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Il divieto di trattamenti inumani e degradanti quale limite al mandato di arresto europeo.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

Il divieto di trattamenti inumani e degradanti quale limite al

mandato di arresto europeo

Il Candidato

Il Relatore

Gioele Iacobellis

C.mo Prof. Simone Marinai

Il Correlatore

C.mo Prof. Marcello Calamia

(2)
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I

INDICE

INTRODUZIONE………

p.V

CAPITOLO I

I caratteri e i fondamenti del mandato di arresto europeo

1. La transizione dall’estradizione al mandato di arresto

europeo……….p.1

1.1 La Convenzione europea sull’estradizione……….p.3

1. 2 La genesi del mandato di arresto europeo……..p.8

1.3 Il contesto in cui si è affermata l’esigenza di

introdurre il mandato di arresto europeo………p.13

2. La disciplina del mandato di arresto europeo………p.17

2.1 Le procedure di consegna, attiva e passiva……p.20

2.2 Il principio di reciproco riconoscimento come

principio cardine nel mandato di arresto……….p.24

2.3 I limiti al principio di reciproco riconoscimento

p.27

2.4 L’esigenza di bilanciamento tra il principio di

reciproco riconoscimento, la fiducia reciproca e la

tutela dei diritti umani………..p.32

3 Alcune considerazioni riepilogative………p.37

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II

CAPITOLO II

La sentenza Aranyosi e Caldararu: uno scatto verso

l’effettiva tutela dei diritti fondamentali.

1. Il Mandato di arresto europeo e diritti fondamentali: un

rapporto fin da subito problematico……….p.40

2. La Corte di giustizia e il sottile equilibrio fra fiducia

reciproca e protezione dei diritti umani………..p.46

3. Il punto di svolta: la sentenza Aranyosi e Caldararu…p.51

3.1

Le conclusioni dell’avvocato generale………p.56

3.2

La soluzione della Corte di giustizia…………..p.67

3.3

I profili irrisolti della sentenza della Corte di

giustizia……….p.73

4. Considerazioni finali………..p.78

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III

CAPITOLO III

I più recenti sviluppi giurisprudenziali che danno

attuazione al divieto di trattamenti inumani e degradanti

nei confronti del destinatario del mandato di arresto

europeo.

1. La sentenza Aranyosi e Caldararu come linea guida…p.82

2. Le carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di

detenzione……….p.86

2.1 Un approfondimento sul principio personalistico della

pena nel caso ML………..p.86

2.2 Le condizioni di detenzione sotto il profilo dei diritti

fondamentali: il caso Dorobantu………p.93

2.3 Un abuso del rifiuto di consegna a fronte del rischio

di trattamenti inumani e degradanti: il caso Romeo

Castaño c. Belgio………p.103

3. Il rapporto fra Brexit, mandato di arresto europeo e

tutela dei diritti fondamentali………..p.108

3.1 Una breve introduzione del contesto………..p.108

3.2 I dubbi dell’Alta Corte irlandese in riferimento alla

tutela dei diritti fondamentali………..p.111

3.3 La soluzione della Corte al caso RO: l’esigenza di

rispettare i diritti fondamentali anche dopo il recesso

del Regno Uni dall’Unione europea………..p.113

3.4 Un futuro ancora tutto da definire………p.116

(6)

IV

CONCLUSIONI………..

p.121

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V

INTRODUZIONE

L’oggetto centrale di questo elaborato è il mandato di arresto europeo, introdotto con la decisione quadro 2002/584/GAI e attuato in Italia con l. 69/2005, e la giurisprudenza europea che negli ultimi anni, in numerose occasioni, ha volto la sua attenzione alla tutela dei diritti umani (ex art.1 paragrafo 3 della stessa decisione quadro), in special modo al divieto di trattamenti inumani e degradanti verso il soggetto destinatario del mandato di arresto.

L’argomento ha suscitato in me molto interesse fin dai primi anni di Giurisprudenza, e mi sono appassionato dapprima con la frequentazione dei corsi di diritto dell’Unione europea e di diritto internazionale, durante i quali ho avuto un primo assaggio di studio del diritto con raggio comunitario e globale, specie in materia della tutela dei diritti umani; in seguito poi il mio coinvolgimento è stato rinnovato durante il corso di procedura penale, durante il quale invece ho sviluppato una maggior cognizione della parte del diritto volta a disciplinare più o meno complessi meccanismi diretti a garantire che la norma sostanziale sia attuata. A questo interessamento di base, si è aggiunta poi la crescente presenza nei giornali quotidiani, sia cartacei sia televisivi, di notizie riguardanti operazioni internazionali e non di catture, arresti, che hanno segnato il raggiungimento di obbiettivi fissati da lunga data e di rilievo che, nel mio immaginario, hanno contribuito a trasmettere un’idea di un mondo più sicuro dove le forze di polizia e le autorità giudiziarie sono profondamente interconnesse fra di loro per garantire la giustizia. Uno di questi casi di cooperazione e collaborazione è rappresentato per me dall’arresto e l’estradizione in Italia di Cesare Battisti, dopo trentasette anni di latitanza nel mondo, tra Europa e America latina in prevalenza.

L’istituto del mandato di arresto europeo fu introdotto ad inizi anni 2000 dopo che una serie di eventi storici, tra cui l’attentato alle Torri Gemelle, avevano messo in evidenza la necessità di una collaborazione sul piano

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VI processual-penalistico che andasse oltre i confini nazionali. In contesto europeo, tale bisogno era stato concepito e parzialmente espresso a partire dal Trattato di Maastricht, firmato nel 1992, laddove, nell’elaborazione dei cd Tre Pilastri, al terzo di questi fu definita la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, volta alla costruzione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, in cui vi fosse collaborazione contro la criminalità a livello sovranazionale. Si dovette aspettare il 2002 prima di arrivare all’introduzione di un istituto concreto che agevolasse la cooperazione giudiziaria e di polizia tra gli Stati membri dell’Unione europea. Dopo diciassette anni dalla sua introduzione, la disciplina del mandato di arresto è ancora fondata sulla decisione quadro 2002/584/GAI, alla quale sono state apportate modifiche superficiali o precisazioni tramite alcune fonti normative, tra cui la decisione quadro 2009/299/GAI. Alla scarsa, e ormai necessitante di aggiornamenti, disciplina normativa ha contribuito enormemente la produzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e della Corte di Lussemburgo, le quali hanno mosso importantissimi passi in avanti per quanto concerne una tutela effettiva dei diritti dell’uomo. Ruolo centrale all’interno di questo sviluppo giurisprudenziale è stato assunto indubbiamente dalla sentenza della Corte di giustizia, Aranyosi e Caldararu del 2016, che ha riacceso la discussione sulla necessità di un intervento normativo da parte del legislatore europeo sul meccanismo del mandato di arresto europeo, con riguardo sia al controllo del principio di proporzionalità sia alla previsione di un motivo di rifiuto collegato alla violazione dei diritti fondamentali. Da essa, infatti, ha fatto seguito nell’immediatezza un filone giurisprudenziale, talvolta della Corte di Lussemburgo talvolta della Corte di Strasburgo, che, nell’intento di garantire una tutela efficacia dei diritti fondamentali, ha posto molta attenzione al trattamento subito dai soggetti sottoposti al mandato di arresto nelle carceri dei vari Stati membri. L’obbiettivo assunto è stato proprio quello di combattere le carenze sistemiche o generalizzare nelle condizioni di detenzione, e garantire in tutte le carceri europee delle condizioni minime tali da escludere il rischio di trattamenti inumani e

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VII degradanti. Da ultimo, sempre in riferimento a queste problematiche, viene fatto un cenno riguardo la situazione, ancora in itinere, legata alla domanda di recesso del Regno Unito dall’Unione europea, il rapporto fra Brexit e il mandato di arresto e la tutela dei diritti fondamentali.

