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Il mostro metafisico. Vita e scritti di Ladislav Klíma (1878- 1928)

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FACOLTÁ Di LETTERE E FILOSOFIA

Corso di laurea specialistica in Filosofia e forme del sapere

Tesi di laurea specialistica

―Il mostro metafisico‖

Vita e scritti di Ladislav Klíma

Relatore

Chiar.mo Prof. Alfonso Maurizio Iacono

Candidato

Daniele Manno

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Indice

Premessa 5

Introduzione 7

Parte prima

Primo Capitolo: “Le catene biologiche dell’uomo e l’arte della fuga”

1.1 Dov’è l’inizio ? 25

1.2 I divieti fondanti e l’architettura della demolizione

1.2.1 La sfida e l’attraversamento 38

1.2.2 Il risveglio del pensiero: Il mondo come coscienza e come niente 53

Secondo capitolo: “Il ritorno a sé”

2.1 La ritirata organizzata nel guscio della lumaca

2.1.1 Rituali metamorfici: la separazione dal terreno originario 75 2.1.2 L’aforisma e il bellettrismo: il seme e la tempesta 86 2.1.3 Crearsi una tecnologia del sé (il mondo è una pagina bianca) 137

Parte seconda

Terzo capitolo: “la filosofia come creazione del mondo” 3.1 Filosofia pratica: uno stoicismo nel XX secolo

3.1.1 La filosofia pratica e l’invenzione del reale 148 3.1.2 Egosolismo e feerismo: le basi di una forma di vita 178 3.2 Metodi e Giochi

3.2.1 L’idea sublime 193

3.2.2 Il mostro metafisico. La perversione dei fenomeni irriducibili e il Gioco 220

Bibliografia 260

Nota biografica 268

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Avvertenza

Gli scritti di Ladislav Klíma non sono ancora tradotti in italiano ad eccezione de I dolori del principe Sternenhoc, alcuni passaggi del Cammino del serpente cieco verso la verità, frammenti di lettere e alcuni aforismi, tradotti dal professor Sergio Corduas. Nel corso della tesi ho tradotto dalla versione francese, mettendo di volta in volta la versione francese a piè di pagina1. In casi particolari ho preferito non tradurre lasciando unicamente la versione francese.

1

La versione francese è a sua volta una traduzione dal ceco, la quale è fatta a partire dai manoscritti di Klima, ancora in gran parte inediti in lingua originale. Le traduzioni francesi sono tutte opera di Erika Abrams.

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Abbreviazioni

I testi di Klíma citati con più frequenza, sono stati abbreviati nel modo seguente:

LKT = Tout (1) - Ecrits intimes, 1909-1927, Editions de la Différence, Paris, 2000 LKD = Dieu le ver correspondance (2), 1905-1928, La Différence, Paris, 2005 LKM = Le Monde etc... (3) - Philosophica journalistica, 1904-1928, La

Différence, Paris, 2010

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Premessa

Questa tesi è incentrata su Ladislav Klíma, un uomo vissuto a cavallo tra XIX e XX secolo (1878 – 1928), che ha praticato in un modo del tutto personale la filosofia durante tutto l’arco della sua vita, reinventandone presupposti, pratiche e direzioni. Si cercherà di vedere quali caratteristiche fanno di quest’autore un “mostro metafisico” che non trova spazio all’interno della storia della filosofia contemporanea a causa della sua reinterpretazione stoica delle problematiche filosofiche occidentale che riscrive all’interno di un più ampio discorso su sé, restituendo al soggetto un primato che già con Schopenhauer e Nietzsche stava cominciando ad affermarsi. Per lo studio dei suoi testi mi sono avvalso di attrezzi concettuali presi in prestito da filosofi contemporanei e in particolare da Ludwig Wittgenstein, filosofo di un decennio più giovane di Klíma, e del lavoro svolto da Michel Foucault nel corso dell’anno accademico 1981-1982 al Collège de France, nel quale si domanda come mai l’epimeleia heautou, la cura di sé messa in atto da varie filosofie ed in particolare dagli stoici, sia scomparsa dal panorama filosofico dopo il V secolo a.C.. Ludwig Wittgenstein oltre ad esser suo contemporaneo, è prossimo a Klíma anche per quanto concerne l’atteggiamento di fronte la filosofia, simile a quello del filosofo ceco quanto a tematiche, esigenze linguistiche ed espressive2, anche se divergente riguardo alle conclusioni tratte. La scelta dell’accostamento di questi filosofi così distanti, il reperimento di affinità e l’accento posto su di esse piuttosto che sulle differenze, sono scelte motivate, se non altro, dal contesto, per un certo periodo condiviso, di un impero Austro-ungarico sul viale del tramonto. La sola cosa che non si troverà all’interno del testo è una deformazione della realtà –perché ciò presupporrebbe l’esistenza di una realtà: ma

2

I temi che li accomuneranno sono l’interesse per il funzionamento del meccanismo della Certezza e della Credenza e il ruolo che essi occupano nella formazione di un sapere; la ricerca dei fondamenti di un sapere e le modalità di Giustificazione che lo rendono più o meno legittimo; la funzione normativa della logica, del linguaggio (compreso quello scritto) e in ultima analisi anche del sapere; le implicazioni della funzione normativa nella sfera del desiderabile e dell’indesiderabile. Inoltre, dal punto di vista stilistico, entrambi sono in rottura con la strutturazione organica degli argomenti, mentre affermano energicamente l’esigenza di lasciare che fra un pensiero e l’altro ci sia uno spazio vuoto che rappresenti il salto compiuto dalla mente.

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questa manca. Al suo posto ci sono numerosi mondi intermedi, stati di coscienza più o meno vividi che danno luogo ad azioni che sempre presuppongono (almeno) uno scopo e (almeno) un obiettivo, seppur essi non sempre siano presenti alla nostra coscienza nella loro totalità e molte volte si sia tentati di credere che le ragioni del nostro agire amino vivere nell’ombra e nascondersi da noi, tanto da richiedere continuamente l’aiuto di un Altro per essere tratti allo scoperto:

<<io posso sapere quello che pensa l’altro, non quello che penso io>>3

In entrambi i filosofi ho reperito affinità che riguardano innanzi tutto l’approccio alla filosofia, la quale, verso la fine del XIX secolo, accusava i segni di una crisi che non era estranea né alle dinamiche che andavano costituendosi all’interno dei moderni agglomerati urbani né all’assalto alla filosofia messo in atto da Nietzsche e prima ancora da Schopenhauer, né allo sviluppo del positivismo e, più in generale, dell’atteggiamento scientifico. Un approccio che, in sostanza, ripensava il ruolo della filosofia, la quale non deve costituirsi come attività, pratica di vita, sacrificio/dono di sé, e non come dottrina o sistema; di cui ciascuno deve fare esperienza singolarmente: <<non c’è un metodo della filosofia, ma ci sono metodi; per così dire, differenti terapie>>4

A me sembra che servirmi delle ricerche filosofiche di Wittgenstein come chiave di lettura per descrivere la filosofia pratica di Klíma, dia come risultato “un’esperienza del vedere”, e sia “il presupposto a un’idea nuova”:

<<chi in una figura (1) cerca l’altra figura (2), e finalmente la trova, vede (1) in un modo nuovo. Non solo può darne un nuovo tipo di descrizione; ma quell’osservare era una nuova esperienza del vedere>>5;

<<cercare di accostare dei pensieri eterogenei, come se si trattasse di corpi elettrici positivi e negativi al fine di far nascere la scintilla di una nuova idea>>6.

3

L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, op. cit., p. 296 4 Ivi, p. 71

5

Ivi, p. 262

6

<< rapprocher à titre d’essai des pensées hétérogènes, tels des corps électriques positif et négatif pour

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7

Introduzione

1.

