sentenza Malaki c. Italia61 in cui ha affermato che il processo in assenza non viola l’art.14 del Patto internazionale dei diritti civili e politici qualora l’imputato sia informato che è stato avviato un procedimento nei suoi confronti.

In quella circostanza l’Italia fu condannata a rilasciare il signor Malaki o a celebrare un nuovo processo e, inoltre, viene obbligata a far si che “simili violazioni non si verifichino in futuro”; tuttavia, il nostro Paese non si adeguò alla

60 A. MANGIARACINA, Garanzie partecipative, cit., p.184 61

Comitato dei diritti umani dell’ONU, 27 luglio 1999, caso Malaki c. Italia in Cass.pen. 2000,

(23)

decisione ritenendo forse di essersi adeguata agli obblighi internazionali con le modifiche apportate alla disciplina a seguito della famosa sentenza Colozza62. È stato sostenuto da autorevole dottrina63 che l’unica soluzione compatibile con il

giusto processo, è l’inibizione della celebrazione del procedimento fino alla conoscenza effettiva dell’atto di citazione perché altrimenti si tratterebbe di un “non processo”.

Unica eccezione a questa disciplina si configurerebbe nel caso in cui l’imputato si sottraesse volontariamente alla conoscenza del procedimento, anche se l’onere probatorio non dovrebbe ricadere su di lui.

Inoltre, è stato sostenuto che un intervento novellistico del legislatore sulla disciplina dovrebbe privilegiare rimedi di tipo “preventivo” rispetto a quelli di tipo “riparatorio”, questi ultimi prevalenti nel nostro sistema.

È dunque necessario inibire l’azione penale o attraverso l’inserimento fra le cause di archiviazione la dichiarazione di irreperibilità dell’imputato pur permanendo un obbligo di continuare le ricerche oppure anticipando la sospensione del procedimento al momento conclusivo della fase investigativa a seguito dell’infruttuosa notificazione dell’avviso di chiusura delle indagini preliminari ai sensi dell’articolo 415- bis; si dovranno poi disporre nuove ricerche una volta trascorsi 6 mesi.

La soluzione però può porre problemi per gli stranieri presenti occasionalmente sul nostro territorio ed, in particolare, è difficile pensare che le ricerche vengano svolte diligentemente; servono dunque scelte politico-criminali più coraggiose. È ipotizzabile, a tal proposito, la revisione del principio di territorialità di cui all’articolo 6 c.p.; pertanto, la presenza dello straniero sul territorio dello Stato potrebbe diventare una condizione di procedibilità anche per reati commessi dallo stesso in Italia.

In difetto di tale condizione, la notizia di reato andrebbe archiviata salvo riaprire le indagini qualora lo straniero ritorni nello Stato.

Si tratta, dunque, non di una sospensione del procedimento in attesa di un

62

Questo è quanto sostenuto da G. LATTANZI, Spunti critici alla disciplina del processo

contumaciale, in Leg. pen. 2004, p.600

63

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ritrovamento improbabile dell’indagato, ma di una rinuncia all’esercizio dell’azione penale per mancanza di una condizione di procedibilità.

Si può pertanto osservare come parte della dottrina si ponga in contrasto con quanto statuito da alcuni progetti di riforma della disciplina64: si celebra solamente

la fase delle indagini preliminari nei confronti di un indagato irreperibile sospendendo il processo qualora, al termine della fase stessa, questi non sia comparso e, dunque, non si terrà l’udienza preliminare nei confronti di imputato irreperibile.

Sul tema sono intervenute anche le associazioni dei magistrati che hanno avanzato delle proposte di modifica della disciplina per evitare che si celebrino processi inutili come quelli a carico degli stranieri irreperibili perché presenti occasionalmente sul nostro territorio e che non saranno mai raggiunti nemmeno in sede esecutiva.

Interessante è sul punto un documento di Magistratura indipendente discusso ad Alba65 : si premette che la caratteristica che qualifica il sistema accusatorio è costituita dalla formazione delle prove in contraddittorio e questo è incompatibile con la celebrazione di un processo in contumacia .