Per tal motivi, in questo elaborato si tenta di delineare i più recenti sviluppi giurisprudenziali in materia di mandato di arresto europeo e tutela dei diritti umani, concentrando l’attenzione sul divieto di trattamenti inumani e degradanti verso il soggetto sottoposto al mandato. Infine, viene posto l’accento sul bisogno di aggiornamento della disciplina del mandato di arresto europea, ormai sempre più affidato alle pronunce dei giudici delle Corti europee piuttosto che a fonti normative.

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1

CAPITOLO I

I caratteri e i fondamenti del mandato di

arresto

1. La transizione dall’estradizione al mandato di arresto europeo; 1.1 La Convenzione europea sull’estradizione; 1. 2 La genesi del mandato di arresto europeo; 1.3 Il contesto in cui si è affermata l’esigenza di introdurre il mandato di arresto europeo; - 2. La disciplina del mandato di arresto europeo; 2.1 Le procedure di consegna, attiva e passiva; 2.2 Il principio di reciproco riconoscimento come principio cardine nel mandato di arresto; 2.3 I limiti al principio di reciproco riconoscimento; 2.4 L’esigenza di bilanciamento tra il principio di reciproco riconoscimento, la fiducia reciproca e la tutela dei diritti umani; - 3 Alcune considerazioni riepilogative.

1. La transizione dall’estradizione al mandato di

arresto europeo

Nel processo di modernizzazione ed evoluzione degli organismi e degli istituti europei, si inserisce un ambito di particolare rilevanza a riguardo del quale molto è stato fatto ma molto altro deve essere ancora fatto: la cooperazione di polizia e giudiziaria in ambito penale.

Gli istituti dell’estradizione e del mandato di arresto europeo si calano all’interno del programma di attuazione e attualizzazione di uno dei pilastri dell’Unione Europea, così come previsti inizialmente nel 1992 dal Trattato di Maastricht e poi successivamente rivisti in occasione del

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Trattati di Amsterdam. Il pilastro in questione è il terzo, quello relativo alla materia di cooperazione giudiziaria e di polizia in ambito penale. Il Trattato di Maastricht è stato senza dubbio lo snodo fondamentale nel processo storico di affermazione di una disciplina europea relativa alla cooperazione di polizia e giudiziaria. Molte furono le convenzioni, i trattati, gli atti a riguardo ma solo il Trattato di Maastricht riuscì a porre fine alla frammentazione di gruppi ed organismi di concertazione che aveva caratterizzato il passato. Se con il Trattato di Maastricht affiora, quindi, per la prima volta l’idea di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, le modalità operative scelte confermano però ancora una volta l’ottica campanilistica degli Stati membri, tenaci nel mantenere in pugno le chiavi della propria sovranità. Ne viene fuori “un sistema ibrido in cui il metodo intergovernativo coabita con le istituzioni comunitarie, cui sono attribuite competenze più o meno estese”1.

La struttura a pilastri delineata dal Trattato di Maastricht è stata in seguito superata quando, nel 2009, è entrato in vigore definitivamente il Trattato di Lisbona che, ad ogni modo, ha continuato a prevedere una disciplina particolare per la co-operazione giudiziaria in materia penale. È nel perseguimento di tali finalità che si viene ad inserire l’istituto dell’estradizione, regolamentata sia pur per principi generali con la Convenzione europea sull’estradizione del 13 dicembre 1957, e poi sostituita, tra gli Stati membri dell’Unione, dall’istituto del mandato di arresto europeo introdotto con una decisione quadro 2002/584/GAI del

1 M. L. Tufano La cooperazione giudiziaria penale e gli sviluppi del “terzo pilastro” del

Trattato sull’Unione Europea, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo 2001, p.1029

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Consiglio del 13 giugno 2002. Entrambi gli istituti hanno avuto nel corso della loro esistenza modifiche od integrazioni che verranno qui trattate in maniera sintetica, visto che l’obbiettivo principale del presente elaborato è quello di analizzare i più recenti sviluppi giurisprudenziali intervenute relativamente al mandato di arresto europeo.

1.1 La Convenzione europea sull’estradizione

Già dagli albori della Comunità Europea, l’estradizione si presenta un tipico strumento di cooperazione internazionale per la repressione dei crimini. Un parere illustre che faceva trasparire una posizione favorevole era già stato espresso da Cesare Beccaria nella sua opera “Dei delitti e delle pene”, nella quale affermava che la persuasione di non trovare all’impiego di tale strumento un lembo di terra che perdona ai veri delitti sarebbe un mezzo efficacissimo a prevenirli.

L’estradizione viene definita dall'art. 697.1 c.p.p., come l'atto con il quale lo Stato in cui si trova un determinato individuo consegna quest'ultimo ad un altro Stato che ne abbia fatto richiesta per l'esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva o di un altro provvedimento restrittivo della libertà personale, salvo che lo Stato a cui si richiede non abbia già dato inizio all’esecuzione del provvedimento giudiziario. Potremmo riassumere il tutto secondo quanto affermava Grozio in un passo di un suo libro: aut dedere aut punire. Lo Stato nel cui territorio si sia rifugiato un soggetto reo di taluni gravi crimini deve o estradarlo o punirlo.

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In verità la cooperazione tra gli Stati nei settori di polizia, giudiziario, dell’immigrazione e del diritto d’asilo affonda le proprie origini nell’attività intrapresa dal Consiglio d’Europa, che ha svolto un ruolo motore in materia, e da alcuni Stati membri, che, già tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, conclusero alcuni accordi bilaterali in materia.2 Si

parte dalla convinzione che l’accettazione di regole uniformi in materia di estradizione, possa portare alla progressione di questa opera di unificazione.

Ad ogni modo, l’estradizione è uno strumento conforme alla tradizionale concezione dualista dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale, ed alla correlativa attribuzione agli Stati del compito di trovare strumenti, bilaterali o multilaterali, di cooperazione per la repressione dei delitti.

Come accennato prima, i rapporti tra due o più Stati coinvolti in una procedura di estradizione furono inizialmente regolati dalla Convenzione europea sull’estradizione del 1957 ai sensi della quale:

a) gli Stati Contraenti erano obbligati a estradare reciprocamente gli individui perseguiti per un reato o ricercati per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza dalle autorità giudiziarie dello Stato richiedente. Questa è l’enunciazione del principio del ne bis in idem per cui la regola era che lo Stato richiedente e lui soltanto si occupasse di tenere un processo nei confronti dell’estradato.

