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Change Management: metodologie e strumenti applicativi. Il caso G.I.D.A S.p.A

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in Strategia Management e Controllo

Tesi di Laurea

Change management: metodologie e strumenti operativi.

Il caso GIDA S.p.A

.

Relatore:

Prof.ssa Mariacristina Bonti

Candidato: Costanza Magnini

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INDICE

INDICE ... 3

INTRODUZIONE ... 5

1.Il cambiamento organizzativo ... 13

1.1 Il rapporto strategia – sviluppo organizzativo ... 12

1.2 Il cambiamento organizzativo: un inquadramento teorico ... 19

1.3 Definizione di cambiamento ... 26

1.4 Le dimensioni di cambiamento ... 27

1.4.1 L’oggetto del cambiamento ... 28

1.4.2. Il contenuto del cambiamento ... 30

1.4.3 Il contesto del cambiamento ... 33

1.4.4. Il processo di cambiamento ... 36

2.Gestione del cambiamento organizzativo: metodologie di intervento ... 43

2.1 Prepararsi al cambiamento ... 43

2.2 L’analisi delle posizioni: definizione di ruoli e mansioni ... 54

2.3 La Formazione ... 62

2.3.1 L’Analisi dei fabbisogni di formazione ... 64

2.3.2 Progettazione e somministrazione del programma di formazione ... 65

2.3.3 La valutazione della formazione ... 70

2.4 Il sistema di valorizzazione del personale ... 74

2.4.1 La valutazione del personale ... 74

2.4.2 Il sistema di ricompensazione ... 85

2.5 Le conclusioni di un percorso di Change Management ... 88

3. Il caso GIDA S.p.A. ... 90

3.1 Profilo della società ... 90

3.2 Analisi della strategia di GIDA S.p.A. ... 93

3.3 Il cambiamento organizzativo in GIDA S.p.A. ... 98

3.3.1 La GIDA del 2014: criticità e primi passi verso il cambiamento ... 98

3.3.2 La realizzazione del cambiamento: metodologie e strumenti ... 102

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Conclusioni ... 117 Bibliografia e sitografia ... 121 Ringraziamenti ... 122

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5

INDICE DELLE FIGURE

Figura 1: il modello di Lewin... 23

Figura 2 Il Modello di Kotter ... 26

Figura 3 I livelli di cambiamento ... 30

Figura 4: Cambiamento incrementale e cambiamento incrementale ... 32

Figura 5: Approccio sistemico ... 56

Figura 6:Esempio di scheda d'intervista per l'analisi della posizione ... 60

Figura 7: Esempio di inventario per l'analisi della posizione ... 62

Figura 8: Il processo formativo ... 66

Figura 9: Le tre dimensioni della valutazione ... 77

Figura 10: Esempi di scala di valutazione ... 83

Figura 11: Esempio di scala di valutazione ... 84

Figura 12: Esempio di scala di valutazione dei comportamenti (BARS) ... 86

Figura 13: l'andamento dei ricavi in GIDA S.p.A. tra il 2014 e il 2016 ... 94

Figura 14: L'andamento dell'EBITDA di GIDA S.p.A. tra il 2014 e il 2016 ... 94

Figura 15: L'andamento della PFN e la sua relazione con l'EBITDA ... 95

Figura 16 : Ripartizione ricavi (Euro 000) GIDA S.p.A. dal 2014 al 2016 ... 98

Figura 17: L'analisi SWOT di GIDA S.p.A. ... 99

Figura 18: Organigramma GIDA S.p.A. 2013 ... 102

Figura 19: Organigramma GIDA S.p.A. 2014 ... 105

Figura 20: Organigramma GIDA S.p.A. 2015 ... 111

Figura 21: Organigramma GIDA S.p.A. 2016 ... 112

Figura 22: Scheda di valutazione del dipendente in GIDA S.p.A. ... 115

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6

Figura 24: Previsione Ricavi totali (Euro 000) GIDA S.p.A. tra il 2016 e il 2023

... 117

Figura 25: Previsione EBITDA GIDA S.p.A. tra il 2016 e il 2023 ... 117

Figura 26: Analisi assetto organizzativo prima linea ... 120

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7

INTRODUZIONE

In una realtà competitiva sempre più complessa e in continua evoluzione, le aziende si trovano a dover ridisegnare la strategia con l’obiettivo di migliorare le performance e il loro successo dipende sempre di più dall’ottimizzazione della gestione dell’organizzazione interna.

Il presente lavoro tratta le tematiche del Change management mediante l’analisi del processo di cambiamento organizzativo che ha coinvolto l’azienda pratese GIDA S.p.A.

Il cambiamento organizzativo è un processo estremamente complesso e delicato che necessita di una forte consapevolezza e impegno da parte del team management. L’obiettivo di questo lavoro, infatti, è quello di fornire agli attori promotori del cambiamento una panoramica delle modalità, degli strumenti e delle metodologie mediante cui intraprendere un tale tipo di percorso.

Per argomentare lo studio è stato necessario effettuare una ricerca bibliografica per individuare gli autori ed i testi della letteratura più autorevoli per descrivere l'argomento oggetto di studio. Il materiale usato è stato prevalentemente consultato è stato preso in prestito nelle biblioteche universitarie, precisamente del dipartimento di Economia e Management di Pisa e del Polo di Scienze Sociali di Firenze, è stato necessario, inoltre, il reperimento di articoli e di altre fonti mediante il web.

Lo studio del caso GIDA S.p.A. è stato possibile grazie alla preziosa opportunità che mi è stata data dal gentilissimo Ing. Ferretti di svolgere l’attività di tirocinio presso l’azienda. Ci tengo particolarmente a ringraziarlo per il caloroso aiuto sempre dimostratomi e per la disponibilità accordata a supporto del lavoro svolto. Una parte della documentazione relativa al caso GIDA S.p.A., infatti, è il frutto delle attività svolte mediante il tirocinio. Durante questo periodo è stato possibile consultare numerosi documenti aziendali e effettuare diverse interviste semi-strutturate al Direttore Generale (l’Ing. Simone Ferretti), al Responsabile Amministrativo (Dott.ssa Marzia Stefani) e all’Addetto al personale (Sig. ra.

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Grazia la Giglia) che ringrazio ancora per il costante aiuto e l’indispensabile supporto che mi hanno dato.

La struttura del lavoro è stata organizzata in due parti. La prima parte di carattere teorico, fa riferimento ai primi due capitoli, dove vengono analizzati concetti, teorie, modelli e strumenti che costituiscono le fondamenta del tema del Change Management. La seconda parte di carattere pratico, che si concretizza nel capitolo terzo, dedicato all’azienda GIDA S.p.A., dove viene ripercorso il processo di trasformazione organizzativa intrapreso dal 2014 ed ancora in corso. Successivamente, nelle conclusioni sono state svolte alcune riflessioni personali sull’intero lavoro svolto.

Il primo capitolo è rivolto ai contributi teorici sul tema del cambiamento forniti negli anni dai diversi autori. Inizialmente l’attenzione è stata posta sul paradigma strategia-struttura e alle teorie che vi si sono sviluppate intorno. L’obiettivo è stato quello di fornire una panoramica più esaustiva possibile dell’evoluzione che ha portato a collegare la strategia aziendale alla struttura organizzativa. L’analisi parte dalla nascita, a partire dagli anni Settanta, del paradigma strategia-struttura con l’affermarsi del pensiero di Chandler che risiedeva nella preminenza del disegno strategico. Prosegue con gli studi effettuati da altri autori che hanno fornito ulteriori approfondimenti su questa visione. Successivamente l’analisi è stata posta sulle criticità emerse dall’impostazione chandleriana e sulla nascita di un nuovo filone di pensiero contrapposto alla teoria “strategy follows structure” supportato dagli autori Normann e Mintzberg, basato sull’influenza reciproca tra scelte strategiche e scelte organizzative. Al tempo stesso si è soffermata l’attenzione sulla consapevolezza da parte degli autori che non esistono disegni strategici univoci per ogni realtà, la congruenza tra strategie e struttura va ricercata all’interno dell’azienda stessa, ponendo l’attenzione sulle core

competences. Abbiamo così analizzato gli studi evoluti sulla nascita della Resource Based Theory.

