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Gli strumenti del management che implementano un sistema di visibilità economica della funzione Infermieristica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI

DI PISA

FACOLTA' DI MEDICINA E CHIRURGIA

LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE

INFERMIERISTICHE ED OSTETRICHE

TITOLO DELLA TESI

Gli Strumenti del Management che possono implementare un sistema di visibilità economica della funzione infermieristica

Relatore Prof.ssa Perini Antonella

Candidato Debora Solinas

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Indice

Frontespizio pag.1

Premessa pag.3

1. I Professionisti pag.6

1.1 Il contesto in cui operano le aziende sanitarie pag.6

1.2 Verso una nuova concezione di organizzazione pag.9

1.3 Il ruolo e la funzione infermieristica pag.13

1.4 Una lettura sociologica ed organizzativa di professionalità pag.17

1.5 Il modello organizzativo professionale pag.24

2. L’analisi in chiave economica dell’assistenza infermieristica pag.32 2.1 Anatomia e fisiologia del nuovo Servizio Sanitario Nazionale pag.34 2.2 Il modello teorico del nuovo sistema di finanziamento pag.37 2.3 Le componenti di un sistema di pagamento a prestazione pag.40

2.4 Diagnosis Related Group (DRG) pag.50

2.4.1 Come si arriva alla definizione di un DRG? pag.53

2.4.2 Ricadute dell’utilizzo dei DRG nel sistema di lavoro pag.54 Infermieristico

2.5 Il controllo economico e i sistemi professionali pag.57

2.5.1 Il Budget pag.61

2.5.2 Ricaduta e opportunità del controllo budgetario nel pag.66 Sistema infermieristico

2.5.3 Sistemi informativi di supporto al controllo di gestione pag.68 e analisi qualitativa dell’assistenza infermieristica

3. La Visibilità pag.70

3.1 Perché classificare? Pag.73

3.2 Il modello concettuale: la determinazione della domanda e pag.73

e dell’offerta

3.3 Il modello teorico, quale scegliere? Pag.75

3.4 La Diagnosi: la definizione della domanda pag.77

3.5 I NIC: la definizione dell’offerta pag.78

3.6 I NOC pag.80

3.7 I Collegamenti NANDA,NOC,NIC pag.81

4. Il driver multidimensionale: l’ICA pag.84

4.1 Dai linguaggi alla costruzione del nomenclatore pag.89 4.2 Le attività infermieristiche di cui rilevare i costi pag.95 4.2.1 L’unità di finanziamento: l’Impronta Digitale pag.96

4.2.2 Il costo dell’Impronta Digitale pag.101

Conclusioni pag.115

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Premessa

“Noi con l’argilla fabbrichiamo un vaso ma e’ il vuoto all’interno che contiene

quello che vogliamo.”

Tao Te Ching

Le strutture sanitarie “aziendalizzate” si configurano come sistemi combinati di fattori produttivi finalizzati alla produzione del “bene salute”, nelle quali l’economia sanitaria ha assunto un ruolo sempre più importante per lo sviluppo dei sistemi sanitari. Le ragioni dell’aumento di interesse per l’economia sanitaria sono riconducibili ai diversi problemi che i governi si sono trovati ad affrontare quali: la scarsità di risorse; il cambiamento dei bisogni di salute della popolazione legato all’andamento demografico epidemiologico; la revisione dell’assetto sanitario e la sua riorganizzazione; il ruolo e la responsabilità dei professionisti e dei diversi soggetti coinvolti nel campo della salute nell’uso ottimale delle risorse. L’economia sanitaria è, in sintesi, lo studio di come la società decide cosa, come, per chi, produrre in condizioni di scarsità di risorse. Costituisce, oggi per tutti i professionisti sanitari uno strumento di analisi indispensabile per comprendere i meccanismi che regolano il funzionamento del sistema sanitario dal punto di vista dell’efficacia,

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responsabili, verso un migliore e congruo uso delle risorse disponibili e necessarie per rispondere ai bisogni di salute. Penso che tutto questo non significa affermare la supremazia degli aspetti economici su quelli professionali, etici, o sociali, ma significa rendere trasparenti ed espliciti quei meccanismi, la cui conoscenza contribuisce ad un migliore governo di tutte le attività. In tale sistema portato a pesare le risorse consumate e i risultati conseguiti, mi appare del tutto “innaturale e illogico” che un Professione, quale quella infermieristica, nell’ambito della propria sfera di competenza, sia volutamente mantenuta in una sorta di “analfabetismo” verso il linguaggio economico, e di fatto impedita a determinare autonomamente gli obiettivi da raggiungere, decidere quali risorse impiegare, e quali strumenti assumere come più adatti allo scopo. Immersi in una logica del confronto tra costi e profitti, risorse e risultati, input e output, è mia opinione che ogni prestazione effettuata a favore del cliente debba essere considerata quale prodotto finale dell’attività sanitaria: rispetto a ciascuna di esse sarà allora possibile misurare in modo oggettivo la quantità di risorse personali e materiali impiegate. Gli attori coinvolti sono tutti coloro che possono assumere decisioni autonome relativamente all’allocazione di risorse, esercitando una discrezionalità nella quantità e qualità delle risorse utili per il soddisfacimento dei bisogni assistenziali. Gli obiettivi generali di questa tesi sono quelli di rispondere alle seguenti domande:

• La professione infermieristica si è uniformata al linguaggio economico?

• Ha elaborato quegli strumenti che gli consentono un controllo economico?

L’obiettivo specifico di questo elaborato è dimostrare la fattibilità di un possibile sistema di tariffazione a prestazione della funzione infermieristica, validando il presupposto teorico e metodologico di un’analisi economica infermieristica. Premesso che l’analisi e la comprensione dei problemi legati alla professione rappresentano il presupposto di qualsiasi intervento organizzativo, ho intrapreso un cammino che si articola in tre capitoli. Nel primo descrivo, il contesto e la nuova concezione di organizzazione, nella quale opera il professionista infermiere. Affronto il concetto di Professionalità sotto una lettura sociologica e organizzativa, ponendo l’accento sul processo di professionalizzazione dell’infermiere che, le ultime normative non hanno magicamente attuato ma hanno aperto però una via maestra. La carta

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d’identità di questa categoria professionale appare alla fine del primo capitolo mancante di quell’attributo fondamentale: la visibilità. La mancata visibiltà è proprio quella che impedisce un pieno riconoscimento professionale, sociale ed economico. Il secondo capitolo ci dà un’immagine della professione infermieristica come sospesa e immobilizzata tra un recente passato che ci ha negato una automa identità economica (il DRG) e un presente che ci proietta verso obiettivi di budget dando per scontato che possediamo i giusti mezzi per raggiungerli. Torna ancora alla luce il problema precedente, ossia l’impossibilità di una registrazione qualitativa e quantitativa delle attività infermieristiche, misurabili oggettive e condivise: la visibilità. Il terzo capitolo è una risposta a questa sfida di adeguamento a questo linguaggio, che spero vedrà presto coinvolti tutti gli infermieri ai vari livelli organizzativi. Ipotizzo un possibile Sistema di classificazione e registrazione qualitativa e quantitativa della funzione infermieristica, in grado di coniugare quella visibilità, che presuppone una competenza tecnica specifica e un’autonomia gestionale, rispetto alla quale si concretizza la responsabilità economica. Un sistema di lettura economica in grado di trasformare i dati, in informazioni, e in grado di aprirci verso una conoscenza condivisa e implementare la crescita professionale, e in grado di fornire alla funzione infermieristica quelle carte in regola per poter utilizzare quegli strumenti operativi e organizzativi quali il Budget e il Controllo di gestione. Per poter formulare obiettivi relativi al periodo gestionale futuro occorre infatti sapere cosa si vuole fare, ma soprattutto conoscere quello che si è riusciti a fare nel periodo gestionale precedente, misurare con quali risorse e costi, un possibile sistema che non ci renda più analfabeti del linguaggio economico. Elaborarlo per intero sarebbe peccare di presunzione e un’impresa faraonica, ma dimostrarne la fattibilità è una soddisfazione. Un ringraziamento a quella persona che ha acceso in me delle domande e ha contribuito ad ipotizzare delle possibili risposte.