Alla luce di ciò si ritiene possibile la sospensione dei processi nei confronti degli irreperibili, poiché tale processo “realizza un contraddittorio insufficiente con il solo difensore d’ufficio dell’imputato” beneficiando così di un risparmio di tempo ed evitando processi inutili.

Per coloro i quali hanno avuto invece conoscenza del processo a loro carico e, per loro scelta non hanno partecipato, è loro addebitabile “la circostanza che la formazione della prova non avvenga in un contraddittorio che abbia anche in concreto la loro presenza, e certamente da tale scelta non possono ricavare il beneficio di alcuna sospensione del processo”.

Ma già nel 2000 in un congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati, era stata suggerita una soluzione simile sottolineando come molte sentenze emesse nell’ambito dei processi a carico degli irreperibili, rimanessero lettera morta e tali

64

Cfr. con quanto proposto dalla bozza Riccio e dal progetto Mastella; infra Cap.IV, § 1.2 e 2.1

65

Il documento è stato discusso in un convegno tenutosi ad Alba il 25.10.2003 intitolato “Il

processo penale in Italia: difetti, inefficienze, soluzioni” citato da F. CAPRIOLI, “Giusto processo”, cit., p. 591

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risorse potrebbero essere utilizzate per portare a termine processi nei confronti di imputati effettivamente presenti.

Si propone pertanto la sospensione dell’esercizio dell’azione penale nei confronti dei non reperibili con annessa sospensione della prescrizione del reato per tutto il tempo in cui permanga tale condizione.

A tal proposito parte della dottrina66 si esprime nel senso che, a prima vista,

questo rimedio sembrerebbe porsi in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 comma 2 Cost. in quanto assegna al processo nei confronti di questi imputati, una durata tendenzialmente infinita. Di fatto però, tale contrasto non sussiste se si intende la soluzione prospettata dall’ANM come un invito rivolto al legislatore ad approvare leggi che favoriscano una gestione più economica dei processi penali.

In tal modo si renderebbe meno rapido il processo contro gli irreperibili ma più celeri gli altri processi.

Inoltre la soluzione non può ledere il principio costituzionale dal momento che se “ogni processo si svolge in contraddittorio tra le parti e che la legge assicura, ad un processo siffatto, la ragionevole durata, «senza diritto dell’imputato di scegliere se presenziare o meno al processo, non c’è contraddittorio» e dunque neppure un processo la cui ragionevole durata deve essere garantita”.

Tuttavia sorgono delle perplessità: l’ANM propone la sospensione del processo e non del procedimento a carico dell’irreperibile e dunque il provvedimento sospensivo sembrerebbe potersi adottare solo in udienza preliminare o in dibattimento in sede di accertamento sulla regolare costituzione delle parti. Questo finirebbe per consentire un uso “anomalo e innaturale” del potere di esercitare l’azione penale in quanto già alla chiusura delle indagini preliminari l’irreperibilità dell’indagato è dato acquisito; perché dunque si dovrebbe chiedere il rinvio a giudizio essendo consapevoli che il processo verrà sospeso?

Si profila il rischio di un esercizio solo apparente dell’azione penale in quanto il processo nella maggior parte dei casi potrebbe non riprendere mai e dunque tale sistema potrebbe avere come risultato utile solamente il miglioramento delle

66

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statistiche di rendimento degli uffici delle procure.

Il limite del principio di obbligatorietà è rappresentato dalla superfluità del processo, valutata ex ante: di conseguenza un processo penale destinato a bloccarsi immediatamente, può essere definito tale.

Tutto questo è ritenuto da questa parte di dottrina compatibile con l’art. 112 Cost. anche se è possibile che il pubblico ministero potrebbe precostituirsi arbitrariamente le condizioni per non esercitare l’azione penale67.