Ladislav Klíma ha praticato la filosofia durante tutto l’arco della sua esistenza, servendosi di essa quale strumento guida da usare in ogni circostanza; per raggiungere uno stato di benessere e di superamento di sé –sulla scia dei filosofi epicurei e stoici- e per sperimentare modi di vedere il mondo sempre diversi, fondati sulla volontà sovrana che, imponendosi sul soggetto, lo libera da vincoli esterni –verità, certezza, oggettività-, cercando di sopraffare ogni tentativo di costrizione prodotto dalla società. Mostrando un disinteresse pressoché totale nei confronti delle faccende pratiche della vita (ricerca di una professione, di analisi del contesto, ecc.) al punto da trascorrere tutta la vita nella più grande povertà, esercitandosi a vivere nell’assenza di desideri materiali -anche se, a partire dal 1915, necessità di tipo economico sapranno trovare a più riprese il modo di attirare la sua attenzione. Ladislav Klíma è un filosofo “conseguente” come quelli che esistevano nell’antica Grecia di cui leggiamo le gesta tramite descrizioni fatte da discepoli e osservatori

<<una vita filosofica conseguente, la “prassi divina”, costituisce certo una specie di suicidio; *…+ l’abisso della morte si apre per infrangere il limite dell’eroismo metafisico>>7

Un filosofo che cerca di rispondere al conosci te stesso dell’oracolo delfico usando come filtro il solipsismo berkeleiano; convinto che conoscendo se stessi si sarà anche di colpo conosciuto il mondo perché io e mondo sono sinonimi:

<<la soluzione del problema del mondo non è nient’altro se non la conoscenza di sé. Per la buona ragione che il mondo sono io>>8

7

<<Une vie philosophique conséquente, la <<praxis divine>>, constitue bien sur un genre de suicide; *…+ l’abîme de la mort s’ouvre pour franchir le seuil de l’héroïsme métaphysique >>, Fragments

philosophiques in LKM, p. 272

8

<<la solution du problème du monde n'est rien autre chose que la connaissance de soi. Pour la bonne

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8

Ladislav Klíma è un filosofo dei faubourgs9, il quale sperimenta quotidianamente l’idea che la realtà è <<ciò che a ogni istante io voglio che essa sia>>, che nega che i rapporti di causa/effetto o di azione/reazione siano intrinseci alla “natura”10, essendo piuttosto la conseguenza di un tipo di osservazione cosciente messa in atto dall’uomo e da esso inventata. Questo lo spinge a cercare in continuazione nuove posizioni osservative a partire dalle quali vedere il mondo. In pratica, quest’atteggiamento si traduce in uno stravolgimento continuo del comune impiego che l’uomo fa dei dati di senso, percependo che la filosofia dev’essere un’esplorazione metafisica di punti di osservazione. Le difficoltà di mettere in pratica questa postura intellettuale nel XX secolo, si fanno avanti fin da subito nell’ambiente didattico, sociale, istituzionale; ciò porta Klíma a condurre una “sfida al buonsenso”, per mezzo della quale cercherà di divincolarsi da schemi sociali consolidati. Comincia dunque a maturare, già in questi anni della giovinezza, strategie di difesa che hanno il compito di rendere il suo stato d’animo il più possibile impermeabile nei confronti del mondo

<<la mia caratteristica dominante, la volontà di comandare assolutamente a tutti i miei stati psichici>>11

Dopo aver raggiunto tali obiettivi, inizierà l’attività filosofica di Klíma volta sostanzialmente a esercitare su di sé una costrizione tale da sostituire in larga parte quella prevista dalla vita in società:

<<stabilisci la natura e il modo di lavorare Determinanti non solo per ciò che scrivi Ma anche per il carattere e il valore della tua vita>>12

Quella che si andava disegnando era una vita inattuale: come pochi altri uomini del XX secolo, Klíma rimette in questione le decisioni della società sul posto che deve occupare colui il quale intenda vivere una vita da filosofo, sul senso della sua indagine

9

<<Le Philosophe des faubourgs; dialogue sur tout et rien, è un libro pubblicato nel 1923 e che si ispira

senza dubbio alcuno alla vita di Klíma e gli è stato anche, spesso, falsamente attribuito>> LKT, p. 677

10 Rifiutando di attribuire al principio di causalità, lo status di legge naturale. 11

<<ma propriété dominante, la volonté de commander absolument à tous mes états psychiques>>, LKD, p. 58

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e delle sue elaborazioni. Sarebbe sbagliato credere che Klíma proponga un’anacronistica emulazione dei filosofi Greci e Romani che praticavano la cura di sé, si tratta piuttosto di una reinvenzione del ruolo del filosofo e delle pratiche adottate da questi, tenendo conto di tutte le acquisizioni che si sono accumulate nel corso dei millenni

<<Sono in pieno diritto di dirmi filosofo al pari di Senocrate, Diogene, Epitteto – e vivo in condizioni incomparabilmente peggiori rispetto a loro>>13

Il carattere del filosofo greco e romano che Klíma cerca di riattualizzare è quello di Giocatore, creatore di se stesso; di colui che vive solo per perfezionarsi14, che crea giochi ed anche, di volta in volta, il terreno sul quale essi si svolgono

<<cos’è la creazione degna di questo nome ? Un gioco ! – Gioco con le idee e con se stessi>>15

Ma la sua vita è, di fatto, dopo il 1915, una vita da mendicante, relegata ai margini di una società industriale e post-mercantile, la quale conduce una spietata campagna contro ozio e improduttività; e la sua esistenza, nonostante sia considerata dai più ai limiti dell’invivibile16, è vissuta col sorriso e il buonumore di chi abbia ricevuto una notevole fortuna. Non bisogna vedere l’ombra del superuomo dietro queste azioni, ma l’uomo-Creatore, l’uomo-Dio, colui che riesce ad assumere su di sé la contraddizione dell’esistenza d’esser schiavo e allo stesso tempo creatore; e che sente, al contempo, l’urgenza di realizzare una nuova maniera di esistere per la filosofia, la quale non deve essere una produttrice di teorie e dispensatrice di consigli, ma la madre dell’essere, del soggetto e del suo modo di stare al mondo. Il riposizionamento dell’ambito d’azione del filosofo diventa al contempo una risposta alle “condizioni incomparabilmente peggiori”, le quali sono riferibili al contesto sociale nel quale Klíma si trova iscritto, in cui il corpo è soggetto a poteri (bio-poteri) che lo attraversano, localizzano e

13

<<Je suis en droit de me dire philosophe au même titre que Xénocrate, Diogène, Épictète — Et je vis

dans des conditions incomparablement plus mauvaises>>, LKT, p. 32

14LKT, p. 25 <<ne vivre que pour se perfectionner soi-même>> 15

LKM, p. 29 16

A partire dal 1912 vive un periodo di povertà sempre crescente, e dal 1914 alla morte, nel 1928, trascorre i suoi giorni in una piccola stanza d’hotel senza riscaldamento.

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controllano17 silenziosamente talvolta individualmente, talaltra cercando il più possibile di massificarlo; biopoteri che conducono una battaglia –tramite le istituzioni e le tecniche disciplinari- all’interno della quale la vittoria consiste proprio nel dissimulare la lotta, nel mascherarla sotto le vesti della quotidianità; Klíma sembra aver sentito i fragori della guerra laddove raramente sono percepiti e, come risposta a essi, ha messo in discussione il complesso urbano, economico, sociale, pedagogico e istituzionale che si andava delineando nelle società occidentali della fine del XIX secolo, convinto che ciò che vi è di più prezioso per l’uomo è la sua indipendenza – o meglio il suo totale asservimento a se stesso- e che la società s’impone come prigione intellettuale fatta di pratiche, moduli, procedure, ecc., incompatibili con il pensare a sé, l’occuparsi di sé

<<come si fa a non capire che la socialità è identica alla nullità ?.. l’uomo ha perso il suo io – Ciò che è, forse, concesso alle cicogne, non lo è “agli uomini”. La socialità, nonostante sia una cosa positiva per molte specie animali, per l’”uomo” è assolutamente cattiva>>18

<<gli uomini non sarebbero gli imbecilli che sono se la società non li mettesse nella situazione in cui si trovano; la socialità conduce alla cretineria>>19