2 M. L. Tufano La cooperazione giudiziaria penale e gli sviluppi del “terzo pilastro” del

Trattato sull’Unione Europea, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo 2001, p.1029

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b) entrambi i Paesi devono ritenere il comportamento messo in atto dall’individuo come un reato previsto dal loro ordinamento giudiziario. Questa è l’enunciazione del principio di doppia incriminazione.

c) i reati politici e i reati militari sono esclusi dall’applicazione della Convenzione.

d) L’individuo che sarà stato consegnato non sarà né perseguito né giudicato né detenuto in vista dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza né sottoposto ad altre restrizioni della sua libertà personale per un fatto qualsiasi anteriore alla consegna che non sia quello avente motivato l’estradizione» salvo il caso il cui lo stesso vi consenta. Questa è l’enunciazione del principio di specialità.

Da questi primi aspetti emerge come nella procedura tradizionale di estradizione fosse implicito un profilo “politico”, la natura politica dello Stato si riflette sulla natura politica delle relazioni internazionali e permea anche l’istituto dell’estradizione.

In materia di estradizione, la Costituzione italiana del 1948 aveva già posto tre princìpi fondamentali il cui valore e ratio si riflette ancora adesso nella nuova normativa sul mandato di arresto europeo:

1 Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici (art. 10, quarto comma).

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2 L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali (art. 26, primo comma).

La giurisprudenza considera comunque l’estradabilità del cittadino la regola e il divieto l’eccezione, nel senso che deve esistere comunque una convenzione, che stabilisca la reciprocità dell’estradizione, e che quest’ultima possa essere concessa per tutti i reati, per i quali le convenzioni non facciano espresso divieto. Inoltre, ha individuato la base attuale dell’estradizione “nella necessità della cooperazione internazionale per la repressione dei reati, che trova la sua migliore realizzazione nel favorire l’assoggettamento del reo alla giurisdizione penale dello Stato che ha maggiore interesse ad esercitarla”.3

3 È radicalmente vietata l’estradizione del cittadino per reati politici (art. 26, secondo comma)

La Convenzione europea sull’estradizione si inserisce quindi nell’ordinamento giuridico italiano sulla base di questi limiti e parametri previsti dalla Costituzione, e disciplina l’istituto introducendo principi alcuni dei quali possiamo ritrovare ancora nella decisione quadro sul mandato di arresto:

e) principio di specialità,

f) principio della doppia incriminazione g) principio del ne bis in idem.

3 Cass. pen., 18 gennaio 1978, n. 152, e più recentemente, negli stessi termini, Cass. pen., 17 agosto 1989, n. 837.

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Se il Trattato di Maastricht è stato senza dubbio lo snodo fondamentale nel processo storico di affermazione di una disciplina dell’Unione europea in materia di cooperazione penale, la Convenzione europea di estradizione può essere definita a ragione come “il primo vero tentativo di regolare la materia fra gli Stati europei a mezzo di un accordo che ne toccasse tutti gli aspetti”4. La Convenzione rappresenta il primo grande

sforzo compiuto sul territorio europeo di superare lo scetticismo reciproco dovuto al principio di sovranità. Può essere considerato un tentativo andato a buon fine che ha posto le basi per un percorso indirizzato nella prospettiva dell’intergovernatività. Infatti, di fronte alla grande diversità dei Trattati bilaterali o plurilaterali che erano stato conclusi fino a quel momento da parte dei singoli Stati, la Convenzione europea gettava fondamenta importanti per la costruzione di un sistema giuridico di collaborazione internazionale suscettibile di condurre, attraverso l’enunciazione di principi comuni, ad una certa uniformità di trattamento, anche di carattere giurisdizionale, quanto meno nel limitato campo dell’estradizione.5

4 Antonio Tizzano, La convenzione europea di estradizione, in Annuario di diritto

internazionale, 1965, 205 ss.

5 Giulio Catelani, I rapporti internazionali in materia penale: estradizione, rogatorie,

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1.2 La genesi del mandato di arresto europeo

Successivamente la Convenzione ha subito delle modifiche intervenute per meglio definire alcune questioni particolarmente complesse, per chiarire aspetti lasciati inizialmente più aperti, con lo scopo di mantenere attuali le regole della Convenzione. Tra queste ne ricordiamo alcune intervenute tramite la stipulazione di due Protocolli addizionali, di cui uno aperto alla firma il 15 ottobre 1975 e l’altro adottato invece nel 1978. In particolare, questi due Protocolli Addizionali si occupano di precisare il significato dell’espressione “reato politico” di cui all’art. 3 e di chiarire il campo di applicazione del principio del ne bis in idem. Per quanto riguarda ciò che ci interessa, la tutela dei diritti dell’uomo, si fanno passi in avanti poiché i Protocolli vengono ad occuparsi della problematica relativa ai giudizi ed alle sentenze contumaciali, introducendo nel testo convenzionale una procedura specifica. In particolare, si attribuisce alla parte richiesta la possibilità di rifiutare l’estradizione qualora la procedura del giudizio non abbia rispettato i diritti di difesa riconosciuti ad ogni persona accusata di un reato, a meno che la parte richiedente dia assicurazioni, giudicate soddisfacenti, per garantire all’interessato il diritto ad un nuovo giudizio che salvaguardi i diritti della difesa.

I due Protocolli vennero recepiti solo da alcuni dei Paesi dell’Unione e fu anche per questo che si fece pressante l’esigenza che le regole adottate in materia di estradizione venissero ampliate e modificate. Si inseriscono in questo momento gli Accordi di Schengen del 1985 e del 1990, inizialmente ratificati solamente da Francia, Germania e i Paesi del Benelux ed entrati poi in vigore anche in Italia dal 1998. Introdotti per

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consentire la soppressione dei controlli alle frontiere interne, questi accordi furono poi seguiti da altre convenzioni “compensative” volte a riequilibrare lo sbilanciamento del livello di sicurezza occorso in seguito all’apertura delle frontiere. Tra queste convenzioni rientrano numerose disposizioni in materia di cooperazione tra le forze di polizia e di assistenza giudiziaria in materia penale, alcune delle quali prevedono un procedimento di estradizione più semplice e più rapido, mentre altre prevedono un rafforzamento della cooperazione tra le forze di polizia. Ovviamente il tutto relativamente ai soli Stati europei contraenti. Tra le novità più importanti introdotte dagli Accordi in questione, bisogna senza dubbio rilevare l’introduzione del S.I.S, il sistema di informazione di Schengen, che è un sistema informatizzato composto da un’unità centrale con sede a Strasburgo (C-S.I.S.) e da sezioni nazionali (N-S.I.S.) in ciascuno Stato parte, affiancate da Uffici detti S.I.RE.N.E. (acronimo per

Supplemetary Information Request at National Entry ) che si occupano di

mettere in collegamento le autorità dei diversi Stati per acquisire le informazioni necessarie supplementari non disponibili nella base informativa delle N-S.I.S. . Schengen rappresentò un punto di svolta e allo stesso tempo un punto di non ritorno: da una parte l’apertura delle frontiere interne e la libera circolazione di merci, persone e capitali ha segnato un cambiamento epocale nella costruzione della struttura politica e giuridica dell’Unione, dall’altra parte si constatava come le procedure di consegna dei soggetti tra Stati membri a fini di estradizione restassero consegnate a strumenti quasi cinquantenari.