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1. I Professionisti

La Professionalizzazione è un processo piuttosto faticoso che la figura infermieristica ha intrapreso da più di un decennio. In questo primo capitolo vorrei legittimare questa “Veste” di professionalità che abbiamo voluto indossare… e che forse all’inizio ci stava un po’ “stretta”, ma alla quale tutti noi dobbiamo contribuire a dare una“forma” specifica attraverso contenuti basati su variabili non solo quantitative ma anche qualitative. Cercherò di dipingere questa veste dalla quale possiamo intravedere un orizzonte professionale al quale dobbiamo tendere e non assistere come semplici “spettatori”. L’obiettivo di questo primo capitolo è quello di offrire riferimenti per la lettura su chi è l’infermiere oggi, inserito in un organizzazione sanitaria specifica, e cercare di capire se è veramente legittimo definirci dei professionisti a trecentosessanta gradi oppure se manca ancora qualche attributo che non ci è ancora riconosciuto. In particolare vorrei sottolineare, oggi più che mai la “Necessita” di rendere “Visibili e Quantificabili” e di conseguenza “Condivise” le prestazioni infermieristiche contribuendo alla definizione completa di professionalità. Forse è proprio la “Visibilità” l’attributo mancante e collocabile in un rapporto di stretta complementarità con la natura professionale del nostro lavoro.

1.1 Il Contesto in cui operano le Aziende Sanitarie

L’analisi e la comprensione dei problemi legati ad una professione rappresentano il presupposto di qualsiasi intervento organizzativo. A introduzione del tema è utile spendere alcune parole sul contesto organizzativo nel quale opera oggi l’infermiere. Infatti parlare di organizzazione in senso lato, senza esplicitare alcuni elementi critici per la comprensione della tematica, rischia di essere fuorviante. Le aziende sanitarie sono state investite negli ultimi anni da una serie di dinamiche riconducibili a pressioni ambientali esterne (cambiamento istituzionale, modifica del quadro normativo, dinamiche socio-economiche, progresso scientifico e innovazione tecnologica) che hanno inciso significativamente sulle caratteristiche gestionali e organizzative e ne hanno influenzato il processo di evoluzione.

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Con la previgente L.833/78 il legislatore, nel progettare il nuovo sistema aveva costituito le unità sanitarie locali, fissando norme così rigide e restrittive da determinare lo sviluppo di strutture improntate ad una razionalità di tipo legale burocratico. Secondo la vecchia logica, infatti, prevedeva l’esigenza di garantire un “servizio uguale” per tutti, di omogeneizzare il sistema e l’offerta di servizi sanitari, di evitare differenziazioni sul territorio nazionale e di conseguenza funzioni competenze e modelli organizzativi venivano rigidamente definiti dall’alto secondo principi di universalità, di razionalità progettuale a priori.

Di fatto persisteva una cultura rigidamente formale, burocratica e autoreferenziale rispetto alla quale il successo era affidato alla validità intrinseca del disegno. La dirigenza medica e infermieristica veniva completamente deresponsabilizzata dalla discrezionalità decisionale e non era chiamata a rispondere dei risultati indotti dalle proprie scelte e dai propri comportamenti, in termini di livelli quali quantitativi di erogazione di servizi e di assorbimento di risorse. In questo modello, il funzionamento delle unità sanitarie locali era imprescindibile dall’architettura complessiva; i modelli organizzativi si presentavano omogenei per tutte le unità sanitarie locali della stessa regione e nessuna discrezionalità di scelta veniva lasciata a livello locale. Di conseguenza veniva riservata poca attenzione allo sviluppo di strutture organizzative adeguate alle singole realtà, che presentavano una forte complessità tecnico scientifica e professionale, un ambiente di riferimento in continua evoluzione, verso una sempre più elevata specializzazione e differenziazione.

Al contrario si andava a determinare un’organizzazione orientata al controllo sugli atti Tayloristica (oppure citando Henry Mintzberg una “Burocrazia Meccanica”) costituita da strutture formali garantiste, con una netta separazione dei poteri e dei ruoli decisionali (un’organizzazione orientata maggiormente sulla dimensione verticale), un’ organizzazione coerente con una semplice realtà ad elevata stabilità e scarsa differenziazione (scarso sviluppo della dimensione orizzontale). In altri termini, la struttura organizzativa si presentava come una variabile bloccata all’interno dell’assetto organizzativo, sulle quali le leve di azione risultavano molto ridotte se non nulle. Sino a che l’evidenza empirica e l’ingestibile disavanzo economico procurato, hanno sottolineato l’incapacità di tale approccio di governare l’intero sistema, hanno determinato l’esigenza di decentrare maggiore autonomia e responsabilità

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di strutture organizzative, che fossero più adeguate a sviluppare meccanismi di coordinamento, e di sistemi operativi che supportassero i fabbisogni di governo economico e di integrazione tipici del settore sanitario. In questo ambito si inserisce il processo di riforma che ha avuto origine con i D.Lgs.n°502/92 e n°517/93. Ispirandosi ai principi della regionalizzazione, dell’aziendalizzazione e della responsabilizzazione, il processo di riordino del S.S.N. ridefinisce l’assetto istituzionale e gestionale e organizzativo del sistema. In particolare, con l’assegnazione alle regioni di un ruolo di capogruppo i meccanismi di responsabilizzazione e di programmazione e il binomio autonomia responsabilità si spostano verso il basso, le regioni sono responsabili della definizione degli assetti istituzionali, del modello organizzativo dei servizi e di erogazione delle prestazioni e dei nuovi criteri di finanziamento.

Le innovazioni che in questo primo scenario interessano gli “Infermieri” sono contenute nell’articolo 6, comma 3, del DLgs 502/92 e modificato dal successivo articolo 7 del DLgs 517/93 che sulla scia della legge 341/90 e poi con il DM 509/99, avviene il passaggio della formazione di base e post base in ambito universitario.

Se già la riforma del 1992 introduce elementi innovativi, il D.Lgs.n°229/99 imprime un’ulteriore accelerata ai processi di cambiamento già in atto nelle aziende sanitarie. In particolare se si considerano gli aspetti che più vanno a incidere sull’organizzazione, il decreto ha comportato:

• Rafforza la natura privatistica delle aziende sanitarie in quanto da un lato hanno l’obbligo di garantire le prestazioni di carattere istituzionale, dall’altro, acquisiscono il “dovere” di entrare pesantemente nel mercato delle prestazioni;

• Introduce il concetto di “autonomia imprenditoriale” delle unità sanitarie locali e degli ospedali, che si costituiscono in azienda con personalità giuridica pubblica attraverso un atto aziendale di diritto privato che disciplina la loro organizzazione e il loro funzionamento; • Rafforza l’introduzione di sistemi di responsabilizzazione sui risultati

(logica di contabilità economico-analitica e sistema di budget) e collega la linea del “potere organizzativo” con il principio della responsabilità dei risultati e non più della responsabilità sugli atti o dei poteri legati al ruolo.

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In sintesi emerge un nuovo modello di azienda con una serie di elementi positivi e molte potenzialità, anche se ad oggi sotteso ad alcune incertezze o “lacune di analiticità” che ha lasciato sommersa la professione infermieristica, attore invece principale di quel mare che è la nostra salute, tale aspetto avrò modo di approfondire nel secondo capitolo.