Una soluzione in parte risolutiva della problematica legata al processo in contumacia, potrebbe essere un istituto che il nostro ordinamento già conosce e cioè la sospensione del processo nell’ambito della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, disciplinato dal d. lgs 8 giugno 2001, n. 231. L’art. 43 stabilisce che, nel caso in cui non sia possibile effettuare la prima notifica all’ente – ad esempio per l’impossibilità di rintracciare il suo rappresentante legale o per la mancanza di informazioni in merito alla sede della società - , è necessario effettuare nuove ricerche. In caso di esito negativo, su richiesta del pubblico ministero, il giudice sospende il procedimento.

A tal proposito la Relazione al decreto legislativo68 afferma che non si procederà ad una “improbabile dichiarazione di irreperibilità dell’ente, che peraltro potrebbe non esistere più, ma il giudice sospenderà il procedimento”.

La ratio della disciplina è legata all’esigenza di assicurare all’ente una conoscenza effettiva del procedimento, affinché possa valutare se costituirsi o meno nel processo.

Si può dunque rilevare come, limitatamente a questo aspetto, la disciplina processuale prevista per le persone giuridiche offre maggiori garanzie rispetto a quella adottata per le persone fisiche in quanto mentre da un lato ammette il giudizio contumaciale nei confronti dell’ente, dall’altro esclude che si possa celebrare un processo senza la prova che questi abbia avuto conoscenza del procedimento a suo carico.

Tuttavia, la disciplina appare lacunosa dal momento che il legislatore non ha

67

Per queste considerazioni F. CAPRIOLI, “Giusto processo” e rito degli irreperibili, cit., p. 592

68

V. Relazione illustrativa al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231 in G. GARUTI (a cura di),

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previsto né il termine di efficacia della sospensione, né i presupposti e le modalità della sua revoca, né i suoi effetti sul procedimento penale contestualmente instaurato.

Tra le soluzioni prospettate c’è poi chi ha sostento69 di dover eliminare il processo in contumacia, non sostituendolo con il processo in absentia, ma stabilendo l’obbligo per l’imputato di partecipare al giudizio concedendogli tuttavia la facoltà di rinunciare al processo con il consenso del giudice nei processi minori.

Altri ancora hanno ipotizzato due soluzioni che permettono di allineare la disciplina alle garanzie del giusto processo70.

La prima consiste nel prevedere un processo celebrato senza la presenza dell’imputato solamente qualora questi rinunci espressamente o comunque in maniera non equivoca. Di conseguenza si dovrebbero mantenere nel sistema codicistico le disposizioni come quella dell’art. 420- quinquies c.p.p. - rubricato “Assenza e allontanamento volontario dell’imputato” - ma si prospetterebbe la necessità di rivedere altri istituti connessi come la prescrizione del reato e la sospensione del processo e in più sarebbe opportuno ampliare il novero delle eccezioni cui si riferisce l’art. 75 comma 3 c.p.p. che regola i rapporti tra azione civile e azione penale.

La prospettata interruzione delle attività processuali potrebbe non riguardare l’acquisizione di prove non rinviabili – assunte, ad esempio, sotto forma di incidente probatorio – malgrado la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ritiene non utilizzabili in modo esclusivo o determinante per una sentenza di condanna, le dichiarazioni rese da chi non sia stato posto nelle condizioni di essere interrogato dall’imputato71; si ammette tuttavia che

l’interrogatorio possa avvenire con l’intervento del solo difensore, se tale limitazione è necessaria a garantire la sicurezza dei testimoni e quindi

69 G. LATTANZI, Spunti critici sulla disciplina del processo contumaciale in Leg. pen. 2004,

p.596

70

G. UBERTIS, Come rendere giusto il processo senza imputato in Leg. pen. 2004, p. 609

71

Tale principio viene esplicitamente affermato per la prima volta in C. eur. dir. uomo, sent. 20 novembre 1989, Kostovski c. Paesi Bassi

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l’attendibilità del dato conoscitivo conseguito72.

Il sistema così pensato permette di sostenere la sufficienza del contraddittorio “tecnico” e ciò non contrasterebbe con l’art. 111 Cost. dal momento che il comma 4 secondo periodo valuta idoneo a rispettare il requisito del contraddittorio nella formazione della prova, l’interrogatorio condotto da parte dell’imputato o del suo difensore in maniera disgiunta.