<<l’uomo società: il contrario del sublime; il caro piccolo non vede altri che sé>>20 La sua vita è una sorta di sfida alla quotidiana rappresentazione della realtà geo-politicamente situata nel XX secolo in Boemia e, più in generale, in Europa; un tentativo di dissolverne i contorni, realizzando un mutamento profondo nel campo del possibile, nei modi di vedere, concentrando il suo interesse nella creazione di una mappatura dello spazio mentale del desiderio, della volontà, del fantastico, del sogno, del gioco. Per mettere in atto un tale proposito, suppongo che Klíma abbia “sentito”

17

La letteratura sull’argomento è vasta. i lavori sui quali ho incentrato il mio percorso di studi sono riferibili a storici, filosofi e sociologi prevalentemente francesi come M. Foucault, G. Dumezil,G. Deleuze, M. Bloch, M. Perrot, P. Veyne, P. Ariès, J. Donzelot, P. Bourdieu,

18

<<On ne comprend pas que la socialité est identique à la nullité ?.. L’homme a perdu son moi — Ce qui est peut-être permis aux cigognes, ne l’est pas aux « hommes ». La sociabilité aurait beau être une bonne chose pour d’innombrables espèces animales, chez l’« homme » elle est absolument mauvaise !>> ,LKT, p. 518

19

<<Les hommes ne seraient pas les imbéciles qu’ils sont si la société ne les mettait pas dans la situation

où ils se trouvent; la socialité conduit à la crétinisation>>, LKT, p. 378

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che essere circoscritto in uno spazio determinato –essere localizzato- ha molto a che fare con ciò che si è in grado di pensare, con la maniera in cui si elaborano le informazioni, le suggestioni o i pensieri21; col fatto che il linguaggio, i pensieri, i luoghi, devono essere continuamente sabotati, reinventati, “pervertiti”, usando influenze e intrusioni di ogni sorta al fine di cambiarne la “forma”, la “fisionomia”, e col “sentire” di conseguenza il potere e la responsabilità della loro creazione, arrestando l’influenza che essi hanno su di noi e aprendo la strada a pensieri e osservazioni che si nutrono dello stupore che si ha quando si vede il mondo sotto un aspetto nuovo. Per questa ragione però è fondamentale che i confini restino indefiniti, non decisi e fissati una volta per tutte con la rigidità che contraddistingue i luoghi e le pratiche discorsive delle città moderne, per non restare vittima delle pratiche disciplinari messe in atto dal proprio tempo

<<Colui il quale subisce sensibilmente l’influenza del milieu è una pecora, un atomo di vento>>22

<<La socialità, detta anche spirito del gregge, sottomissione al nonsenso della collettività, è una schiavitù della specie più colossale. — Ora, visto che l’uomo è il più sociale degli animali, da ciò segue logicamente —— Laddove si presenta qualcosa di più alto — le felidæ ad es. , è anche quel che c’è di meno sociale. — L’uomo, il più potente degli animali grazie alla sua socialità ? Il più impotente, — per ciò che è solo il reale: l’individuo. — Tutto nell’uomo è sociale..; eccetto — il suo Nodo intimo — La socialità, è lo scambio della libertà contro vantaggi esterni più o meno ingannevoli. Questi sviluppano il cervello, — ma il diavolo si porta l’”intelletto” laddove ciò che lo sottintende comincia a putrefarsi; e l’intelletto e la conoscenza non sono che delle forme di putrefazione. — Evoluzione necessaria in seno all’umanità: — dalla socialità alla solitarietà. L’eremitismo di tutti i grandi spiriti, ma anche di coloro i quali superano di poco la media, la dice assai lunga>>23

21

Thomas Bernhard descrive questa ”localizzazione” in Antichi maestri, narrando di Reger, un musicologo che riesce a produrre pensieri solamente all’interno del Kunsthistorisches Museum.

22 <<Celui sur qui le milieu exerce une influence sensible est une brebis, un atome de vent>>, LKT, 561 23

<< La socialité, autrement dit esprit de troupeau, en tant que soumission au nonsens de la collectivité,

est un esclavage de l’espèce la plus colossale. — Or, l’homme étant le plus social des animaux, il s’ensuit logiquement — — Là où il se présente quelque chose de plus haut — les felidæ p. ex., c’est aussi tout ce

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2.

Il lavoro che segue è stato suddiviso in due parti: la prima è composta dai primi due capitoli, e la seconda dal terzo. Gli argomenti non sempre godono di una totale linearità, sono talvolta circolari e rinviano l’uno all’altro per via di certe simultaneità rizomatiche . È stato possibile rintracciare però tre grandi linee guida: la costruzione di un’esistenza tramite una reinvenzione capillare dei riti e dei gesti presenti in società fino alla sostituzione delle coordinate spazio-temporali, l’analisi del sistema di filosofia pratica praticato da Klíma e infine la reinvenzione del panorama filosofico fino alla descrizione dei differenti piani di realtà e la reintroduzione dell’elemento spirituale in filosofia. Nel lavoro seguente ho dunque intrapreso nella prima parte uno studio sulla formazione della realtà la quale in Klíma si articola a sua volta in più fasi: vi è una fase preliminare all’interno della quale sono compiuti da un lato dei gesti con i quali segnare l’inizio di un tipo di gioco

<<la forma di base del gioco dev’essere una in cui si agisce>>24

Azioni di varia natura a vario indirizzo e con svariati obiettivi; mentre dall’altro vi è la ricerca di una serie di espedienti transici per spogliarsi del corpo sociale e recuperare una purezza, un nuovo corpo da costruire da sé. In seguito sarà il momento della “ritirata organizzata” ovvero il momento in cui Klíma vive al riparo da obbligazioni socio-istituzionali, e crea la sua società con se stesso fatta di coordinate spazio-temporali e divieti fondanti del tutto personali a partire dai quali condurre la sua esistenza. In ultimo, l’invenzione di tutta una serie di attività, che prendono inizio a partire dai “divieti fondanti”, che sono le fasi costitutive di ciascuna forma di vita individuale o collettiva. Da un lato, il “gesto” del rifiuto e la costituzione dei “divieti fondanti”– che rappresenta la parte relativa alla critica-, dall’altro la costituzione di una serie di rituali che scaturiscono da questi gesti e hanno come obiettivo quello di

qu’il y a de moins social. — L’homme, le plus puissant des animaux de par sa socialité ? Le plus impuissant, — pour ce qui est du seul reale: l’individu. — Tout chez l’homme, quel qu’il soit, est social..; hormis — son Noyau intime — La socialité, c’est l’échange de la liberté contre des avantages extérieurs plus ou moins trompeurs. Cela développe le cerveau, — mais le diable emporte l’« intellect » là où ce qui le sous-tend s’en va pourrissant; et l’intellect et la connaissance ne sont que des formes de putréfaction. — Progression nécessaire au sein de l’humanité: — de la socialité à la solitarité. L’érémitisme de tous les grands esprits, voire de ceux-là même qui dépassent tant soit peu la moyenne, en dit assez long >>, LKT,

p. 465

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dirigere l’attenzione su se stessi. Il primo consiste nel distanziarsi da una serie di dinamiche e pratiche di vita quotidiana come l’inserimento all’interno di un sistema lavorativo, la scelta di una professione, ecc., in tutti i casi i suoi gesti vanno letti come preludi alla delegittimazione dei modelli dai quali ritiene necessario liberarsi in un processo di soppressione dei vincoli esterni, durante il rifiuto, le scosse all’albero della credenza, sono cadenzate da auto-incoraggiamenti e auto-incitamenti a portare avanti questo processo a tutti i costi; mentre il secondo consiste in una perversione di tutta la sfera conoscitiva tradizionale, fondando per mezzo di una serie di detournements un linguaggio e un modo di pensare adatti a tradurre un pensare metafisico. Nel secondo capitolo sarà analizzato il complesso di pratiche scritturali a partire dalle quali Klíma comincia a dare vita alla filosofia pratica, che è una forma di epimeleia heautou, di cura di sé all’interno della quale si aggiungono i percorsi intellettuali –teologici e filosofici- compiuti dall’uomo nel corso dei secoli, con l’obiettivo cosciente di mettere in atto una pratica di sapere in grado di costruire se stesso, in modo da restituire il primato alla volontà25 cui dev’essere concesso di fondare e rifondare a piacimento non soltanto i campi del pensabile ma anche del visibile. Sono esercizi che devono allenare a disporre l’attenzione verso proiezioni esterne di sé che divengono specchi a partire dai quali osservarsi e sviluppare un sapere su di sé, a partire da sé e potere di conseguenza, evocare una postura o una predisposizione d’animo particolare, un’intenzione

