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filosofia pratica e invenzione del reale

“la filosofia come creazione del mondo”

3.1.1 filosofia pratica e invenzione del reale

<<da un anno, in effetti, ho smesso di fabbricare romanzi neri per lanciarmi una buona volta infine e a pieno regime nella pratica della filosofia, più particolarmente dello stoicismo. Sono assai contento dei risultati. Se rifletto al meno tre ore durante il giorno a ciò che ad hoc pertinet, raggiungo in generale, fra le sei e mezzanotte, uno stato d’animo adiaforico come un mezzo-Epitteto e così gioiosamente tranquillo che avrei senza sosta voglia di volare senza aeroplani né zeppelins.. Credetemi, anche ai giorni nostri lo stoicismo puro da i suoi frutti, — per quel poco che si sappia essere di una pazienza estrema e di una crudeltà di ogni istante con se stessi…>>293

La lettera in cui sono contenute queste affermazioni riporta la data del 29 luglio 1909, quindi è all'incirca verso la metà dell’anno 1908 che Klíma comincia a “praticare” la filosofia. Il libro del 1904, gli aforismi, la scrittura letteraria, non sono da confondere, dunque, con la filosofia pratica. Essa ha inizio quando cessano questi, quando non si ha più bisogno di predisporsi e volgere lo sguardo verso se stessi. È a quel punto che inizia la pratica della filosofia stoica. È un peccato che il suo amico di piuma non gli abbia chiesto ulteriori dettagli in merito a questa singolare affermazione, resa ancor più singolare dal fatto che questa lettera è del 1909 e non nel III secolo dopo Cristo ad esempio o a Nicopoli, dove Epitteto teneva la sua scuola stoica. Ciò che avrebbe dovuto stupire E. Chalupny, è proprio quel verbo “praticare” usato da Klíma, che sostituisce, in maniera tanto ambiziosa quanto emblematica, quello più comunemente usato da chi si occupa di stoicismo o altre correnti filosofiche del periodo Greco-

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<<Il y a un an, en effet, j’ai cessé de fabriquer des romans noirs pour me lancer une bonne fois enfin et à plein régime dans la pratique de la philosophie, plus particulièrement du stoïcisme. Je suis assez content des résultats. Si je réfléchis au moins trois heures dans la journée à ce qui ad hoc pertinet, j’atteins en général, entre six heures et minuit, un état d’esprit aussi adiaphorique qu’un demi-Épictète et si joyeusement tranquille que j’aurais sans arrêt envie de voler sans aéroplanes ni zeppelins.. Croyez-m ’en, même de nos jours le stoïcisme pur est payant, — pour peu qu’on sache être d’une patience extrême et d’une cruauté de tous les instants envers soi-même...>>, LKD, p. 43

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Romano: studiare. L’utilizzo di questo verbo ci mette in seria difficoltà perché non abbiamo ulteriori informazioni dirette, circa la natura e l’intenzione delle pratiche da lui messe in atto ed inoltre non sappiamo come immaginarci una pratica dello stoicismo nel XX secolo; non sappiamo cioè se si tratta di una fedele ripresa dell’antico, del medio o del nuovo stoicismo o cos’altro. Per fortuna, i giornali intimi di quel periodo e dei successivi, nonché altre lettere di qualche anno dopo –scritte con uno sguardo retrospettivo-, destinate a uno dei suoi discepoli per corrispondenza, riusciranno a far luce sulla questione. Ma prima dobbiamo osservare che la mancanza di interesse nei confronti di questa affermazione, questo lasciarla cadere e non domandare maggiori delucidazioni, è un segnale di quanto essa è giudicata come una bizzarria per filosofi un po’ artisti come lui appariva, ma non certo come una frase da prendere sul serio. Ritornando alla lettera, quel “ciò che ad hoc pertinet” per raggiungere lo stato adiaforico di chi basta a se stesso e riesce a fare evaporare le preoccupazioni, resta, per il momento, imprecisato. A voler prendere sul serio quest’affermazione di Klíma, dovremmo dedurre ch’egli non volesse ottenere, tramite lo studio della filosofia degli stoici, una conoscenza nei riguardi delle pratiche da essi escogitate, al fine di poterle classificare, ordinare, sistematizzare in un contributo alla comunità degli studiosi e degli intellettuali, come sono gli studi condotti da M. Foucault e P. Hadot, analizzando testi, rintracciando corrispondenze, spostamenti, distanze, fratture, ecc.; si tratta di ipotizzare, attenendoci al testo, che Klíma tramite la pratica della filosofia stoica volesse giungere alla costituzione di un sapere che è in relazione con la maniera di intendere la filosofia adottata dagli stoici. Per essi la filosofia coinvolge la vita per intero, è una pratica tanto corporea che mentale da applicare in ogni gesto quotidiano