Infatti, nonostante le novità introdotte dagli Accordi di Schengen, esclusi pochi aspetti della materia di estradizione, rimane per il resto la disciplina lenta e corpulenta prevista dalla Convenzione del 1957. Più passano gli

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anni e più si constata il fatto che questa Convenzione appare sempre più come uno strumento ormai obsoleto della cooperazione giudiziaria penale poiché la fiducia reciproca tra gli Stati risulta ancora non pienamente realizzata. Nel processo di affermazione definitiva del principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra gli Stati che sarà introdotto dalla legge quadro 2002/584/GAI, due piccoli passi in avanti sono mossi da due convenzioni: la Convenzione di Bruxelles 1995 e la Convenzione di Dublino 1996. Esse confermano i cardini tipici relativi allo sviluppo convenzionale della cooperazione penale, fondati sull’idea della reciproca fiducia accordata dagli Stati alle “strutture ed al funzionamento dei rispettivi sistemi giudiziari” ed alle “capacità di tutti gli Stati membri di garantire un processo equo”. Tuttavia anche di queste Convenzioni è stata fatta rilevare la parziale efficacia: infatti ad oggi solo 13 Paesi europei hanno ratificato e completato i relativi adempimenti. Nonostante alcune disposizioni di esse siano state parzialmente sostituite con l’entrata in vigore del MAE, queste due Convenzioni restano ancora rilevanti per un duplice motivo: prima di tutto i limiti temporali posti dalla dichiarazione dello Stato italiano alla disciplina del mandato di arresto europeo comportano l’applicabilità della stessa esclusivamente alle richieste di consegna basate su fatti commessi prima del 7 agosto 2002; inoltre, l’ambito di operatività della disciplina sul mandato di arresto europeo è ben più circoscritto di quello delle Convenzioni e quindi potrà accadere che, non ricorrendo tutte le condizioni per l’applicazione della nuova disciplina, si dovrà guardare alle disposizioni pattizie. In particolar modo:

 la Convenzione di Bruxelles del 1995 non introduce modifiche sostanziali ma si limita ad aggiungere, accanto alla procedura di

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consegna classica, un’altra procedura semplificata a condizione che vi sia il consenso dell’estradando e l’accordo dello Stato richiesto.6 Restano comunque questi due elementi di salvaguardia

a garanzia della tutela dell’estradando che deve mostrare il suo consenso “nella piena consapevolezza delle relative conseguenze”, dove tutto comunque è sempre sottoposto al vaglio dello Stato richiesto che mantiene un ruolo valutativo discrezionale caso per caso circa l’opportunità della collaborazione.

 Anche la Convenzione di Dublino del 1996, invece, ha come obbiettivo quello di migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale per quanto riguarda sia il perseguimento dei reati sia l'esecuzione delle condanne. Senza dubbio una delle novità più significative consiste nella deroga al principio di doppia incriminabilità. In base alla Convenzione sull’estradizione del 1957 era un requisito necessario all’accoglimento della domanda di estradizione la previsione bilaterale del fatto come reato. La Convenzione di Dublino invece mostra maggiore sensibilità verso le esigenze di repressione penale soprattutto in riferimento a fattispecie penali che si sono originate in contesti socio-giuridici particolari di alcuni Paesi, e che hanno oggi acquisito stabilità e risonanza anche all’interno di sistemi diversi. Tra queste fattispecie penali rientrano: reati fiscali, “reati concernente il traffico di stupefacenti e altre forme di criminalità organizzata o altri atti di violenza contro la vita, l’integrità fisica o la libertà di

6 Art. 1 della Convenzione di Bruxelles 1995 “La presente convenzione intende facilitare, tra gli Stati membri dell’Unione europea, l’applicazione della convenzione europea di estradizione, completandone le disposizioni.”

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una persona o che comporti un pericolo collettivo per le persone”.7 Il riferimento a queste tipologie di reati è da

collegare alla volontà comune degli Stati membri dell’Unione nella lotta al terrorismo e la conseguente necessità di rafforzamento della collaborazione al fine di prevenire il verificarsi di situazioni di impunità. Un impegno questo comune anche a livello internazionale tra i Paesi appartenenti all’Onu.

Quindi, entrambe le Convenzioni, da un lato, evidenziano chiaramente l’esigenza di uno sviluppo degli strumenti di intervento comunitario a livello penale che rispecchi la nuova realtà dell’Unione, superando vecchie divisioni in settori che richiedono interventi unitari; dall’altro lato, consentono il mantenimento all’interno di una differenziazione flessibile che meglio si presta a schivare le difficoltà che ancora oggi creano problemi sul piano istituzionale.

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1.3 Il contesto in cui si è affermata l’esigenza di

introdurre il mandato di arresto europeo

I tempi iniziavano ad essere maturi per compiere un passo in avanti decisivo per affermare in seno all’Unione europea una rinnovata ed esaustiva disciplina che rielaborasse tutte le Convenzioni e i Trattati intervenuti a partire dal 1957 e che garantisse una disciplina rimodernata ed aggiornata per creare uno spazio comune giudiziario di gestione della politica estera, della sicurezza comune e politiche di difesa, di cooperazione giudiziaria.

Tuttavia, prima della decisione quadro 2002/584/GAI, vi è un passaggio spesso sottovalutato ed ignorato di cui proprio l’Italia e la Spagna furono protagoniste, sul finire degli anni Novanta, in riferimento ad un episodio di tensione internazionale legato alla gestione dei rapporti bilaterali in tema di estradizione8. La controversia fu ricomposta attraverso la firma di

un Accordo bilaterale a Roma il 28 novembre 2000, il cui contenuto, per certi versi, anticipava lo strumento del mandato di arresto europeo che di lì a poco sarebbe stato introdotto nell’ambito dei meccanismi del cd. terzo pilastro dell’U.E.9 Il negoziato siglato dai due Paesi consente che le

sentenze di condanna ed i provvedimenti restrittivi della libertà personale pronunciati in ciascuno dei due Stati, abbiano piena validità, riconoscimento ed efficacia in entrambi gli ordinamenti.10

8 La Spagna, infatti, attuò un blocco delle estradizioni dei soggetti condannati in contumacia dalle autorità giudiziarie italiane, ritenendo che la disciplina allora vigente fosse contraria all’art. 3 del II Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957.

9 G. De Amicis, Un commento a margine della sentenza Melloni della Corte di Giustizia, in Diritto penale contemporaneo, 7 giugno 2013.

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Questo Trattato ha avuto un ruolo fondamentale per un duplice motivo: prima di tutto ha consentito per la prima volta il superamento del modello classico dell’estradizione, sia pur limitatamente all’Italia e alla Spagna e sia pur limitatamente a una stretta cerchia di reati quali terrorismo, traffico di armi e stupefacenti, criminalità organizzata ed altri; inoltre poi ha costituto fonte di ispirazione e di modello per la successiva elaborazione della disciplina del mandato di arresto europeo. Infatti, la procedura disciplinata dal Trattato bilaterale risulta decisamente semplificata e, in attuazione del principio del mutuo riconoscimento dei provvedimenti giudiziari, è finalizzata a concludersi con l’esecuzione di un mero ordine di consegna da uno Stato all’altro della persona ricercata, eliminando così tutte valutazioni relative ai profili tecnico-giuridici di regola oggetto di verifiche e talora problematiche.

Sostanzialmente viene ulteriormente declassato il principio di doppia incriminabilità, considerato un pilastro nella Convenzione di Parigi del 1957. Dall’altra parte, invece, acquista sempre più valore il principio del mutuo riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali a cui le Parti attribuiscono piena efficacia nei rispettivi territori alle condizioni e con le modalità espressamente stabilite nell’accordo.

