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Industrializzazione di un bioreattore a gradiente tridimensionale

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Scuola di Ingegneria

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Biomedica Tesi di Laurea Magistrale

Industrializzazione di un bioreattore a gradiente

Relatore Candidata

Prof. Giovanni Vozzi Veronica Carta

Ing. Carmelo De Maria Ing. Stefano Linari

6 marzo 2015

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Indice

1 Bioreattore per colture cellulari 9

1.1 Ingegneria dei tessuti . . . 9

1.1.1 Rigenerazione tessutale . . . 12

1.2 I Bioreattori . . . 15

1.2.1 Caratteristiche funzionali . . . 15

1.2.2 Tipologie realizzative . . . 17

1.3 Dispositivi microuidici per la generazione di diverse concentrazioni di farmaco . 22 1.3.1 Origini e futuro della microuidica . . . 22

1.3.2 Generazione di gradienti di concentrazione molecolare . . . 24

1.3.2.1 Metodi tradizionali per la generazione di gradienti di concentrazione 25 1.3.2.2 Tecnologie microuidiche per la generazione di gradienti di con-centrazione . . . 28 1.3.3 Applicazioni microuidiche . . . 35 2 3D Gradient Maker 52 2.1 Brevetto . . . 53 2.1.1 Analisi tecnica . . . 53 2.1.2 Discussione . . . 55

2.2 Analisi del prototipo . . . 58

2.2.1 Sistema microuidico . . . 59

2.2.2 Sistema di chiusura del bioreattore 3D Gradient Maker . . . 63

2.3 Obiettivo della tesi . . . 64

3 Ottimizzazione del dispositivo 3D Gradient Maker 67 3.1 Riprogettazione del dispositivo . . . 69

3.1.1 Progettazione e realizzazione della chiusura completa in PDM per pattern microuidico su plexiglass . . . 73

3.1.2 Prove sperimentali di portata . . . 77

3.1.3 Progettazione della nuova chiusura del 3D Gradient Maker . . . 79

3.1.4 Realizzazione del Pattern Microuidico . . . 82

3.1.4.1 Studio di Fattibilità . . . 82

3.2 Costi e metodologie di produzione . . . 85

4 Studi di robustezza del gradiente di concentrazione mediante analisi uidodi-namica 89 4.1 Introduzione . . . 89

4.2 Analisi uidodinamica . . . 91

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4.4 Conclusioni . . . 101

5 Industria dell'ingegneria tissutale: Analisi di mercato 103 5.1 Introduzione . . . 104

5.2 Report del 2005: Bioingegneria dei tessuti, tecnologia ed industria . . . 105

5.2.1 Aspetti cruciali del settore . . . 105

5.2.2 Dal laboratorio al prodotto commerciale . . . 105

5.3 Attività del settore privato nell'industria dell'ingegneria dei tessuti, della medicina rigenerativa e delle terapie staminali: Report del 2008 . . . 107

5.4 Report del 2012: Progressi nell'industria dell'ingegneria tissutale e delle terapie staminali . . . 110

5.4.1 Dati raccolti dal 2007 al 2011 . . . 112

5.5 Bioreattori per tradurre strategie dell'ingegneria dei tessuti in prodotti clinici . . 113

5.5.1 Aspetti scientici . . . 114

5.5.2 Aspetti commerciali . . . 115

5.6 Analisi di mercato dei bioreattori a perfusione . . . 117

5.6.1 Aspetti fondamentali nella progettazione di un bioreattore . . . 117

5.6.2 Dati di mercato . . . 119

5.6.3 Bioreattori a perfusione sul mercato . . . 119

5.6.4 Prospettive del settore . . . 119

5.7 Applicazioni microuidica nella farmaceutica, scienze della vita, mercati diagno-stici e dispositivi medici in vitro, un nuovo rapporto da Yole Développement . . . 120

5.7.1 Tecnologia microuidica . . . 120

5.7.2 Il mercato dei dispositivi microuidici dovrebbe raggiungere 5,7 miliardi di dollari entro il 2018! . . . 121

5.7.3 Settore farmaceutico . . . 122

5.7.4 Settore della medicina diagnostica e terapeutica . . . 124

5.8 Presentazione di alcuni dispositivi in commercio . . . 125

5.8.1 CellASIC: M04G Microuidic Gradient Plate . . . 125

5.8.2 CellASIC: MiCA, Microuidic Array for 3D Culture . . . 126

5.8.3 Pearl: Microuidic Perfusion Array for Hepatocytes . . . 127

5.8.4 Cellec: U-CUP perfusion bioreactor . . . 128

5.9 Conclusioni . . . 129

6 Conclusioni 134

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Introduzione

L'ingegneria tissutale viene denita come l'applicazione dei principi e dei metodi dell'ingegneria e delle scienze della vita per comprendere a fondo la relazione che esiste tra struttura e funzione nei tessuti viventi normali e patologici, per lo sviluppo di sostituti biologici che possano ripristinare, mantenere e migliorare la funzione tissutale. Lo sviluppo di questo settore è stato guidato dalla necessità di inquadrare una nuova tendenza della ricerca medica e coordinare i molti progressi già raggiunti nelle più distanti aree scientiche, per trasferirne i frutti alla pratica clinica; questa grande operazione ha visto scienze come l'ingegneria, la chimica, la sica, la biologia, le biotec-nologie e la medicina confrontarsi ed impegnarsi nell' approccio multidisciplinare all'ingegneria dei tessuti.

La strategia dell'ingegneria tissutale consiste nellavvalersi di cellule viventi (e/o loro prodotti) e di supporti innovativi, per sviluppare sostituti tissutali bioattivi in alternativa agli impianti inerti; inizialmente sono stati condotti studi per creare sistemi che riproducessero fedelmente i tessuti e gli organi naturali nella forma, nelle proprietà e nella funzione ma in poco tempo è stato evidente che la complessità dei tessuti biologici in termini di composizione macromolecolare, organizzazione ultrastrutturale e interazioni tra cellule e ambiente, rendevano dicile il passaggio dei costrutti ingegnerizzati dall'ambito sperimentale a quello clinico.

Successivamente è stato chiaro che l'ingegneria tissutale non era in grado di rispondere alle grandi aspettative di fornire nuove modalità terapeutiche per i trattamenti clinici con tessuti ingegnerizzati o sostituzioni d'organo con cellule viventi così, intorno alla ne degli anni novanta, la comunità scientica ha deciso di adottare un nuovo paradigma per enfatizzare l'importanza della biomeccanica nel design e nello sviluppo di impianti cell- e matrix-based per la riparazione dei tessuti molli e di quelli duri. In questo senso si può parlare di un'evoluzione della TE, in ingegneria tissutale funzionale (dall' inglese FTE), il cui obbiettivo è focalizzarsi sull'importanza di ristabilire la funzione del tessuto o organo, identicando le esigenze meccaniche e strutturali critiche in situ, del tessuto da ripristinare. Questo tipo di approccio ha avuto riscontro in par-ticolare per quei tessuti che sono soggetti a sopportare ingenti carichi o ripetute sollecitazioni, come quello muscolo-scheletrico o cardiaco.

Gli studi nell'ambito dell'ingegneria tissutale, settore tuttora in grande espansione, hanno aggiunto agli sforzi per lo sviluppo di una sempre maggiore varietà di costrutti ingegnerizzati, la considerazione delle qualità funzionali e meccaniche che questi devono possedere per adempiere le funzioni e soddisfare gli intenti perseguiti: primo fra tutti superare i limiti dei trattamenti convenzionali di trapianto d'organo e impianto protesico.

Alla luce di tutti questi fattori, è stato possibile suddividere il settore dell'ingegneria tissutale in due grandi aree di rilevanza: quella terapeutica, che ricopre la rigenerazione di tessuti e organi, e l'area diagnostica, in cui i tessuti sintetizzati in vitro vengono impiegati per studi tossicologici, metabolici e di rilascio di farmaci.

Il sistema corpo umano rappresenta una complessa rete di molecole, organelli, cellule, tessuti e organi interconnessi tra loro mediante un elevato numero di interazioni e trasformazioni.

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La complesstà dei meccanismi della biologia cellulare all'interno del corpo umano ha reso dicile la comprensione del comportamento delle cellule, che può essere analizzato solo se consi-derato nel contesto delle interazioni tra componenti biosiche e biochimiche tra cui ad esempio, la rigidezza del substrato di adesione delle cellule ed anche la diversa concentrazione di sostanze intracellulari, denite morfogeni, cui viene esposta la cellula che crea un gradiente morfogeno, come quello per il gene Bicoid della D. melanogaster per l'asse di sviluppo antero-posteriore, che rappresenta un meccanismo essenziale per la denizione delle dimensioni corporee. Sono proprio questi aspetti che si manifestano nell' ambiente circostante la cellula ad inuenzarne il comportamento, in modo particolare relativamente all'adesione, morfologia e dierenziamento.