Successivamente viene introdotta la tematica del cambiamento organizzativo, identificando a livello teorico alcuni dei modelli di Change management con

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l’obiettivo di comprendere a pieno le potenzialità di come è possibile intendere il cambiamento, grazie all’apporto di diversi studiosi.

Infine, dopo aver introdotto con una definizione il concetto di cambiamento organizzativo e dopo aver spiegato cosa implica attuare tale processo, viene proposto uno schema di analisi, per studiare tale fenomeno che tocca quattro dimensioni (oggetto, contenuto, contesto e processo). Vengono approfondite nel dettaglio queste quattro dimensioni: il livello del cambiamento che serve per impostare il punto di osservazione con il quale studiare tale fenomeno organizzativo, che impatta più livelli di analisi (individuo, gruppi di individui, aziende, network); il contenuto del cambiamento, delineando cambiamenti incrementali e radicali; il contesto del cambiamento, analizzando quali fattori dell’ambiente in cui opera l’azienda condizionano il processo di cambiamento e, infine, vengono analizzate le strategie cui perseguire un tale percorso mediante un approccio di tipo collaborativo, negoziale, emozionale e coercitivo.

Il secondo capitolo ha l’obiettivo di fornire una serie di strumenti e metodologie indispensabili per gestire un processo di cambiamento organizzativo. Prima di passare alla trattazione dettagliata di ogni tecnica viene sottolineata l’importanza del “prepararsi” ad un tale tipo di cambiamento. Il modello delle otto fasi dell’autore Kotter, infatti, aiuta il management ad impostare i vari passaggi da attuare in un processo di Change management. L’attenzione viene posta poi su quei fattori cardini del processo di cambiamento, quali: creazione di un team sponsorizzante il processo, una forte leadership, la capacità di delegare, l’uso di strumenti comunicativi adeguati alle caratteristiche del personale e l’importanza di gestire le resistenze al cambiamento che inevitabilmente si vengono a creare. L’analisi del modello ADKAR consente di riflettere su come ogni persona all’interno dell’organizzazione affronta e sperimenta il cambiamento. A fronte di queste tematiche si sottolinea l’importanza di un approccio di tipo sistemico che permette di non tralasciare quei fattori (vision, sistema di incentivazione, leadership, strategia ben delineata) garanti del successo di un processo di cambiamento organizzativo.

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Successivamente vengono analizzate le metodologie da applicare per condurre il Change Management, in particolare: l’analisi delle posizioni, la formazione e il sistema di valorizzazione.

Il paragrafo dedicato all’analisi delle posizioni evidenzia l’importanza di effettuare una “fotografia” dell’organizzazione nella fase che precede l’avvio del cambiamento. Il fine di questa analisi è quello di individuare ruoli e mansioni presenti in azienda. Gli strumenti che comunemente vengono utilizzati per compiere questa analisi sono le osservazioni le interviste e i questionari. Nel corso della trattazione, oltre ad essere riportate le diverse modalità di utilizzo di questi strumenti, vengono anche riportati due esempi: una scheda di intervista di tipo aperta e un questionario- inventario.

Si conclude il paragrafo analizzando l’importanza di individuare la person

specification, trattando il tema della valutazione del personale con l’obiettivo di

individuare il potenziale disponibile ai fini di alimentare il cambiamento.

In seguito, viene posta l’attenzione sullo strumento della formazione, che consente al team management di creare le condizioni che permettono ai collaboratori di erogare prestazioni funzionali al nuovo disegno organizzativo. La formazione, in un processo di

di cambiamento organizzativo, è importante che sia focalizzata sullo sviluppo di competenze trasversali che generano una trasformazione di tipo forte o generale. Viene quindi analizzato, nel proseguo dei paragrafi, l’iter della pianificazione di un intervento formativo attraverso tre fasi: l’analisi dei fabbisogni organizzativi, mediante l’individuazione dei fabbisogni formativi a livello organizzativo, individuale e professionale; la progettazione e la somministrazione dell’attività formativa, tramite le definizioni degli obiettivi da raggiungere e le metodologie didattiche da utilizzare (role playing, in basket, business game, behavioral

modeling, coaching, counseling, T-group, dell’outdoor training e l’action learning) e, infine, la valutazione dei risultati per verificare la validità e

l’efficacia dell’intero percorso formativo, mediante l’utilizzo del modello di Kirkpatrick.

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Successivamente viene analizzata l’attività di valutazione del personale che come oggetto può avere: persona, prestazione e posizione. Dopo aver trattato nello specifico questi tre livelli di analisi vengono esaminati i principali strumenti e metodologie da utilizzare per compiere la valutazione (job ranking, Global Job

Grading System, metodo Hay, valutazione a 360 gradi e Management by objectives) mediante l’esemplificazione di alcune tecniche particolari (scala

grafica di valutazione, scala di valutazione basata su standard, scala di valutazione dei comportamenti).

L’ultima metodologia analizzata è il sistema di ricompensazione. Nella trattazione viene posta l’attenzione principalmente sulla componente variabile della retribuzione e su quella non monetaria, tramite l’analisi dei principali strumenti di incentivazione (bonus, gainsharing, profitsharing, aumenti di merito

e fringe benefit).

Il capitolo si conclude con una breve riflessione su cosa comporta l’utilizzo da parte delle aziende degli strumenti fin qui riportati, analizzando la trasformazione che la funzione della gestione del personale subisce in un processo di Change management.

Il terzo capitolo è incentrato sul case study di GIDA S.p.A., azienda che opera da più di trent’anni del settore della depurazione delle acque a Prato. L’obiettivo è quello di analizzare il percorso di cambiamento organizzativo dell’azienda, partendo dalle motivazioni che hanno spinto ad intraprendere un tale percorso, per soffermarsi poi sulle metodologie applicate. Il capitolo è stato suddiviso in due parti. Nella prima parte è stata approfondita la storia dell’azienda, dalla sua nascita ad oggi, ed è stato realizzato un profilo aziendale che descrive sia dati quantitativi (numero di dipendenti, fatturato, EBITDA) che dati qualitativi (unità di business e servizi offerti). È stata poi effettuata un’analisi dell’attuale strategia dell’azienda e tramite l’utilizzo dell’analisi SWOT sono stai poi individuati i piani di sviluppo futuri. La seconda parte del capitolo si è concentrata sull’analisi del percorso di cambiamento che ha intrapreso l’azienda. Dall’analisi delle motivazioni che hanno spinto il management a cambiare, abbiamo riportato i cambiamenti strutturali realizzati, analizzando nel dettaglio gli strumenti

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introdotti e le metodologie applicate (analisi delle posizioni, formazione, sistema di valutazione e di ricompensazione). Come nota conclusiva del capitolo si è analizzata l’azienda di oggi a fronte dei cambiamenti avvenuti, riportando anche dati quantitativi sulle possibili performance future.

Le conclusioni del lavoro sono organizzate facendo un raffronto fra teoria e caso aziendale con alcune riflessioni personali su come l’azienda GIDA potrà continuare in futuro a perseguire il percorso di crescita di sviluppo intrapreso negli ultimi anni.

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1. Il cambiamento organizzativo

1.1. Il rapporto strategia – sviluppo organizzativo

Il rapporto tra strategia e struttura organizzativa è sempre stato argomento di numerosi dibattiti nella dottrina aziendale.