A mio avviso merita di essere accennato, data la rilevanza e la vicinanza storica del fatto, il Trattato bilaterale tra Stati Uniti di America e Unione Europea del 25 giugno 2003. L’accordo, concluso poco dopo la decisione quadro relativa mandato di arresto europeo, venne siglato in seguito agli eventi dell’11 settembre 2001. Il tragico evento degli attentati alle Torri Gemelle ha evidenziato un respiro politico di carattere emergenziale in materia di contrasto al terrorismo internazionale e questo ha portato alla

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naturale conseguenza di fissare e modernizzare le discipline di estradizione di criminali per reati di caratura internazionale, anche tra Paesi extra comunitari. Il trattato or ora citato ne è un chiaro esempio. Come già anticipato, un passo fondamentale verso questo obbiettivo era stato mosso circa dieci anni prima con il Trattato di Maastricht e l’introduzione dei Tre Pilastri, l’ultimo dei quali espressamente indicato verso la creazione di questo spazio comune anche in ambito penal-processualistico. È però il Trattato di Amsterdam del 1997 che comparve quale obiettivo dell’Unione, la creazione di uno «spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima». Un terzo passo venne mosso dal vertice di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, da molti considerato come tappa fondamentale dove furono poste le basi del futuro istituto del mandato d’arresto europeo. Il Consiglio europeo straordinario qui riunito domando di abolire la procedura formale di estradizione tra gli Stati membri, per quanto riguarda le sentenze di condanna definitive, per sostituirla con il ‘semplice trasferimento’ di tali persone.11 Finalmente era

giunto il momento di soddisfare quell’esigenza di rendere più celeri le procedure di consegna dei soggetti tra Stati membri a fini di estradizione, così da portarle al passo della libera circolazione di merci, persone e capitali, così come era stato previsto e poi richiesto a partire dagli Accordi di Schengen. Questo squilibrio evidente aveva creato il cd “paradosso dell’estradizione”12. Fin a quel momento, infatti, tutti i criminali presenti

nei territori dell’Unione europea avevano goduto della possibilità di

11 E. Barbe, E, Calvanese, M.R. Marchetti (e altri autori), Mandato d’arresto europeo dall’estradizione alle procedure di consegna, Giappichelli, Torino, 2005 p.11. 12 E. Barbe, E, Calvanese, M.R. Marchetti (e altri autori), Mandato d’arresto europeo dall’estradizione alle procedure di consegna, Giappichelli, Torino, 2005, p.13.

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circolare liberamente, insieme a merci, capitali, servizi, praticamente in assenza di frontiere; tale libertà non era però parimenti controbilanciata da adeguate procedure di estradizione, altrettanto efficienti, veloci, pratiche.

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2. La disciplina del mandato di arresto europeo

Il carattere transnazionale assunto dai fenomeni criminali da una parte, e la necessità di affermare una disciplina che garantisse “uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia” e al contempo una tutela effettiva dei diritti fondamentali dell’uomo dall’altra, hanno indotto a partire dal 2000 gli Stati membri dell’Unione Europea a ricercare forme di cooperazione, giudiziaria e di polizia, che consentissero di rendere più efficaci le misure di prevenzione e contrasto già esistenti. Questo intento viene già esplicitato nel preambolo della decisione quadro del mandato di arresto europeo dove, tra i molti, il considerando 5 della riporta che l’obiettivo dell’Unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia comporta la soppressione dell’estradizione tra Stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie. Ecco che, quindi, la decisione quadro del mandato di arresto europeo mira:

a) all’introduzione di un mandato di arresto destinato a sostituirsi, all’interno dell’Unione europea, alle pesanti e complesse procedure di estradizione ritenute oramai inadeguate alle necessità della lotta alla criminalità transnazionale,

b) sul presupposto della sostanziale comunanza di sistemi giuridici tra Stati membri, tutti egualmente improntati al rispetto dei diritti fondamentali quali garantiti non solo dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ma anche della Carta dei diritti fondamentali

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proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (ed oggi costituente la parte II della Costituzione per l’Europa).13

Il principio di mutuo riconoscimento rappresenta senza dubbio un presupposto nella disciplina del mandato di arresto europeo e allo stesso tempo una novità rispetto alla tradizionale disciplina dell’estradizione. Infatti, mai fin ad allora era stato affermato in modo così chiara e così rilevante.14 L’unico precedente comunitario relativo ad esso vi era stato

al punto 33 delle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 16 ottobre 1999. Esso rappresenta quindi l’architrave della costruzione dell’Unione europea come spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nell’indispensabile rispetto dei diritti fondamentali, nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri15.

Questo obbiettivo comune era stato preso sul serio già da tempo, specialmente da alcuni Paesi16, ma si arrivò ad una disciplina comunitaria

solo nel 2002 con l’adozione della decisione quadro 2002/584/GAI. È in questa sede trascurabile trattare delle difficoltà attraversate nella redazione della decisione quadro del mandato di arresto europeo, dettate in parte dalla complessità della materia e in parte dall’eccezionale pressione politica e il clima infuocato di sollecitazione seguito agli attentati dell’11 settembre 2001. Difficoltà si ebbero anche

13 E. Barbe, E, Cavanese, M.R. Marchetti (e altri autori), Mandato d’arresto europeo dall’estradizione alle procedure di consegna, Giappichelli 2005.

14 Considerando 6 della DQ 2002/584/GAI “Il mandato d’arresto europeo previsto nella

presente decisione quadro costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria”.

15 G. De Amicis, Un commento a margine della sentenza Melloni della Corte di

Giustizia, in Diritto penale contemporaneo, 7 giugno 2013.

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nella fase successiva, quella dell’attuazione della decisione quadro. Basti pensare che gli Stati membri avrebbero dovuto adottare le misure necessarie per conformarsi alle disposizioni della DQ entro il 31 dicembre 2003 ma a quella data solo sei avevano adottato le rispettive legislazioni. L’Italia fu l’ultima, insieme alla Repubblica Ceca, ad adottare la rispettiva disposizione di recepimento con la legge 22 aprile 2005 numero 69, integrata successivamente nel corso degli anni da altri provvedimenti legislativi.

Il mandato di arresto europeo è definito nelle disposizioni iniziali della decisione quadro del mandato di arresto europeo come la decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell'esercizio di un'azione penale o dell'esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. Il mandato di arresto europeo ha due punti di forza che vengono chiariti immediatamente dalle DQ:

1. maggior semplicità e celerità della procedura

2. esecuzione di ogni mandato d'arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro17.

17 https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:3b151647-772d-48b0-ad8c-0e4c78804c2e.0008.02/DOC_1&format=PDF

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2.1 Le procedure di consegna, attiva e passiva

Partiamo da un’analisi piuttosto rapida del primo aspetto innovativo del mandato di arresto europeo, le procedure di consegna e le differenze con le procedure dell’estradizione, per poi giungere al secondo aspetto, il principio del reciproco riconoscimento, che tratterò con più accuratezza in quanto punto di partenza del mio lavoro di tesi.