Queste problematiche sono quelle che hanno reso necessario e fondamentale lo studio e l' impiego di dispositivi in grado di garantire un controllo temporale, spaziale e chimico dei suddetti fattori biosici al ne di poter comprendere la complessità della biologia cellulare; è proprio in questa prospettiva che si inseriscono i bioreattori ovvero sistemi microuidici in grado di ricreare al proprio interno condizioni strettamente controllate al ne di consentire e/o indurre specici comportamenti su cellule o tessuti coltivati in vitro, fornendo segnali biochimici e sici regolatori che inducano alla dierenziazione cellulare e/o produzione di matrice extracellulare prima dell'impianto in vivo.

Il punto di forza di tutti i dispositivi microuidici è infatti l'accurato controllo sul comporta-mento dei uidi che costituiscono i diretti responsabili dell'induzione di risposte biologiche.

Nella formazione del microambiente cellulare assumono un ruolo cruciale: ˆ la matrice extracellulare (ECM)

ˆ i fattori biochimici che intercorrono nelle interazioni cellula-cellula e cellula-matrice ˆ il gradiente di concentrazione di fattori solubili

ˆ la disponibilità di ossigeno

ˆ stimoli meccanici quali shear stress, compressione etc.

Tutti questi fattori, se applicati singolarmente o combinati tra loro possono avere un impat-to inuente sulla crescita dei tessuti e possono talvolta essere usati per modulare crescita e dierenziamento cellulare.

Diventa indispensabile in questo scenario quindi, mettere in risalto l'importanza della forma-zione di gradienti all'interno dei bioreattori dato che, negli ultimi anni, la necessità di scoprire come l'essere umano si sviluppa, ha portato studiosi del settore ad investigare sulla correlazione tra la specializzazione dei tessuti del nostro corpo e la concentrazione di talune specie chimiche. I gradienti di concentrazione biomolecolari rappresentano un importante meccanismo di se-gnale per guidare i processi di crescita, migrazione e dierenziamento cellulare all'interno di un ambiente tridimensionale e dinamico come quello dei tessuti biologici. Questi sono i concetti che stanno alla base della teoria dell'embriogenesi e morfogenesi; con il termine morfogenesi si fa riferimento al processo che porta allo sviluppo di una determinata forma e struttura, mentre il termine embriogenesi identica il processo in cui un embrione si forma e si sviluppa; questo processo inizia subito dopo la fecondazione dell'ovulo e quindi dalla nascita dello zigote. Il punto di contatto, a livello siologico, tra embriogenesi e morfogenesi si ha durante la prima specializ-zazione dei tessuti che avviene allo stadio embrionale, subito dopo il processo di gastrulazione . La dierenziazione delle cellule in questa fase è regolata da geni omeotici , i quali presiedono alla sintesi di particolari proteine che hanno un controllo sull'attività cellulare, indirizzandone la specializzazione. L'attivazione di questi geni è controllata da segnali chimici specici costituiti da

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gradienti di sostanze dette agenti morfogeni (o fattori di induzione). I morfogeni sono sostanze chimiche che si propagano da un punto dell'embrione e agiscono sulle cellule in modo dipendente dalla loro concentrazione. Uno fra i più studiati è il Sonic Hedgehog Homolog (SHH), una protei-na della famiglia delle hedgehog (presenti nei mammiferi) che rappresenta uno dei ligandi della via di segnalazione dell'hedgehog. Questa via siologica permette la regolazione dell'organogenesi nei vertebrati e gioca un ruolo fondamentale nel dierenziamento dei tessuti costituenti dita, arti e nell'organizzazione del sistema nervoso.

Nel corso dello sviluppo embrionale gruppi selezionati di cellule producono molecole segnale proteiche che diondono nell'ambiente extracellulare; la matrice extracellulare rappresenta dun-que un ambiente dinamico in costante mutamento in cui si generano gradienti multipli di speciche molecole in grado di evolversi nello spazio-tempo.

I gradienti di concentrazione rivestono un importante ruolo nella risposta inammatoria, nei processi di guarigione delle ferite e nello sviluppo di masse tumorali; durante i processi di reazione immunitaria i gradienti biomolecolari risultano essere essenziali in quanto forniscono alle cellule della linea linfocitaria, ai macrofagi ed ai granulociti, importanti indicazioni per promuovere una rapida migrazione verso il sito di infezione.

Numerose molecole proteiche risultano coinvolte nella formazione di gradienti in grado di incrementare la motilità e le capacità chemotattiche di cellule tumorali e di amplicare i processi di angiogenesi.

La necessità di comprendere tali fenomeni ha portato alla progettazione di dispositivi che siano in grado di esporre le cellule a gradienti chimici in vitro; metodi tradizionali in grado di generare gradienti di concentrazione sono stati fondamentali per acquisire conoscenze di base da parte degli scienziati ma non sono in grado di indagarne la natura quantitativa o combinatoria a causa dell'incapacità di generare proli di concentrazione precisi e controllabili nello spazio e nel tempo. Gradienti di concentrazione generati con metodi tradizionali spesso evolvono in modo imprevedibile ed incontrollabile nello spazio e nel tempo e sono dicilmente caratterizzabili quantitativamente; i gradienti si creano e si dissipano in tempi brevi limitando fortemente le tipologie cellulari utilizzabili e gli aspetti scientici analizzabili.

La tecnologia microuidica, dotata di un elevato livello di controllo e di automazione su scala microscopica, rappresenta un'importante strategia per controllare il usso necessario per la generazione di gradienti quanticabili e riproducibili in grado di inuenzare il comportamento cellulare.

Un primo prototipo di bioreattore a gradiente è stato progettato dal Professor Giovanni Vozzi, docente di Bioingegneria industriale e ricercatore del Centro "E. Piaggio" dell'Università di Pisa, che insieme ai suoi collaboratori Gianni Orsi e Carmelo De Maria, ha sviluppato un bioreattore denominato 3D Gradient Maker capace di ricreare nello spazio tridimensionale un gradiente di concentrazione modulabile in modo da simulare al meglio l'ambiente embrionale. Il bioreattore sviluppato risulta essere molto compatto e facile da usare, è realizzato in silicone biocompatibile e composto principalmente da quattro parti: una serie di canali di immissione dei uidi, che permette di creare diverse concentrazioni della specie che si vuole in ingresso, una camera di coltura cellulare o per la creazione dell'idrogel, matrici geliformi tridimensionali con un gradiente di proprietà meccaniche. Questa caratteristica è risultata molto importante dal punto di vista della ricerca in quanto, studi recenti hanno infatti evidenziato che, modulando le proprietà meccaniche del substrato di adesione cellulare, è possibile anche controllare il dierenziamento delle cellule staminali.

Il bioreattore possiede inoltre un sistema di chiusura trasparente in modo da visionare in tempo reale ciò che accade all'interno della camera di coltura cellulare e dei canali, e una pompa

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peristaltica o a siringa che immette i uidi nella camera di coltura con una portata similare a quella del distretto biologico in esame.

Questo lavoro di tesi consiste nello studio del progetto del bioreattore 3D Gradient Maker, andando ad analizzarne i punti di debolezza ed ottimizzando la struttura del dispositivo in modo da validare il prototipo e tradurre questo studio accademico in un dispositivo commercializzabile impiegato per la sperimentazione dei farmaci e per la ricerca nei settori dei biomateriali e della medicina rigenerativa.

La prima fase del lavoro presentato ha avuto come obiettivo l'analisi dei punti di debolezza del brevetto esistente e la valutazione di modiche strutturali da applicare al prototipo di bioreattore al ne di andare a migliorare e/o risolvere completamente i punti critici mostrati dal sistema. Il lavoro si focalizzerà sulla riprogettazione del sistema di chiusura del dispositivo in quanto risultato l'aspetto che riette i maggiori limiti del prototipo sviluppato precedentemente, con conseguente revisione del metodo di realizzazione dello stampo del dispositivo; di quest'ultimo infatti verrà mantenuta l'idea di piani perpendicolari di mixing del sistema microuidico per garantire la formazione del gradiente di concentrazione tridimensionale mentre, sarà totalmente rivoluzionata la struttura del bioreattore in modo da garantire una chiusura ermetica del sistema.

Le fasi di lavoro si articoleranno nel seguente modo: progettazione di uno stampo per l'ot-tenimento di un sistema di chiusura completo in PDMS, a calzino, per una geometria semplice costituita da un pattern microuidico ricavato, mediante tecnica laser, su una lastra in plexi-glass; l'obiettivo è dimostrare che tale chiusura garantisce un sistema a tenuta per il circuito microuidico.

In prima analisi verranno eettuate delle simulazioni tramite il Software Comsol 4.3b® per l'analisi a elementi niti, modulo Structural Mechanics, con l'obiettivo di vericare analitica-mente che le pressioni che si sviluppano nella struttura fossero tali da bilanciare le pressioni sviluppate all'interno del pattern microuidico. Successivamente verrà arontata la parte di pro-gettazione, mediante software CAD Autodesk Inventor 2012® degli stampi, per l'ottenimento della chiusura in silicone, e realizzazione sica degli stessi, prima in PLA poi in ABS ed inne in alluminio; una volta realizzata la chiusura completa in PDMS, il sistema sarà testato con prove di portata al ne di confermare sperimentalmente i risultati forniti dalle simulazioni.