L’azione organizzativa è un aspetto costitutivo del più ampio concetto di azione economica. In particolare, un’organizzazione contiene tutti gli elementi strumentali (sistemi delle risorse e relativi meccanismi di funzionamento) indispensabili per porre in essere il disegno strategico.1

Una strategia è un piano per l’interazione con l’ambiente competitivo volto a raggiungere gli obiettivi organizzativi. 2

Strategia e organizzazione sono pertanto esposti ad una relazione di interdipendenza, in cui i comportamenti posti in essere dall’una si traducono in vincoli ed opportunità per l’altra.

Questo quadro di rapporti non si presenta nella realtà così lineare e chiaro come apparentemente può sembrare. Da un lato, infatti, il confine tra il concetto di intento strategico e quello di organizzazione non sempre è univoco e immediato, dall’altro si pone il problema di individuare quale delle due variabili assuma un ruolo preliminare, tale da determinare o comunque condizionare l’altra. 3

Storicamente, gli autori che hanno affrontato tale tematica, seppur con diversi pareri, sono tutti concordi nel sostenere l’esistenza di una relazione tra le scelte strategiche e quelle inerenti l’organizzazione.

Alfred Chandler è stato tra i primi autori ad affrontare il paradigma strategia – struttura. L’autore nella sua opera più famosa4, inizialmente, analizza settanta

1 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

2 DAFT R., Organizzazione aziendale, Apogeo, Milano, 2007

3 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

4 CHANDLER A.D.Jr., Strategy and Structure: Chapters in the History of the Industrial Enterprise, The Mit press, Cambridge, 1962.

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delle maggiori aziende statunitensi per poi soffermarsi su quelle che si sono rivelate le aziende leaders nel campo dell’innovazione strategica.5

Chandler dopo aver ricostruito dettagliatamente la storia amministrativa di queste quattro aziende, grazie ad un’accurata analisi di relazioni, memorandum, verbali di sedute, riunioni e corrispondenze tra dirigenti, arriva ad elaborare alcune teorie che, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, costituiranno la base di numerose elaborazioni concettuali riguardanti appunto il rapporto strategia-struttura.6

Il pensiero di Chandler risiede nella preminenza del disegno strategico. La struttura organizzativa di un’impresa è determinata dalle scelte strategiche, nel senso che l’assetto organizzativo prende forma solo dopo aver scelto la strategia di sviluppo da perseguire (“structure follows strategy”).7 Si crea perciò un rapporto di dipendenza gerarchica tra struttura e strategia, dove al cambiare del contesto strategico, imprenditoriale e dimensionale si determinano effetti a cascata sulle forme organizzative, con il ricorso a soluzioni strutturali e di funzionamento adattate ai nuovi contesti. 8

Osservando le aziende oggetto di studio, l’Autore ha riscontrato che ad ogni stadio di sviluppo corrispondono forme organizzative strutturalmente e funzionalmente molto differenziate tra loro, ottimali al raggiungimento degli obiettivi strategici.

Il modello empirico dell’analisi di Chandler è basato sulla grande impresa integrata, secondo il quale è la crescita dimensionale il punto cardine del processo di sviluppo e l’obiettivo dei nuovi disegni strategici.

Proprio su tale modello l’Autore ha designato un percorso evolutivo ottimale, quasi “deterministico”, riassumibile nelle seguenti fasi sequenziali: uno sviluppo orizzontale, basato su un percorso di crescita, sia in termini di capacità produttiva, che di volumi di vendita; uno sviluppo verticale, guidato dal processo

5 Le quattro aziende su cui si basano gli studi di Chandler sono: Du Pont de Nemours, General Motors, Standard Oil of New Jersey e Sears Roebuck.

6 ALFRED. D. CHANDLER JR., prefazione di Alberto Martinelli, Strategia e struttura: storia della

grande impresa americana, Franco Angeli Editore, Milano, 1993

7ONETTI A., Il “nodo” strategia-struttura nel governo d’impresa; Working Paper, Facoltà di Economia, Università dell’Insubria, n. 10, 2002

8 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

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di integrazione di attività appartenenti alla catena di valore; sviluppo di una strategia di diversificazione, che vede l’ingresso dell’azienda in settori e mercati legati al suocore business e infine uno sviluppo internazionale con l’ obiettivo di diventare un’azienda globale.9

Conseguentemente alla scelta del nuovo disegno strategico, si sviluppa un percorso organizzativo al fine di adeguare la struttura organizzativa alla strategia. Si passa da una configurazione monofunzionale, ad una struttura funzionale in corrispondenza di uno sviluppo orizzontale o verticale, sino ad una struttura divisionale a fronte di strategia di diversificazione, per poi arrivare ad una struttura a matrice dinanzi a percorsi di crescita internazionali.

L’affermarsi del modello chandleriano e la sua visione “evoluzionistica” dello sviluppo d’impresa sono risultati coerenti con le caratteristiche del contesto competitivo che ha connotato l’economia statunitense a partire dal secondo dopo guerra. Una forte crescita sostenuta, una domanda indifferenziata, il soddisfacimento dell’offerta e un clima di stabilità internazionale hanno fatto sì che il modello della grande impresa integrata si affermasse come paradigma di riferimento

A supporto delle teorie elaborate da Chandler intervengono anche gli studiosi dell’Harvard Business School, in particolare Andrews 10, che stabilisce una netta distinzione tra il processo di formulazione e il processo di attuazione di una strategia. Il processo di formulazione strategica si presenta come un processo fondamentalmente razionale che comporta dapprima la generazione di alternative strategiche, sulla base dell’analisi SWOT (dall'inglese Strengths Weaknesses

Opportunities Threats)11, la valutazione delle stesse e, infine, la scelta dell’alternativa da realizzare. 12

9 ONETTI A., Il “nodo” strategia-struttura nel governo d’impresa; Working Paper, Facoltà di Economia, Università dell’Insubria, n. 10, 2002

10 ANDREWS K. J., The Concept of Corporate Strategy, Irwin, 1971

11 L'analisi SWOT è uno degli strumenti più utilizzati per la formulazione della strategia competitiva. Si basa sull'analisi delle forze (strengths), delle debolezze (weaknesses), delle opportunità (opportunities) e delle minacce (threats) cui deve far fronte l'azienda. Grazie a questo strumento, secondo la scuola harvardiana, viene valutata la situazione dell'azienda rispetto ai concorrenti e si analizza l'ambiente esterno con conseguente generazione delle alternative strategiche da perseguire.

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A partire dagli anni Settanta il quadro competitivo di riferimento si è trasformato rapidamente: una riduzione della crescita economica, una forte instabilità della domanda e l’intensificazione della competizione a livello globale diventano i tratti qualificanti del nuovo quadro di riferimento. In un contesto di turbolenza ambientale e di aumento della complessità della competizione si mettono in discussione sia il modello della grande impresa integrata sia gli schemi tradizionali di formulazione e di pianificazione strategica.

In questo contesto si possono collocare le numerose critiche portate all’impostazione chandleriana: la grande impresa da espressione di razionalità, efficienza ed efficacia diventa portatrice di elementi di rigidità; la struttura organizzativa da parametro modellabile in funzione delle scelte strategiche diventa vincolo, in grado di condizionare le scelte di politica aziendale.13

Alla fine degli anni Settanta lo studioso Richard Normann14 propone un’elaborazione del problema riguardante il rapporto strategia-struttura, sostenendo l’idea che il processo di formulazione strategica non può essere gestito in modo strutturato, secondo un approccio razionale, ma attraverso un processo di apprendimento guidato da una visione strategica che viene messa a punto grazie ad attività di sviluppo, di sperimentazione e di verifica. La gestione strategica diventa così un processo in cui formulazione e realizzazione non si susseguono sequenzialmente. Si istaura, infatti, un rapporto circolare tra cambiamento organizzativo e assetto strategico-strutturale, dove le due variabili si pongono in una relazione di reciproca interdipendenza.15 Normann afferma che la successione temporale tra la formulazione della strategia e la progettazione di Chandler si verifica esattamente in maniera opposta, ossia che è la struttura organizzativa ad influenzare e determinare la strategia da perseguire.