Per ottenere un mandato di arresto europeo è necessario seguire un iter procedurale che parta dalla richiesta di un'autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'UE perché si proceda all'arresto di una persona in un altro Stato membro e la si consegni al primo Stato membro ai fini dell'esercizio penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà. Tutto questo avviene mediante contatti diretti fra le varie autorità nazionali preposte a svolgere tale attività. Si parla di procedura passiva di consegna quando uno Stato membro straniero richiede all'Italia la consegna del soggetto; viceversa, la procedura attiva di consegna si ha quando è l’Italia a chiedere a uno Stato membro la consegna del soggetto. La procedura è disciplinata dalla decisione quadro dall’articolo 9 al 25 e sostanzia in alcuni momenti chiave:

I. trasmissione di un mandato d'arresto europeo II. informazione al ricercato dei diritti di cui gode III. decisione sul mantenimento in custodia

IV. Audizione della persona in attesa della decisione V. decisione sulla consegna

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Sostanziali sono le differenze tra la nuova procedura del mandato di arresto europeo e la vecchia dell’estradizione. Esse possono essere sintetizzate nei seguenti punti18:

1) Termini più rigorosi

Il paese in cui la persona è arrestata deve adottare la decisione finale sull'esecuzione del mandato d'arresto entro 60 giorni dall'arresto. Se la persona arrestata acconsente alla consegna, la decisione è presa entro dieci giorni. La persona ricercata deve essere consegnata il più rapidamente possibile a una data convenuta tra le autorità incaricate, al massimo entro dieci giorni dalla decisione relativa all'esecuzione del mandato d'arresto europeo.

2) Attenuazione del principio della doppia incriminazione

Per 32 categorie di reati, previsti all’articolo 2 della decisione quadro, non si procede più a verificare che l'atto costituisca un reato in entrambi i paesi. L'unico requisito è che sia punibile con una pena edittale massima della reclusione di almeno tre anni nel paese che ha emesso il mandato.

Per gli altri reati non compresi nella lista dell’art.2, l'arresto può essere subordinato alla condizione che l'atto costituisca un reato nel paese d'esecuzione.

3) Assenza di intervento a livello politico

Le decisioni vengono prese solo dalle autorità giudiziarie, senza alcun tipo di considerazioni politiche.

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22 4) Consegna di propri cittadini

In linea di principio, gli Stati membri dell'UE non possono più rifiutare la consegna dei propri cittadini, a meno che assumano la competenza per l'azione penale o l'esecuzione della pena privativa della libertà nei confronti del ricercato.

5) Garanzie che lo Stato emittente deve fornire in casi particolari ex articolo 5 della decisione quadro 2002/584.

Il paese che esegue il mandato di arresto europeo può chiedere le seguenti garanzie:

a) se il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza comminate mediante decisione pronunciata «in absentia», la consegna può essere subordinata se l'autorità giudiziaria emittente fornisce assicurazioni sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato d'arresto europeo la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro emittente e di essere presenti al giudizio.

b) dopo un certo periodo la persona avrà diritto a chiedere una revisione, nel caso in cui si sia trattato di una condanna all'ergastolo.

c) il ricercato può trascorrere il periodo di detenzione nel paese d'esecuzione se si tratta di un cittadino o di un residente (abituale) in tale paese.

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6) Motivi tassativi per rifiutare il mandato di arresto europeo

Un paese può rifiutare la consegna della persona oggetto del mandato solo nel caso in cui si applichi uno dei seguenti motivi per il rifiuto obbligatorio o facoltativo:

a) Motivi obbligatori ex articolo 3 della decisione quadro 2002/584: - la persona è stata già giudicata per lo stesso reato (principio del "ne bis in idem")

- minori (il soggetto non ha compiuto l'età prevista per la responsabilità penale nel paese d'esecuzione)

- amnistia (il paese d'esecuzione avrebbe potuto perseguire il soggetto e il reato è stato amnistiato in tale paese).

b) Motivi facoltativi ex articolo 4 della decisione quadro 2002/584: - mancanza di doppia incriminazione per i reati che non siano

compresi tra le 32 fattispecie penali di cui all'articolo 2, paragrafo 2 della decisione quadro sul mandato di arresto europeo

- giurisdizione territoriale

- procedura penale nel corso del paese dell'esecuzione - prescrizione, ecc.

c) Motivi facoltativi ex articolo 4 bis della decisione quadro 2002/584, sulle decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente, in base al quale l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può altresì rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà se l’interessato non è comparso personalmente al

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processo terminato con la decisione, ad esclusione di alcuni specifici casi previsti nell’articolo citato.

Tra questi sei punti, ve ne sono alcuni come il due, il cinque, il sei, che hanno assunto un particolare rilievo in ambito giurisprudenziale per gli importanti risvolti avuti in correlazione alla garanzia di una tutela efficacie dei diritti fondamentali dell’uomo della Carta di Nizza. Di questi avremo particolare modo di parlarne in seguito, solo dopo aver introdotto la seconda novità della decisione quadro del 2002: il principio di reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e dei provvedimenti giudiziari degli altri Stati membri.

2.2 Il principio del reciproco riconoscimento come

principio cardine nel mandato di arresto

L’esigenza di rendere più rapida la consegna di persone sottoposte a procedimento ha indotto il legislatore europeo ad elaborare uno strumento che consenta di ridurre i tempi di consegna senza privare il soggetto delle garanzie connesse all’estradizione. È per questo che il MAE rappresenta una sorta di evoluzione dell’estradizione con il quale condivide le finalità ma che sarebbe riduttivo definire come

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un’estradizione semplificata19. Il presupposto fondamentale su cui la

nuova disciplina introdotta dalla decisione quadro 2002/584/GAI si basa, è totalmente diverso da quello dell’estradizione. L’euromandato, infatti, costituisce una delle prime applicazioni del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie da parte degli Stati membri, affermato nella Convenzione di Bruxelles e di Dublino di metà anni Novanta e affermato nel Trattato bilaterale italo-spagnolo, in conformità al titolo VI del Trattato dell'Unione europea, relativo allo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia (c.d. terzo pilastro). L’estradizione, invece, fino a quel momento si era concentrata su di un altro tipo di principio, quello doppia incriminazione, che assicurava una dispersione minore dei poteri e della sovranità dei Paesi verso le istituzioni europee e gli altri Stati membri, ma che allo stesso tempo prevedeva una collaborazione meno efficiente all’interno della comunità europea ai fini di uno spazio comune di giustizia20.

19 Conso, Grevi, Bargis (e altri autori), Compendio di procedura penale, CEDAM, Padova, 2019, p.1164.

20 L’introduzione del principio di reciproco riconoscimento condurrà alla forte attenuazione della portata del principio della doppia incriminazione, che si è constatato essere fin a quel momento una costante dell’estradizione, in forza del quale l’estradizione non può essere concessa se il fatto che costituisce oggetto della domanda non sia previsto dalla legge come reato da entrambi gli ordinamenti degli Stati coinvolti nella procedura (cfr. art. 13 c.p.). Vi è una vera e propria deroga al principio della doppia incriminazione poiché la DQMae stabilisce per trentadue figure di reato elencate nell’art. 2.2 l’obbligo di consegna del ricercato indipendentemente dalla doppia incriminazione, purché siano punite dalla legislazione dello Stato emittente con una pena pari o superiore a tre anni. Invece, per tutti i reati fuori dalla prima fattispecie, la doppia incriminazione trova ancora applicazione. Data l’elevata portata garantistica del presupposto della doppia incriminazione, la Corte di Cassazione già prima dell’introduzione dell’euromandato aveva più volte affermato che il requisito della doppia punibilità poteva ritenersi soddisfatto – pur in assenza di una perfetta coincidenza tra due disposizioni incriminatrici, l’una italiana e l’altra straniera – purché il fatto in concreto contestato fosse riconducibile ad un reato previsto in entrambi gli ordinamenti, prescindendo dall’identità degli elementi costitutivi delle fattispecie astratte (Cass., sez. I, 14 settembre 1995, n. 4407). Tale orientamento sostanzialista ha trovato applicazione e si è ulteriormente rafforzato con l’introduzione del mandato di arresto europeo. Anche alla

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Il principio di reciproco riconoscimento viene fissato dalla decisione quadro 2002/584/GAI già al Capo I tra i principi generali, precisamente all’art.1.221, subito dopo la definizione dell’euromandato, tale è la sua

rilevanza.