Questo lavoro di tesi mira a conferire al bioreattore 3D Gradient Maker un nuovo aspetto; mantenendo l'idea di piani perpendicolari di mixing per garantire la formazione di un gradien-te tridimensionale, l'idea è quella di realizzare il sisgradien-tema costituito da quattro lastre di silicone distinte, su cui sono ottenuti i canali, adagiate su un supporto in plexiglass in cui queste ven-gono inserite ad incastro, secondo lo schema sviluppato nel precedente prototipo, il tutto chiuso ermeticamente con delle viti.

Tale soluzione è stata pensata in quanto possibile candidata per la risoluzione delle problema-tiche, precedentemente riscontrate nella realizzazione del primo prototipo, nello specico, potrà permettere di ovviare ai problemi relativi alla dicoltà di reticolazione e degassazione del sili-cone nello stampo, lavorazione manuale di qualsiasi parte del dispositivo ed inne ottenere una chiusura completa e di facile manualità del sistema.

Un'altra fase di questo lavoro di tesi si focalizzerà sullo studio analitico, condotto mediante simulazioni uidodinamiche sulla geometria completa del bioreattore brevettato ai ni di simu-lare la formazione di un gradiente tridimensionale di concentrazione all'interno della camera del sistema, conducendo studi di robustezza di tale gradiente in funzione di variazioni delle portate in ingresso, dovute ad eventuali sbilanciamenti nel settaggio delle pompe peristaltiche usate.

A conclusione del lavoro di tesi, verrà condotta una ricerca in termini di analisi di mercato al ne di puntare alla commercializzazione del prodotto che, grazie alle sue caratteristiche, potrà es-sere inserito nel mercato dei dispositivi microuidici impiegati nel campo della sperimentazione di

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farmaci, per la ricerca nei settori dei biomateriali e della medicina rigenerativa, andando a costi-tuire il dispositivo biomedico capace di supportare la ricerca di base nel campo dell'embriogenesi e dello sviluppo dei tessuti.

Il brevetto in questione infatti, è stato recentemente acquisito dalla Linari Engineering s.r.l., azienda pisana premiata anche dalla camera di commercio nel 2010 come migliore azienda inno-vativa della provincia per i suoi prodotti nella medicina riabilitativa (AvDesk) e nella produzione di nanomateriali (RT Collector) e l'indagine di mercato presente in questo lavoro di tesi, mira alla traduzione del prototipo in un prodotto commercializzabile strategico per renderlo capo stipite di una nuova linea di bioreattori all'avanguardia in grado di orire, primi sul mercato mondiale, una suite completa di competenze e soluzioni per la coltura cellulare avanzata che spazia dalla produzione degli scaold nano strutturati a i bioreattori dinamici all'interno del quale si esaltano le potenzialità di questi nano substrati. In questo modo sarà possibile rivolgersi a centri di ricerca e aziende farmaceutiche come referenti principali nello sviluppo di nuovi farmaci e trials clinici.

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Capitolo 1

Bioreattore per colture cellulari

La realizzazione di matrici biocompatibili e di dispositivi di coltura cellulare dinamica, con oppor-tune caratteristiche uidodinamiche per la coltivazione e la proliferazione in vitro di popolazioni cellulari, è un settore della ricerca con ampie possibilità di sviluppo.

Negli ultimi tempi la necessità di sviluppare sistemi che mimino il più possibile i tessuti biologici ha portato allo sviluppo di diversi tipi di bioreattori mono-compartimentali, nonchè alla messa a punto di protocolli alternativi di coltura cellulare su scaold polimerici, sia per la rigenerazione di tessuti umani che per la comprensione dei vari eventi che si sviluppano durante un normale processo metabolico.

Altre possibili applicazioni riguardano l'analisi della siologia di un particolare sito biologico e la risposta tossicologica di un tipo cellulare ad un particolare principio attivo.

1.1 Ingegneria dei tessuti

L'ingegneria dei tessuti (Tissue Engineering, TE) è quella disciplina che indaga sulle relazioni tra funzioni e struttura nei tessuti sani o caratterizzati da patologie degenerative, nel tentativo di ripristinare il loro funzionamento originario [4].

Traendo le sue origini dagli studi pionieristici di elettrosiologia avviati da Galvani e Volta nel diciannovesimo secolo, la sua nascita uciale risale alla seconda metà del secolo scorso, alla ne degli anni 80, quando, presa piena coscienza delle nuove tecnologie di indagine medica (tomograe, risonanze magnetiche ed ultrasoniche, etc.) scoperte negli anni 70, alcuni gruppi di scienziati, aerenti da diversi campi della scienza, come la biologia, la medicina, la chimica, l'ingegneria, intuirono la necessità di fondere le proprie conoscenze al ne di realizzare sistemi che, imitando la natura, fossero in grado di sostituire, in maniera permanente, porzioni localizzate o interi tessuti all'interno dell'organismo [5].

Dunque l'ingegneria dei tessuti è un settore scientico molto giovane ma in pieno sviluppo ed in costante e progressiva evoluzione, così vasto da fare riferimento a molteplici applicazioni che abbracciano svariati settori della bioingegneria e non solo.

Il termine Ingegneria dei tessuti è stato introdotto per la prima volta dagli organizzatori del primo congresso NSF tenutosi nel 1988 per identicare l'insieme dei principi e dei metodi delle scienze mediche ed ingegneristiche atti a stabilire le relazioni fondamentali tra struttura e funzioni di tessuti sani o patologici di mammiferi [6].

Nel tempo il concetto di ingegneria dei tessuti ha subito molteplici modiche che ne hanno arricchito e perfezionato continuamente la denizione.

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In questa ottica sono riportate nel seguito le denizioni introdotte dagli scienziati Langer e Vacanti le quali racchiudono in maniera completa ed esaustiva i principi essenziali sui quali si fonda l'ingegneria dei tessuti:

ˆ l'ingegneria dei tessuti è quel settore interdisciplinare che applica i principi dell'ingegneria e delle scienze che studiano la vita, per lo sviluppo di sistemi in grado di restituire, conservare e migliorare le funzioni del tessuto (Vacanti 1995);

ˆ il suo obiettivo primario è quello di ripristinare le funzionalità dei tessuti mediante l'impian-to di elementi viventi che siano in grado, in tempi clinicamente accettabili, di diventare parte integrante dell'organismo in cui vengono introdotti, con ridotti margini di insuccesso post-impianto (Langer 1999) [6, 7].

Negli ultimi decenni, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, la cura di anomalie congenite e di traumi caratterizzanti tessuti dell'organismo umano, è stata arontata attraverso l'impiego di tessuti donatori i quali una volta impiantati, fossero in grado di ripristinare la funzione del tessuto compromesso.

A seconda dell'applicazione a cui si fa riferimento, delle motivazioni che inducono alla sosti-tuzione del tessuto nonché in relazione all'entità dell'intervento, posso essere adottate strategie diverse:

ˆ Innesto di protesi articiali di materiale inorganico

Tale tecnica si fonda essenzialmente sull'impiego di materiali metallici e ceramici, di largo utilizzo nel settore della biomedica negli ultimi decenni del secolo scorso, per la realizzazione di sistemi protesici (es. protesi d'anca) che, una volta impiantati, siano in grado di sostituire in maniera completa e denitiva il tessuto naturale simulandone il comportamento meccanico senza però determinare alcuna alterazione dell'ambiente articolare in cui è introdotto. Tale soluzione presenta in realtà numerosi problemi tra cui:

1. limitata durata e adabilità di alcuni materiali una volta impiantati nel paziente;

2. ridotta biocompatibilità del materiale, quindi elevata probabilità di infezioni di varia natura e alto rischio di rigetto;

3. dierenze, in alcuni casi signicative, della risposta meccanica dei materiali rispetto al tessuto sostituito, soprattutto per ciò che riguarda il modulo elastico;

4. necessità di rimozione e sostituzione della protesi, anche più di una volta dopo l'impianto, a seguito dell'accrescimento siologico che mostrano i tessuti circostanti;

ˆ Tecniche di autoinnesto di materiali siologici (autograft).

Tale tecnica consiste nell'impianto di un tessuto o di un organo in una nuova locazione all'interno dello stesso individuo. Esempi comuni di auto-trapianto sono l'uso della safena per eseguire il by-pass coronarico o l'utilizzo di pelle del paziente stesso in caso di ustioni. Questo sistema presenta numerosi vantaggi rispetto alla soluzione precedente, pur non essendo ancora la soluzione ideale. I principali vantaggi sono:

1. maggiore stabilità e durata del materiale;

2. elevata biocompatibilità e impossibilità di fenomeni di rigetto dal momento che il tessuto è autogeno;

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3. possibilità di un normale sviluppo del tessuto innestato seguendo la naturale crescita dei tessuti circostanti e possibilità di impianti anche per pazienti in età pediatrica senza necessità di ulteriori interventi;

Nonostante tali aspetti notevolmente signicativi sono comunque molte le problematiche associate ad una tale tipologia di trapianto:

1. un intervento di questo tipo può essere eseguito solo su un ridotto numero di tessuti e nel caso di parti da sostituire, di piccole dimensioni in quanto la disponibilità di tessuto donato dal paziente è certamente di modesta entità;

2. necessità di tecniche e strumentazione di microchirurgia complesse e costose; 3. problemi estetici relativi alla regione da cui è stato prelevato il tessuto;

4. possibilità di infezioni sia nel sito di prelevamento che in quello di innesto con conseguente rischio di danneggiamento di entrambe le parti;

5. problemi connessi alla modellazione ed all'adattamento del tessuto donato all'interno della sua nuova collocazione [8, 9, 10].