Un ulteriore contributo all’interpretazione del tema viene fornito dallo studioso di organizzazione canadese Henry Mintzberg16 che pone l'attenzione sul processo

13ONETTI A., Il “nodo” strategia-struttura nel governo d’impresa; Working Paper, Facoltà di Economia, Università dell’Insubria, n. 10, 2002

14 INERNIZZI G., Le strategie competitive, McGraw-Hill, Milano, 2014

15 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

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di formulazione delle strategie. In particolare, l'Autore fa una distinzione tra la strategia realizzata, osservabile solo a consuntivo, e la strategia intenzionale, scelta in modo tendenzialmente razionale dall'azienda. Una volta che l'azienda ha scelto la direzione da perseguire possono verificarsi degli eventi che inducono il management ad abbandonare in parte la direzione presa e, allo stesso modo, possono svilupparsi dei fattori che inducono l'impresa a prendere nuove direzione. Occorre, infatti, creare le condizioni affinché si manifestino le strategie emergenti, ovvero quelle strategie che si sviluppano gradualmente, man mano che l'azienda opera e accumula esperienza.

Mintzberg consta l’inefficacia di una pianificazione a medio-lungo termine e riconosce la necessità di dover modificare continuamente il disegno strategico, integrandolo con risposte strategiche a fatti imprevisti, attraverso, appunto, le strategie emergenti. La strategia che verrà poi realizzata può quindi essere diversa, in parte o del tutto, dalla strategia inizialmente deliberata. 17

I responsabili della gestione strategica devono infatti far sì che si creino le condizioni favorevoli allo sviluppo di strategie emergenti, ovvero devono saper colmare i gap tra il momento deliberativo e attuativo, ricercando appropriate forme di interpretazione delle distanze tra strategia deliberata e emergente e tra disegno organizzativo deliberato e emergente.18

Alla luce delle nuove teorie elaborate dai vari autori sopra citati, si riconosce che le aziende non devono necessariamente percorrere tutti gli stati di sviluppo (integrazione, diversificazione e internazionalizzazione), ma possono raggiungere risultati ottimali seguendo percorsi alternativi alla crescita dimensionale. Di conseguenza l’immagine della piccola e media impresa assume un significato diverso e non è più considerata come un’imperfezione rispetto al modello della grande impresa integrata. Essa viene concepita come un modello che si adatta in maniera ottimale ai fenomeni turbolenti caratterizzanti l’ambiente esterno e in grado di esprime standard elevati di capacità competitiva.

17 INERNIZZI G., Le strategie competitive, McGraw-Hill, Milano, 2014

18 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

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Alla luce delle trasformazioni che caratterizzano i sistemi economici emerge l’esigenza di individuare nuovi modelli di interpretazione del fenomeno impresa con lo scopo di identificare adeguati rapporti tra strategia e struttura idonei a gestire le forme attuali della complessità. Non esistono percorsi strategici predefiniti e univoci per ogni tipo di realtà; esistono, infatti, strategie e forme organizzative differenziate e articolate, che non sempre possono essere compatibili tra loro. La congruenza va infatti ricercata all’interno dell’azienda stessa. Lo scopo dell’attività di progettazione strategica risiede proprio in questo, nell’andare a indirizzare lo sviluppo dell’impresa secondo una linea di coerenza con le core competences, il “patrimonio genetico” della stessa, ovvero il nucleo di risorse e competenze distintive acquisite durante la propria operatività.

Sulla base di queste considerazioni nasce la Resource Based Theory19, l’approccio, fondato sulle risorse, in grado di inquadrare le problematiche di governo di impresa.

L’impresa basata sulle risorse si differenzia dall’impresa neoclassica poiché pone alla base della creazione e del mantenimento del vantaggio competitivo le risorse e le competenze distintive dell’azienda. In particolare, secondo tale teoria sono le risorse intangibili e umane ad essere le più critiche in quanto rare e complesse e di conseguenza più difficili da imitare. Tale approccio risulta essere interessante perché riesce a trovare una spiegazione a percorsi diversi, talvolta contradditori, di sviluppo di impresa. Di fronte a tale impostazione risulta semplice accettare percorsi di sviluppo strategico e organizzativo, come per esempio processi di internazionalizzazione, di outsourcing, di integrazione, di diversificazione, purché assunti in un quadro di coerenza con le risorse distintive possedute. Nello scenario attuale, l’individuazione di un modello d’impresa risulta sempre più difficile a causa della complessità e delle possibili configurazioni aziendali che l’impresa può adottare. Ciò nonostante si può affermare che la trasformazione della grande impresa abbia portato una pluralità di modelli nei quali, concetti e

19 Il primo autore che diffuse questo nuovo approccio alla strategia fu Wernerfelt, nel 1984, con la pubblicazione dell’articolo "A resource‐based view of the firm, nel 1989 contribuirono Prahalad and Hamel con l'articolo "The Core Competence of The Corporation" e nel 1991 contribuì anche Barney con

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logiche dei modelli tradizionali di organizzazione e gestione sono state adattate e rielaborate per ricercare innovativi modalità di divisione del lavoro tra le imprese. 20

Il quadro fin qui riportato, per quanto non esaustivo, ha cercato di offrire alcuni elementi e spunti di riflessione per cogliere la rilevante complessità del rapporto tra strategia ed organizzazione, tema particolarmente delicato, attinente al grado di libertà dell’azione organizzativa in rapporto alle scelte strategiche. 21

Ciò comporta la necessità di individuare i confini dell’azione organizzativa, dei ruoli degli attori, dei nessi di interdipendenza e soprattutto delle risposte di coordinamento e di controllo, al fine anche di voler implementare un processo di cambiamento organizzativo.

1.2. Il cambiamento organizzativo: un inquadramento teorico

Il cambiamento è un fenomeno che caratterizza qualsiasi tipo di organismo: dalle aziende, ai gruppi, fino ai singoli individui. Il concetto stesso di esistenza è infatti strettamente connesso con quello di mobilità, trasformazione e cambiamento. Il cambiamento è una costante in ogni tipo di realtà e affrontare e gestire i cambiamenti risulta spesso un processo complesso, stressante e in alcuni casi addirittura ingestibile.

Per le aziende gestire il cambiamento organizzativo è ormai diventata una prassi. Vi sono così tante pressioni provenienti dall’ambiente, sia interno che esterno, che inevitabilmente si è portati a dover gestire tale fenomeno. Nuove regole, nuovi competitori, nuovi mercati, cambiamenti nei modelli di comportamento da parte dei consumatori, nuove tecnologie, sono tutti fattori poco controllabili che fortemente condizionano la traiettoria del cambiamento. Una grande pressione verso il cambiamento si determina anche di fronte a risultati economici

20 ONETTI A, Il “nodo” strategia-struttura nel governo d’impresa; Working Paper, Facoltà di Economia, Università dell’Insubria, n. 10, 2002

21 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

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insoddisfacenti, o in seguito a trasformazioni delle caratteristiche delle persone o anche di fronte a strategie personali dei manager.22

In un ambiente così turbolento e in continuo divenire il compito di chi progetta l’organizzazione risiede, quindi, nella capacità di riuscire a gestire il cambiamento agendo sulle giuste leve affinché tutti gli attori riescano ad evolversi lungo i percorsi tracciati dal management al fine di stare al passo con i mutamenti del contesto in cui essi operano. In caso venisse meno questa capacità di indirizzare e gestire il cambiamento, le organizzazioni subirebbero un processo inverso, di involuzione che spinge l’assetto verso l’invecchiamento e l’estinzione.23 È così che la comprensione della dinamica del cambiamento diventa una necessità e una risorsa chiave per chi intende guidare le problematiche organizzative, al fine di riuscire a sviluppare il processo di cambiamento organizzativo.