1.2 Verso una nuova concezione di organizzazione

L’evoluzione del pensiero organizzativo porta gli studiosi di organizzazione a focalizzare l’attenzione sempre più, verso organizzazioni “semplici e flessibili”, adatte a modificarsi in linea con i cambiamenti ambientali; a spostare il focus dalle “strutture ai processi”, dalle forme organizzative ai sistemi di relazione, dalle componenti hard a quelle più soft del sistema. Più l’ambiente è incerto e più l’organizzazione è complessa perché deve sapersi adattare al nuovo scenario ambientale. I principali fattori di incertezza ambientale per le aziende sanitarie sono dati dai cambiamenti che avvengono, come abbiamo già detto, sullo scenario istituzionale e normativo e nelle risorse e nei conpetitors, nelle variabili di contesto, nelle aspettative del personale, nelle tecnologie e nei bisogni degli utenti. Sono i fattori di incertezza organizzativa che pongono la necessità di modificare le logiche di funzionamento interne ad una azienda. Se l’ambiente è fortemente dinamico e instabile la struttura adotta regole snelle, sistemi decisionali di tipo maggiormente partecipativo bottom-up.

Si passa da concezioni di tipo deterministico verso concezioni più rispettose delle soggettività degli attori, si evidenzia un forte legame tra i processi di comportamento individuale e le forme di organizzazione, si sottolinea il prevalere di comportamenti a razionalità limitata, rispetto ai quali non è possibile arrivare a progettare una soluzione o un insieme di soluzioni organizzative efficaci, efficienti ed eque e dove le soluzioni possibili di divisione del lavoro e coordinamento sono virtualmente infinite e quindi le valutazioni di efficacia, efficienza e equità hanno sempre un carattere relativo comparato e mai assoluto.

La principale caratteristica di un organizzazione non è data solo dalla coerenza interna tra le variabili, diventa essenziale definire disegni

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necessario convivere con una pluralità di modelli, perché in un'unica grande azienda possano esistere unità professionali autonome che agiscono sulla base di regole e procedure in parte differenziate ma integrate per un obiettivo unico che è la “salute”. E’ necessario inoltre tenere in considerazione che le aziende sono composte da persone con le loro abitudini, le loro aspettative e la loro naturale “resistenza al cambiamento”. Tradizionalmente il punto di partenza della progettazione organizzativa era rappresentato dalla struttura organizzativa, mentre i sistemi operativi e la cultura sociale erano concepiti come elementi complementari all’assetto di base. In altri termini, una volta definito il disegno organizzativo, era quello a fare da bussola per la scelta dei meccanismi operativi e del personale.

Oggi invece appare tutto cambiato:

• I fattori soft prevalgono su quelli hard;

• Sono le leve quali la leadership e il management a giocare un ruolo chiave;

• Le risorse umane assumono un ruolo centrale e i valori e le norme culturali occupano il posto delle variabili strutturali, le persone e sottolineo “tutti” gli operatori professionisti devono fare propri e interiorizzare gli obiettivi dell’organizzazione.

Le forme organizzative possono essere comprese e giustificate a partire dagli attori, dai loro problemi e preferenze, dal loro modello di comportamento. Si passa da forme organizzative altamente accentrate verso la dimensione sia “orizzontale” che “verticale”, quindi accentrate funzionalmente e gerarchicamente formalizzate, con processi decisionali di tipo Top-Down a strutture di tipo adhocratico (Mintzberg 1985 nel suo famoso testo “La progettazione dell’organizzazione aziendale”) altamente flessibili. Si và verso nuovi parametri di progettazione: 1 “L’adhocrazia rappresenta un quinta distinta configurazione: una organizzazione molto organica con una scarsa formalizzazione del comportamento; un’elevata specializzazione orizzontale delle mansioni fondata su una formazione di tipo formale; il ricorso ai meccanismi di collegamento per favorire il reciproco adattamento, che il meccanismo principale di coordinamento all’interno dei gruppi e fra i gruppi; e un decentramento verticale selettivo e all’interno dei gruppi che sono collocati in vari punti dell’organizzazione e

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che implicano combinazioni diverse di manager di line, di staff, e di esperti appartenenti al nucleo operativo.”

Dobbiamo essere i protagonisti di oggi e di domani di un processo di cambiamento organizzativo che non può essere realizzato solo da organi di staff, ma saper attivare percorsi di tipo partecipativo e considerare la complessità della realtà su cui vanno a incidere. In tal senso la gestione dei processi di cambiamento, l’efficacia del cambiamento, il processo di apprendimento organizzativo, e lo sviluppo di una nuova cultura di fondo e di un adeguato sistema di valori e delle competenze assumono il predominio.

Insomma ci troviamo partecipi di cambiamenti organizzativi delle strutture sanitarie che sono il frutto di modificazioni avvenute nel contesto istituzionale , sociale, economico, culturale e tecnologico. In particolare tali cambiamenti si manifestano su differenti livelli:

1. Cambiamenti strutturali. Il riconoscimento a livello periferico (nucleo operativo) di una reale autonomia operativa e di una discrezionalità nell’impiego di risorse;

2. Cambiamenti delle competenze richieste a tutti i livelli di responsabilità. Il passaggio da strumenti rigidi di controllo quali procedure, compiti, controllo burocratico sugli atti a nuove regole centrate sulla responsabilizzazione sui risultati e le nuove funzioni e responsabilità attribuite ai dirigenti per i vertici strategici (DPO direzione per obiettivi), hanno indotto precise necessità di cambiamento delle competenze richieste a tutti i livelli.

Per ultimo vorrei dire che sia gli infermieri sia i coordinatori sia i dirigenti quali responsabili (di natura civile, penale e disciplinare) delle attività assistenziali sono oggi più che mai chiamati ad occuparsi di problemi di gestione delle loro unità operative, adottando strumenti di gestione del personale, di programmazione dell’attività e di controllo di utilizzo delle risorse (budget infermieristico). Tutto ciò a mio avviso richiede ancora un cambiamento della “cultura sanitaria” e una maggiore attenzione alla gestione dei processi di cambiamento organizzativo, gli infermieri oggi più che mai devono attivarsi affinchè venga documentato e riconosciuto il loro specifico contributo professionale, primo passo per dare Visibilità e valorizzare parimenti la professione infermieristica.

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In presenza di un processo di riordino che richiede un’armonizzazione fra dimensione professionale e dimensione burocratica e in una fase come questa di abbandono del previgente modello gerarchico burocratico a favore di modelli manageriali orientati all’efficienza ed all’efficacia gestionale, si faticano a ritrovare validi e seri motivi che impediscano la piena valorizzazione della Professione infermieristica. Nel secondo e terzo capitolo cercherò di chiarire in modo particolate tali aspetti legati alla dimensione economica della quale siamo fautori di un risultato economico autonomo, ma non ancora riconosciuto.

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1.3 Il Ruolo e la Funzione infermieristica

“Lo scenario italiano della professione infermieristica è profondamente cambiato, il processo di professionalizzazione non è più un mero studio tassonomico, anche se persistono luci e ombre che potranno ancora riservare sorprese per il futuro”2. Le ultime normative sono oramai di dominio pubblico, tali “leggi” pur abolendo il mansionario, non hanno “magicamente” attuato la professionalizzazione dell’infermiere: hanno aperto però una via maestra. E’ quindi su questa strada che stiamo ora percorrendo, consapevoli delle difficoltà ma anche dell’abbondanza di risorse, di competenza e capacità di cui disponiamo che dobbiamo dimostrare la nostra professionalità.

La “pietra miliare” che per così dire che con un gesto di spugna ha magicamente abrogato il “mansionario” (non la parte relativa all’infermiere generico) è la Legge n°42 del 26 febbraio del 1999. Per tagliare definitivamente i “ponti” con un passato legislativo, pur meritorio, ma superato dallo sviluppo tecnico-culturale della sanità verso un’impostazione aziendalistica-gestionale delle strutture sanitarie, era necessario eliminare, per decesso storico, quell’elenco di attività che era il mansionario.

