generalizzate nelle condizioni di detenzione; 2.1 Un approfondimento sul principio personalistico della pena nel caso della Generalstaatsanwaltschaft Bremen e LM; 2.2 Le condizioni di detenzione sotto il profilo dei diritti fondamentali: il caso Dorobantu; 2.3 Un abuso del rifiuto di consegna a fronte del rischio di trattamenti inumani e degradanti: il caso Romeo Castaño c. Belgio; - 3. Il rapporto fra Brexit, mandato di arresto europeo, tutela dei diritti fondamentali; 3.1 Una breve introduzione del contesto; 3.2 I dubbi dell’Alta Corte irlandese in riferimento alla tutela dei diritti fondamentali; 3.3 La soluzione della Corte al caso RO: l’esigenza di rispettare i diritti fondamentali anche dopo il recesso del Regno Unito dall’UE; 3.4 Un futuro ancora tutto da definire
1.La sentenza Aranyosi e Caldararu come linea guida
Il legame tra il sistema del mandato d'arresto europeo e il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo è stato all'origine di un'importante giurisprudenza sviluppata dalla Corte di giustizia. Di fronte alla ricerca di un delicato equilibrio tra le esigenze di efficacia del sistema di
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cooperazione criminale all'interno dell'Unione e quelle di tutela dei diritti individuali, la Corte ha gradualmente costruito un regime che regola questo bilanciamento dalla sua decisione Melloni del 2013, per poi passare a quella sul caso Lanigan. Nell’evoluzione della sua giurisprudenza, la Corte di giustizia è stata più attenta alla seconda parte della questione nei casi riuniti del 2016 Aranyosi e Caldararu37
che, in merito alla tutela dei diritti dell’estradando in caso di sovrappopolazione nelle carceri ungheresi e rumene, ha rappresentato un “caso pilota”38 nel proseguo della sua elaborazione.
In effetti, la sentenza pronunciata nei due casi riuniti apre nuovi orizzonti nella valutazione del mandato di arresto europeo in correlazione con il rispetto dei diritti fondamentali dell’imputato, in special modo nella sfera attinente alle eventualità di un rischio di trattamento inumano e degradante. La Corte di Lussemburgo riconosce che il divieto di pene o trattamenti inumani e degradanti costituisce un valore fondamentale dell’Unione che ha carattere assoluto e inderogabile. Quindi se si profila un rischio reale e concreto, e vi siano elementi obiettivi, affidabili, precisi e debitamente attualizzati che facciano ritenere probabile che il ricercato venga sottoposto ad un trattamento inumano e degradante, lo Stato di esecuzione è tenuto a valutarlo e quindi a rifiutare la procedura di consegna se le informazioni fornite dallo Stato richiedente non consentano di ritenere superato quel rischio.
Le novità introdotte dalla sentenza sono facilmente distinguibili. In primo luogo, responsabile circa il trattamento che subirà l’estradando
37 Corte giust. (Grande Sezione), 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru.
38 L’Osservatoria Europa, La sentenza della CGUE Aranyosi e Caldararu apre nuovi
orizzonti nella valutazione del MAE che comporti il rischio di trattamento inumano e degradante, in Unione delle Camere Penali Italiane, Roma, 4 maggio 2016.
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non è solamente lo Stato presso cui si svolgerà (o si è già svolto) il processo o presso cui avrà esecuzione la pena irrogata, ovvero lo Stato che ne richiede il mandato di arresto. Accanto allo Stato emittente, quindi, un ruolo importante in questo controllo deve essere compiuto dallo Stato di esecuzione del mandato di arresto, che dovrà tenere presente dove invia il soggetto fermato. In secondo luogo, lo Stato di esecuzione, nell’adempiere a tale obbligo, dovrà seguire una procedura basata su due livelli, cd test by two steps. Nella prima fase i tribunali dello Stato di esecuzione devono fare una valutazione su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente; nella seconda fase, accessibile solo nei casi in cui persista il rischio di trattamenti inumani o degradanti, i tribunali dello Stato emittente devono determinare se questo venga ad essere un "rischio reale" per il soggetto sottoposto al mandato di arresto europeo, chiedendo all’autorità giudiziaria di emissione di fornire con urgenza le informazioni complementari necessarie riguardanti le condizioni in cui si prevede che venga detenuto la persona interessata. Si tratterebbe di una soluzione di extrema ratio, applicabile in modo eccezionale, senza possibilità di farne un uso sistematico39.
Dopo la sentenza Aranyosi e Caldararu, l’errore più grande sarebbe stato pensare di essere arrivati ad una soluzione definitiva del delicato equilibrio, prima menzionato, tra le esigenze di efficacia del sistema di cooperazione criminale all'interno dell'Unione e quelle di tutela dei diritti individuali. Sebbene in Aranyosi e Caldararu si riaffermi che il mutuo riconoscimento, pilastro per la costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, si basa sulla
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fiducia reciproca dell’esistenza negli Stati membri di una protezione equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali riconosciuti nei diritto europeo e nella Carta dei diritti fondamentali, a sua volta, si ammette che detta presunzione e l’obbligo di eseguire un mandato di arresto europeo non sono assoluti, potendosi rompere in circostanze eccezionali di crisi sistematica40. A partire dal 2016, infatti, in
numerose occasioni è stato portato all’attenzione della Corte di giustizia – ed altri Corti europee, come la Corte europea dei diritti dell’uomo- l’esigenza proseguire il lavoro iniziato con il caso pilota, così da dare avvio a una vera e propria saga a partire dal caso Aranyosi e Caldararu41.
40 V. Faggiani, Le crisi sistemiche dello stato di diritto e i loro effetti sulla
cooperazione giudiziaria nell’UE, in Diritto penale contemporaneo, 2/2019, p.20.
41 E. Stoppioni, L’audience de la CJUE dans l’affaire Dorobantu (C-128/18): un
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