<<scrivere è dare valore a ciò che ne è privo. Ignorare totalmente gli esseri umani>>26 Vi è in Klíma una concezione particolare della scrittura, il tramonto dell’interesse nella scrittura come prodotto finito a causa del sospetto che anche dietro questa pratica siano presenti obblighi e normatività che diano a quest’atto un carattere costrittivo, mentre assume un valore sempre crescente l’atto grafico visto come esperienza peculiare dell’essere umano (essendo l’uomo l’inventore della scrittura). Questa scelta crea di fatto un linguaggio privo di restrizioni e al contempo educato a prendersi per quello che è, cioè un linguaggio infondato e valido solo finché funziona, ma anche una totale buffoneria proprio per il fatto di funzionare pur essendo infondato. Conoscere

25 Rispetto alla volontà di potenza di Nietzsche si potrebbe dire che Klíma cerca piuttosto di dare potenza alla sua volontà

26

<< Écrire, c’est prêter de la valeur à ce qui en est dépourvu. Ignorer totalement les humains >>, LKT, p. 320

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fino in fondo tale paradosso, significa dedicare contemporaneamente pari importanza al ruolo che il linguaggio ricopre nell’arco della vita, di Klíma e di Homo occidentalis in generale27. Oltre a ciò va segnalata la cura con la quale egli cerca di porre rimedio a quel che accade quando una prassi, da principio liberatoria, diventa essa stessa una trappola28; contro questa caratteristica peculiare di ogni tecnica prodotta dall’uomo29, egli crea una moltitudine di strumenti e di pratiche che si prevaricano a vicenda volta per volta, avendo intuito che la verità, così come la certezza, sono per l’uomo degli stimoli all’azione, oltre che dei fenomeno irriducibile. Quindi, per non lasciarsi prendere dalle maglie di una verità, Klíma cercherà durante tutta la vita di mettere la volontà a capo dell’intelletto, la volontà prima omni dominante ma in seguito chiaramente divina, capace di sopportare tutte le contraddizioni e dunque anche di contraddire se stessa. Nella seconda parte della tesi, quella che prende inizio col terzo capitolo, si cercherà di mostrare il funzionamento della filosofia pratica. Essa è un corpo di saperi, pratiche che cercano di produrre, risvegliare, stimolare, un processo psichico per trasformare il modo stesso di vedere le cose; per vederle altrimenti e precisamente con un occhio divino. Per l’analisi di questo processo ho utilizzato gli scritti di Wittgenstein sul linguaggio privato, sull’atmosfera della parola, sul gioco e sul carattere normativo della logica e dei giochi linguistici presenti in varie sezioni delle Ricerche filosofiche, gli studi sulla credenza, la rappresentazione perspicua e i molteplici usi di questi strumenti all’interno di una forma di vita, che sono stati oggetti di riflessione in Della certezza e nelle Note al ramo d’oro di Fraser. Sarà un modo per approfondire lo studio dei concetti che sia per Klíma sia per Wittgenstein ricoprono un ruolo importante nella maniera di pensare peculiare alla nostra forma di vita: si tratta di mettere a confronto, o piuttosto accostare, le descrizioni e i pensieri di entrambi riguardo ai concetti di verità, credenza, logica, e del fenomeno del linguaggio stesso. Queste analisi, sono un tentativo di rendere conto dei presupposti necessari all’atto

27

Il linguaggio sia scritto che orale assume il valore di “estensore di coscienza”; esercizio tramite il quale l’uomo mette in atto una conoscenza che lo riguarda, che estende il limite della memoria e ne sollecita un funzionamento costante.

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Come ad esempio l’alcool, visto come “salvatore” agli inizi e poi diventato lui stesso un “carnefice”, o il principe Sternenhoc il quale cerca, e trova, la salvezza all’interno di “soluzioni” che finiscono alla lunga col ritrasformarsi in “problemi”.

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Essere vittima delle proprie creazioni è un tema ricorrente nei testi di Klíma, il quale viene evocato in particolar modo nei Dolori del principe Sternenhoch e che fa il paio con il verso di Goethe nel Faust: «

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del pensare. Il linguaggio non sarà visto dunque come un semplice veicolo di contenuti, ma come mezzo per creare un sapere a partire dal quale è possibile esercitare un potere, su di sé o nei confronti dell’esterno. Sebbene il loro obiettivo non sarà il medesimo, condivideranno parte della traiettoria; Wittgenstein, infatti, vuole riportare il linguaggio ad un uso pratico, ad un compimento delle funzioni biologiche cui è preposto, nel tentativo di de-potenziarlo dall’interno, mentre Klíma sceglie di attrezzarsi a creare a partire dal linguaggio un “proprio” sapere, a partire dal quale esercitare un potere su di sé, un sapere in cui il processo biologico viene del tutto soppresso e nel quale viene a crearsi una sorta di “pensiero senz’organi”, lontano dall’utile, puramente metafisico in cui il linguaggio riveste il ruolo di strumento principe nel processo di sublimazione dell’uomo. Nella terza parte si cercherà di rendere conto dell’accostamento fatto da Klíma della sfera del religioso con l’ambito filosofico, conciliazione che è in realtà una riappropriazione di un procedimento già praticato dalle filosofie ellenistiche greche e romane per le quali la spiritualità era intimamente connessa al processo conoscitivo30. La riattualizzazione di questo processo viene messa in atto reinterpretando in maniera del tutto personale le filosofie precedenti di Berkeley, Spinoza, Leibnitz, Nietzsche, Schopenhauer, gli accademici, i platonici, i cinici, ecc., dando vita ad una metafisica in cui l’uomo occupa il ruolo di demiurgo e mettendo al centro dell’esistenza il Gioco che la volontà sceglie coscientemente di mettere in atto.

30

<<con il tema della cura di sé ci troviamo dunque di fronte, se volete, ad una formulazione filosofica

precoce, che appare con chiarezza fin dal V secolo a.C.; a una nozione che ha attraversato fino al IV – V secolo d.C., tutta la filosofia greca, ellenistica e romana, ma anche la spiritualità cristiana>>, M.

Foucault, L’ermeneutica del soggetto, Feltrinelli, Milano, 2004, p. 13 <<potremmo dire,

schematicamente, che nel corso di tutto quel periodo designato come Antichità, e secondo modalità che sono state molto diverse, il problema filosofico relativo a “come avere accesso alla verità” e quello relativo alla pratica della spiritualità *…+ non sono mai stati separati>>, ivi, p. 18 - 19

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3.

Il libro attorno al quale questa tesi è incentrata è la raccolta di tutti i frammenti dei giornali intimi ritrovati e salvati dalla distruzione e dal processo di lento dissolvimento che li avrebbe resi illeggibili di lì a poco, essendo stati scritti prevalentemente a matita; di essi mi sono avvalso per dare prova della creazione di questa tecnologia del sé che Klíma ha liberamente praticato per ventidue anni. Questa raccolta -il cui titolo è Tout- è stata pubblicata per il momento solo in francese sebbene il suo autore scriva in ceco, sotto la direzione di Erika Abrams, traduttrice e curatrice di tutti i testi di Klíma. Si tratta di una raccolta a contenuto vario: vi si troveranno scritti intimi, progetti di ricerca, pensieri, esortazioni, ecc., redatti da Klíma seguendo una procedura via via sempre più ricercata nella quale possiamo vedere molti elementi legati alle tradizioni dei filosofi greci e romani, riattualizzate o mescolate ad altri procedimenti di scrittura più avanguardistici. Raccolti e sistematizzati da Erika Abrams, sono stati pubblicati seguendo l’ordine cronologico –quando pervenuto. Ma, nonostante questo tentativo di dispiegamento temporale, si viene colti da un senso di smarrimento perché il cammino di questi frammenti non è lineare, ma denota una atemporalità, che però si protrae nel corso di diciotto anni; ciò rafforza la tesi, sostenuta da Klíma stesso, del pétrifié philosophique,31 dell’immobilità filosofica ricercata al fine di disintossicarsi dalle “evidenze” tutt’altro che evidenti come il concetto di esistenza, di logica, etc., situandosi al di fuori dal corso del divenire collettivo e vivendo solo del suo monologo, del suo papillonage intellectuel e non. Sono pagine in cui siamo di fronte a quelle pratiche di sé messe in atto da gran parte delle élites di Grecia e Roma antica, dai filosofi presocratici e persino da Socrate, in cui il precetto centrale non è il famoso gnothi seauton (conosci te stesso), che uno sguardo storico retrospettivo ha messo al centro dell’indagine filosofica Greca, ma l’epimeleia heautou (la cura di sé da parte di sé medesimo, occuparsi di sé, intrattenersi con sé); essa era al centro degli obiettivi delle più disparate scuole filosofiche che si costituivano attorno all’idea di produrre un sistema di pratiche per realizzare questo processo in cui, ad esempio, la scrittura non serviva solamente come supporto alla memoria, ma come supporto al pensiero: venivano scritti pensieri che, analogamente a come accade nella risonanza degli