La sopracitata legge ci dice “chi è oggi un infermiere” in quanto viene formalmente precisato che è un “Professionista” con un proprio campo specifico di attività e di responsabilità, determinato da:

a) Il Profilo Professionale3: sono oramai passati quattordici anni dall’emanazione del regolamento relativo al profilo, che ha rappresentato un salto di qualità culturale e normativo della figura professionale dell’infermiere quale operatore professionale sanitario che in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica, vengono identificate quelle che sono le funzioni specifiche e fondamentali del ruolo professionale;

b) Ordinamento didattico (base, post-base); c) Codice deontologico.

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Viene quindi legiferato il “decesso storico” del classico approccio per compiti “mi spetta non mi spetta”. Tale chiave di lettura non è più sufficiente a determinare l’attività in quanto “le regole del gioco” sono cambiate e la professione infermieristica non è più rappresentata da un “mero” elenco di attività, bensì da un’insieme di caratteristiche, che ne fanno il “cuore pulsante” di un’attività professionale, quell’attributo intrinseco che è la “ Competenza Tecnica Esclusiva”.

Il chi fà che cosa è determinato dalla “Competenza” che si acquisisce attraverso la “conoscenza” determinata dagli ordinamenti didattici ovvero dai contenuti disciplinari appresi durante il percorso formativo.

Fig n14 Diagramma causa effetto della Competenza

4 Spencer &Spencer da M.Borriello, Amministratore Delegato MIBI, “Risorse umane Processi

Aziendali Miglioramento Continuo”, 16.06.2004

Competenza aaa

Si traduce in comportamento Osservabile e sistematicamente

Combinazione di conoscenze,

abilità, attitudini e motivazioni Attitudini

Abilità / Capacità Conoscenze

Motivazioni At te gg ia m en ti

Patrimonio di saperi nel Campo disciplinare d’interesse Spinte ad agire che

dirigono ed orientano il comportamento

Dotazione personale che permette di eseguire con Successo una data prescrizione

Predisposizioni, fattori di personalità,atteggiamenti Il si ste m a d i c on vin zio ni Cr ed en ze c he c ia sc un so gg ett o h a

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In una lettura organizzativa la “Competenza” che deriva dalla conoscenza interiorizzata si traduce in “Responsabilità” ovvero in “Autonomia operativa” La nuova proposta del Tavolo tecnico Ministero della salute-Regioni sull'implementazione e lo sviluppo delle competenze infermieristiche è ora all’esame della Conferenza Stato–Regioni per l’approvazione definitiva.

L’infermiere è diventa l’attore principale del processo assistenziale, in quanto individua la specifica domanda di assistenza dell’utente, la migliore modalità di trattamento tecnico specialistico, quali il tipo, la qualità e la quantità di prestazioni da erogare. E’ colui che esegue (direttamente l’attività lavorativa); programma (stabilendo gli obiettivi); organizza (valutando le risorse necessarie) e controlla (valutando i risultati). Detto questo è evidente che “le regole del gioco” sono cambiate e di conseguenza dovranno essere chiarite o create quelle nuove variabile che governeranno un nuovo “modello organizzativo”.

L’infermiere viene integrato in una nuova Visione organizzativa che gli chiede gli in quanto “professionista” di orientare la sua attività, non più delegata e ripetitiva, ma piuttosto caratterizzate da “mansioni arricchite” che per loro natura “intrinseca” sono “complesse e personalizzate”. In questa nuova “Visione” dovrà essere in grado di orientarsi verso nuovi Standard di misurazione quali5:

L’efficacia attesa: la dimostrata capacità potenziale di un certo intervento di modificare positivamente le condizioni di salute delle persone cui l’intervento è rivolto;

L’efficacia pratica: i risultati realmente ottenuti con i nostri interventi;

La competenza tecnica: il livello di applicazione delle conoscenze scientifiche, delle abilità professionali di tipo tecnico e di tipo relazionale e della tecnologia;

L’accettabilità: il grado di compatibilità delle pratiche cliniche con gli usi, i costumi ed i valori di una società e dei singoli individui;

L’efficienza : il grado in cui è possibile raggiungere i risultati attesi con il minor costo possibile;

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L’adeguatezza: la capacità di un sistema sanitario di offrire servizi in qualità e qualità e secondo una distribuzione tale da soddisfare ai bisogni di salute della popolazione;

L’appropriatezza: il grado di utilità delle prestazioni rispetto ai bisogni della popolazione;

La continuità: il grado di integrazione dei servizi nel corso del processo di cura;

L’accessibilità: la possibilità di accedere ai servizi come luogo e come tempi;

La soddisfazione: la soddisfazione dell’utente e dell’operatore; La comunicazione: interna ed esterna.

Queste sono alcune delle nuove “regole del gioco” che dovremo iniziare a valutare come prioritarie rispetto a una mera visione quantitativa come la semplice programmazione delle presenze del personale. Oggi bisogna iniziare a parlare di una appropriata, competente equa ed efficace assistenza in grado di rispondere ad una serie di domande quali:

1) L’obiettivo assistenziale fissato è davvero opportuno e conveniente?

2) Che cosa occorre fare per la sua realizzazione? 3) In quanto tempo si intende realizzarlo?

4) Chi lo deve realizzare con quali competenze? 5) Come lo si deve realizzare?

Mi sembra utile sottolineare che l’attuale assetto organizzativo non è più in grado di garantire la realizzazione di questi nuovi standard che caratterizzano l’attività dell’infermiere, è per questo motivo che vi è un impellente necessità di cambiamento nei modelli organizzativi legati al contenuto e ai meccanismi di management.

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1.4 Una lettura “sociologica ed organizzativa” di Professionalità

I “traguardi” fin qui conseguiti sono stati accompagnati da una progressiva crescita della consapevolezza del proprio ruolo professionale, rafforzando la propria posizione organizzativa all’interno Servizio Sanitario Italiano conquistando il riconoscimento pieno e definitivo di “Professione sanitaria”. Da alcuni anni si parla di infermieri come professionisti, ma ne hanno le caratteristiche e gli attributi?

La definizione generica del termine “persona molto esperta in qualcosa che viene retribuita per le proprie prestazioni e non si dedica ad altra attività” non ci permette di capire in profondità la reale “complessità intrinseca” di questa definizione.

Nell’ottica sociologica, Greenwood6, considera una professione come un gruppo organizzato avente continui interscambi con la società che forma la sua matrice, un gruppo che compie la sua funzione sociale attraverso una rete di relazioni formali e informali e che crea la sua subcultura richiedendo l’adeguamento ad essa come requisito per il successo nella carriera. Sempre nella sua teoria generale di Professionalità, l’autore individua degli attributi distintivi quali:

1) Una teoria sistematica; 2) Un’autorità professionale; 3) Sanzioni della comunità; 4) Un codice etico;

5) Una cultura professionale.

Il sopracitato autore sottolinea che la reale differenza tra una occupazione professionale e una non professionale non sia di carattere quantitativo ma qualitativo. E’ anche vero che gli attributi sopraelencati non sono, monopolio, esclusivo dei professionisti, ma li posseggono anche le occupazioni non professionali ma in misura sporadica e non autoreferenziale. Sempre lo stesso autore riesce a darci una rappresentazione mentale di professionalità oscillante lungo un “continuum”, nel quale le attività collocate all’estremo professionale possiedono al massimo grado le caratteristiche sopraesposte.