ˆ Tecniche di innesto di materiali siologici non autogeni.

La tecnica consiste nell'innesto di tessuti o organi non appartenenti all'individuo che subisce il trapianto; in particolare quando il trapianto avviene tra individui della stessa specie, ma non identici geneticamente si parla di Allograft, mentre nel caso in cui esso avvengo tra individui di specie dierenti si parla di Xenograft [8].

Questo sistema, in entrambe le sue varianti, permette di risolvere alcuni aspetti negativi connessi alle due tecniche precedenti. Infatti non dovendo più operare un prelievo di tessuto dal paziente che subisce il trapianto risultano totalmente estinti sia i rischi di infezione nelle zone di prelievo del tessuto sia gli inestetismi legati all'assenza di tessuto in corrispondenza di essi.In particolare risultano quasi totalmente risolti i problemi legati alla reperibilità del materiale da innestare con la seguente possibilità di sostituire, quindi, anche segmenti di tessuto di dimensioni maggiori.

A tali vantaggi vanno aggiunti anche una serie di aspetti notevolmente critici che impedisco-no la realizzazione del trapianto se impedisco-non in particolari circostanze; in particolare si riscontraimpedisco-no problemi legati a:

1. rigetto;

2. possibilità di infezioni nel sito di innesto e rischio di trasmissione di patologie di varia natura del paziente;

3. elevati costi dovuti alle strumentazioni nonchè alle tecnologie chirurgiche [8, 9].

In questa ottica risulta evidente la necessità di incentivare lo sviluppo di nuove e migliori tecniche che permettano di eliminare o quantomeno, ridurre al minimo l'incidenza dei problemi connessi alle tecniche di innesto preesistenti.

Negli ultimi anni, a seguito di una intensa sinergia tra diversi settori della bioingegneria e della biomedicina, molte soluzioni sono state avanzate in alternativa all'utilizzo di tessuti donatori; in questo senso è stata introdotta una vera e propria classicazione che prevede all'interno del settore della Tissue Engineering, la distinzione di due ampie aree [11]:

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1. Organ substitution alla quale aeriscono tutte le tecniche di trapianto che sono state nora descritte

2. Tissue regeneration alla quale aeriscono le moderne ricerche mirate alla ricostruzione par-ziale o totale dei tessuti danneggiati mediante la realizzazione di strutture di supporto tridimensionali nelle quali possano aderire e proliferare le cellule.

1.1.1 Rigenerazione tessutale

Il settore della rigenerazione tessutale è l'area dell'ingegneria dei tessuti orientata alla ricostruzio-ne dei tessuti mediante l'impiego di strutture di supporto ingegricostruzio-nerizzate costituite da materiali di nuova concezione [7]. Le strategie da essa seguite sono caratterizzate dalle seguenti fasi di sperimentazione (Langer 1999):

ˆ scelta delle cellule da impiantare: esse devono essere identicate, isolate e moltiplicate in maniera suciente per la proliferazione in vivo

ˆ realizzazione di substrati (sistemi aperti, sistemi chiusi) su cui depositare le colonie cellulari: progettazione dei materiali, della struttura e della geometria

ˆ coltivazione in vitro: le cellule sono uniformemente distribuite sul substrato e lasciate crescere in ambiente siologico controllato, simulato all'interno di un bioreattore

ˆ impianto in vivo: la struttura ingegnerizzata, caricata con le cellule, viene collocata nel sito di interesse al ne di ottenere una integrazione ottimale con i tessuti circostanti [12]

Figura 1.1: Schema rappresentativo delle fasi di sperimentazione che caratterizzano la Tissue Regeneration

Le cellule rappresentano, accanto ai materiali che costituiscono i substrati, la materia prima alla quali si attinge nella Tissue Regeneration. Al loro interno esse presentano una struttura ben denita, caratterizzata da un nucleo centrale all'interno del quale è conservato il corredo cromosomico che denisce il patrimonio genetico della cellula (genoma).

Esternamente essa è rivestita da una membrana cellulare costituita da molecole lipidiche rivolte con la loro estremità idrolica verso la matrice extracellulare esterna [13].

All'interno del corpo umano sono presenti diverse tipologie di cellule, circa 200, tra loro die-renti, aventi tutte lo stesso contenuto genetico, ma una dierente programmazione della propria

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attività. In altri termini le cellule sono dierenziate in relazione alla presenza di proteine rego-latrici presenti all'interno del loro corredo proteico che è in grado di attivare solo alcune delle loro funzioni del patrimonio genetico; il processo che porta alla denizione dei diversi tipi di cellule è noto come dierenziamento. Parallelamente ad esso sono attivi i processi di riproduzione cellulare necessari alla loro proliferazione: essi sono tanto più favoriti quanto le cellule sono meno dierenziate; da cui il motivo per cui le cellule staminali, che sono le cellule all' origine dell'or-ganismo di ciascun essere vivente, sono quelle più adatte alla coltivazione per la realizzazione di nuovi tessuti.

Sia i meccanismi di dierenziamento che quelli di riproduzione cellulare sono alla base della prima fase della Tissue regeneration; ovviamente, nel caso della rigenerazione di tessuti, la pro-blematica è resa più complessa dalla presenza di un substrato solido. La proliferazione cellulare infatti, risulta condizionata in maniera signicativa dalla più o meno favorevole adesione delle cellule al substrato ed è per questo che è necessario fare valutazioni opportune riguardo alla scelta dei polimeri impiegati per la realizzazione degli scaold (strutture di supporto).

Nell'ambito della Tissue Regeneration possono essere impiegate tipologie cellulari diverse in relazione al tipo di tessuto che ci si propone di riprodurre.

Il secondo componente fondamentale nel campo della rigenerazione di tessuti è rappresentato dagli scaold, strutture tridimensionali ingegnerizzate aventi la capacità di sostituire tempora-neamente il tessuto naturale favorendo i meccanismi di adesione, proliferazione e dierenziamento cellulare [14].

Essi svolgono principalmente tre ruoli fondamentali:

1. facilitano la localizzazione ed il rilascio di cellule in parti speciche del corpo

2. deniscono e mantengono uno spazio tridimensionale per la formazione dei nuovi tessuti con un'opportuna struttura

3. guidano la crescita e lo sviluppo dei nuovi tessuti nonchè il usso delle sostanze nutritive necessario al loro sostentamento [14, 15].

Tali strutture devono mostrare, in condizioni ideali, eccellenti doti di stabilità meccanica, conser-vando speciche caratteristiche di compatibilità biologica e funzionale; in particolare la stabilità meccanica di uno scaold dipende primariamente dalla scelta del materiale, dalla sua architettura a dall'interazione che i suoi materiali costitutivi presentano con le cellule.

La funzionalità biologica invece, è regolata essenzialmente da segnali di tipo biologico, ad esem-pio, fattori di crescita, dalla matrice extracellulare (ECM) e soprattutto dalle cellule circostanti che, da un lato provvedono al supporto meccanico e, dall'altro, intervengono nella regolazione dell'attività cellulare [14, 15, 16].

Alla luce di quanto aermato, gli scaold sono assimilabili a matrici di varia natura, sia sica che chimica, atti a sostituire temporaneamente segmenti di tessuto del tutto assenti o in condizioni talmente deteriorate da richiedere una completa ricostruzione del tessuto stesso [17, 14].

Durante le fasi di progettazione di uno scaold, in primo luogo risulta indispensabile analizzare le principali caratteristiche dei materiali impiegati e la loro adeguatezza in relazione alle nalità richieste dall'applicazione; tali requisiti possono essere tratti dal seguente schema di validità generale nella Rigenerazione di tessuti:

1. parametri biologici, connessi alle interazioni della matrice con le cellule con cui essa viene a contatto;

2. parametri ingegneristici connessi alla funzionalità meccanica e microstrutturale del sistema nonchè alla sua realizzazione pratica durante le fasi di impianto [18, 19].

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I principali parametri biologici di progetto di uno scaold sono:

ˆ Biocompatibilità dei materiali impiegati infatti il materiale usato deve essere inerte ovvero non deve determinare alcun tipo di alterazione nei tessuti con cui viene a contatto e al contempo deve far fronte alla risposta immunitaria dell'organismo favorendo i meccanismi di crescita e sviluppo delle cellule tissutali; in questo senso si parla anche di materiali bioattivi [20, 21, 8].

ˆ Bioassorbibilità: il tempo di degradazione dei materiali che costituiscono l'impalcatura deve essere strettamente coordinato a quello della formazione del nuovo tessuto in quanto una degradazione troppo rapida della matrice non permetterebbe la formazione di un tessuto completo e robusto. Tempi troppo lunghi al contrario, indurrebbero la formazione di tessuto attorno allo scaold in modo imperfetto o incompleto [17, 7].