In letteratura gli studi sul cambiamento e in particolare sul cambiamento organizzativo muovono i primi passi a partire dagli anni Cinquanta. Diverse sono le discipline e gli studiosi che hanno cercato di capire approfonditamente il cambiamento per poterlo praticare e gestire con successo. Il risultato di questi studi è stato lo sviluppo di numerose teorie e modelli sul cambiamento organizzativo, nessuna però esaustiva né sostitutiva alle altre, da trattare in modo complementare. Infatti, ciascun modello poggia su specifiche teorie d’interpretazione e focalizza l’attenzione solo alcune dimensioni del cambiamento organizzativo. C’è chi, infatti, si è occupato di definire i diversi tipi di cambiamento, chi di adottare modelli per l’analisi del cambiamento, chi di sviluppare regole per la gestione del processo di cambiamento, chi della resistenza al cambiamento e come farvi fronte, chi ancora ha messo in connessione apprendimento e cambiamento a livello individuale e collettivo, chi ha approfondito la leadership del cambiamento e gli strumenti per sostenerla.24

22 TOSI H. L, PILATI M., Comportamento organizzativo: attori, relazioni, organizzazione e

management, Egea, Milano, 2008

23 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

24 AMBROSINI M., Il cambiamento organizzativo: un inquadramento teorico,

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In passato la letteratura organizzativa classica sottovalutava il fenomeno del cambiamento, considerandolo come un processo estremamente razionale, dove chi governava l’azienda aveva il compito di ripristinare l’equilibrio ottimale dell’interna organizzazione attraverso la gestione strumentale di tale fenomeno. Il cambiamento era, infatti, visto come un fenomeno fortemente controllabile dal management.

Questa impostazione era condizionata dal pensiero economico classico, che, appunto, considerava il cambiamento come un fenomeno eccezionale, quasi come una perturbazione, una fase temporanea, provocata da eventi esogeni che colpiscono il sistema, che, in una situazione normale e naturale, è in equilibrio. Ovviamente questa visione del cambiamento era spiegata dalla situazione economico-sociale che caratterizzava gli anni Cinquanta, dove i processi di trasformazione delle aziende erano relativamente prevedibili e stabili e quindi i manager e i tecnici analizzavano soltanto alcuni aspetti dei processi di mutamento, trascurando la natura complessa di tale fenomeno, attraverso approcci riduzionistici. 25

Questa visione vedeva l’organizzazione come un sistema chiuso, dove il cambiamento era considerato come un risultato intenzionale della ricerca di una sempre maggior efficacia dell’organizzazione tesa a mantenere una certa stabilità e a garantire un buon rendimento.

Dalla fine degli anni Cinquanta fino ai primi anni Settanta si affermano le teorie modernistiche, che muovono critiche al modello classico razionale e introducono una nuova visione dell’interpretazione del rapporto organizzazione ambiente, dove l’organizzazione diventa un sistema aperto, oggettivamente percepibile, separata dall’ambiente, ma da questo fortemente influenzata. Il cambiamento, in questi anni viene visto come un processo additivo, razionale, finalizzato a dare risposte soddisfacenti all’ambiente esterno in continuo mutamento che sollecita permanenti modificazioni.

25 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

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Dalla fine degli anni Settanta a seguire, si sviluppa una prospettiva simbolico- interpretativa che vede l’organizzazione come una costruzione sociale, dove i soggetti interagiscono, negoziano tra loro e danno una lettura soggettiva a tutto l’ambiente organizzativo. Da qui nasce la visione del cambiamento come il risultato di un processo dinamico, continuativo, volto a mantenere l’identità organizzativa che i valori e gli assunti condivisi socialmente hanno creato. Il cambiamento è infatti il risultato della continua costruzione e ricostruzione che i soggetti fanno dell’organizzazione e della realtà. 26

I modernisti contemporanei hanno integrato elementi della visione simbolico – interpretativa introducendo nel loro quadro elementi di maggior dinamismo, di apertura e di soggettività. La messa in discussione degli assunti razionali invita e incoraggia allo sviluppo dell’auto riflessività. Infatti, esplicitando le assunzioni strategiche organizzative e dialogando su di esse, le organizzazioni hanno la capacità di sviluppare e alimentare un cambio di prospettiva, intravedere futuri scenari e ipotizzare possibili cambiamenti.

Le imprese, sempre più frequentemente, sono state infatti chiamate a gestire operazioni di trasformazione di più o meno grande complessità, dovute a modificazioni rapide e di forte impatto manifestatesi nello scenario tecnologico, politico e sociale. Con sempre maggior frequenza sono richieste ai manager le capacità di saper gestire fasi di transizione e di modificazione dell’assetto strategico e organizzativo; parallelamente e con sempre maggior pressione è richiesto anche agli attori aziendali di modificare velocemente la propria cultura, il proprio atteggiamento e la propria professionalità. 27

Molte teorie sul cambiamento organizzativo fanno riferimento ad un modello base riconducibile al lavoro di Kurt Lewin28, il quale spiega come avviene il cambiamento e come gli organismi si adattano, sviluppando un modello per interpretare la gestione del cambiamento. Lewin definisce il cambiamento come una temporanea instabilità che agisce sull’equilibrio esistente e considera il suo

26 AMBROSINI M., Il cambiamento organizzativo: un inquadramento teorico,

http://www.coachmag.it/wp-content/uploads/2010/09/Il-cambiamento-organizzativo_Mon_Amb.pdf 27 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

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modello più come una teoria della stabilità che del cambiamento.29 Il cambiamento è un processo complesso, costituito da un certo numero di fasi, che spesso possono sovrapporsi o addirittura coincidere in tempi molto brevi, ma rimangono comunque concettualmente distinte.

Per Lewin affinché in un’azienda avvenga un cambiamento si devono rispettare tre fasi: scongelamento, trasformazione, ricongelamento (Figura 1):

Figura 1: il modello di Lewin

Fonte: elaborazione personale

In ogni fase ci sono processi interpersonali critici che vanno gestiti dai vari agenti di cambiamento. Ogni fase richiede ruoli chiave e distinti e non è la stessa persona che deve ricoprirli.

La prima fase è lo scongelamento nella quale l'organizzazione si prepara al cambiamento. Lo scongelamento si verifica quando si realizza la rottura dell’equilibrio esistente e si deve agire sulle forze opposte di spinta e di resistenza al cambiamento.

Un cambiamento organizzativo richiede agli individui di acquisire nuove capacità che al momento non sono loro familiari, è ragionevole quindi attendersi che saranno resistenti al cambiamento, in quanto le vecchie procedure non sono più consuete, mentre le nuove creano una minaccia alle competenze individuali

29LEWIN K., Field theory in social science: selected theoretical papers, Harper, 1951

Scongelamento: disponibilità a cambiare lo status quo

Trasformazione: il mutamento che deve avvenire affinchè l'organizzazione cambi

Ricongelamento: il cambiamento viene reso permanente e si va a creare un nuovo punto di equilibrio

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consolidate. Diventa quindi necessario in questa fase promuovere il cambiamento, sponsorizzarlo e comunicarlo. 30

I manager sono chiamati a diffondere positività verso il cambiamento in modo tale che il personale risponda in modo costruttivo, dato che, affinché il progetto di mutamento si realizzi, saranno previste modifiche sulle persone, sulle mansioni, sulla struttura e sulla tecnologia.31 Non è infatti difficile introdurre il cambiamento in azienda, è difficile gestirlo, ossia è difficile prevedere gli effetti, capire le reazioni degli attori coinvolti, ottenere l’appoggio delle persone, che spesso sono restie a cambiare. Lo scongelamento ha l’effetto di svincolare i soggetti interessati al processo dai comportamenti del passato e di predisporli cognitivamente verso nuovi concetti e prospettive.