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<<Nulla in me è cambiato nel corso di questi orribili anni>>, <<Rien en moi n’a changé au cours des

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armonici, ne evocano altri, facendo in modo che la pagina bianca sostituisse il dialogo con l’altro da sé. Ma oltre a questa funzione, la scrittura è usata in modo da rispondere a tutta una serie di esigenze peculiari alle difficoltà insite nel praticare questa attitudine nel XX secolo, difficoltà legate senz’altro all’organizzazione sociale, agli sviluppi del sapere e della conoscenza, sia in ambito filosofico sia in altre discipline, all’interesse che la sua epoca dedicava a questo genere di attività. Così vediamo nascere nei suoi testi intimi, ma anche in gran parte dei giochi letterari che scriveva, la figura del sovrano, colui il quale muove una campagna contro la serietà, la verità, la logica, e la schiavitù; che impone al suo pensiero di seguire direzioni sempre diverse e di non fissarsi mai limiti ma, vivere errori e ripensamenti, come parti integranti del processo di formazione. Quello che egli con ogni mezzo cerca di raggiungere –ossia la libertà di dirigere la sua volontà in qualsiasi sentiero e di vedere il mondo esterno come un Gioco creato da lui stesso-, è in queste pagine già raggiunto, se non altro proprio per la loro mancanza di obiettivo, proprio perché scritte senza nessuno scopo alieno a questo, senz’altri fini se non la volontà di capirsi, di conoscersi, e di crearsi, di intrattenersi con sé. È un monologo atemporale oltre che divino, fatto di figure discorsive nuove e creative che di tanto in tanto si fanno largo all’interno di un filo che lento si dipana e che fa pensare più che alla scrittura, all’arte di condurre una guerra da parte di un generale, alle annotazioni delle battaglie che hanno avuto luogo e dello stato delle truppe, ai discorsi che un generale prepara per incoraggiarle a vincere. Sono anche performances testuali, speech act cartacei che dopo esser stati scritti agiscono sull’autore sostenendo, sorreggendo, incoraggiando il proseguimento di questa prassi, e che agiscono da subito, senza bisogno di venire riletti. Tout è la raccolta di questi fogli usati in guisa di taccuini; sono le tracce più importanti che abbiamo per ricostruire l’attività “filosofica pratica sistematica”, nome col quale Klíma era solito definire la brulicante ricerca filosofica di metodi per inventare un nuovo modo di fare filosofia, in totale rottura con quella praticata dai suoi contemporanei; gli scritti vengono usati dall’autore per dialogare con se stesso, anzi monologare con se stesso, per rivolgersi a se stesso talvolta come un tiranno, talaltra come un fedele servitore, come un adulatore oppure con un feroce realismo che si piega ad un altrettanto feroce ironia. Queste pagine, una volta scritte, sono diligentemente riposte da Klíma all’interno di un armadio -unico mobile della sua camera dell’Hotel Krasa che dal 1914 lo ospiterà fino

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alla fine dei suoi giorni, il 19 aprile di quattordici anni dopo. Se all’interno di questo volume non resta che qualche frammento relativo al periodo compreso fra il 1909 e il 1914, ossia quando, come Klíma dice nella sua Confessione filosofica (1924) ha inizio questa particolare pratica della filosofia, e sono presenti molte mancanze relative ai giornali tenuti annualmente –fatta eccezione di quello redatto il 1926-, ciò è dovuto a due circostanze importanti: un primo autodafé di manoscritti fatto nel 1912 nell’ottica di togliersi la vita, mentre coabitava in una bicocca con la vedova di suo padre ed il suo nuovo sposo; e un secondo episodio dovuto al disinteresse verso i suoi scritti che vennero bruciati dai discendenti della sua ultima compagna, per fare spazio nella loro soffitta. Queste vicende aprono una voragine che somiglia molto a una macchia nera al centro di una pagina in cui vi era un disegno, del quale adesso restano visibili soltanto pochi tratti. Per affrontare lo studio dei quaderni intimi di Klíma – all’interno dei quali sono presenti autentiche lotte intestine, destinate a costruire un corpus esteso quanto il mondo e senz’altro fine che quello di edificare- saranno utili le ricerche e i modelli offertici da Wittgenstein per la costruzione di quella che definirei una microfisica del potere discorsivo e grammaticale.

La scelta del titolo di questa raccolta, fatta da E. Abrams, è in realtà molto significativa perché sotto questo nome Klíma avrebbe voluto pubblicare un libro definitivo e totale in cui, alla maniera dei filosofi antichi, sarebbero confluiti tutti i suoi pensieri migliori, quelli che più di altri meritavano di essere trasmessi;

<<A 20 anni mi sono dato come regola inflessibile di non pubblicare niente, - al massimo, nella vecchiaia, un solo grande libro [i filosofi presocratici – dopo di loro, la scrittura è diventata un mestiere]. Regola che ho dovuto infrangere a causa della mia situazione finanziaria>>32

Avrebbe dovuto essere il risultato di tutta una vita di esperimenti intellettuali, un concentrato della saggezza accumulata nel corso di una vita passata a praticare la filosofia, mentre quello che contiene il volume è la dura realtà, fatta di fogli A4,

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<<À 20 ans je me suis fixé pour règle de ne rien publier, — tout au plus, sur mes vieux jours, un seul grand livre [les philosophes présocratistes, — eux morts, l’écriture est devenue un métier+. Règle que, vu ma situation financière plus que précaire, j’ai dû violer.>>, LKT, p. 29

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ripiegati fino a farne dei taccuini improvvisati, sui quali egli scriveva pensieri che molto spesso erano invasi dai calcoli della contabilità domestica, in costante difetto.

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4.

La bibliografia postuma di Klíma non si limita a questa fitta corrispondenza con se stesso in cui egli di volta in volta s’immagina il foglio su cui scrive come la sola cosa esistente al mondo oppure come una parte di coscienza rimodellabile33, ma anche ai contatti col mondo esterno che rivestono un ruolo quanto mai importante perché aprono la strada allo sviluppo e ampliamento dei temi che tratta con se stesso, considerando i suoi interlocutori volta a volta come degli alter ego, come discepoli da educare, come altri sé ai quali far parte dei suoi pensieri. Questa raccolta di lettere che compone il secondo volume delle opere complete, dal nome Dieu le ver, ci aiuta a uscire, almeno in parte, da quella scrittura sostanzialmente a carattere personale, fatta di abbreviazioni, associazioni libere, esclamazioni talvolta emblematiche, mostrandoci un Klíma che cerca di esporre fin dove possibile i suoi pensieri ad “Altri se” e quindi sostituendo la scrittura di sé con la spiegazione di sé. Queste lettere sono un supporto sotto molti aspetti fondamentale perché danno una chiara descrizione della sua vita intellettuale e pratica, del suo rapporto con la filosofia e con i sistemi e i dispositivi che va via via costruendo. Inoltre, ci troviamo di fronte alle sue richieste di denaro, le sue intenzioni letterarie e a molti temi che sarebbe stato impossibile trattare disponendo soltanto dei frammenti intimi. In queste missive, come rileva Erika Abrams, c’è di tutto: <<Bigliettini di due righi o opuscoli di cinquanta pagine, lettere-corsi di filosofia pratica o romanzi intimi, d’amore, di mendicità o di baldoria, lettere–provocatorie, esercizi di stile, esposizioni su Stendhal e Voltaire, sulla Roma antica, la dissenteria e la termodinamica, scritti declamatori, propagandeschi, pragmatici o senz’altro scopo che l’edonismo dello scrivere – ancor più marcato o quasi che in Tout, c’è di tutto in queste corrispondenze la cui complementarità con il quaderno di bordo impone la pubblicazione integrale. Il tempo è ormai passato riguardo le possibili imposizioni di censura delle lettere, che Klíma acconsentiva che i suoi amici, discepoli o modesti mecenati, ricopiassero e facessero circolare tra loro>>34