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Come chiarito da Greenwood, tali attributi si acquisiscono attraverso un processo di professionalizzazione che prevede, in un arco temporale l’acquisizione di queste caratteristiche, tra le quali ne spiccano alcune che la nostra professione ha conquistato da pochissimo e per questo devono essere ancora consolidate e aggiungo “metabolizzate” considerando che il tempo in un processo di questo tipo attua una distorsione temporale piuttosto ampia, considerando un “decennio” uno spazio temporale minimo.

All’assistenza infermieristica viene così formalmente riconosciuto il carattere “dell’intellettualità”, tipicamente conferito alle professioni che basano la propria decisionalità direttamente sul possesso di conoscenze e competenze specifiche, frutto di un iter formativo svolto in ambito accademico. D’altro canto stenta ancora il pieno riconoscimento sociale di professionalità, se pur in costante crescita non ha ancora raggiunto i livelli desiderati, si sa che gli stereotipi e le categorizzazioni rispetto al passato sono le variabili “hard” più difficili da modificare in una cultura sociale e professionale immobile da anni.

Per origine e per lunga tradizione il ruolo dell’infermiere è stato infatti considerato “ancillare” rispetto a quello del medico: se in passato questo fatto poteva essere riferito ad una non chiara e non approfondita “fisionomia professionale”, oggi, con la conquista e il consolidamento di tali attributi, ciò non trova più riscontri.

Mi permetto di dire che la professione infermieristica si è recentemente resa artefice di uno sviluppo auto propulsivo che la collocherà tra i soggetti emergenti su cui si dovrà fondare un nuovo modo di intendere il Servizio Sanitario Italiano. E’ indubbio che negli ultimi anni il conseguimento di importanti traguardi professionali conferma e sostiene il processo di professionalizzazione in atto, destinato al raggiungimento di una piena Visibilità e di una completa valorizzazione della funzione infermieristica, a tutti i livelli aziendali (operativo, di coordinamento e direzionale) e sociale. Vorrei a questo punto precisare meglio, le caratteristiche di professionalità, sotto una lettura in chiave puramente “organizzativa” grazie all’aiuto di un autorevole autore che ha compiuto uno dei più ampi programmi di studio e di ricerca, identificando le caratteristiche fondamentali dei professionisti inseriti all’interno di un’organizzazione.

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Henry Mintzberg, nel suo intramontabile testo,“La progettazione dell’organizzazione aziendale” ci da un quadro della possibile “metamorfosi” dell’organizzazione aziendale.

In questa sede fornisce una definizione di “organizzazione” come qualcosa di “mutevole e dinamico” in continuo divenire: “ Le variabili o gli elementi di dell’organizzazione debbono essere scelti in modo da raggiungere un’armonia o una coerenza interna e nel contempo anche una coerenza di fondo con la situazione dell’azienda ”7. Ciò ci porta alla

conclusione che sia i parametri della progettazione organizzativa sia i fattori situazionali dovrebbero essere combinati secondo quelle che lui chiama “configurazioni”.

La tesi centrale di questo libro è : “Un numero limitato di configurazioni spiega la maggior parte delle tendenze che spingono le aziende efficaci a organizzarsi nel modo in cui sono organizzate”8.

La configurazione organizzativa che più incarna la professione infermieristica è la “Burocrazia professionale”, che per il suo funzionamento si fonda sulla “standardizzazione delle capacità”, come principale meccanismo di coordinamento.

“Il nucleo operativo della burocrazia professionale, infatti è costituito da specialisti adeguatamente formati e indottrinati, professionisti ai quali viene attribuito un considerevole controllo sul proprio lavoro”9.

I professionisti prestano “mansioni” che possono essere specializzate lungo due dimensioni:

I. La prima è rappresentata dalla <<larghezza>> o <<ampiezza>> ed è definita dal numero e dalla misura di compiti diversi che sono attribuiti ad ogni mansione, è denominata “specializzazione orizzontale”.

II. La seconda dimensione delle specializzazioni riguarda la <<profondità>>, il controllo sul lavoro, è denominata “specializzazione verticale”.

I professioni presentano mansioni molto specializzate nella dimensione orizzontale “Competenza” e allo stesso tempo possiedono anche

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un’allargata dimensione verticale “Responsabilità”. Di conseguenza assistiamo ad una armonizzazione di quel “gap” che sussiste tra competenza e gerarchia, favorendo un coordinamento maggiore tra la dimensione orizzontale e quella verticale.

Questa configurazione è quindi caratterizzata da un decentramento verticale e orizzontale, il potere decisionale si concentra in larga misura nel nucleo operativo, questo consente loro un pieno controllo sul proprio lavoro anche dal punto di vista verticale, gestendo la programmazione , la pianificazione, attuazione e verifica delle attività.

“ Controllo sul proprio lavoro significa che i professionisti operano in modo indipendente dai propri colleghi, ma in stretto contatto con i clienti che servono”.10

Con la standardizzazione il coordinamento è realizzato “a tavolino” prima di iniziare l’attività. Standardizzare significa infatti arrivare all’ottenimento di un servizio o un prodotto secondo un “modello” uniforme a cui si è giunti dopo una lunga esperienza o uno studio sul campo. Gli standard si formano largamente all’esterno dell’organizzazione, nelle associazioni indipendenti di cui fanno parte sia i membri di un nucleo operativo che singoli professionisti. Per la definizione di tale modello è possibile intervenire:

1) Sui processi di lavoro ( standardizzando il comportamento delle persone preposte all’erogazione dei servizi).

2) Sugli output del lavoro ( standardizzando il servizio nella sua globalità o in alcune sue parti).

3) Sugli input (standardizzando le capacità e le competenze).

Nelle organizzazioni sanitarie come nella Burocrazia Professionale abbiamo a che fare con attività che per loro natura intrinseca sono molto complesse e personalizzate, dove gli output non sono facilmente standardizzabili, si ricorre al meccanismo di coordinamento denominato standardizzazione delle competenze/capacità del lavoratore (o degli input) in cui viene specificato il tipo di formazione richiesta per eseguire il proprio lavoro, come nelle professione infermieristica. Il principale obiettivo diviene l’interiorizzazione di standard che riguardano il cliente e che coordinano l’attività professionale. I lavoratori hanno interiorizzato i programmi di lavoro e le basi del coordinamento, durante la formazione

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universitaria che diventa cruciale e grazie a questi standard sono in grado di coordinarsi pur agendo “autonomamente”.

“Tuttavia per quanto le conoscenze e le capacità possano essere standardizzate, la loro complessità fà si che la loro applicazione comporti una discrezionalità considerevole: due professionisti-si tratti di due chirurghi o di due professori-non le applicheranno mai allo stesso modo; sono invece richieste molte valutazioni e giudizi”11.

Và da se che tale tipo di organizzazione, pone l’accento sull’autorità di natura professionale, ovvero sul potere della dimensione orizzontale il potere della “competenza”.

In questo tipo di burocrazia è difficile fare ricorso alle altre forme di standardizzazione. Da un lato i processi di lavoro sono troppo complessi per essere standardizzati, dall’altro, e in modo analogo gli output dell’attività professionale non possono essere facilmente quantificati e misurati. Di conseguenza la burocrazia professionale non può ricorrere in misura elevata alla formalizzazione dell’attività professionale o a sistemi di pianificazione e controllo. “La standardizzazione delle capacità” è però un meccanismo di coordinamento piuttosto blando, incapace di far fronte a molte necessità che sorgono, accade infatti che i professionisti si oppongano alla razionalizzazione delle loro capacità, generando contrapposizioni tra autorità verticale e autorità orizzontale. Il professionista tende ad assumere standard condivisi dal gruppo professionale, ma la sua applicazione è sempre più spesso lasciata alla discrezionalità dei singoli.

“A differenza quindi delle burocrazie meccaniche, le professionali non sono entità integrate ma, piuttosto, insieme di individui che si riuniscono per utilizzare risorse e servizi comuni e che per gli altri aspetti desiderano lavorare da soli. Finchè il processo di standardizzazione opera in modo efficace, questa indipendenza è possibile ma tale processo non è mai così perfetto da impedire che alcuni clienti cadano negli interstizi di due programmi standard"12.