L’articolo 696 quinquies c.p.p. introdotto dal d.lgs. 149 del 201722 recita

che “l’autorità giudiziaria riconosce ed esegue le decisioni ed i provvedimenti giudiziari degli altri Stati membri senza sindacarne il

merito”. E un articolo successivo precisa che l’autorità giudiziaria in

questione deve riconoscere ed eseguire tali decisioni e i provvedimenti giudiziari senza ritardo e con modalità idonee ad assicurarne la tempestività e l'efficacia.

Secondo tale inedito modello, la cooperazione giudiziaria nell'ambito dei paesi aderenti all'Unione si deve fondare sulla libera circolazione dei provvedimenti emanati dall'autorità giudiziaria competente in conformità alla propria legislazione, costituenti titoli idonei a produrre effetti anche nel territorio di Stati diversi da quello nel quale sono stati adottati, in un clima di reciproca fiducia23. In applicazione di questo l'esecuzione del

luce di tali circostanze, quindi, la Corte di Cassazione continua ad affermare il consolidato orientamento secondo cui non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice trovi il suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento, purché la concreta fattispecie sia punibile come reato da entrambi gli ordinamenti (Cass, Sez. Fer, 31 agosto 2017, n. 39863). Si supera in tal modo uno dei più tradizionali ostacoli all’estradizione, espressione tipica della tutela apprestata da ciascuno Stato ai principi del proprio ordinamento e di salvaguardia delle competenze statuali in merito alla qualificazione delle fattispecie penali.

21 “Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d'arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro.”

22D.lgs. su Disposizioni di modifica del Libro XI del Codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, entrato in vigore il 10/10/2017. 23 Nucleo sostanziale del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle misure cautelari è quella “fiducia reciproca” (o mutual trust) fra gli Stati membri dell’UE nei confronti dei loro rispettivi sistemi di giustizia penale, che deve condurre ciascuno di essi ad accettare l’applicazione del diritto penale vigente negli altri, anche

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mandato di arresto avviene senza alcuna mediazione attraverso contatti diretti tra le autorità giudiziarie nazionali, individuate sulla base degli ordinamenti statali.

2.3 I limiti al principio di reciproco riconoscimento

Parallelamente al riconoscimento del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni penali, bisogna sottolineare i limiti a cui esso è sottoposto.

I limiti a cui è sottoposto vanno essenzialmente una direzione predominante: il rispetto dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, conclusa a Nizza.24 Questo primo e basilare limite è disciplinato proprio

quando il ricorso al proprio diritto nazionale condurrebbe a soluzioni diverse. Questa fiducia svolge un ruolo analogo a quello della leale cooperazione.

24 Nel Preambolo della Carta di Nizza viene individuato il suo obbiettivo che consiste nel creare tra i popoli europei un’unione sempre più stretta per condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Più nello specifico nel Preambolo è affermato che a tal fine è necessario, rendendoli più visibili in una Carta, rafforzare la tutela dei diritti

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all’articolo 1 comma 3 della decisione quadro del mandato di arresto europeo, immediatamente dopo la definizione del principio di mutuo riconoscimento, tale deve essere la sua rilevanza. L’articolo, oltre a prevedere il rispetto dei diritti fondamentali indicati, precisa pure che questi non possono essere modificati per effetto della presente decisione quadro sull’euromandato.

Inoltre, a questi si aggiungono anche i limiti al principio di mutuo riconoscimento attinenti al rispetto dei principi generali delle Costituzioni dei Paesi membri in cui la decisione quadro del mandato di arresto europeo si va ad inserire25.

Quando si parla del rispetto di tali diritti nei confronti della persona protagonista del mandato, questi emergono già nel Preambolo della

DQMae dove il testo prevede al decimo considerando che l’attuazione

del mandato di arresto europeo “può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti dall’art. 6 TUE, constatata dal Consiglio in applicazione dell’art. 7 par. 1 dello stesso Trattato, e con le conseguenze di cui al par. 2”. Sulla stessa scia prosegue i considerando dodici e tredici: il primo afferma che la

fondamentali alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici. La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti della Comunità e dell’Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dal trattato sull’Unione europea e dai trattati comunitari, dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dalla Comunità e dal Consiglio d’Europa, nonché i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Questa Carta è divisa per capi, i quali si incentrano su diversi ambiti di tutela: la dignità della persona, la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, la cittadinanza, la giustizia.

25 La seconda parte del dodicesimo considerando del Preambolo della DQMae recita che la presente decisione quadro non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo, al rispetto del diritto alla libertà di associazione, alla libertà di stampa e alla libertà di espressione negli altri mezzi di comunicazione.

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Decisione quadro “rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, segnatamente il capo VI”; il secondo, invece, afferma che “nessuna persona dovrebbe essere allontanata, espulsa o estradata verso uno Stato allorquando sussista un serio rischio che essa venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altri trattamenti o pene inumani o degradanti”.

Suddetti limiti sono ripresi in parte e posti dalla stessa legge italiana di

recepimento, la quale indica tre ordini di limiti all’applicazione del

principio di reciproco riconoscimento:

a) Uno è già posto direttamente nelle sue disposizioni di principio laddove afferma che l’attuazione dell’euromandato non dovrà superare i limiti in cui tali disposizioni non sono incompatibili con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e del giusto processo.

b) Altro opportuno limite lo si trova laddove, sempre nella legge di recepimento, in esecuzione di un provvedimento cautelare il mandato emesso debba essere sottoscritto e motivato da un giudice. c) Un altro è rintracciabile nel rispetto dei seguenti diritti e principi

stabiliti dai trattati internazionali e dalla Costituzione26.