<<— ”ma rischio di essere” cacciato in esilio. — Che cos’è l’esilio ? Essere altrove che a Roma ? – “Sì; e se poi mi mandano a Giaro ?” – Se ti pare ci andrai; se no hai un luogo dove andare, invece che Giaro, un luogo dove anche quello che ti caccia a Giaro andrà, di buona o di malavoglia>>294

“Praticare” lo stoicismo è qualcosa che si può fare soltanto vivendo in maniera stoica, per via del fatto che tanto le azioni quanto i pensieri, sono necessari a raggiungere

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l’obiettivo ultimo di questa scuola filosofica: modificare le proprie rappresentazioni. Per raggiungere tale traguardo, e costruire un modo per esperire la vita in modo diverso, per agire in modo diverso di fronte ad ogni accadimento, la scuola stoica aveva elaborato una serie di pratiche che avevano come scopo di esercitare l’individuo ad un superamento di sé. Questa dichiarazione fatta da Klíma, di “praticare” lo stoicismo e non di studiarlo, deve suscitare stupore, ma soprattutto deve farci correggere il tiro rispetto alle nostre aspirazioni e considerazioni circa lo studio della sua filosofia pratica; egli non cercherà di produrre un sapere in grado di decifrare lo stoicismo, ma di coglierlo nell’atto stesso di praticarlo, diventando, di fatto, uno stoico nel bel mezzo del novecento. I suoi scritti intimi vanno letti come un procedere a tentoni e un interrogarsi riguardo ciò che può permettergli di agire nel modo migliore, che può essergli utile per generare uno stato di benessere. Ciò che ha luogo, parallelamente alla “deviazione sistematica da ogni norma umana”295, al distogliere l’attenzione dall’altro sé interno a se stesso, è la rinuncia alla triade sociale indebitamento–attività–piacere296, che la società andava poco a poco costruendo. È un lento e progressivo volgersi verso sé, che ha bisogno di confrontarsi con un contesto differente da quello nel quale lo stoicismo si è sviluppato, e che deve quindi cercare di ridefinirsi; come si è potuto osservare, in Klíma questo processo ha preso corpo all’interno della scrittura bellettrista e in quella di aforismi, nelle quali il filosofo ceco comincia già a fare della scrittura un guscio protettivo, in cui non si pone soltanto come autore, ma addirittura entra dentro il racconto da lui composto in quanto personaggio, infrangendo la barriera che separa la finzione letteraria dalla realtà, mettendo sotto sopra l’intera costruzione lineare di un racconto, e sviluppando l’immagine di colui che crea se stesso sotto la sua stessa piuma. Vi è da notare dunque che parallelamente alla delegittimazione della realtà costruita sugli assi spazio temporali della segmentazione, del controllo, della disciplina, del vizio e dell’ubbidienza, vi è la costituzione di un'altra realtà, un’altra razionalità, che va prendendo corpo man mano che si volge lo sguardo su se stessi. Liberare il campo da questi ingombri, sarà preliminare al secondo gesto, che coincide con un movimento di

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<<Ma vie tout entière a été une déviation systématique par rapport à toute norme humaine >>, LKT,

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sublimazione, una consortium Dei, una condivisione della ragione divina, la quale innalza l’individuo al di sopra del suo io, coinvolgendolo nei segreti sulla natura e sul sé, senza però disperdersi nella grandezza di Dio.