Una tale discrezionalità forse è appropriata per i professionisti che siano competenti e coscienziosi, ma sfortunatamente non tutti lo sono e per la burocrazia professionale non è facile risolvere problemi derivanti da

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professionisti che sono incompetenti e poco coscienziosi. Questa breve riflessione sull’analisi condotta da Mintzberg, mi ha permesso di identificare, oltre alle caratteristiche generali, anche gli “angoli” più problematici di questo sistema organizzativo. Per spiegarmi meglio cito la definizione più accreditata di “organizzazione” quale:

“stabilire quali risorse e attività sono richieste per il conseguimento degli obiettivi organizzativi, combinare queste risorse e attività in gruppi di lavoro, assegnare le responsabilità del raggiungimento degli obiettivi a persone specifiche”.13

Alla guida di questa organizzazione come nelle realtà infermieristica si trova il “ management”, termine che trova la sua origine dal latino “manus” che si riferisce al gesto del cocchiere che posto alla guida di un carro, il quale manovrando le redini controlla un gruppo di cavalli. Il coordinatore e gli infermieri (nucleo operativo) inseriti in tale organizzazione devono essere in grado di definire obiettivi che devono possedere alcuni elementi che lo rendono SMART, ovvero:

! Specifico (S); ! Misurabile (M); ! Acquisibile (A); ! Rilevante (R); ! Tracciabile (T).

Vorrei concludere dicendo che i professionisti di oggi devono essere in grado di rendere “visibile” l’efficacia attesa, quella pratica, la competenza tecnica, l’efficienza, l’appropriatezza. Una volta raggiunto tutto questo (il “come lo potremo” viene trattato nel terzo capitolo) in modo “presuntuoso” mi permetto di dire che potremo evolvere verso la quinta configurazione descritta da Mintzberg: l’Adhocrazia.

L’Adhocrazia rappresenta “….un’organizzazione molto organica con scarza formalizzazione del comportamento; elevata specializzazione orizzontale delle mansioni fondata su una formazione di tipo formale; la tendenza a raggruppare gli specialisti in unità funzionali per motivi di aggregazione professionali…; il ricorso a meccanismi di collegamento per favorire il reciproco adattamento, che è il meccanismo principale di coordinamento all’interno dei gruppi; e un decentramento selettivo a e all’interno dei gruppi che sono collocati in vari punti dell’organizzazione e

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che implicano combinazioni diverse di manager di Line, di Staff; e di esperti appartenenti al nucleo operativo”.14

Quello che voglio dire è che la “burocrazia professionale” con il passare del tempo, una volta cementificati quegli attributi che la contraddistinguono, può sperare di andare “oltre”, favorendo quella “metamorfosi” verso l’Adhocrazia che non potrà più fondarsi su capacità standardizzate per raggiungere il coordinamento, poiché ciò porterebbe alla standardizzazione invece che all’innovazione ma, piuttosto, deve utilizzare le conoscenze e le capacità esistenti semplicemente come basi per elaborare nuovi obiettivi….Tutto questo identifica la “metodologia della ricerca” che l’infermiere di oggi deve imparare ad usare come uno strumento scientifico “semplice” utile a definire soluzioni ai problemi attraverso un approccio obiettivo, realizzabile, riproducibile e verificabile e una volta consolidate le evidenze in “conoscenze” deve essere pronto a rimettere tutto in discussione verso nuovi “obiettivi di cambiamento”, come avviene nella quinta configurazione

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1.5 Modello organizzativo professionale

Prima di entrare nel cuore del “modello organizzativo professionale” mi sembra utile aprire una breve finestra sul nostro recente passato, il “modello organizzativo per compiti”, che oggi non è più idoneo a garantire quelle condizioni necessarie, per esercitare il “ruolo e le funzioni” di un “professionista”.

Il termine “tecnica” sembra oggi suscitare, nella maggior parte degli infermieri e coordinatori, un’immediata reazione di fastidio. Per spiegare questo fenomeno, occorre tenere presente il fatto che in particolare a partire dagli anni Settanta, “la tecnica” sia stata quasi sempre presentata nella formazione infermieristica di ogni livello e nel dibattito scientifico interno alla professione, come l’espressione di una concezione dell’assistenza infermieristica “riduttiva”, storicamente inadeguata e in definitiva “anti-professionale”. L’affermazione “l’infermiere è un professionista, non un tecnico” ha rappresentato a lungo una sintesi efficace dei valori e degli intenti che accompagnano il processo di professionalizzazione in Italia.

E’ sulla base di questo paradigma che possono essere opportunamente interpretate le numerose prese di posizione, quasi sempre in termini di valutazione negativa, espresse dalla professione infermieristica nei confronti di tutti quegli eventi della recente storia professionale che sembrano attribuire alla tecnica un valore eccessivo, o addirittura esclusivo, ai danni della natura professionale dell’assistenza infermieristica.

Fra questi è da ricordare, nuovamente, la vicenda del mansionario recentemente abrogato, e ciò che è sempre stato più o meno apertamente osteggiato dagli infermieri, è la concezione implicita di in questa norma vale a dire il modello tecnico espresso dalla rigida elencazione di un numero finito ed obsoleto di compiti, senza alcuna precisazione in merito allo “scopo disciplinare” e alla “responsabilità” ed “autonomia” d’esercizio. Ma è proprio inevitabile che le “tecniche” debbano mantenere l’attuale status, cioè sostanzialmente restar relegate ai margini del vocabolario professionale, rappresentando al massimo l’elemento più “semplice” “banale” e “implicito” quasi costituissero l’ultimo gradino del patrimonio infermieristico?

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A mio parere “lo scopo pratico” è una finalità intrinseca della disciplina infermieristica, cioè “il soddisfacimento dei bisogni”, non può che essere perseguito “nella pratica”, mediante lo svolgimento di azioni concrete le quali richiedono un “tecnica” ma “specifica” e “complessa”, tornando a Mintzberg si concretizza nel progressivo decentramento della “dimensione orizzontale” ossia in aumento della “competenza professionale”. Dunque non è il rifiuto “Tout Court” delle tecniche che sancisce la professionalità, sarebbe un’ errore rinnegare il nostro passato, ma dobbiamo essere capaci di “ancorarle” ad uno scopo specifico ad obiettivi e risultati.

Ed è proprio da questo processo di “ancoraggio” ad uno “obiettivo” che avviene il passaggio al “Modello organizzativo professionale”.

Le “tecniche” sono quindi una precisa e dignitosa dimensione dell’assistenza infermieristica, sono le regole (procedure), che oggi hanno trovato un’appropriata collocazione all’interno di un quadro di riferimento disciplinare. Le procedure sono gli strumenti di “integrazione organizzativa” sono “la colla che tiene unita l’organizzazione”, in tal modo la “discrezionalità” dei singoli professionisti viene ad essere incanalata in una serie di processi condivisi che da un lato consentono “l’autonomia” del professionista e dall’altro garantiscono un uniforme e adeguato “coordinamento” delle attività.

Al contrario, in assenza, di un’adeguata definizione delle tecniche nella disciplina infermieristica, aumenta il rischio dell’esecutività (come è avvenuto nel mansionario, dove le tecniche vengono separate dal loro scopo) e della dipendenza gerarchica ( tornando a Mintzberg avremmo una accentramento della “dimensione verticale” che in precedenza abbiamo definito “responsabilità”).

Splengler Oswald affermava che: “ La tecnica non va compresa a partire dallo strumento. Non si riferisce alla fabbricazione di cose, ma al modo di operare con esse; non all’arma, ma al combattimento [ ….] non si tratta quindi di cose, ma sempre di un attività provvista di uno scopo”.