26 Art.2.1 legge 69 del 2002. Individua i seguenti limiti in:

a) i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa

esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, in particolare dall'articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) e dall'articolo 6 (diritto ad un processo equo), nonché dai Protocolli addizionali alla Convenzione stessa;

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Accanto a questi limiti ‘originari’, se ne affiancano altri introdotti recentemente con il d.lgs. 149 del 201727.

a) Uno di essi è posto in riferimento alla tutela dei diritti fondamentali della persona. L’art. 696-ter c.p.p., introdotto dal d.lgs. del 2017, definisce infatti che “l’autorità giudiziaria provvede al riconoscimento e all'esecuzione se non sussistono fondate ragioni per ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti che configurano una grave violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea o dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea”.

b) È comunque sempre prevista la ricorribilità per Cassazione per violazione di legge derivante da sentenze e provvedimenti sulla libertà personale

c) Infine, pone un obbligo per il Ministro di Giustizia, l’autorità centrale individuata dal nostro ordinamento per occuparsi delle vicende dell’euromandato, consistente nel garantire l’osservanza delle condizioni eventualmente poste dall’autorità giudiziaria dello Stato straniero con il limite della non contrarietà delle stesse ai principi fondamentali dell’ordinamento.

b) i principi e le regole contenuti nella Costituzione della Repubblica, attinenti al giusto processo, ivi compresi quelli relativi alla tutela della libertà personale, anche in relazione al diritto di difesa e al principio di eguaglianza, nonché quelli relativi alla responsabilità penale e alla qualità delle sanzioni penali.

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La pena prevista in caso di grave e persistente violazione, da parte dello Stato richiedente, dei principi suddetti, è la possibilità per lo Stato italiano di rifiutare laconsegna dell'imputato o del condannato.

Il principio del mutuo riconoscimento viene in tal modo “positivizzato” come principio generale di diritto dell’Unione e viene direttamente recepito nell’ordinamento interno come base legale di un nuovo sistema di cooperazione, ponendosi, da un lato, quale canone regolativo dei singoli atti normativi europei che ad esso si ispirano, dall’altro lato, quale principio di diritto europeo che funge da paradigma interpretativo per orientare e risolvere le diverse questioni problematiche inevitabilmente sottese alla prassi dei meccanismi di funzionamento delle più disparate procedure di mutuo riconoscimento28.

28 G. De Amicis, Lineamenti della riforma del libro XI del codice di procedura penale, in Diritto penale contemporaneo, 19 aprile 2019.

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2.4 L’esigenza di bilanciamento tra il principio di

reciproco riconoscimento, la fiducia reciproca e la

tutela dei diritti umani

Ai fini di questo lavoro di tesi, il principio di mutuo riconoscimento rappresenta il punto di partenza dello sviluppo del mio ragionamento. È evidente, osservando i limiti allo stesso posti, come debba essere garantito un equilibrio tra l’applicazione di tale principio con il rispetto dei principi ordinamentali del nostro Paese e soprattutto, in un’ottica più globale, con i principi riguardanti i diritti dell’uomo sanciti in più Convenzioni o Carte.

A riguardo gli studiosi si sono interrogati su quale sia l’effettiva tutela dei diritti fondamentali dell’uomo or ora menzionati, quale siano i mezzi che garantiscono l’esecuzione di tale tutela, in sostanza quale sia l’applicazione di tali affermazioni. Se, per esempio, riprendiamo il considerando 13 del Preambolo della decisione quadro sul mandato di arresto europeo29, il condizionale ‘nessuna persona dovrebbe...’ crea

molte incertezze su quale sia l’effettiva volontà di applicare o meno tali diritti. Sono degli aspetti rilevanti della disciplina su cui molta dottrina ha sollevato dubbi per la carenza di precisione del testo della decisione quadro sul mandato di arresto europeo, anche nella prospettiva di un mutuo riconoscimento che non comporti deroghe ai diritti fondamentali. Vediamo, dunque, come fondamentalmente la decisione quadro sul

29 Considerando 13 del Preambolo della DQ 2002/584/GAI “Nessuna persona dovrebbe essere allontanata, espulsa o estradata verso uno Stato allorquando sussista un serio rischio che essa venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altri trattamenti o pene inumane o degradanti”

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mandato di arresto europeo non fissi dei requisiti sostanziali o procedurali a carico dell’autorità giudiziaria emittente, ma rimetta ogni questione relativa al rispetto dei diritti fondamentali nella fase di emissione del mandato agli ordinamenti interni. Questa mancanza di disciplina è stata vista positivamente da qualcuno, come espressione di una presunzione di fiducia verso Stati che, essendo membri dell’Unione Europea e firmatari della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, offrirebbero le dovute garanzie. Tuttavia, bisogna dire che se questa omissione di disciplina fosse stata riempita di più dal legislatore europeo, sicuramente sarebbe stata agevolata la risoluzione di una serie di problematiche in sede di recepimento dell’atto. Infatti, in dottrina vi è stato anche chi ha prospettato la possibilità di superare queste mancanze della decisione quadro sul mandato di arresto europeo attraverso un’operazione di interpretazione a livello interno che dovrebbe essere messa in atto sia dai legislatori nazionali in sede di attuazione della DQMae, sia dagli organi giurisdizionali interni che devono interpretare il diritto dell’Unione e le corrispondenti norme nazionali di attuazione, sulla base del sistema dell’Unione inteso per intero.30 Tuttavia, anche questo

orientamento dottrinale è stato sottoposto ad aspre, e pur fondate, critiche circa la sua bontà. Infatti, se fosse possibile giungere a una tale operazione di interpretazione a livello interno, dovremmo anche ammettere il rischio di una vasta eterogeneità dei risultati. Questo esito risulterebbe percepibile se considerassimo che la sensibilità dei legislatori e dei giudici nazionali possa essere diversa da uno Stato membro all’altro,

30 A proposito, B. Flore, Le mandat d’arrêt européen: première mise en oeuvre d’un

nouveau paradigme de la justice pénale européenne, (cit.), secondo cui in base al

dodicesimo considerando del preambolo potrebbe ritenersi che il legislatore nazionale sia in condizione “d’adopter des dispositions pertinentes explicites pour garantir” il rispetto dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici di cui all’art. 6 TUE.

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e risulterebbe ancora più evidente se considerassimo le diverse tradizioni culturali che stanno alla base della formazione dei giudici dei vari Paesi. Ecco che una vasta gamma di interpretazioni di applicazione del mandato di arresto europeo finirebbe per tradire gli obbiettivi iniziali di unificazione. Dunque, il principio del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali all’art. 6 TUE non può funzionare di per sé da garanzia per una costante e generalizzata applicazione degli stessi!

Dal momento che il mandato di arresto è stato introdotto come strumento per contribuire ad un miglioramento dell’efficacia dell’azione penale, il perseguimento di tale fine non può giustificare “tagli” al livello di garanzie e di tutela dei diritti fondamentali che all’interno dell’Unione sono garantite ai cittadini dalle norme e dai principi costituzionali. È proprio per questo motivo per cui al momento, sulla base dei contenuti della DQMae, non si può del tutto disconoscere il ruolo integrativo auspicato da parte della dottrina che i legislatori nazionali ed i giudici saranno tenuti a svolgere in sede di esecuzione dell’atto negli ordinamenti interni dei singoli Stati31.

Nello specifico, a fronte di questa attenzione dedicata alla protezione dei diritti fondamentali, la decisione quadro è tuttavia caratterizzata da un’importante lacuna che, negli ultimi anni, ha impegnato la Corte di giustizia nel tentativo di definire un difficile bilanciamento tra diritti fondamentali ed efficacia del mandato d’arresto europeo; si tratta della mancanza, tra i motivi di rifiuto obbligatori (art. 3) e facoltativi (artt. 4 e 4-bis) e le ipotesi di consegna condizionata (art. 5), di una clausola

31 M. Lugato La tutela dei diritti fondamentali rispetto al mandato d’arresto europeo, in Riv. Dir. Intern., 2003, p.38.

Riferimenti

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