I principali parametri di tipo ingegneristico sono invece i seguenti:

ˆ Compatibilità meccanica: i materiali impiegati devono mostrare caratteristiche meccaniche (modulo elastico, risposte a tensioni applicate) compatibili con quelle del tessuto sostituito garantendo il suo sostegno sia durante la formazione che durante l'innesto nel sito d'impianto in modo da arginare la presenza di tensioni residue indesiderate al suo interno [17, 20, 22, 10]. ˆ Lavorabilità: in fase di costruzione e di impianto i materiali impiegati devono essere facil-mente modellabili in modo da permettere il loro completo adattamento in funzione del tipo di impiego [19].

ˆ Indeformabilità post impianto: il materiale, una volta impiantato, deve risultare indefor-mabile per guidare l'avanzamento del tessuto in crescita garantendone il corretto sviluppo all'interno della matrice tridimensionale [23].

Nella Tissue Regeneration le colture cellulari risultano più dicili da realizzare rispetto alle monocolture cellulari tradizionali in quanto condizionate dalle interazioni con la struttura tridi-mensionale che le contiene, infatti, all'interno del substrato 3D le condizioni di accessibilità alle cellule da parte dei uidi biologici risultano meno favorite rispetto al caso di cellule deposte lungo un substrato piano (lm sottili e membrane 2D), in particolare, alcuni studi hanno dimostrato che, nel caso di coltura statica in 3D l'indice di vitalità cellulare all'interno dello scaold risulta essere molto inferiore a quello lungo le superci dello stesso. Ne consegue che l'organizzazione 3D delle cellule è cruciale per la formazione di tessuto in vivo e che il fenotipo di cellule seminate dipende dall'organizzazione strutturale della matrice [24, 25] inoltre, la coltura di cellule in vitro risponde ad un insieme di parametri legati alla stimolazione meccanica quali le condizioni di usso del mezzo di coltura, la pressione idrostatica e la deformazione del substrato [26].

Come rilevato da recenti studi, è noto che l'azione di forze meccaniche dettate dalle condi-zioni di usso presenti all'interno dell'ambiente extracellulare condizionano fortemente i diversi meccanismi alla base del funzionamento delle cellule, inducendo modiche sia sulla formazione del citoscheletro cellulare che nell'interazione tra citoscheletro e matrice extracellulare; lo stress meccanico indotto dalle condizioni di usso esterne si trasmette all'interno della cellula mediante il sistema broso che costituisce il citoplasma cellulare alterando la geometria dell'intera cellula, la quale reagisce a tale perturbazione modicando i propri meccanismi di adesione, proliferazione e dierenziamento a danno della crescita del tessuto.

In altri termini, il microambiente delle cellule è fortemente determinato dall'interazione di-namica tra le sollecitazioni meccaniche agenti sulle cellule attive e l'architettura della matrice in

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continuo mutamento [27]. Per tutti questi motivi le colture cellulari per la rigenerazione dei tessu-ti non possono essere realizzate mediante tecniche tradizionali di tessu-tipo statessu-tico ma è indispensabile l'impiego di nuove tecnologie di coltura che consentano lo sviluppo cellulare in regime dinamico. Le tecniche di coltura dinamica si fondano sull'utilizzo del bioreattore, denito come il di-spositivo nel quale si realizzano processi chimici e/o biologici sotto stretto monitoraggio delle condizioni di prova (pH, temperatura, pressione, apporto di sostanze nutritive e rimozione delle scorie) in modo da riprodurre l'ambiente biologico presente all'interno dell'organismo [30, 31, 32]. Contrariamente a ciò che accade nelle colture in vitro di tipo statico dove il mezzo di coltura circola all'interno del substrato semplicemente per diusione passiva, all'interno del bioreattore, grazie all'impiego di adeguati sistemi di pompaggio, è possibile instaurare un regime convettivo in grado di favorire la perfusione del mezzo di coltura all'interno di tutte le cavità del substrato in maniera ottimale consentendo un'adesione ed una proliferazione cellulare uniforme distribuita su tutta la sua supercie [33].

Il processo di coltura cellulare prevede tre diverse fasi successive:

1. Semina cellulare: le cellule, incontrando il substrato per la prima volta, hanno la necessità di aderire ad esso per poi moltiplicarsi; in questa fase, accanto ad una eccellente compatibilità cellula/substrato, è indispensabile ricreare le condizioni uidodinamiche che favoriscano i meccanismi di adesione riducendo al minimo i fenomeni di mortalità cellulare.

2. Coltivazione in vitro: le cellule, una volta adese alla supercie dello scaol, proliferano all'interno della porosità interconnessa riempiendo gradualmente l'intera struttura.

3. Coltivazione in vivo: il costrutto carico in parte di cellule ed in parte di tessuto in neoforma-zione, viene impiantato all'interno dell'organismo nella zona di interesse no alla completa formazione del tessuto [34].

1.2 I Bioreattori

Il bioreattore si propone come uno strumento per la simulazione delle condizioni dinamiche cui le cellule sono sottoposte all'interno di un organismo. Per questo è fondamentale che esso garantisca alla coltura cellulare certe condizioni, in modo che le cellule si trovino in un ambiente idoneo per il loro sviluppo.

1.2.1 Caratteristiche funzionali

Le condizioni ambientali che un bioreattore deve garantire sono [35]: ˆ trasporto ottimale di ossigeno

ˆ controllo della temperatura ˆ apporto di nutrienti

ˆ trasporto delle molecole nella matrice extracellulare

Le cellule sono molto sensibili alle variazioni della concentrazione di ossigeno e una improvvisa riduzione di quest'ultimo, infatti, può portare a modicazioni del metabolismo o addirittura a morte cellulare; per evitare questo è necessario un apporto costante di O2 per tutto il tempo di

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Il tasso di trasferimento di ossigeno in un bioreattore, in generale, dipende sia dall'agita-zione che dall'aeradall'agita-zione del sistema [28]. Questi due eetti inuenzano infatti il coeciente di trasferimento per l'ossigeno KLa, denito come:

KLa= h ∗  Pg VL α ∗ (Vg)β dove: h = costante

Pg = potenza assorbita dal motore (responsabile dell'agitazione meccanica) VL = volume occupato dal mezzo di coltura nel bioreattore

Vg = velocità superciale di salita del gas

Al secondo membro, il primo termine tra parentesi si riferisce all'agitazione, mentre il secondo all'aerazione; αe β sono costanti relative alla tipologia e alla geometria del bioreattore.

La temperatura alla quale le cellule sono sottoposte deve essere mantenuta costante e intorno al valore di 37° C.

La propagazione del calore può avvenire attraverso diverse modalità [37]: ˆ Conduzione : tipica dei solidi, non associata al trasferimento di materia ˆ Convezione : tipica dei uidi, associata al trasferimento di materia

-ˆ Irraggiamento : associata alla propagazione della radiazione elettromagnetica

Per il controllo della temperatura vengono usati in genere apparecchiature che sfruttano la modalità conduttiva del calore.

Spesso si rendono necessari dei veri e propri sistemi di controllo, con sensori che rilevano i pa-rametri chimico-sici di interesse e con ambienti operativi attraverso i quali si possono modicare le condizioni del bioreattore [38].

La legge che regola la diusione dei nutrienti in un tessuto si può ottenere combinando l'equazione cinetica di Michaelis-Menten con l'equazione di diusione:

∂L ∂t = D ∗ ∂2L ∂x2 − ρkL Km+ L dove: D = coeciente di diusione

Km = costante cinetica di Michaelis-Menten

L(x) = distribuzione delle concentrazioni dei nutrienti ρ= densità cellulare

k = costante di tipo cinetico

Se l'apporto di nutrienti non risulta suciente, lontano dalla fonte la loro concentrazione sarà troppo bassa, e le corrispondenti cellule andranno incontro a necrosi.

Per tener conto della morte cellulare si utilizza il modulo di Thiele, denito come: Φ = ρkX

2

D 12

dove:

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Se risulta Φ<1, allora l'apporto di nutrienti è insuciente. Questo signica che la distanza tra la fonte e la cellula più lontana è eccessiva, poiché la diusione dei nutrienti è frenata da un basso D e da un'alta densità cellulare [39].

Nella matrice extracellulare si ha un continuo trasporto di materia, in quanto tutte le molecole subiscono dei ussi migratori dovuti a fenomeni sia di tipo diusivo che convettivo.

Una quantità adimensionale che permette di confrontare l'inuenza dei ussi convettivi ri-spetto a quelli diusivi è il numero di Peclet, denito come:

P e = X ∗ Wi∗ U + Φ ∗ µi∗ E Φ ∗ Di



dove:

Wi = fattore di interazione tra le molecole dell'i-esimo composto e l'ambiente circostante

U = velocità relativa del uido rispetto al tessuto m = mobilità elettrica

E = campo elettrico indotto nel tessuto.

1.2.2 Tipologie realizzative

Nell'ambito del processo di semina cellulare, attualmente, esistono molteplici sistemi, propriamen-te detti bioreattori di semina, i quali consentono di ottimizzare il processo di adesione cellulare sulle superci dello scaold avvalendosi di dierenti principi di funzionamento. In particolare è possibile distinguere le seguenti cinque tipologie di bioreattori con particolare riferimento alle più comuni applicazioni per la Tissue engineering [35]; di seguito viene riportata una tabella in cui sono riassunte alcune caratteristiche.