33

LKD, p. 50

34 <<Billets de deux lignes ou opuscules de cinquante pages, lettres-cours de philosophie pratique ou

romans intimes, d’amour, de mendicité ou de beuverie, lettres-provocations, exercices de style, commentaires sur Stendhal et Voltaire, la Rome antique, la dysenterie et la thermodynamique, cabotines, propagandesques, pragmatiques ou sans autre objet que le pur hédonisme de l’écrit — plus

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Le lettere che ci sono pervenute ricoprono in molte occasioni lo stesso arco temporale dei frammenti del giornale intimo, e ci danno quindi l’occasione di vedere i rimandi fra l’uno e l’altro riguardo tematiche, registro e scrittura. Al di là della coerenza nelle tematiche trattate sia in ambito privato che in quello epistolare, all’articolazione e allo sviluppo di pensieri altrimenti oscuri che i suoi amici/discepoli lo invitavano a scrivere e che in seguito facevano circolare tra loro, c’è anche molto materiale scritto soltanto per compiacere il lettore, un modo per proseguire il mestiere di mendicante che ormai andava imponendosi (Klíma chiamava questa componente della sua scrittura “astuzia nella scrittura” ed era coscientemente volta a vezzeggiare la vanità altrui). Nelle lettere si ha modo di vedere come i rapporti in principio occasionali e casuali si trasformino in richieste di danaro, di pane, di vestiti e come l’autore non sia in nessun modo imbarazzato nel chiedere, facendo in modo di costruirsi l’immagine del “gran malato” che stimola compassione. Nelle lettere siamo di fronte quindi ad un elemento che manca negli scritti intimi, ovverossia l’altro in tutte le sue forme e declinazioni, l’altro da sé che va nutrito di speranze, di idee, di complimenti, di arguzie perché si chini a gettare la moneta nel cappello da cilindro del mago che mendica non con il tipico gesto della mano tesa, ma con un foglio di carta scritto da un luogo altro rispetto a quello in cui si trovano i suoi destinatari. Dalle testimonianze scritte dopo la morte, ciascun di essi dichiara di non avergli dato nemmeno la metà quel che lui dava loro; di esser stati persino troppo avari rispetto alla generosità con la quale egli si appassionava nel dare loro tutta la spiritualità che era stata soppressa dalle società moderne e relegata all’interno di fedi e religioni. E non avevano torto perché Klíma, come Anassagora, ha sempre preferito <<una goccia di saggezza ad un calice d’oro>>35.

encore ou presque que dans Tout, il y a de tout dans cette correspondance dont la complémentarité avec le carnet de bord impose un même parti pris d’intégralité. Le temps a passé sur les possibles velléités de censure autorisées aux destinataires par Klíma lui-même, qui n’ignorait pas que ses amis, disciples et menus mécènes recopiaient ses grandes épîtres et les faisaient circuler entre eux>>LKD, p. 8

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5.

Saranno presi in considerazione anche i testi che appartengono al 3° e 4° volume delle opere complete, rispettivamente dedicati a tutti i testi pubblicati nel corso dell’attività giornalistica e ai numerosi frammenti di un romanzo, uno fra tanti, che Klíma scriveva nell’epoca della scrittura prettamente letteraria –successiva alla stesura del primo testo filosofico. Questi due volumi sono sotto certi aspetti complementari perché nella maggior parte dei casi, gli spunti che prendeva per scrivere gli articoli giornalistici arrivavano direttamente da uno dei suoi personaggi che ne parlava in questo o quel passaggio del romanzo. In fondo, di questi saccheggi sono stati vittime anche i suoi quaderni privati o giornali intimi i quali sono stati ampiamente usati per la stesura di Istante ed eternità e Trattati e diktat. Anche le epistole sono talvolta degli ottimi spunti per aforismi da inserire in quelle pubblicazioni che non sono più, come spesso accade per un autore, il risultato di anni estenuanti di fatiche intellettuali, ma raccolte di scritti fatte nella speranza di ricavare un qualche guadagno. Klíma giudicava impubblicabili la maggior parte delle sue teorie, e questa constatazione rimanda a un discorso di più ampio respiro che riguarda la filosofia e più in generale la diffusione della cultura nelle società moderne.

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Primo capitolo

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1.1 Dov’è l’inizio ?

« dov’è l’inizio ? e l’inizio dell’inizio ? questi concetti hanno un senso ?»36

Quest’annotazione del dieci maggio millenovecentoventitré, scritta in un foglietto peraltro già usato, questa frase a mezzo, lasciata in sospensione, rimanda a qualcosa capace di prendere corpo solo in forma interrogativa. L’inizio è qualcosa che sfugge: « È così difficile trovare l’inizio »37, scrive Wittgenstein, in una frase che sembra un sospiro; l’inizio è qualcosa che si contempla, consapevoli che in fondo avrebbe potuto avere un altro aspetto, iniziare in un altro momento; l’inizio di qualcosa succede sempre a qualcos’altro che c’era prima, e quel che è ancora più difficile è «non tentare di andare ancor più indietro »38, attenersi al percorso tracciato. La sospensione di questo domandare suggerisce almeno due immagini diverse: la sospensione delle ricerche –in attesa di nuovi materiali per alimentarle-, e quella della sospensione in aria che è condizione di ogni inizio, di ogni fondamento. Perché l’inizio inteso come fondamento è in realtà un enigma che s’impone a colui che ha “memoria” e “coscienza” e si accorge, grazie ad esse, che qualcosa è cambiato rispetto a “prima”; ma quando se ne accorge il cambiamento è già avvenuto, quindi per rintracciare le cause che hanno realizzato a questo cambiamento, il suo compito non potrà che consistere in un tentativo di ricostruzione, di “evocazione” del momento iniziale:

<<Tutto è sempre venuto dalla notte, background inevitabile, madre di tante creature diurne>>39

Se si sceglie di cercare le ragioni del nostro agire nella “notte” degli inizi, è indispensabile rubare il fuoco agli dei, ripetere il furto di Prometeo; diventa necessario

36

<<où est le commencement ? Le commencement du commencement ? Tous ces concepts ont-ils un sens ?>>, LKT, p. 291

37 L. Wittgenstein, Della certezza, op. cit., p.76 38

Ibidem. 39

<< Tout est toujours venu de la nuit, backgroung inevitable, mère de tant de créatures diurnes>>, Julio Cortàzar, Entretien avec Omar Prego, p. 200, Gallimard, 1984

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servirsi di artefatti, espedienti, immaginazione, memoria. Quello che vedremo però non sarà la realtà, quanto piuttosto quel che abbiamo scelto di illuminare, quello verso il quale abbiamo diretto il raggio di luce, e quella porzione illuminata di realtà ci appare adesso come la sola possibile; siamo ignari del fatto che la stiamo trasformando in realtà. Ci sfugge che abbiamo edificato un castello sospeso in aria, perché esso ci appare solido e perché le sue fondamenta poggiano sulla solida roccia.