La seconda fase è la trasformazione nella quale si applica davvero il cambiamento e la situazione inizia a mutare: è la vera fase dell’implementazione. Tale trasformazione può essere aiutata dall’attivazione di due distinti meccanismi: l’individuazione di un modello con cui identificarsi o la disponibilità di un conteso che offra l’opportunità di confrontarsi con l’ambiente per ricercare nuove possibilità.32 In questa fase occorre scegliere e impiegare la metodologia di cambiamento appropriata, essendo ovvio che non tutte sono egualmente efficaci.

L’ultima fase è il ricongelamento, l’attività di integrazione del cambiamento nell’organizzazione. È la fase in cui si valuta se il cambiamento è davvero in atto ed è anche la fase in cui si può avere il cosiddetto “rigetto” al cambiamento, la situazione in cui il cambiamento non è avvenuto e si ritorna alle condizioni passate.

Il ricongelamento è il processo che unisce le nuove conoscenze acquisite dalle persone con le relazioni che esse intrattengono con i propri interlocutori all’interno dell’azienda. Infatti, Lewin distingue tra ricongelamento personale e

30 TOSI H. L, PILATI M., Comportamento organizzativo: attori, relazioni, organizzazione e

management, Egea, Milano,2008

31 AMBROSINI M., Il cambiamento organizzativo: un inquadramento teorico,

http://www.coachmag.it/wp-content/uploads/2010/09/Il-cambiamento-organizzativo_Mon_Amb.pdf 32 TOSI H. L, PILATI M., Comportamento organizzativo: attori, relazioni, organizzazione e

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relazionale. Il ricongelamento personale consiste nell’aiutare ogni persona a sentirsi a proprio agio con il nuovo modello di comportamento richiesto affinché il cambiamento abbia successo: a tal fine, occorre creare le condizioni affinché ciascun individuo riesca a collegare il nuovo comportamento richiesto dal cambiamento organizzativo in atto con il concetto che ogni persona ha di sé. Il ricongelamento relazionale, invece, riguarda le nuove relazioni che si instaurano all'interno dell'organizzazione. Un nuovo approccio creerà nuove relazioni tra le singole persone e i vari gruppi di lavoro e bisogna far sì, quindi, che tali relazioni siano allineate con le aspettative degli altri operatori circostanti. 33

Al termine della fase di ricongelamento viene costituito un nuovo punto di equilibrio, i nuovi fattori e cambiamenti entrano a far parte dell’organizzazione in modo organico e permanente.

Un altro modello “guida” al cambiamento organizzativo è il modello delle otto fasi proposto da Jhon Kotter. 34

Come si evince dalla figura 2, il modello, prevede otto fasi, ognuna delle quali deve essere rispettata per poi passare a quella successiva secondo un’impostazione insieme deterministica e normativa. 35 Gli step identificati dall’Autore costituiscono delle linee guida per l’implementazione di un processo di cambiamento, e si basano sugli aspetti fondanti la gestione aziendale, quali: obbiettivi strategici, mission e vision, comunicazione interna, responsabilità. Queste otto fasi sottintendono il modello di Lewin, in particolare, le prime cinque fasi del modello di Kotter corrispondono alla fase di scongelamento di Lewin, i punti sei e sette alla fase di trasformazione e l’ultima fase all’azione di ricongelamento.

33TOSI H. L, PILATI M., Comportamento organizzativo: attori, relazioni, organizzazione e management, Egea, Milano, 2008

34KOTTER J.P., Leading change, Harvard Business Press, 1996

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Figura 2 Il Modello di Kotter

Fonte: Elaborazione tratta da http://www.imlearning.it/kotter/

Le fasi di Kotter rivelano specifici consigli sui comportamenti da adottare necessari per gestire con successo il cambiamento. Entrambi i modelli, quello di Lewin e quello di Kotter ci mostrano la complessità di tale processo. In particolare, tradurli in pratica implica affrontare diverse aree di cambiamento: la gestione dei fattori psicologici che influenzano le reazioni al cambiamento e le possibili resistenze, la gestione dei processi di apprendimento, il ridisegno dei ruoli, delle funzioni e delle responsabilità associate e infine la misurazione delle performance del processo di cambiamento.

1.3 Definizione di cambiamento

Il cambiamento organizzativo può essere definito come un insieme di azioni, orientate e pensate, facenti parte di un processo che va opportunamente gestito, verso un obiettivo di mutamento organizzativo.36 La corretta gestione di tale processo è essenziale per sviluppare la capacità di risposta della stessa organizzazione alle sollecitazioni, interne ed esterne, che la interessano. Solo in

36 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000 Stabilire un senso di urgenza Formare una potente coalizaione guida

Creare una vision

Comunicare la vision Responsabilizzar

e gli altri ad agire sulla vision Pianificare e creare successi a breve termine Consolidare i miglioamenti e produrre ulteriore cambiamento Istituzionalizzare i nuovi approcci

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tal modo riusciamo a definire le linee evolutive essenziali per il superamento di vincoli già esistenti o che potrebbero sopraggiungere. 37

Le numerose evoluzioni nel settore dell’economia, della tecnologia e dello stesso ambiente sociale che caratterizzano i giorni d’oggi hanno introdotto numerose e significative mutazioni nelle dinamiche competitive, nelle scelte strategiche, nei sistemi gestionali ed organizzativi delle aziende. 38 Molte aziende considerano questi mutamenti e innovazioni come minacce alla sopravvivenza, ma solo stando al passo con essi possono trasformare tale minacce in opportunità.

Il cambiamento organizzativo è ormai una necessità e un elemento cardine che si pone alla base dei processi strategici e organizzativi ai fini della sopravvivenza nei contesti di riferimento.

Il cambiamento organizzativo piuttosto che la stabilità, è oggi la norma. Mentre un tempo il cambiamento si verificava in maniera incrementale e sporadica, oggi esso è sostanziale e costante.39Le organizzazioni, infatti, fondano la loro stessa ragione di esistere nella capacità di trasformarsi, di adeguarsi continuamente per seguire e anticipare l’evoluzione del mercato e della società.

Il cambiamento organizzativo è un fenomeno evolutivo derivante dalla combinazione di forze eterogenee che derivano dal contesto ambientale e quello organizzativo interno. È per questo che il cambiamento è un processo continuo di ridefinizione dei confini aziendali, degli ambiti relazionali, nonché processo di regolazione dei meccanismi di apprendimento, di creazione e di manovra di sistemi simbolici, culturali, di tutti quei meccanismi organizzativi che evidenziano i processi di articolazione ed evoluzione delle conoscenze. 40

Strettamente collegato con la definizione di cambiamento organizzativo è il concetto di innovazione. Un’organizzazione innovativa, che sta al passo con i cambiamenti ambientali, che riesce a gestire le novità provenienti da un ambiente dinamico, è quella che riesce a rimettere in discussione più facilmente e con più

37 GIANNINI M., Aspetti evolutivi nella progettazione delle soluzioni organizzative, Giappichelli, Torino, 2014

38 GIANNINI M., Aspetti evolutivi nella progettazione delle soluzioni organizzative, Giappichelli, Torino, 2014

39 DAFT. L.R., Organizzazione aziendale, Apogeo, Milano, 2007

40 GIANNINI M., Aspetti evolutivi nella progettazione delle soluzioni organizzative, Giappichelli, Torino, 2014

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frequenza il proprio modello organizzativo. L’azienda che invece nonostante gli input dall’ambiente esterno tende ad ignorare le pressioni al cambiamento e rimane ancorata alle proprie abitudini, si ritroverà inevitabilmente costretta a far fronte a tutti questi fattori, poiché diventerà una ragione di sopravvivenza nel contesto competitivo stesso.