<<Negli stoici si ha un movimento analogo, anzitutto perché, molto chiaramente in Epitteto e in Marco Aurelio, si vedono le cose dal punto di vista della Natura con la N maiuscola, della Natura universale, che è la ragione universale, cioè si inseriscono gli eventi nella prospettiva di ciò che essi apportano all’universo, del contributo che noi apportiamo all’equilibrio e all’armonia dell’universo>>297

<<si tratta di un movimento del soggetto che viene messo in atto e che si effettua nel mondo – che va effettivamente nel punto da cui giunge la luce, e che conquista effettivamente una forma che si identifica con la stessa forma della ragione divina – e che, nella misura in cui ci troviamo nel consortium Dei, ci colloca proprio al vertice, nel punto più alto dell’universo. Ma non perciò abbandoniamo questo universo e questo mondo>>298

<<l’io , prendendo così coscienza della sua libertà, agisce allora facendo coincidere la sua ragione con la Ragione della Natura universali. Vuole ciò che accade, cioè ciò che vuole la Natura universale. Dice interiormente ed esteriormente la verità, cioè che, all’occasione di tutte le rappresentazioni che si presentano davanti il principio direttore, si tiene a ciò che è, alla rappresentazione oggettiva senza aggiungere dei giudizi di valore sulle cose che non hanno valore morale. Infine fa ciò che è giusto, cioè agisce secondo la Ragione al servizio della comunità umana>>299

Anche Klíma, da stoico del novecento, ritrova in sé la verità, ma essa, a differenza di quella stoica, ha i contorni del solipsismo berkeleiano

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P. Hadot, La filosofia come modo di vivere, op. cit.,p. 184 298

M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto, op. cit., p. 243 299

<<Le moi, prenant ainsi conscience de sa liberté, n'agit alors qu'en faisant coïncider sa raison avec la Raison de la Nature universelle. Il veut ce qui arrive, c'est-à-dire ce que veut la Nature universelle. Il dit intérieurement et extérieurement la vérité, c'est-à-dire que, à l'occasion de toutes les représentations qui se présentent à l'assentiment du principe directeur, il s'en tient à ce qui est, à la représentation objective sans ajouter de jugements de valeur sur les choses qui n'ont pas de valeur morale. Enfin il fait ce qui est juste, c'est-à-dire qu'il agit selon la Raison, au service de la communauté humaine >>, P. Hadot, La citadelle interieur, Arbeme Fayard, 1992, p. 136

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<<anche i pensieri più trascendentali, che « superano di molto i pensieri di quaggiù », cascano sempre nella sfera di questo tipo di pensiero —: immenso sollievo ! prova che

la verità è trovabile, che è in me, che è qua ! [in ciò, primo raggio di un infinito filone

d’oro ! cercare ! — attacco sfrenato domani ! associarvi il mio logismo !] Che io abbia la verità — senza ancora riuscire a distinguerla dal resto… Anche il berkeleysmo è in questo caso di una fecondità formidabile. Basta che non mi lasci intimidire dagli spaventosi pregiudizi ostruttivi ! Se mai qualcuno abbia avuto il dovere di braccare fino all’ultimo pregiudizio>>300

dopo due anni di prassi filosofica vive un’esperienza capace di stravolgere la portata delle sue considerazioni fino a quel momento prodotte

<<l’anno 1909, il venerdì 13 agosto, *…+ alla luce pallida e soffocante di un sole delle 4h1/2 coperto da un leggero velo bianco e nebbioso, splendette da me, dopo 2 anni di lotte, l’idea la più temeraria, la più terribile, la più sublime che l’uomo abbia mai avuto: essere in questa vita veramente, in fondo, e pienamente e integralmente Deus, creator omnium ! agire sin da ora, in fondo, allo stesso modo che Lui agisce nel suo stato più puro ! —>>301

Questa rivelazione gli impone di agire in terra come il creatore di tutto, seguendo i dettami della sua volontà. Il colpo subito da questa rivelazione non è indifferente: a partire da quel momento la prassi filosofica non sarà più soltanto una semplice pratica volta a raggiungere uno stato adiaforico, una pace interiore, una calma come quella descritta nella lettera ad E. Chalupny; si tratta di una missione che lo occuperà per tutto il resto della vita. Prendendo sul serio questo concetto ci possiamo accorgere quanta distanza intercorra fra il nostro modo di definire la filosofia e quello esso in atto