Quindi possiamo affermare che il Modello organizzativo tecnico e il Modello organizzativo professionale “…. non sono tra loro in antitesi ma sono l’espressione di due modi di raggiungere obiettivi con modalità di

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coordinamento profondamente diversi ma complementari”,15 il primo attraverso “la standardizzazione delle attività”, mentre nel secondo avviene attraverso “la standardizzazione delle competenze e delle capacità”.

L’attore protagonista del “Modello organizzativo professionale” è il “processo assistenziale” e non il “singolo atto”, dove, la tecnica e la competenza professionale, stretti in rapporto di complementarità, si sposano perfettamente, verso un fine unico: il soddisfacimento di un “bisogno” di assistenza.

“ Mentre la maggior parte dei mestieri prende il via da un incontro tra uomo e materia e dall’addomesticamento reciproco dell’uno attraverso l’altro, il processo assistenziale parte dall’incontro tra due (o più) esseri viventi, ognuno dei quali è in possesso di alcuni elementi del processo stesso. Questo processo si pone all’incrocio di un sistema di scambio tra diverse fonti per arrivare a determinare la natura delle cure da fornire e i mezzi con cui metterle in opera. E’ un processo spiegazione-azione tra due figure sociali che hanno una competenza diversa e complementare che mira a trovare la sua forma di realizzazione partendo dalle capacità e dalle risorse di ognuno in ambiente dato.”16

Il processo di assistenza è un metodo infermieristico, nel quale l’autonomia e la discrezionalità del professionista sono elevate e la progettazione e gestione delle attività nel loro complesso sono affidate a professionisti competenti ed esperti. Come abbiamo visto, questo tipo di modello organizzativo, pone l’accento sull’autorità di natura professionale, ossia sul potere della competenza.

In questo contesto, la valutazione degli output dell’attività professionale non può essere facilmente quantificata e misurata non essendo possibile una “standardizzazione a priori”. Ne deduciamo che le burocrazie professionali non possono eccedere nella formalizzazione delle attività o a sistemi di pianificazione e controllo. “La standardizzazione delle capacità è però, nelle migliore delle ipotesi, un meccanismo di coordinamento piuttosto blando, incapace di far fronte a molte necessità che sorgono”. La sopracitata lettura organizzativa rende palese che la grande autonomia del professionista presenta un aspetto critico in merito alla

15 Pontello G. Il management infermieristico, Milano, Masson SPA, 2oo4 , pag 108 16 Collière M.F., Aiutare a vivere, Mi ,1992, pag.129-130

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“discrezionalità”, infatti è chiamato contemporaneamente ad operare da un lato, con soluzioni che tengono conto degli “standard disciplinari” e dall’altro di subire imposizioni della struttura che presenta vincoli di risorsa finita, e chiamato sempre di più a rendere“ visibile” l’efficacia attesa e quella pratica, la competenza tecnica, l’efficienza. All’apparenza sembrano dei traguardi inconciliabili, ma in realtà non è così.

Entra quindi in gioco un nuovo strumento di integrazione organizzativa (non ancora molto diffuso ) in grado di conciliare discrezionalità e competenza, la “Direzione per obiettivi”.

L’introduzione di tale strumento di integrazione ha segnato il definitivo passaggio da una “cultura burocratica” centrata sul fare, sul sudore fisico e la fedeltà al capo dell’organizzazione, a una “cultura manageriale”, che lavorando per obiettivi, responsabilizza sui risultati, chiede di finalizzare le prestazioni, introduce una “nuova meritocrazia” il cui metro è dato dai risultati raggiunti.

Per gli infermieri e i coordinatori rappresenta ancora uno strumento poco conosciuto e sperimentato, ma la cui implementazione potrà rendere funzionanti quei rapporti gerarchici oramai “arrugginiti” da anni. Esso richiede alcune condizioni particolari sia sotto l’aspetto organizzativo che culturale, che devono preesistere prima di procedere alla sua utilizzazione pratica.

Le potenzialità del lavorare per obiettivi sono molteplici, infatti è insito negli strumenti della DPO la capacità di:

• Orientare e finalizzare i comportamenti verso risultai e priorità;

• Indurre a qualificare e quantificare gli obiettivi e a misure i risultati.

L’infermiere sposta quindi la sua attenzione dagli atti (e la loro esecuzione) ai risultati (e al loro raggiungimento). Di conseguenza “il ruolo del lavoratore” evolve in una dimensione multifunzionale, in grado di:

a) Eseguire: svolgere l’attività lavorativa;

b) Programmare: stabilire obiettivi di natura qualitativa e/o quantitativa;

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d) Controllare: quantificare l’eventuale scostamento dall’obiettivo atteso e valutare i risultati.

Ne scaturiscono:

1) Completezza: conoscere l’intero processo di lavoro;

2) Autonomia: essere in grado di scegliere le procedure più appropriate, avendo chiare sia le risorse a disposizione che gli obiettivi da perseguire;

3) Controllo: conoscere e avere l’abilità di stabilire i risultati della prestazione al fine di ricevere dirette informazioni sulla qualità e sulla quantità del servizio generato;

4) Responsabilità : ossia rispondere direttamente del risultato finale. Tale metodo, è adottato a quasi tutti i livelli dell’organizzazione, (ad esclusione di alcune fasce di operatori che sono toccati solo di riflesso, quali Oss, Ota) in quanto l’attenzione agli obiettivi e ai risultati è l’elemento che qualifica la gestione in un ottica aziendalistica.

La DPO è uno strumento di integrazione direttamente proporzionale con la complessità delle organizzazioni, ed è considerato tanto più potente quanto maggiore è il fabbisogno di integrazione tra più parti dell’azienda. Come sappiamo la “complessità organizzativa” è un insieme di fattori che vengano percepiti come problematici (hanno il potere di complicare e aumentare l’incertezza) e che si possono raggruppare in tre eventi:

I. Forte livello di incertezza;

II. Forte livello di interdipendenza tra le diverse parti dell’organizzazione;

III. Dimensione sempre più vasta delle aziende sanitarie.

La fissazione di obiettivi abbiamo detto che abbraccia i vari gradini dell’organizzazione e può avere due direzionalità : Top- Down e Bottom-Up. Il primo prevede che gli obiettivi vengano definiti dall’alto verso il basso è il vertice strategico che dà l’indirizzo sui obiettivi chiave da raggiungere. Il secondo procede dal basso verso l’altro ed ha un carattere più attinente alla realtà operativa e più democratico partecipativo. In quest’ultimo caso il coordinatore individua gli obiettivi specifichi, imposta i programmi gestionali e li sottopone al superiore diretto.

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Definire un Obiettivo (a qualsiasi vertice) significa esplicitare: >> che cosa lo specifico risultato da raggiungere;

>> quando una data o un periodo di riferimento entro il quale raggiungerlo.

La realizzazione concreta della DPO prevede l’utilizzo di alcuni strumenti tecnici che sono a disposizione dei diversi livelli organizzativi:

1) Pianificazione Strategica; 2) Programmazione;

3) Piani di lavoro.

Il “Piano di lavoro” è quello strumento organizzativo che si è dimostrato particolarmente efficace nell’organizzazione dell’assistenza infermieristica possiamo definirlo come: “una serie di azioni che vanno intraprese al fine di realizzare i risultati richiesti per il raggiungimento degli obiettivi”.

Esso descrive:

1) le azioni utili a perseguire obiettivi specifici;

2) le condizioni organizzative nelle quali avvengono le azioni, tese a verificare la presenza di risorse economiche, di tempo, di personale, professionalità specifiche;

3) Gli indicatori concreti di verifica dei risultati, definiscono la modalità con cui gli obiettivi specifici vengono misurati.