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La ricerca di qualcosa che appartiene al passato riguarda inevitabilmente il campo dell’ineffabile, è già metafisica, e per andare alla ricerca degli inizi è indispensabile essere provvisti di una tecnica:

<<ma la mia prassi non è nient’altro che un’ombra, solo un presentimento della vera prassi, della liberazione>>40

In primo luogo, è lecito chiedersi cosa sia questa “prassi”, e poi per quale motivo seguirla visto che il suo autore la descrive come un’”ombra”, un “presentimento”. La risposta che mi sono dato, è, credo, la stessa che ha spinto una serie di persone a rintracciare, riunire, decifrare, tradurre questi fogli sparsi, di cui mancano parti, in cui ci sono frasi ormai illeggibili perché usurate dal tempo; la risposta è che si crede che la mancanza di ragioni non sia sufficiente a giustificare la soppressione di un gesto, di una prassi, seppur incompleta e oscura. Se non altro perché, da un po’ di anni a questa parte studi antropologici, storici, etnologici ed etnomusicologici, ma anche linguistici e filosofici, hanno mostrato che gesti irragionevoli, presentimenti, stanno alla base di migliaia di cose che ci appaiono –col senno di poi- evidenti, strutturate, frutto di un’accurata riflessione41. Molte delle cose che riguardano l’uomo42, e la natura in generale, non sono nate sotto il segno della pianificazione e della ragionevolezza: <<il linguaggio non è venuto fuori da un ragionamento>>43

C’è da chiedersi allora da dove sia “venuto fuori”, cosa abbia costituito la sua ossatura, il suo inizio, quale evento sia alla base della sua creazione. Le ombre e i presentimenti assumono qui un valore fondativo. È lecito dedurre che durante la ricostruzione di ciò che sta alla base di un modo di procedere –seppur ben strutturato- non si debba

40

<<mais ma praxis n’est toujours qu’une ombre, qu’un pressentiment de la vraie praxis, de la

libération>>, LKT, p. 294

41 Come mostra Nietzsche nell’eloquente spiegazione della logica del sogno a p. 22-23 di Umano, troppo

umano. Nel sogno avviene che un rumore esterno rientra a far parte dell’esperienza del sogno molto

rapidamente, riuscendo persino ad inscriverlo all’interno di un percorso che fa si che egli <<crede di

vivere prima le circostanze occasionanti e poi quel rumore>> . Ciò accade perché <<in sogno, noi crediamo al sogno, come se fosse realtà, cioè teniamo la nostra ipotesi per pienamente dimostrata>>.

Ciò metterebbe in luce un aspetto un po’ meno evidente della famosa frase di Shakespeare “la nostra

vita è fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni”.

42 Si potrebbe dire, seguendo il ragionamento di Wittgenstein che l’uomo non è solo un animale cerimoniale, ma che queste cerimonie fanno parte di un’altra caratteristica dell’uomo, quella di essere un animale strutturante.

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cercare soltanto all’interno delle “azioni ragionevoli”; ma piuttosto di risposte adeguate all’ambiente, vittorie, conquiste, superamenti di sé, di limiti che diventavano man mano sempre più evidenti e ingombranti, di lotte interne, esterne, superate le quali, qualità inattese cominciano timidamente a fare la loro comparsa. I presentimenti e le intuizioni, appartengono a quei tipi di non-saperi che però producono un discorso; sono, proprio per questa ragione, contraddittori e paradossali; ma paradosso e contraddizione sono inerenti alla vita tutta, e devono, secondo Ladislav Klíma, essere presenti all’interno del campo della filosofia che compete la metafisica, e uno dei ruoli che essa deve svolgere è proprio quello di educare all’ascolto di questi non-saperi <<i “presentimenti” hanno la stessa logica delle idee profondamente chiare. Se non fosse che tutto ha luogo istintivamente>>44

Cedere a un presentimento equivale a condurci in sentiero non ancora battuto, ad assecondare le nostre rêverie, a dar loro un valore educativo: per Klíma, in ogni caso, i sogni ad occhi aperti sono degli stati in cui si è capaci di mettere in atto un processo di distanziazione dalla realtà, di risvegliare il sospetto nei confronti dell’univocità della realtà, renderci consapevoli degli innumerevoli ostacoli che ci fanno vedere limitatamente le cose, mostrandoci situati all’interno di un contesto, all’interno di uno spazio, mostrandocene i limiti, facilitando il see as, ossia il processo di apprendimento che ci permette di vedere le cose altrimenti45, a seconda dei nostri presupposti teorici, dandoci il potere di allontanarci a piacimento dalla forma di vita cui apparteniamo e che la nostra epoca ciecamente esprime

<<Tutto può essere cambiato d’improvviso, dalla testa ai piedi>>46

La ripetizione (umana, quindi sempre elastica, sempre sottomessa all’errore e al difetto), il Gioco della ripetizione, è uno degli esercizi che permette di addestrare i

44

<<Les « pressentiments » ont la même logique que les idées parfaitement claires. Si ce n’est que tout ici

se passe instinctivement>>, LKT, p. 301

45

L’immagine che più di tutte rende conto di questo procedimento è l’anatra-coniglio dello psicologo Joseph Jastrow, ripresa da Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche e da Thomas Kuhn e Erns Gombrich rispettivamente in The Structure of Scientific Revolutions, 1962, e Art and Illusion, 1959. Ciascuno di questi autori si serve di questa immagine per rendere conto dell’intensa attività mentale e teorica che sta alla base del nostro vedere e che guida la nostra osservazione. Sensi carichi di teoria: Quest’espressione del professore A.G. Gargani, mi sembra riassumere efficacemente il pensiero descritto.

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propri sensi e il proprio intelletto a spostare lo sguardo in una direzione particolare; la scrittura è il luogo per eccellenza in cui questo genere di addestramento si forma; essendo essa una ripetizione a contenuto vario, riesce a stimolare l’esplorazione, l’esperimento, l’ascolto, la ricerca finalizzata al reperimento di un gioco che funzioni, che dia <<buona prova di sé>>47. Una pratica dunque, una tecnologia dello spirito che è volta a diventare una terapia contro l’univocità, perché questa componente importante nello sviluppo umano che è il linguaggio scritto, ha finito col diventare, per così dire, il “doppio” della realtà se non addirittura sostituirsi a essa; ha ricreato un mondo, composto di parole in successione, parole-alberi, parole-pipe, parole-semi, pensieri in forma di parole ecc., al punto di riuscire a disporre di ogni centimetro dello spazio che viviamo, ricreando una vita, quella delle società, in cui le parole sono anche azioni e oggetti.48

<<i pensieri non sono altro che piccoli animali, e il mondo non è altro che il processo del pensiero nel suo sempiterno svolgimento da parte dell’uomo>>49

La scrittura, la prassi dello scrivere, ha la capacità di mettere l’individuo di fronte a se stesso, di aiutarlo nel trovare delle formule capaci di attenuare lo sconforto e lenire l’incertezza funzionando come dei pharmakoi:

<<quanto è di ristoro una matita su di un pensiero assai confuso>>50 E ancora:

47 L. Wittgenstein, Della certezza, Einaudi, Torino, 1999, p. 76 48

Sapere che l’uomo fino a poche centinaia di millenni fa non disponeva delle caratteristiche fisiche per articolare i suoi pensieri foneticamente, non ci autorizza a dare un giudizio di valore sulla qualità delle comunicazioni che era in grado di intrattenere ne se il suo modo di pensare potesse somigliare anche lontanamente a quello che ha preso piede a partire dall’espressione del linguaggio, ma ci da il potere di definire il linguaggio come qualcosa che ad un certo punto, oltre ad essere stato creato, si è anche imposto e diffuso più di altre forme comunicative. Ciascun popolo o etnia, a partire dalle stesse capacità fisiologiche ha ritenuto di dare maggiore o minore importanza a certe “estensioni del linguaggio” che possono essere quello gestuale, figurativo, sintetico, e così via. Wittgenstein, di fronte al Ramo d’oro di Frazer, si accorge che la mitologia e i rituali di cui egli tratta nel libro, sono il corrispettivo di ciò che accade nella nostra società con l’uso del linguaggio: <<nel linguaggio si è depositata un’intera mitologia

*…+ Nei riti antichi troviamo l’uso di un linguaggio gestuale estremamente sviluppato. E quando leggo Frazer vorrei dire a ogni passo: tutti questi processi, questi muramenti di significato sopravvivono ancora nel nostro linguaggio verbale>>, L. Wittgenstein, Note al “ramo d’oro” di Frazer, p. 31

49

<< le pensée ne sont ni plus ni moin que de petits animaux, et le monde n’est absolument que le processus de la pensée dans son sempiternel déroulement chez l’homme >>, LKM, p. 272

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<<a che punto la scrittura sostiene il pensiero ! appoggio che forniscono allo spirito le cose materiali>>51

Ma quali fattori riescono a fare della scrittura questo supporto al pensiero ? in quali circostanze particolari possiamo vedere questo effetto benefico in azione ? cosa accade internamente quando la scrittura riesce a essere un sostegno del nostro pensiero ? quando la materia e il mondo esterno riescono a diventare un appoggio e un sostegno al pensiero ?

