• Non ci sono risultati.

Un approfondimento sul principio personalistico della pena nel caso della Generalstaatsanwaltschaft Bremen e ML

condizioni di detenzione.

2.1 Un approfondimento sul principio personalistico della pena nel caso della Generalstaatsanwaltschaft Bremen e ML

La Corte di giustizia ha avuto modo di chiarire alcuni aspetti sulla possibilità di escludere o meno l’esistenza di un rischio reale, nella sentenza del 25 luglio 2018 pronunciata a seguito del rinvio pregiudiziale sollevato dal Generalstaatsanwaltschaft Bremen, pubblico ministero di Brema42.

In questa vicenda giudiziaria si presentava una situazione simile al caso Aranyosi, avendo come protagonisti i due Stati membri dell’Ungheria e della Germania. Il 2 agosto 2017, il Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza, Ungheria, ha emesso un mandato d’arresto europeo nei confronti di ML, cittadino ungherese, ai fini di sottoporlo ad azione penale per percosse e lesioni, danneggiamento, truffa semplice e furto con scasso, commessi a Nyiregyhéza nel 2016, trasmettendo detto mandato d’arresto alla Generalstaatsanwaltschaft Bremen, Germania. Nel frattempo, il Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza ha condannato ML in contumacia a una pena privativa della libertà di un anno e otto mesi, e ha informato il Tribunale tedesco, in risposta ad una richiesta di quest’ultimo, che, in caso di consegna, ML sarebbe stato dapprima detenuto nell’istituto penitenziario di Budapest per la durata della procedura di consegna, e, successivamente, nell’istituto penitenziario regionale di Szombathely. Il Ministero ha garantito inoltre che ML non avrebbe subito alcun trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo

42 Corte di giustizia UE, sentenza del 25 luglio 2018, M.L. c. Generalstaatsanwaltschaft Bremen, C-220/18 PPU, ECLI:EU:C:2018:589.

87

4 della Carta43. Tra il settembre 2017 e il gennaio 2018 si susseguono

varie vicende giudiziarie dalle quali emergono perplessità del Tribunale tedesco tali per cui lo portano a inviare al Ministero della Giustizia ungherese una richiesta di informazioni contenente un elenco di 78 domande sulle condizioni di detenzione delle persone nell’istituto penitenziario di Budapest e in altri istituti verso i quali ML avrebbe potuto essere trasferito, secondo quanto era stato accennato dal Ministero stesso. Il Ministero della Giustizia ungherese, di concerto con la Direzione generale per l’esecuzione delle pene, ha fornito nuovamente la garanzia che ML, durante la sua detenzione in Ungheria, non sarebbe stato sottoposto a trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, a prescindere dall’istituto penitenziario nel quale sarà accolto44. In particolar modo,

pone all’attenzione del Generalstaatsanwaltschaft la possibilità, da poco introdotta in via legislativa45, per qualsiasi detenuto delle carceri

ungheresi di adire a un mezzo di ricorso che permette loro di contestare la legittimità delle condizioni della loro detenzione e, dall’altro, una nuova modalità di detenzione, detta di «reinserimento».

In tale contesto, il Tribunale superiore del Land di Brema ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte quattro questioni pregiudiziali. Con queste, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 3, l’articolo 5 e l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro sul mandato di arresto europeo debbano essere interpretati nel senso che, qualora disponga di elementi comprovanti l’esistenza

43 Corte giust. (I Sezione), 25 luglio 2018, C-220/18, ML, cit., punti 19-22. 44 Corte giust. (I Sezione), 25 luglio 2018, C-220/18, ML, cit., punto 33.

45 Legge n. CX adottata il 25 ottobre 2016, recante modifica, in particolare, della legge n. CCXL del 2013 sull’esecuzione delle pene e delle misure penali, di talune misure coercitive e del trattenimento amministrativo.