1.4 Le dimensioni di cambiamento

Per riuscire a capire come gestire al meglio il processo di cambiamento organizzativo e per tentare di creare le condizioni necessarie affinché si realizzi il cambiamento è nato l’approccio del Change Management. Questo approccio comprende l’insieme dei processi di cambiamento riguardanti le persone, la cultura, le struttura e le tecnologie, necessari per il raggiungimento dell’assetto organizzativo desiderato.

Consiglio41individua quattro principalidimensioni pone alla base del processo di cambiamento e che quindi semplificano l’approccio del Change Management. Le quattro dimensioni del cambiamento individuate sono:

• L’oggetto del cambiamento • Il contenuto del cambiamento • Il contesto del cambiamento • Il processo di cambiamento

1.4.1 L’oggetto del cambiamento

La prima dimensione, l’oggetto del cambiamento, risponde alla domanda “cosa cambia?”. I processi di cambiamento possono avere una pluralità di entità; quelle a cui faremo riferimento in questa analisi sono l’individuo, il gruppo, l’azienda e il network.

41 CONSIGLIO S., Il cambiamento organizzativo, in MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto

e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000. Il presente paragrafo e i relativi sotto

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29

Il primo livello oggetto di cambiamento è quello più elementare, ovvero il singolo individuo operante all’interno dell’organizzazione. Può essere qualsiasi persona che svolge un’attività all’interno dell’azienda, come per esempio l’operario del reparto di manutenzione, l’impiegato amministrativo o anche un qualsiasi manager responsabile di una qualsiasi funzione. Sono proprio questi singoli individui, che portatori del proprio carattere e dei propri comportamenti, svolgono il ruolo di forza, di spinta o anche di resistenza, di fronte ad un possibile cambiamento.

Il secondo livello di analisi è rappresentato dal gruppo. In questo caso il punto di osservazione del processo di cambiamento è quello di una funzione aziendale, come la funzione di marketing, la funzione R&S, o un reparto, un comitato, un project team.

Il terzo livello di analisi è l’azienda nel suo complesso e tutti gli attori che caratterizzano il suo assetto organizzativo.

Infine, l’ultimo oggetto del cambiamento può essere il network, dove le aziende che lo costituiscono sono gli attori che lo compongono.

L’identificazione di questi livelli di analisi non ci serve però per circoscrivere la dinamica del cambiamento, ma soltanto per fissare il nostro punto di osservazione e capire qual è la prospettiva da cui partire per comprendere al meglio il processo di cambiamento, senza però perdere le interdipendenze che si creano tra i diversi livelli di analisi. È infatti essenziale cercare di individuare e capire le influenze e i legami che si manifestano tra un livello di analisi e l’altro. In particolare, come si evince dalla figura n.3, l’autore Consiglio individua due tipi (due direzioni del cambiamento) di cambiamento: un cambiamento a “cascata” e un cambiamento a “macchia d’olio”.

Il cambiamento a "cascata" nasce da un livello di analisi superiore generando, conseguentemente, delle ripercussioni sui livelli di analisi inferiori. Per esempio, un cambiamento a livello di network genererà delle modifiche sulle aziende che vi fanno parte, trasformando le strategie, gli assetti delle singole funzioni, fino a creare delle ripercussioni sugli stessi individui che vi operano all’interno.

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30

Viceversa, il cambiamento a "macchia d'olio" è quel cambiamento che nato da livelli più elementari si ripercuote, inevitabilmente, sui livelli di analisi superiori. Per esempio, cambiamenti individuali, come l’ingresso in azienda di un nuovo dirigente, o anche cambiamenti a livello di gruppo, come l’introduzione di un nuovo sistema informatico, si ripercuotono sui livelli più alti, provocando delle modificazioni, prima a livello di azienda e in seguito a livello di network.

Figura 3 I livelli di cambiamento

Fonte: MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione, assetto e relazioni nel sistema di business,

Giappichelli, p.349

Ogni livello di analisi, quindi, è strettamente connesso agli altri ed il cambiamento di uno provoca degli effetti sugli altri, riflettendosi sia sulla dimensione intra-organizzativa sia su quella inter-organizzativa.

Il primo passaggio quindi da compiere quando si inizia a parlare di processo di cambiamento è quello di fissare prima l’oggetto del cambiamento, capire contemporaneamente quali possono essere i potenziali legami che emergono tra i diversi livelli e infine capire ciò che avviene in tutti i livelli di cambiamento.

Cambiamento a "macchia d'olio" Cambiamento a "cascata" Network Aziende Gruppi Individuo

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31

1.4.2. Il contenuto del cambiamento

Dopo aver risposto alla domanda del “cosa cambia”, dobbiamo adesso porci la domanda “quanto cambia?”. La seconda dimensione che caratterizza i processi di cambiamento è data appunto dal contenuto del cambiamento, cioè il grado di impatto del cambiamento in azienda e le modalità mediante le quali si manifesta.42

Si possono infatti verificare mutamenti che hanno luogo all’interno del sistema che regola il funzionamento dell’organizzazione, oppure cambiamenti che invece coinvolgono e trasformano le caratteristiche fondamentali dell’attore organizzativo. L’analisi del contenuto deve infatti considerare l’estensione del cambiamento e cioè se i mutamenti hanno un impatto esclusivamente sulla dimensione intra-organizzativa o anche su quella inter-organizzativa.

In tale ottica è possibile distinguere due tipologie di cambiamento: cambiamento incrementale e cambiamento radicale.

Il cambiamento incrementale, come si evince dalla figura n. 4, rappresenta una serie continua di progressi che mantengono l’equilibrio generale dell’organizzazione e spesso ne influenzano soltanto una parte.43 Ad esempio un cambiamento incrementale può essere la creazione di un team di vendita all’interno della funzione di marketing.

42 GIANNINI M., Aspetti evolutivi nella progettazione delle soluzioni organizzative, Giappichelli, Torino, 2014

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Figura 4: Cambiamento incrementale e cambiamento incrementale

Fonte: Rielaborazione personale tratta da DAFT L.R., Organizzazione aziendale, pp. 374

La portata della trasformazione derivante da un cambiamento incrementale avviene a livello intra-organizzativo, infatti la portata del cambiamento è meno rilevante rispetto ad un cambiamento radicale.

Il cambiamento incrementale è caratterizzato da un processo continuo ma graduale, in cui non sono previsti mutamenti drastici. È un tipo di cambiamento finalizzato ad un continuo tentativo di migliorare, adattare le soluzioni per adeguarsi ai cambiamenti che si verificano nell’ambiente. 44

All’interno di questa macro-categoria dei cambiamenti incrementali è possibile distinguere tra cambiamenti di adattamento e cambiamenti inerziali. 45

I cambiamenti di adattamento sono cambiamenti che intervengono sulle procedure, sulle strutture e sulle persone in conseguenza a cambiamenti avvenuti nel contesto esterno. Tali cambiamenti agiscono solo su alcuni aspetti del singolo individuo,lasciando intatti i suoi schemi di comportamento.

44 GIANNINI M., Aspetti evolutivi nella progettazione delle soluzioni organizzative, Giappichelli, Torino, 2014

45 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

Cambiamento incrementale

progresso continuo

influenza una parte dell'organizzazione

Attraverso struttura e processi di gestione tradizionali

migliormaenti tecnologici

migliormaneti di prodotto/servizio

Cambimanento radicale

rottura con paradigmi precedenti

trasforma l'interna organizzazione

crea una nuova struttura interna e nuove modalità di gestione

tecnologia rivoluzionaria

nuovi prodotti/servizi, nuovi mercti

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33

I cambiamenti inerziali, invece, non toccano in alcun modo il sistema di regole consolidato dagli individui, ma consistono in azioni di piccola portata che possono assumere carattere di routine, e essere il frutto degli automatismi interni dell’attore o di procedure prestabilite.