Accade che in quel momento la scrittura diventa un’art de soi-meme52, uno strumento capace di mettere in atto una grande influenza su se stessi, un autoapprendimento tramite la capacità di dirigere lo sguardo sovranamente, ampliando così il campo delle possibilità della nostra esperienza; tramite la scrittura viene messa in atto la ricerca di una tecnica per rendere sempre più efficace questo comandarsi, tecnica che va via via strutturandosi e completandosi mentre la si pratica53. La scrittura è vista in quest’ottica come <<un arma nella lotta spirituale>>54, una prassi che allena l’individuo ad entrare in contatto con se stesso, a conoscersi; ma dicendo contatto si è esposti al rischio di fraintendere che il contatto avvenga fra due elementi. Possiamo paragonare questa scrittura ad uno specchio intellettuale nel quale però non è detto che appaia il riflesso ed è solo dopo un certo tempo che può accadere che esso si mostri; a quel punto, l’individuo vede la propria immagine nello specchio di carta e può cominciare ad osservarsi. Detto altrimenti, inizia un contrarsi in un punto esatto a partire dal quale l’individuo è creatore di un tipo di comunicazione non accidentale, in cui c’è un creatore inesistente –l’Io inteso nel senso più mistico possibile- e un creato (la figura nello specchio esegue ciò che il soggetto gli comanda di fare) la cui forma è frutto di una serie di gesti così come una statua è creata da uno scultore che comanda alla mano che impugna lo scalpello di compiere una serie di movimenti. Scrivere è per

51

<<comme l’écriture soutient la pensée! Appui que fournissent à l’esprit toutes choses matérielles>>LKT, p. 293

52

Così è definita da Michel Foucault in L’ecriture de soi, Dits et ecrits vol. II, p. 1234, op. cit.

53 <<si praticano esercizi per trasformare l’io e si scrivono frasi per influenzare l’io>>, Pierre Hadot, La

filosofia come modo di vivere. Conversazioni con Jeannie Carlier e Arnold I. Davidson, p. 127, Einaudi,

Torino, 2008.

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Klíma una prassi che prende forma all’ombra dell’idea che produrre un pensiero chiaro è già di per sé una conquista, un pharmacon inteso anche nel senso più stretto:

<<l’idea di uccidere la sofferenza umana in generale servendosi della filosofia non è un delirio>>55.

Ma è il caso di ribadire che la postura con la quale la scrittura comincia ad essere una “medicina dell’anima” non è una postura qualsiasi. È necessario, innanzi tutto distinguere di quale tipo di scrittura si sta parlando. Sia Wittgenstein che Klíma non avevano fra le esortazioni alla scrittura né l’idea di parlare a un pubblico, né di conseguenza la necessità di strutturare un discorso immaginato per un lettore, ma un idea, uno spunto, uno stimolo personali che discutevano con se stessi. Non si ponevano di fronte al foglio in quanto “autori”, ma in quanto “sovrani” –il secondo gode di una serie di libertà che non sono concesse al primo. Qui ci è possibile reperire già una peculiarità riguardo questo tipo di scrittura: essa diventa un supporto alla riflessione e non soltanto alla memoria; non si tratta di salvare un pensiero dall’oblio ma di renderne possibile l’esistenza creando percorsi meditativi: è uno scrivere che va messo in relazione con la maieutica socratica, con il parto di un pensiero, senza che però quest’ultimo rivesta un’importanza capitale, diventi esso stesso l’oggetto di interesse. Si tratta di sperimentare un nuovo genere di conoscenza, non di trovare delle risposte che diano un sostanziale contributo alla cultura. Nel caso di Klima, vi è una certa somiglianza con quanto accade nelle Meditazioni di Marco Aurelio, di cui ci parla Pierre Hadot nel libro-intervista con A. I. Davidson e Jeannie Carlier, La filosofia come maniera di vivere, in merito al modo in cui è scritto il testo dell’imperatore filosofo: sono esortazioni a se stesso, ci dice P. Hadot; nel caso della scrittura di Klíma non si tratta soltanto di fare un real assent56, ovvero di evocare una serie di dogmi da tenere a mente, ma si tratta di far diventare la scrittura il terreno all’interno del quale dare vita, di volta in volta, ad uno stato di attenzione particolare verso certe parole,

55

<<la tendance à tuer la souffrance humaine en general par le moyen de la philosophie n’est pas du

délire>>LKM, p. 414

56

<<Il real assent è qualcosa che impegna tutto l’essere: si comprende che la proposizione a cui si aderisce cambierà la nostra vita *…+ Ciò che *Marco Aurelio+ vuol fare è avere un real assent dei dogmi, delle proposizioni stoiche, per esempio che non c’è altro bene e altro male che il bene e il male morali; che gli altri uomini sono accomunati tra loro dalla ragione e che bisogna dunque amarli e perdonarli>>, Pierre Hadot, La filosofia come modo di vivere, p. 81

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indipendentemente dallo stato d’animo, in grado di destare la nostra attenzione e di riuscire a modificare il suo stato attuale in uno schiocco. Quel che c’è di fondamentale in questa prassi non è perciò questa o quell’idea, ma la tecnica che ci mette in condizione di produrle e di “guarirci”

<<nessuna sofferenza, neanche fisica può resistere ad un “pensiero” elevato, realmente chiaro; la grande arte, ciò che vi è di fondamentale, consiste unicamente nel saper produrre per magia, idee di questo genere a partire da qualsiasi stato d’animo, sia esso il più nero o il più inopportuno *…+ vocazione della più formidabile volontà..; scienza più importante di tutte>>57

Scrivere diventa un esercizio capace di risvegliare e dirigere l’attenzione nei confronti della volontà, mettere il nostro spirito in uno stato di ascolto del desiderio; ed in ultimo, operare nei confronti della memoria, una forma di costrizione “interna”, in opposizione agli “stimoli” che deve subire dall’esterno. Scrivere si trasforma in un vero e proprio rituale evocativo che prende spunto dalla prolessi epicurea58 ma si nutre anche di altri registri, come il comando l’autosuggestione. Oltre a ciò, Klíma si servirà delle corrispondenza con amici/discepoli per esercitarsi

<<alla maniera dei soldati che in tempo di pace si esercitano nel maneggiare le armi *…+ è un modo per preparare se stessi ad una simile eventualità *…+ gli scritti che aiutano il destinatario armano lo scrittore – ed eventualmente i terzi che la leggono>>59

così di fronte a richieste di aiuto che sono richieste esplicite su come condursi per riuscire ad avere un minimo controllo sui proprio stati d’animo, Klíma sottolinea quanto importante sia in questa prassi mettere in atto una o più leggi che siano a fondamento di una postura ben precisa nella quale si stabilisca il primato della volontà

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Aucune souffrance, même « physique », ne peut résister à une pensée élevée, réellement claire; le grand art, le fond de la chose, c’est simplement de savoir tirer par magie de telles idées de n’importe quel état d’esprit, voire du plus noir et du plus foireux, — faire jaillir des étincelles de la fange; vocation de la volonté la plus formidable..; science la plus importante de toutes>>, LKD, p. 473

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La prolessi consiste <<nella capacità da parte della mente, di rinnovare un certo qual moto particolare

che si era prodotto in occasione di un certo tipo di percezione>>, Epicuro, Opere, introduzione a cura di

Graziano Arrighetti, p. XXXI. Per Klíma le parole pronunciate dovevano risvegliare gli stati d’animo che un tempo erano state loro stesse a dare luogo.

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