Shear Stress Trasferimento massa Struttura Densità cellulare (cell/ml) Static Culture System (T-Flasks) nessuno 2D adeguato 2 o 4 strati 2D 0.3-1*106

Low Shear Perfusion basso (regolabile) eccellente 3D eccellente 107-108

Stirred Suspension Culture medio-alto buono 3D molto limitato 106-107

Airlift Bioreactors medio-basso buono 3D molto limitato 106-108

Hollow Fiber Perfused Systems nessuno buono 3D limitato 107-108

Rotary Cell Culture System molto basso eccellente 3D eccellente 107-108

Tabella 1.1: caratteristiche delle principali tipologie di bioreattore ˆ Static Culture System

Il Primo bioreattore elencato è costituito da celle di coltura che sono in genere molto semplici e permettono una crescita omogenea delle cellule sulla struttura bidimensionale, che può essere costituita anche da più strati sovrapposti. Vengono realizzate di solito in polistirene, la cui trasparenza permette la visualizzazione delle cellule tramite microscopio.

ˆ Low Shear Perfusion

La seconda tipologia di bioreattore viene denita a usso in quanto permette di coltivare al suo interno cellule con una maggiore densità poiché il usso di nutrienti, all'interno della cella, permette un apporto più ecace dei metaboliti necessari alle cellule e una migliore rimozione dei cataboliti delle cellule stesse.

Nella gura che segue viene riportati il relativo schema a blocchi del dispositivo appena descritto.

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Figura 1.2: Schema a blocchi di un bioreattore a usso

Il controllore gestisce l'intero sistema, rilevando i parametri chimico-sici fondamentali e cam-biando eventualmente le impostazioni del usso di O2, della temperatura o del pH, agendo tramite

degli attuatori.

Bioreattori di questo tipo vengono usati per riprodurre le condizioni uidodinamiche cui sono sottoposte alcune particolari cellule all'interno dell'organismo, sia in condizioni siologiche che patologiche. Utilizzando un bioreattore a usso con cellule endoteliali, infatti, si può simulare il meccanismo dell'ipertensione aumentando la portata della pompa, e osservando come questa variazione di usso si ripercuote sulla siologia della cellula [40, 41].

Esperimenti analoghi sono stati fatti utilizzando cellule estratte da cartilagine umana, cer-cando di capire quali condizioni di usso fossero ottimali per la loro riproduzione [42].

ˆ Rocking Culture System

Questo tipo di bioreattori viene utilizzato quando il volume dedicato alle cellule è abbastanza grande; è importante il sistema di controllo dell'ossigenazione e quello della temperatura, poiché un volume più grande comporta anche una maggiore dispersione.

Nella gura che segue viene mostrato un sistema di coltura cellulare basato su questo principio [43]:

Figura 1.3: Sacca di membrana permeabile montata su piattaforma Rocking

Il sistema ha una capacità di 8 litri e permette la coltura di sospensioni cellulari ad alta densità.

La supercie a contatto col mezzo di coltura è realizzata in polietilene a bassa densità, mentre la membrana permeabile è realizzata in polietilene ad alta densità.

ˆ Spinner Bioreactor System

I bioreattori di tipo spinner sono basati sulla presenza di palette girevoli che permettono una buona perfusione dell'ossigeno e una ecace distribuzione dei nutrienti.

Questi tipi di bioreattore consentono l'invasione dello scaold da parte delle cellule per con-vezione, in particolare il mezzo di coltura, entrando all'interno di un contenitore sterile investe

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la struttura opportunamente vincolata. L'accesso del mezzo di coltura ed il riempimento e-cace della struttura sono garantite da una miscelazione del mezzo mediante un agitatore posto all'interno del bioreattore al di sotto dei campioni.

Un simile sistema garantisce un eccellente trasporto di massa ed una elevata ecienza della semina cellulare [35].

Figura 1.4: Spinner ask

Il principale inconveniente di questo sistema risiede nella possibilità di fenomeni di turbolenza del usso all'interno del mezzo di coltura che possono determinare problemi di de-dierenziazione cellulare e ridurre l'accessibilità del mezzo nelle zone dello scaold meno raggiungibili.

ˆ Rotary Cell Culture System

Un'alternativa molto diusa è oerta dal sistema rotating-walls vessels il quale consente di creare un microambiente di coltura dinamico riducendo gli sforzi tangenziali ed aumentando la velocità di trasferimento di massa mediante l'impiego di un dispositivo rotante.

Figura 1.5: Rotating-walls vessels

In particolare, il dispositivo risulta costituito da una camera rotante rispetto ad un asse all'interno della quale i campioni vengono lasciati liberi di muoversi; una volta introdotto il uido in coltura, a seguito della rotazione, il campione risulterà sottoposto all'azione di tre forze, una di trascinamento Fd tangenziale alla rotazione, una forza centrifuga Fc diretta verso l'interno ed una forza gravitazionale Fg diretta verso il centro.

L'azione congiunta di queste tre forze determina la diusione del mezzo di coltura all'interno della struttura tridimensionale contribuendo ecacemente alla semina degli scaold e provve-dendo al contempo, al giusto nutrimento delle cellule nonchè alla rimozione delle scorie prodotte [35].

Il bioreattore a parete rotante è stato sviluppato per migliorare i parametri sici dell'ambiente di coltura, permettendo una migliore interazione tra cellule e lo sviluppo di colture cellulare in tre dimensioni, mantenendo ottimale l'apporto di ossigeno e nutrienti.

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Il Rotary Cell Culture System (RCCS), sviluppato dalla NASA presso il Johnson Space Center[44], era stato progettato in origine per proteggere le delicate strutture cellulari duran-te i voli nello spazio. Le caratduran-teristiche dell' RCCS, tuttavia, sono risultaduran-te tali da renderlo uno strumento per la coltura e lo sviluppo di tessuti tridimensionali.

La camera cilindrica ruota e la membrana cilindrica al suo interno è co-rotante in modo da avere scambio dei gas e ossigenazione.

Il terreno di coltura ruota dentro la camera senza toccare le pareti e così, gli aggregati cellulari non vengono danneggiati dall'urto di nessun oggetto. Anche le forze di shear sono minimizzate, dal momento che il bioreattore non presenta palette, bolle o agitatori.

Man mano che la massa cellulare aumenta, la velocità di rotazione deve essere corrisponden-temente aumentata, per compensare la sedimentazione cellulare che si ha sulla parte bassa della camera; l'assenza di sforzi di taglio elevati permette l'aggregazione cellulare a formare strutture tridimensionali abbastanza complesse da simulare le strutture tessutali presenti negli organismi viventi.

Le sue applicazioni attuali riguardano lo studio dell'evoluzione delle cellule e dei tessuti can-cerosi e la coltivazione di tessuto osseo, cartilagineo ed epatico, nonchè alcune applicazioni nel campo dell'analisi farmacologica e tossicologica [45].

ˆ Airlift Bioreactor

Questi bioreattori sono costituiti da una camera molto allungata disposta in posizione verticale, nella cui parte bassa viene introdotta la miscela di gas.

Spesso la camera è divisa verticalmente in due sezioni: il volume del bioreattore viene così separato in due regioni, una con abbondanza di gas, l'altra con scarsità di gas; questo fa sì che si generi spontaneamente un usso circolante verticale [46].

Figura 1.6: Camera verticale di un bioreattore airlift

Questo tipo di bioreattore ha il vantaggio di non avere parti meccaniche in movimento; il rischio di danneggiamento cellulare è quindi ridotto rispetto, ad esempio, ai bioreattori agitati meccanicamente tramite palette.

I bioreattori airlift trovano applicazione principalmente nei seguenti campi [47, 48, 49, 50]: 1. produzione di anticorpi monoclonali

2. analisi di sostanze di origine batterica 3. studio di cellule vegetali

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ˆ Hollow-Fiber Bioreactor

Questi bioreattori hanno lo scopo di simulare al meglio le condizioni reali di un ambiente cellulare, almeno per quanto riguarda l'apporto nutritivo. Questo, infatti, è garantito da una rete di capillari articiali semipermeabili che, bagnati dal terreno di coltura, forniscono per diusione ossigeno alle cellule, asportando contemporaneamente i cataboliti cellulari.

Possono essere generati ussi anche molto elevati nel terreno di coltura senza utilizzare pompe peristaltiche, in modo da studiare la reazione di colture cellulari a varie condizioni uidodinamiche [51, 52].

Le applicazioni di questo bioreattore sono svariate, dallo studio di cellule endoteliali sotto usso, alla produzione di vettori retrovirali [53], alla coltivazione di tessuto cartilagineo [54]. Un'altra interessante applicazione di questo bioreattore è quella relativa allo studio della siologia delle cellule epatiche.

Bioreattori prodotti con tecnologia hollow-ber, inoltre, sono utilizzati anche come veri e propri dispositivi medici di supporto per pazienti con ridotta funzionalità epatica [55, 56, 57].