L’altra tipologia di cambiamento è il cambiamento radicale, che consiste nella rottura con il modello di riferimento dell’organizzazione, trasformandola nella sua interezza. Si tratta di un processo che porta l’organizzazione a rivedere in modo drastico le proprie modalità di funzionamento operativo. L’obiettivo in questo caso è conseguire più rapidamente possibile nuovi modi per raggiungere l’efficacia, l’efficienza e l’eccellenza. 46 Questo tipo di cambiamento comporta una vera e propria trasformazione dell'intera organizzazione poiché ne viene modificato il ruolo all’interno del suo contesto lavorativo. Vengono messe in discussioni le relazioni con i clienti, con i concorrenti, con i partner, con i fornitori, con la proprietà, con i collaboratori. Tale tipo di cambiamento può portare ad una rivisitazione della struttura profonda di un’azienda, andando a trasformare e modificare la cultura, la mission, la vision, gli obiettivi, il posizionamento e più in generale l’impostazione strategica di fondo.

Anche tra i cambiamenti radicali è possibile individuare due micro-categorie di cambiamento, quello proattivo e quello di reazione.

Il cambiamento proattivo consiste in un processo di mutamento dell’attore organizzativo causato da spinte interne all’attore stesso. All’interno del network, dell’azienda, del gruppo o dell’individuo stesso si manifesta il bisogno di rinnovare profondamente la propria identità.

Il cambiamento di reazione, invece, è un processo di cambiamento imposto all’attore dall’ambiente in cui agisce. La reazione si rende necessaria per mantenere in vita l’attore che, a causa del modificarsi del contesto ambientale, vede indebolita la sua capacità di raccolta di risorse ed in particolar modo, è

46 GIANNINI M., Aspetti evolutivi nella progettazione delle soluzioni organizzative, Giappichelli, Torino, 2014

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necessaria per allineare il sistema che regola il funzionamento dell’attore stesso con il muovo ambiente esterno. 47

1.4.3 Il contesto del cambiamento48

La terza dimensione per comprendere il processo di cambiamento organizzativo è l’analisi del contesto di cambiamento; andiamo infatti a comprendere quali sono i fattori del contesto in cui opera l’azienda che condizionano tale processo. Quando parliamo del contesto del cambiamento facciamo riferimento ai fattori che da un lato incentivano il cambiamento e, dall’altro a quei fattori che lo ostacolano. Solo analizzando e comprendendo tali aspetti saremo in grado di gestire e governare la direzione del cambiamento.

In campo manageriale per effettuare l’analisi del contesto del cambiamento facciamo riferimento al contesto interno, al contesto esterno e alle relative forze e resistenze provenienti da essi.

L’analisi del contesto interno consiste nell’individuazione e nella valutazione delle caratteristiche tipiche dell’oggetto del cambiamento, ovvero l’individuo, il gruppo, l’azienda o il network. Sono molte le caratteristiche su cui porre l’attenzione per capire, in che modo e con che intensità, quest’ultime condizionano il percorso di cambiamento. Esse, talvolta, possono essere anche impercettibili ma con una forte valenza, basti pensare, ad esempio, all’insoddisfazione di molti collaboratori, che può manifestarsi come scarsa produttività o causa di conflitti.

I fattori interni possono riguardare: la struttura interna dell’oggetto, come l’età, la dimensione, la tecnologia; la dimensione organizzativa, intesa come il grado di specializzazione, i meccanismi di integrazione, il sistema informativo, le procedure; la cultura organizzativa e, infine, la dimensione politica, intesa come

47 MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

48MERCURIO R., TESTA F., Organizzazione assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

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quel sistema di influenza finalizzato al raggiungimento di interessi particolari di alcuni attori all’interno dell’organizzazione.

L’analisi del contesto esterno è un aspetto altrettanto importante per individuare i motivi che spingono gli attori a perseguire un processo di cambiamento.

Per effettuare questa analisi si fa ricorso alla distinzione di due fattori, quelli micro-ambientali e quelli macro-ambientali. Ovviamente tale distinzione non è assoluta, ma relativa all’attore del cambiamento a cui l’analisi è rivolta.

I fattori micro-ambientali sono relativi all’individuo e al gruppo e fanno parte di quel contesto più a contatto con l’attore organizzativo.

I fattori macro-aziendali fanno riferimento a quegli elementi che più indirettamente condizionano i processi di mutamento dell’azienda e del network. Sono infatti i fattori che si manifestano sui piani più distanti dall’azienda, a livello di sistema di business. È dall’evoluzione del macroambiente che provengono forti spinte al cambiamento e la velocità con cui si manifesta tale evoluzione rende particolarmente difficile per gli attori organizzativi il fatto di dover adattare la propria forma con le nuove condizioni esterne.

La globalizzazione dei sistemi economici, la progressiva decentralizzazione delle strutture statali, il cambiamento dei ruoli chiave all’interno delle organizzazioni, l’aumento della sensibilità delle esigenze del consumatore, l’importanza sempre più forte delle tematiche ambientali, le associazioni che tutelano i diritti dei consumatori, l’elevato tasso di disoccupazione, l’innovazione tecnologica, l’Information Technology, sono solo elementi del macro ambiente che comportano grossi sconvolgimenti per i contesti aziendali, che si ritrovano a dover mettere in discussione le scelte prese in passato, trovandosi di fronte a nuovi scenari competitivi, che, inevitabilmente, ai fini della sopravvivenza, comportano un cambiamento organizzativo.

L’analisi dell’ambiente interno ed esterno sono un passaggio molto importante ai fini dell’implementazione di un processo di cambiamento, in quanto permettono di individuare quali sono le origini delle spinte al cambiamento, di identificare le resistenze che vi si frappongono, accentuando l’attenzione verso situazioni

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interne o esterne all’organizzazione utili al raggiungimento dei nuovi obiettivi organizzativi.

Le spinte al cambiamento rappresentano il motore e la causa che spinge il management a individuare un progetto di cambiamento. Le spinte al cambiamento possono essere di tre tipologie: esogene, endogene e politiche. Le spinte al cambiamento di natura esogena rappresentano le pressioni al cambiamento che provengono dal contesto ambientale esterno, e generano negli attori organizzativi la necessità di modificare l’assetto organizzativo al fine di ritrovare un equilibrio con il nuovo contesto ambientale.

Le spinte al cambiamento di natura endogena sono causate da logiche e programmi che si sono creati all’interno dell’organizzazione stessa.

Infine, le spinte al cambiamento di natura politica, anch’esse provenienti dall’interno dell’organizzazione, derivano dall’opportunità scovata da uno o più attori organizzativi di ampliare la propria sfera di influenza.

Un’analisi di queste fonti del cambiamento è indispensabile per individuare la natura del percorso di trasformazione che vogliamo intraprendere e per sfruttare al meglio le risorse aziendali al fine di raggiungere gli obiettivi pianificati.

Un altro aspetto importante dell’analisi dell’ambiente è l’individuazione delle resistenze al cambiamento. Inevitabilmente, in un’organizzazione, di fronte ad un progetto di cambiamento, nascono resistenze che ostacolano la trasformazione. Le fonti di tali resistenze, analogamente alle spinte al cambiamento, possono avere natura esogena, endogena e politica.

Le fonti di resistenza esogene sono rappresentate dai vincoli legislativi, sociali, politici, ambientali e etici che si manifestano all’interno del contesto esterno. Le fonti di resistenza endogene si sviluppano all’interno dell’attore e hanno una natura strutturale e individuale. Ne sono un esempio le strutture e i comportamenti burocratici, la formalizzazione e una forte cultura aziendale. Le fonti di resistenza politiche, infine, fanno riferimento alle tendenze di evitare che le trasformazioni si realizzino, per la paura di perdere il potere conquistato. Le resistenze non hanno però sempre una valenza negativa e di ostacolo al cambiamento; non sempre chi promuove il cambiamento ha la verità in tasca.

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