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<<Même les pensées les plus transcendantales, qui « dépassent le plus le penser d’ici-bas », tombent toujours dans la sphère de ce même penser —: immense soulagement ! preuve que la vérité est

trouvable, qu’elle est en moi, qu’elle est ici ! *Ici, première lueur d’un infini filon d’or ! chercher ! —

attaque effrénée demain ! y associer mon logisme !] Que je tiens la vérité — sans encore parvenir à la distinguer du reste... Ici aussi le berkeleÿsme est d’une fécondité formidable. Il suffit de ne pas me laisser intimider par les épouvantails des stupides préjugés obstructifs ! Si jamais il a été du devoir de quelqu’un de traquer jusqu’au dernier préjugé >>, LKT, p. 51

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<<L’an 1909, le vendredi 13 août *…+ à la lueur blafarde et étouffante d’un soleil de 4h1/2 couvert d’un léger voile blanc et brumeux, rayonna de moi, au terme de 2 années d’ébauches, l’idée la plus téméraire, la plus terrible, la plus sublime qu’homme ait jamais eue: être dès cette vie ici présente réellement, au fond, et pleinement et intégralement Deus, creator omnium! agir déjà ici-bas, au fond, de même que Lui agit à son état le plus pur ! —>>, LKD, p. 75

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da Klíma: per lui, è arrivata come un’investitura divina, si è trattato di un momento mistico che non trova spazio nella storia della filosofia occidentale dopo Aristotele. Un tale compito non tarderà a mostrare i suoi problemi riguardo l’intelletto, la produzione di pensieri adeguati a questo stato

<<la mia volontà precoce, come Alexandros assieme alla sua armata in India, quando si era messo in testa di conquistare il mondo, ha trovato che il mio pensiero è uno strumento difettoso, un ausiliare condannato ad altre lotte preliminari, caotico, martoriato dalle lotte.. E con il tempo le offensive sfrenate, i tentativi sempre di nuovo ripresi di stupro universale [ la mia onorificenza: Invitæ stuprator Minervæ] ne hanno rinforzato l’indebolimento>>302

Ciò che ostacola questa pratica è il carattere stesso della volontà e il suo comando nei confronti del linguaggio, della verità; la volontà sovrana mette a morte, secondo Klíma, ogni sorta di convinzioni e credenze. Per cercare di mettere un argine a questo esercizio sfrenato e divoratore della volontà, Klíma rimette in questione quanto già sostenuto nel Mondo come coscienza e come niente circa lo stato di coscienza della natura; con il feerismo, l’ombrismo e l’egosolismo, assistiamo a tre tentativi di spiegare il sogno, l’incosciente, la memoria, i quali mettono in mostra quanto in realtà tutto quello che l’uomo percepisca sia frutto della sua intenzionalità, e come egli subisca degli stati di coscienza che vanno dal più oscuro al più vivido. Questi complessi teorici fanno da sfondo alle pratiche filosofiche e agli esercizi di comandamento che cominciano a prendere corpo sulla pagina con il suffisso prassi divina. Il fatto di essere sulla terra creatore allo stesso modo che Dio nei cieli, consiste nel tentativo di affermare in continuazione se stesso, e negare che le cose esistano indipendentemente dal fatto ch’egli abbia dato loro vita

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<< Ma volonté précoce, tel Alexandros au sein de son armée en Inde, alors qu’il s’était mis en tête de

conquérir le monde, a trouvé dans ma pensée un outil défectueux, une auxiliaire condamnée à d’autres combats préalables, chaotisée, martyrisée par ces bagarres.. Et avec le temps les offensives effrénées, les tentatives toujours reprises de viol universel [mon titre honorifique: Invitæ stuprator Minervæ ] ont renforcé l’affaiblissement >>, LKD, p. 76

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<<creare: seguire sempre il proprio cammino: perché ? È solo in se stessi che si trova la buona materia: tutto è pieno di valore, dunque nuovo. La novità con la sua feericità è identica al valore>>303