ˆ Direct Perfusion System

La tecnica che attualmente trova maggiori consensi in questo ambito è quella della perfusione diretta; il dispositivo, costituito da due parti, consente il passaggio del mezzo di coltura in con-dizioni di usso laminare, attraverso il campione in direzione assiale. Il campione non è libero di muoversi ma è opportunamente ancorato al sistema mediante una coppia di ganasce solidali alle due parti del dispositivo stesso.

Figura 1.7: (A) Bioreattori a perfusione diretta. (B) circuito di perfusione

Un sistema di questo tipo oltre a favorire l'adesione e la proliferazione cellulare, consente una diusione delle cellule più uniforme con un incremento del trasporto di massa soprattutto nelle regioni di bulk oltre che nelle zone periferiche della struttura.

Il principale limite dei sistemi siatti è legato al fatto che in essi la semina avviene in assenza di stimolazione meccanica delle cellule; nel microambiente naturale invece, i meccanismi di crescita tissutale sono inuenzate in maniera rilevante dalle sollecitazioni meccaniche che agiscono sui tessuti.

In questa direzione negli ultimi anni sono stati realizzati bioreattori in grado di ricreare l'ambiente siologico sia dal punto di vista uidodinamico che dal punto di vista meccanico. Tra le peculiarità dei bioreattori fondamentale è la formazione e il mantenimento di un usso che è ciò che garantisce le connessioni tra le varie componenti del corpo umano e che induce forze meccaniche tali da inuenzare citoscheletro, morfologia e adesione cellulare.

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1.3 Dispositivi microuidici per la generazione di diverse

concen-trazioni di farmaco

1.3.1 Origini e futuro della microuidica

La microuidica è la scienza e tecnologia di sistemi che processano e manipolano ridotte quantità di uidi (da 10−9 a 10−18 litri) attraverso canali con dimensioni di centinaia di micrometri. Le

prime applicazioni delle tecnologie microuidiche si sono concentrate nel campo della microanalisi grazie alla possibilità di utilizzare ridottissime quantità di campioni e reagenti, di separare e individuare molecole con elevata risoluzione e sensitività, di controllare nello spazio e nel tempo la concentrazione di determinate specie chimiche e di ottenere risultati signicativi in tempi brevi con costi limitati [58].

Le origini della microuidica risiedono in metodi microanalitici come cromatograa a fase gassosa, cromatograa liquida ad alta pressione ed elettroforesi capillare che rivoluzionarono il settore delle analisi chimiche. A seguito dell'enorme successo riscontrato da tali metodologie di analisi si cercò di sviluppare apparecchiature sempre più compatte e versatili e individuare nuove potenziali applicazioni nel campo della biochimica e della biologia.

Un fondamentale incentivo alla nascita e sviluppo delle tecnologie microuidiche giunse dopo la guerra fredda ed in particolare nei primi anni '90 dal settore militare statunitense che necessi-tava di piccoli dispositivi per il riconoscimento di potenziali minacce chimiche e batteriologiche. Altri importanti stimoli per lo sviluppo della microuidica furono rappresentati dall'esplosione della genomica negli anni '80 che richiedeva elevata sensitività, risoluzione e velocità di elabora-zione per il sequenziamento del DNA e della microelettronica che grazie alle tecniche di microli-tograa aveva consentito la nascita dei chip basati sul silicio e dei sistemi microelettromeccanici (MEMS).

Figura 1.8: Dispositivo microuidico utilizzato per lo studio di cellule procariote

I primi dispositivi sperimentali creati in laboratorio furono realizzati in silicio o in vetro di silice pur non possedendo molti dei requisiti necessari per poter essere utilizzati con cellule e campioni biologici, primo fra tutti la permeabilità ai gas [59].

La ricerca costante ha portato alla nascita di nuovi metodi di fabbricazione e di componenti specici come valvole, mixer e pompe, fondamentali per la realizzazione dei cosiddetti lab-on-chip. Un dispositivo microuidico (gura 1.10) è generalmente composto da una serie di compo-nenti specici, tra cui: un sistema per l'introduzione di campioni e reagenti, un metodo per la movimentazione e per l'eventuale miscelamento dei uidi all'interno dei microcanali presenti sul

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chip, sensori per analisi chimiche ed eventuali sistemi di puricazione nel caso in cui il sistema sia utilizzato per scopi di sintesi.

Lo sviluppo delle tecniche di soft-lithography e l'utilizzo del polidimetilsilossano (PDMS) han-no consentito di realizzare numerosi prototipi e di testare nuove soluzioni progettuali e compo-nenti; è stato inoltre possibile esplorare le fondamentali dierenze nella uidodinamica all'interno di canali macroscopici o di condotti di dimensioni micrometriche.

Detto Re il numero di Reynolds:

Re = ν ∗ D ∗ ρ µ dove:

ν = velocit`adel uido

D = diametro idraulico del condotto ρ =densità

µ = viscosit`a.

A livello macroscopico i uidi sono in grado di miscelarsi in modo convettivo grazie alla notevole inuenza esercitata dall'inerzia rispetto alla viscosità; alla microscala, al contrario, nel momento in cui due uidi sono inseriti all'interno di un microcanale (basso numero di Reynolds cioè ridotto rapporto tra forze inerziali e forze viscose) si osserva un moto laminare con pacchetti uidi che scorrono parallelamente, senza vortici e turbolenze, in cui il miscelamento è generato unicamente dalla diusione in corrispondenza dell'interfaccia creatasi [60].

Una delle più diuse applicazioni delle tecnologie microuidiche è rappresentata dall'analisi delle condizioni di cristallizzazione delle proteine: pH, forza ionica, composizione, concentrazione possono essere facilmente controllate e modulate per testare numerose condizioni in cui i diversi domini di speciche proteine inizino a cristallizzare [61].

Altre applicazioni di laboratorio ampiamente documentate riguardano la separazione di specie chimiche accoppiata alla spettroscopia di massa[62], lo sviluppo e la sintesi di nuovi farmaci [63], analisi biochimiche [64], la manipolazione di campioni costituiti da singole cellule o molecole [65], la generazione controllata di bolle [66] o gocce di liquidi [67] all'interno di un usso continuo.

La biologia cellulare rappresenta un campo di ricerca in cui la microuidica può apportare signicative innovazioni: le cellule eucariote presentano un diametro medio compreso tra 10 e 100 mm che ben si adatta alle dimensioni dei più innovativi dispositivi microuidici (gura 1.10); il PDMS, grazie alla trasparenza ottica, all'elevata permeabilità ai gas e all'ottima risposta evidenziata nei test di citotossicità costituisce un materiale adatto per la creazione di microcamere in cui coltivare cellule ed osservarne il comportamento, calcolare le forze esercitate sul substrato al quale sono adese, studiarne il citoscheletro [68].

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Figura 1.9: Semplice ed economico dispositivo microuidico utilizzato in immunocitochimica La microuidica rappresenta un campo in continuo mutamento ma ancora non è noto come si evolverà nel proprio naturale processo di crescita; molteplici sono i requisiti che dovrà soddisfare per imporsi come tecnologia di ampio utilizzo. Dovrà riscuotere un elevato successo commerciale piuttosto che rimanere connata nei laboratori accademici e allo stesso tempo essere disponibile a prezzi contenuti.

Numerose sono le applicazioni di elevato valore in cui la microuidica può interpretare un ruolo di primo piano, sebbene il loro sviluppo richieda importanti innovazioni sia sotto il prolo tecnologico sia dal punto di vista medico: lo sviluppo di nuovi saggi in grado di monitorare la risposta di farmaci e terapie e la pianicazione di test innovativi nel campo della medicina preventiva rappresentano solo alcune delle vie verso cui si indirizzerà la microuidica.

L'industria farmaceutica richiede nuovi strumenti che consentano di guidare lo sviluppo di nuovi farmaci: applicazioni microuidiche consentiranno di monitorare ed ottimizzare il processo di sintesi di nuove molecole e mediante l'utilizzo di cellule di linea umane di vericarne, in tempi molto rapidi, le prestazioni in vitro.

Svariate applicazioni tecnologiche nel mondo richiedono la manipolazione dei uidi e l'esten-sione di tali manipolazioni a piccoli volumi con un preciso controllo dinamico delle concentrazio-ni, unito alla possibilità di esplorare nuovi fenomeni che avvengono alla microscala, consentirà probabilmente l'aermazione della microuidica nel panorama scientico [?].

1.3.2 Generazione di gradienti di concentrazione molecolare

I gradienti di concentrazione biomolecolari rappresentano un importante meccanismo di segnale per guidare i processi di crescita, migrazione e dierenziamento cellulare all'interno di un ambiente tridimensionale e dinamico come quello dei tessuti biologici.

Nel corso dello sviluppo embrionale gruppi selezionati di cellule producono molecole segnale proteiche che diondono nell'ambiente extracellulare; la matrice extracellulare rappresenta dun-que un ambiente dinamico in costante mutamento in cui si generano gradienti multipli di speciche molecole in grado di evolversi nello spazio-tempo.

I gradienti di concentrazione rivestono un importante ruolo nella risposta inammatoria, nei processi di guarigione delle ferite e nello sviluppo di masse tumorali; durante i processi di reazione immunitaria i gradienti biomolecolari risultano essere essenziali in quanto forniscono alle cellule della linea linfocitaria, ai macrofagi ed ai granulociti, importanti indicazioni per promuovere una rapida migrazione verso il sito di infezione.