88

di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all’interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata da un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, per il solo motivo che tale persona dispone, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permette di contestare le sue condizioni di detenzione, e, in caso di risposta negativa, se detta autorità sia allora tenuta ad esaminare le condizioni di detenzione esistenti all’interno di tutti gli istituti penitenziari nei quali tale persona potrebbe eventualmente essere detenuta, ivi incluso a titolo temporaneo o transitorio, oppure soltanto le condizioni di detenzione esistenti nell’istituto dove, secondo le informazioni a disposizione di detta autorità, è probabile che essa sarà detenuta per la parte sostanziale della sua pena. Detto giudice chiede, inoltre, se le medesime disposizioni debbano essere interpretate nel senso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione debba esaminare l’insieme delle condizioni di detenzione e se, nell’ambito di siffatto esame, questa autorità possa prendere in considerazione talune informazioni fornite da autorità dello Stato membro emittente diverse dall’autorità giudiziaria emittente, quali, in particolare, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta46.

Per rispondere alle questioni sollevate, la Corte parte da alcune osservazioni preliminari in cui rammenta che il diritto dell’Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo

89

2 TUE. Tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel mutuo riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua. Nel caso del mandato di arresto europeo, l’autorità di esecuzione non può svolgere il suo compito qualora ricorra uno dei motivi di non esecuzione previsti agli artt.3, 4, 4bis della decisione quadro 2002/584/GAI.Cionondimeno, la Corte ha ammesso che limitazioni ai principi di riconoscimento e di fiducia reciproci tra Stati membri possano essere apportate «in circostanze eccezionali»47, all’interno

delle quali rientra il rischio reale di trattamento inumano o degradante delle persone detenute nello Stato membro emittente, tenuto conto del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione. A tal fine, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, a fronte di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati comprovanti l’esistenza di siffatte carenze, è tenuta, in seguito, a verificare in modo concreto e preciso se, nelle circostanze della fattispecie, sussistano motivi gravi e comprovati di ritenere che, dopo la sua consegna al suddetto Stato membro, tale persona correrà un rischio reale di essere ivi sottoposta a un trattamento inumano o degradante48. Affinché sia possibile ciò,

detta autorità deve chiedere all’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente di fornire con urgenza ogni informazione complementare necessaria, riguardante le condizioni alle quali si prevede di detenere la persona interessata all’interno di tale Stato membro. Solo nell’ipotesi in cui le informazioni ricevute dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione da parte dell’autorità giudiziaria emittente inducano ad escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata sia oggetto di un trattamento inumano o degradante nello

47 Vedi giurisprudenza punto 56.

90

Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve adottare, entro i termini fissati dalla decisione quadro, la propria decisione sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo.

Nel caso di specie, il giudice tedesco ritiene di disporre di elementi comprovanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di detenzione in Ungheria. Infatti, tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di Strasburgo di poco precedente49, emerge che sussiste un rischio che le persone detenute

in Ungheria subiscano trattamenti inumani e degradanti. Il mezzo di ricorso per i detenuti introdotto recentemente nella legislazione ungherese e la creazione di mille posti in più negli istituti penitenziari, contro i cinquemilacinquecento previsti dalle stime, non sarebbero sufficienti ad evitare l’emersione di tale rischio, essendo anche di difficile valutazione l’effettività di queste modifiche su l’intero sistema penitenziario ungherese. Dall’altra parte, l’Ungheria ha contestato le suddette osservazioni, ritenendo che il giudice di rinvio dia erroneamente troppa importanza alla sentenza della Corte EDU del 10 marzo 2015, e che non apprezzi nel giusto modo i provvedimenti successivi alla sentenza presi dall’Ungheria. In particolare, detto giudice non avrebbe preso in considerazione né i miglioramenti apportati alla vita carceraria, né le modifiche legislative ai fini dell’ottemperanza alla suddetta sentenza o alle più recenti decisioni