La seconda soluzione73 potrebbe essere quella di mantenere in vita un

procedimento in contumacia qualora venga a mancare la manifestazione di volontà dell’imputato di non presenziarvi.

Tuttavia, non vanno dimenticate le garanzie enunciate dall’art. 6 CEDU; dunque sarebbe necessario riformare la disciplina in modo da renderla conforme a tale norma e sembrano inevitabili delle modifiche.

In primo luogo, appare necessaria una riforma dei presupposti per la rinnovazione dell’atto di citazione in giudizio qualora l’accusato non abbia rinunciato a comparire né avuto l’intenzione di sottrarsi alla giustizia. In questo senso si deve introdurre il dovere per il giudice di disporre la rinnovazione qualora risulti che l’imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza, anche quando la sua mancanza sia dovuta a colpa semplice oppure la notifica sia avvenuta mediante consegna al difensore nei casi di irreperibilità o di omessa, insufficiente o inidonea dichiarazione o elezione di domicilio per le notificazioni. La libertà attribuita al giudice dal codice di rito all’art. 420- bis di valutare la probabilità che l’imputato non sia a conoscenza del procedimento a suo carico, si dovrebbe sostituire con il dovere di verificare tale aspetto.

In secondo luogo, la restituzione in termini dovrebbe riguardare non solo l’impugnazione della sentenza contumaciale, ma anche la richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento, nel caso di emissione del decreto che dispone il giudizio in contumacia dell’imputato.

Si dovrebbe inoltre introdurre nel sistema processuale l’istituto della ripetizione del processo a favore del contumace la cui mancata comparizione fosse dovuta a causa da lui indipendente; in questo modo si ridurrebbe la rilevanza della

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Cfr. C. eur. dir. Uomo, sent. 26 marzo 1996, Doorson c. Paesi Bassi

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restituzione in termini per proporre impugnazione dal momento che il contumace “involontario” preferirebbe la ripetizione del processo piuttosto che un’impugnazione con conseguente perdita del grado processuale.

Altra parte della dottrina74 in senso critico sostiene che il sistema previsto dal

codice è inadeguato perché da un lato non garantisce un’equa tutela a chi realmente non sa di essere indagato o imputato – dal momento che si vede privato di un grado di giudizio rispetto a chi viene processato in via ordinaria – e dall’altro non è in grado di reprimere il frequente fenomeno dei cd. “falsi irreperibili”.

Tale dottrina rileva inoltre come la questione sia di non facile soluzione per la difficoltà di accertare con sicurezza chi è davvero ignaro del processo a suo carico e chi invece utilizza l’irreperibilità come escamotage. In più rileva come uno degli aspetti del problema si ritrovi nella mentalità più che nella legislazione in quanto appare normale evitare di prendere parte al proprio processo; ne consegue che il fenomeno della contumacia “consapevole” sia destinato a rafforzarsi quanto più aumentano le garanzie a posteriori per il contumace qualora non vi siano prove certe circa la previa conoscenza del processo e dunque della sua volontà di non partecipare.

A tal proposito sembra opportuno, non un’inversione della marcia garantistica ma un bilanciamento delle maggiori garanzie con qualche contrappeso che renda così meno appetibili i tentativi di evitare l’accertamento dei reati; si potrebbe pertanto intervenire sulla disciplina della prescrizione del reato.

Il nostro sistema processuale in tema di contumacia già prevede degli effetti interruttivi del corso della prescrizione, ma questa trova dei limiti nello sbarramento fissato dall’art. 160 comma 2 c.p.

Si potrebbe allora introdurre la sospensione dei termini per il lasso di tempo che va dal momento dell’accertamento dell’irreperibilità dell’imputato, al momento della sua comparizione.

Questa soluzione discende invero già dalla formulazione dell’art. 159 c.p.

74 Così si esprime M. CHIAVARIO, Una riforma inevitabile:ma basterà? in Leg. pen. 2005, p.257

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