Per seguire il proprio cammino, per appartenere a se stesso, intrattenere se stesso, è necessario dunque fare sì che le cose di cui l’uomo si circonda siano tutte frutto della sua propria creazione, abbiano tutte la caratteristica di essere create dal proprio pensiero. L’intralcio causato dalla volontà in questo processo, o vice versa l’intralcio che l’intelletto è per la volontà, consiste nel fatto che essa comanda senza curarsi di distruggere o far appassire un pensiero, distrugge le certezze ed ogni altro punto d’appoggio sul quale il pensiero ha bisogno di fondarsi. Klíma elabora una serie di teorie nelle quale si indaga lo stretto legame esistente fra realtà e fantasia, fra sogno e veglia, fra illusione e realtà, esistente e inesistente, resistendo alla banalizzazione che vuole che il sogno sia un mero rilassamento nel quale le immagini prodotte non hanno alcun valore ne meritano il minimo interesse; egli ritiene che sogno, inesistenza, non essere, incoscienza, ed altri stati di questo genere non siano da escludere dal campo del sapere, ma siano anzi necessariamente da mettere come oggetto di indagini, allo stesso modo dei suoi opposti, la coscienza, lo stato di veglia

<<una piccola parte della filosofia ha avuto un piccolo presentimento del fatto che il “mondo” non è altro che il “soggetto”, la somma della sua coscienza; nessuno ha sospettato che “sua” significa in sensu propriissimo mia. Nessuno si è ancora chiesto: qual è — tenendo conto di tutto ciò che la “cultura” schiavizzata a prodotto a proposito — il senso dell’apparizione immediata quaggiù, senza reminiscenze dell’eternità, di questa mia — esistenza (parola che nessuno ha osato ancora mettere fra virgolette — e ciò è il punto saliente della filosofia. Che per intero è un formidabile indicatore del cammino che l’umanità dovrà seguire nel corso di milioni di millenni a venire — et in aeternitatem..) Cosa significa la mia piccola coscienza dunque ? Un sogno idiota ? In effetti, questa terra idiota che calpesto, questi minuscoli e lampeggianti vetri che luccicano sopra la mia testa, — sono qualcos’altro che la più colossale delle meschinerie ? In effetti, il sogno conosce le cose più belle, più significative di tutto ciò..

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<< Créer: suivre toujours son propre chemin: pourquoi ? C’est en soi qu’on trouve la bonne matière: tout y est valorifique, donc neuf. La nouveauté avec sa féericité est identique à la valeur >>, LKT, p. 275

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E — il nodo centrale di tutta la questione, del problema del mondo nella sua totalità, compreso meglio che non si potrebbe: perché c’è qualcosa che compone il mio io — oppure, più coraggiosamente: che cosa ci faccio qui ? perché ci sono io invece d’esserci il nulla ? è il punto più alto al quale la filosofia si sia mai eretta. Va da sé che nessun “filosofo” è mai sceso in quest’abisso, nell’Abisso infinito, — al massimo tre o quattro — più poeti che filosofi, hanno trovato il coraggio di bagnarsi le caviglie nel cratere in eruzione; per fuggirsene subito e restare saggiamente, come l’umanità intera, sulla detestabile, letamica superfice della terra — Riguardo al « problema » proprio della filosofia, non se ne è mai detto nulla. Nonostante esso comporrà la filosofia dei secoli, dei millenni a venire....>>304

Il suo obiettivo, è quello di fondare una prassi in grado di mettere l’uomo se non in condizione di regolare questi fenomeni305, almeno di prendere coscienza di una serie di osservazioni metafisiche sul loro riguardo, di conservare lo stupore davanti a questi accadimenti dello spirito

<<presto o tardi le mie idee: lo scetticismo feroce, il nichilismo assoluto, il logismo, il ludibrionismo, il contraddizionismo, l’effrenismo, l’egosolismo, l’oniricismo, l’Egodeismo assoluto, et c., con l’infinità delle prospettive che s’aprono dall’altro della

304 << Une toute petite partie de la philos. a eu un début de pressentiment du fait que le « monde » n’est