49 Vedi la sentenza della Corte EDU del 10 marzo 2015, Varga e altri c. Ungheria (CE:ECHR:2015:0310JUD001409712). In questa la seconda sezione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha accolto all'unanimità il ricorso per violazione degli artt. 3 e 13 Cedu sollevato da sei detenuti ristretti nelle carceri ungheresi e ha condannato l'Ungheria a corrispondere somme comprese tra 5.000 € e 26.000 € a titolo di danno non patrimoniale. Essa prosegue un filone giurisprudenziale inaugurato proprio dall’Italia con la nota sentenza pilota Torreggiani (sez. II, sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia), con la quale i giudici di Strasburgo avevano rilevato e condannato la condizione di sovrappopolazione che affliggeva le carceri del nostro Paese. Questo indirizzo è successivamente seguito con altri casi europei, vedi la Bulgaria (sez. IV, sent. 27 gennaio 2015, Neshkov e altri c. Bulgaria), e il Belgio (sez. II, sent. 25 novembre 2014, Vasilescu c. Belgio), per poi sfociare nella sentenza di svolta di Aranyosi e Caldararu.

91

della Corte europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia, occorre notare che, nell’ambito del presente rinvio, la Corte non è interrogata in merito all’esistenza di carenze sistematiche o generalizzate delle condizioni di detenzione in Ungheria, ma se i vari elementi d’informazione che gli sono stati trasmessi dalle autorità dello Stato membro emittente siano tali da consentirgli di escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata sia sottoposta in Ungheria a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta50.

Terminate le osservazioni preliminari, la Corte inizia l’esame nel merito delle questioni sollevate. In questa pronuncia sono elencati alcuni principi che devono essere adoperati dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione, qualora disponga di elementi comprovanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all’interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, per interpretare l’art.1.3 della decisione quadro 2002/584/GAI secondo certe linee guida:

- l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata da un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, per il solo motivo che tale persona disponga, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permette di contestare le sue condizioni di detenzione, sebbene l’esistenza di un simile mezzo di ricorso possa essere presa in considerazione da parte della medesima autorità al fine di adottare una decisione sulla consegna della persona interessata;

- l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta unicamente ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari nei

92

quali è probabile, secondo le informazioni a sua disposizione, che la suddetta persona sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria;

- l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve verificare, a tal fine, solo le condizioni di detenzione concrete e precise della persona interessata che siano rilevanti al fine di stabilire se essa correrà un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;

- l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può prendere in considerazione talune informazioni fornite da autorità dello Stato membro emittente diverse dall’autorità giudiziaria emittente, quali, in particolare, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea51.

In questa pronuncia la Corte di giustizia, consapevole dell’assenza di norme minime al riguardo, formula alcuni principi fondamentali che prende in prestito dalla giurisprudenza della Corte edu52. In una sua

nota sentenza53 la Corte edu aveva affermato che, sulla base dell’art.3

Cedu, le autorità di esecuzione hanno l’obbligo positivo di assicurare che tali condizioni rispettino la dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova d’intensità che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la sua salute e il suo benessere siano assicurati in modo

51 Corte giust. (I Sezione), 25 luglio 2018, C-220/18, ML, cit., punto 148 (dispositivo).

52 V. Faggiani, Le crisi sistemiche dello stato di diritto e i loro effetti sulla

cooperazione giudiziaria nell’UE, in Diritto penale contemporaneo, 2/2019, p.20.

53 Corte edu, sentenza del 25 aprile 2017, Rezmiveș e altri c. Romania, ricorso n. 61467/12.

93

adeguato. Sempre in una pronuncia della Corte edu54, viene

affermato una specie di principio personalistico della pena, in base al quale la soglia minima di gravità di un trattamento dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare dalla sua durata e dai suoi effetti fisici o psichici e, in alcune circostanze dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima.

Quindi, assume rilevanza e si costituisce come elemento di novità nel proseguo della produzione giurisprudenziale in questo senso lo spazio personale di cui dispone un detenuto che, salvo casi particolari e per periodi brevi, non può essere inferiore ai tre metri quadrati in una cella collettiva55. Inoltre, devono essere garantiti una sufficiente

libertà di movimento e un’adeguata attività fuori cella. Tutto questo a prescindere dal fatto che una detenzione in tali condizioni sia temporanea o transitoria, questo aspetto non è idoneo di per sé a escludere qualsiasi rischio reale di trattamento inumano e degradante.

2.2

Le condizioni di detenzione sotto il profilo dei