Il piano di lavoro deve rispecchiare chiarezza e semplicità che si tradurranno nella pratica lavorativa in agibilità, precisione, e flessibilità. E’ di fondamentale importanza la scelta di accurati sistemi di misura (standard qualitativi e quantitativi) che andranno a costituire la “chiave universale” di misura dell’intero processo. Occorre stabilire sistemi di misurazione attendibili, negoziando standard condivisi ed utilizzare criteri di misura quantitativi e qualitativi (commisurati all’obiettivo specifico) ad esempio, il numero di prestazioni effettuate nel protocollo X, la riduzione dei costi effettuata, l’accettabilità in termini di qualità percepita.

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“In effetti se il professionista interessato dispone di misure chiare, specifiche ed obiettive, sà in qualsiasi momento come và il suo lavoro e come sarebbe giudicato. Egli può orientare i suoi sforzi verso gli obiettivi e le aree in cui sussiste una maggiore esigenza di miglioramento. Ciò accresce la sua motivazione, in quanto lo rende libero nella scelta, e gli permette di sapere se il prodotto del suo lavoro è accettabile e valido”. E’ a questo punto che l’infermiere, legittima , da un “senso” alla figura e al ruolo del “management” nel modello organizzativo professionale: come si poteva fare la differenza se tutto era già stato deciso?

Il “management” trova la sua ragion d’essere nei professionisti , in quanto è l’esercizio di una scienza essenzialmente pratica, che prende a prestito da altre discipline, una parte non trascurabile dei propri “contenuti”. Il “coordinatore” ha un interesse primario che è l’organizzazione, in cui la persona umana è la componente fondamentale. In quest’area lo scopo del management è “combinare” cose, idee, persone affinchè ciascuna realtà considerata possa concorrere al raggiungimento di un “obiettivo” comune. Lo scopo del management è dunque organizzare in vista di obiettivi e raggiungere tali obiettivi attraverso altri (infermieri e personale di supporto), ovvero “dirigere”. Ne deriva che il “management infermieristico” quale scienza applicata all’assistenza infermieristica può essere definito come: “L’ arte e/o scienza per ottenere prestazioni per mezzo e da infermieri in gruppi formalmente organizzati, in vista degli obiettivi dei gruppi, attraverso l’assunzione continua di decisioni sull’assistenza infermieristica, decisioni concepite come scelte tra possibilità alternative.”17

Purtroppo ancora oggi, si impone, ci sorge spontanea una “domanda” sul perché, allora, il “Modello organizzativo professionale”, fondamento e garanzia della razionalità scientifica dell’ azione professionale e necessario prerequisito ormai legalmente riconosciuto, risulti per lo più “inapplicato” nelle organizzazioni sanitarie italiane.

L. Urwick annotava, nel lontano 1943, che la mente umana accetta il mutamento relativo alle “forme di pensiero” assai più lentamente del mutamento relativo agli “strumenti” che usa o alle nuove attrezzature che è pronta a prendere in uso.

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Penso che tale modello offra la reale e tanto attesa opportunità di sviluppo professionale: la sua “corretta e completa applicazione” è connessa alla crescente domanda di umanizzazione e di personalizzazione dell’assistenza, spesso disattesa dal carattere di routine tipico dei modelli organizzativi fondati sull’esecuzione di compiti, e alla consapevolezza raggiunta dalla professione infermieristica circa la natura specifica ed “essenziale” del proprio campo d’azione nel sistema sanitario ed il carattere scientifico delle proprie conoscenze.

Negli anni settanta si era già tentato di introdurre il processo di assistenza nella formazione di base, ma lo si è fatto in assenza di una preliminare riflessione sullo specifico oggetto di studio e sulle più opportune modalità di implementazione dei modelli concettuali di riferimento; si è cioè ragionato sul “come” prima ancora di definire “cosa” e “perché”, spesso limitandoci a tradurre i contributi della letteratura scientifica di altri paesi. Il metodo si era così sviluppato secondo un percorso relativamente indipendente dalla teorie infermieristiche.

Vorrei sottolineare che “oggi” per attuare questo “cambiamento” esistono dei “facilitatori” già diffusi e condivisi quali i modelli concettuali e le teorie infermieristiche. La definizione della “domanda” di assistenza infermieristica è possibile a partire dalla disciplina infermieristica, fondamento teorico della prassi dell’infermiere. Essa si è “ evoluta” sino all’elaborazione di teorie e di modelli di riferimento, in grado di fornire una visione “visione del mondo” utile ad orientare la prassi professionale nelle sue diverse manifestazioni: la formazione, la ricerca, l’esercizio, l’organizzazione e alla politica professionale. Queste metodologie sono dei veri “catalizzatori”, dei facilitatori di questo processo di professionalizzazione, sia dal punto di vista concettuale (immagine della realtà, postulati, valori) che dal punto di vista operativo (individua la domanda/insieme di bisogni; individua il trattamento tecnico-specialistico insieme coordinate di azioni/prestazioni; il tipo; la quantità e la qualità delle prestazioni; valuta attraverso indicatori di esito), e soprattutto dal punto di vista di un raggiungibile riconoscimento sociale.

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2. L’analisi in chiave economica dell’assistenza

infermieristica

L’assistenza infermieristica tende oramai a configurarsi, nel “processo di aziendalizzazione” delle strutture sanitarie, come sottosistema professionale di produzione di servizi al cliente, sottoposto ai principi della qualità e dell’economicità.

L’istanza del contenimento dei costi, diffusamente avvertita non solo nell’ambito del management sanitario, si traduce nella ricerca di efficienza e nella razionalizzazione della gestione di risorse. Siamo oramai integrati in un sistema portato a premiare i “risultati”, proprio per questo mi appare del tutto innaturale ed illogico che un “Professione” quale quella infermieristica, nell’ambito delle propria sfera di competenza sia impedita a determinare autonomamente gli obiettivi da raggiungere e decidere quali risorse impiegare, quali strumenti assumere come più adatti allo scopo. Questo secondo capitolo ha come obiettivo quello di rendere evidente che il problema della professione infermieristica, oggi più che mai non è di natura “formativa” ne tantomeno di “competenza”, ma sostanzialmente di natura organizzativa come gran parte dei problemi del nostro S.S.N. Il nostro S.S.N. sembra quasi voglia mantenere la nostra professione “sospesa e immobilizzata” tra un recente passato che ci nega una “autonoma identità economica” e un presente che ci proietta verso obiettivi di “budget” dando per scontato che ne possediamo i giusti mezzi per raggiungerli.

In particolare questo secondo capitolo avvicina la lente di ingrandimento su quel recente passato il “DRG” che ci ha dimenticato o volutamente mantenuti in ombra, leggendoci sotto un parametro puramente “quantitativo” e sul presente che ci chiede di perseguire obiettivi di budget trascurando “l’impossibilità di una registrazione qualitativa e quantitativa delle attività infermieristiche”. Ci siamo forse dimenticati un importante dettaglio? In tale sistema non trovano ancora un pieno riconoscimento le attività infermieristiche direttamente finalizzate alla produzione di servizi verso il cliente e quindi configuranti un risultato economico autonomo, al quale attribuire costi e responsabilità, infatti manca quell’attributo complementare e altamente professionalizzante che è la “Visibilità” ma per arrivarci dovremo classificare, documentare la nostra attività (prestazioni),

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solo così ci verrà riconosciuto il peso specifico e veramente autonomo che abbiamo. Smettere finalmente di essere degli “stranieri” in “patria”. Il perseguimento dell’obiettivo della Qualità delle prestazioni e la coniugazione di Efficienza ed Efficacia rappresentano perciò una strategia fondamentale per la Professione infermieristica. Il processo di aziendalizzazione del Servizio sanitario comporta per sua natura un impulso alla ricerca e all’approfondimento di criteri per una valutazione economica dell’assistenza infermieristica.

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