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Numerose molecole proteiche risultano coinvolte nella formazione di gradienti in grado di incrementare la motilità e le capacità chemotattiche di cellule tumorali e di amplicare i processi di angiogenesi.

La necessità di comprendere tali fenomeni ha portato alla progettazione di dispositivi che siano in grado di esporre le cellule a gradienti chimici in vitro; metodi tradizionali in grado di generare gradienti di concentrazione sono stati fondamentali per acquisire conoscenze di base da parte degli scienziati ma non sono in grado di indagarne la natura quantitativa o combinatoria a causa dell'incapacità di generare proli di concentrazione precisi e controllabili nello spazio e nel tempo. Gradienti di concentrazione generati con metodi tradizionali spesso evolvono in modo imprevedibile ed incontrollabile nello spazio e nel tempo e sono dicilmente caratterizzabili quantitativamente; i gradienti si creano e si dissipano in tempi brevi limitando fortemente le tipologie cellulari utilizzabili e gli aspetti scientici analizzabili.

La tecnologia microuidica, dotata di un elevato livello di controllo e di automazione su scala microscopica, rappresenta un'importante strategia per controllare il usso necessario per la generazione di gradienti quanticabili e riproducibili in grado di inuenzare il comportamento cellulare [69].

1.3.2.1 Metodi tradizionali per la generazione di gradienti di concentrazione Sistemi a base di idrogeli di collagene, brina o agarosio sono comunemente utilizzati per la ge-nerazione di gradienti di concentrazione molecolari [70]; le cellule vengono seminate all'interno di comuni pozzetti di coltura in polistirene per poi essere rivestite mediante il gel oppure vengono inserite nella miscela prima della gelicazione. La molecola di interesse viene depositata sulla su-percie dell'idrogelo ed è in grado di diondere gradualmente all'interno della matrice polimerica portando alla generazione di un gradiente che evolve nello spazio e nel tempo (gura ).

Tali sistemi sono molto semplici da realizzare, consentono un discreto controllo sulla posizione della sorgente e determinano un ambiente tridimensionale molto simile a quello biologico; l'assenza di riproducibilità e di controllo sull'evoluzione spazio-temporale del gradiente di concentrazione e la dicoltà di monitorare il comportamento cellulare, a causa delle proprietà ottiche del gel e dell'ambiente tridimensionale, rappresentano importanti limiti di tale metodologia.

Figura 1.10: a) tessuto neuronale coltivato in un gel di collagene; b) neutroli esposti ad un gradiente di concentrazione in un gel di agarosio; c) variazione del gradiente di concentrazione generato in un idrogelo nello spazio e nel tempo

Un altro metodo tradizionale per la generazione di gradienti di concentrazione è rappresentato dall'utilizzo di micropipette: queste ultime vengono riempite con una soluzione della molecola di interesse e posizionate ad una certa distanza dalle cellule mediante un manipolatore meccanico ed un microscopio. La soluzione viene espulsa in modo pneumatico oppure per semplice diusione passiva determinando un gradiente di concentrazione radiale (gura 1.12) [69].

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Figura 1.11: Sistema di micropipette contenenti molecole segnale montate su micromanipolatori intorno ad una piastra di Petri

Uno storico dispositivo in grado di portare alla generazione di gradienti di concentrazione è rappresentato dalla Boyden Chamber (1962): un chemoattrattore viene posizionato nella parte inferiore di un pozzetto di coltura, un secondo pozzetto, dotato di membrana porosa, viene seminato con cellule e posizionato nel primo in modo da promuovere la diusione della biomolecola di interesse nel compartimento superiore. Il gradiente creato induce le cellule seminate sulla parte superiore della membrana porosa a migrare nella camera inferiore (gura 1.13).

Il metodo consente una valutazione quantitativa della migrazione cellulare indotta anche se in pratica le possibilità di controllo del gradiente sono limitate date la sua variabilità nello spazio e nel tempo [69].

Figura 1.12: Saggio basato sulla Boyden Chamber

Signicativi limiti della Boyden Chamber sono costituiti dall'impossibilità di correlare speci-che risposte cellulari con particolari caratteristiche del gradiente quali pendenza, sviluppo tem-porale e livelli di concentrazione della molecola in esame aggiunti alla mancanza di una visione diretta delle cellule (le cellule migrate devono essere ssate e colorate a posteriori).

Nel 1977 venne sviluppato il primo metodo in grado di fornire una visualizzazione diretta del comportamento cellulare in presenza di un gradiente di concentrazione; il dispositivo, noto come Zigmond Chamber (gura 1.14), consiste di due canali paralleli incisi in una lastra di vetro separati da uno spaziatore (glass ridge). Le cellule sono seminate su un vetrino che viene capovolto e posizionato sui canali lasciando un sottile gap di 3-10 mm rispetto allo spaziatore in vetro [69].

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Figura 1.13: a) Struttura di una Zigmond Chamber; b) sezione trasversale del dispositivo L'aggiunta di 100 ml di mezzo di coltura nel sink channel e di 100 ml di soluzione contenente la biomolecola nel source channel determina la formazione di un gradiente in corrispondenza del gap.

Cambiamenti nei processi di crescita e dierenziamento cellulare ed eventuali migrazioni possono essere facilmente visualizzate mediante un microscopio.

Il gradiente di concentrazione è riproducibile e matematicamente prevedibile anche se il tem-po di vita è limitato ad 1h, le proprietà del gradiente sono determinate esclusivamente dalle caratteristiche geometriche del dispositivo e dal coeciente di diusione della specie considerata. Un dispositivo molto simile è la Dunn Chamber (gura 1.15); le camere di sink e source sono realizzate con anelli concentrici che possono essere riempiti con le appropriate soluzioni prima del posizionamento della lastra di vetro superiore seminata con le cellule, senza l'interfaccia aria-liquido che determina i problemi di evaporazione del precedente metodo [69].

Vantaggi e svantaggi sono quasi identici a quelli oerti dalla Zigmond Chamber.

Figura 1.14: a) Struttura di una Dunn Chamber; b) sezione trasversale del dispositivo Esperimenti in vitro mediante i metodi tradizionali precedentemente illustrati hanno permesso di determinare le biomolecole capaci di indurre l'attivazione di meccanismi chemotattici in alcuni tipi cellulari.

La necessità di comprendere l'inuenza che i gradienti di concentrazione possono avere sulla risposta cellulare e le modalità con cui un gradiente chimico sia in grado di modicare la sen-sibilità cellulare ad un secondo gradiente hanno portato allo sviluppo di dispositivi avanzati in grado di produrre uno o più gradienti contemporaneamente con un andamento spazio-temporale controllabile dall'operatore [69].

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1.3.2.2 Tecnologie microuidiche per la generazione di gradienti di concentrazione I dispositivi microuidici presentano vantaggi pratici se confrontati con i dispositivi tradizionali: è possibile incrementare la velocità degli esperimenti riducendone al contempo i costi. L'utilizzo di volumi ridotti limita gli sprechi di costosi reagenti mentre la natura parallela dei processi di microfabbricazione consente di creare dispositivi dotati delle medesime caratteristiche. Dispositivi microuidici sono stati utilizzati per infettare cellule con concentrazioni note di virus [71], per generare gradienti di sforzi meccanici [72], di biomolecole proteiche adesive in grado di mediare i processi di adesione cellulare ad un substrato [73] e di specie chimiche in grado di indurre la migrazione chemotattica di batteri [74] e cellule eucariote [75].

Una delle strategie più semplici per creare gradienti di concentrazione è l'adsorbimento selet-tivo di biomolecole di interesse sul substrato di coltura delle cellule (gure 1.16 e 1.17); la stabilità del gradiente dipende dalla reazione di attacco al substrato della specie chimica e dai componenti del mezzo di coltura che possono degradare o sostituire le molecole adsorbite.

Il metodo proposto da Delamarche et al. (1998) utilizza un microcanale dotato di un reservoir ad una delle estremità; la soluzione contenente le biomolecole viene inserita nel reservoir per poi essere attirata nel canale vuoto per capillarità o diondere nel condotto precaricato adsorbendosi alle pareti. A causa dell'elevato rapporto supercie volume presente il livello di biomolecole adsorbite impoverisce sensibilmente la soluzione iniettata; si origina un gradiente di molecole adsorbite con il livello più alto di concentrazione in corrispondenza del reservoir.

Le caratteristiche del gradiente di concentrazione dipendono unicamente dal coeciente di diusione, dal materiale con cui il canale è realizzato e dall'intervallo di tempo destinato alla formazione del prolo di concentrazione. Il gradiente creato è relativamente stabile anche se risulta estremamente complicato raggiungere i livelli di concentrazione desiderati dall'utente e si dimostra molto elevato il rischio di denaturazione delle biomolecole utilizzate [69]

Figura 1.15: Generazione di un gradiente di concentrazione mediante adsorbimento selettivo di biomolecole sulla supercie di un microcanale

Figura 1.16: b) gradienti di concentrazione generati per adsorbimento selettivo di biomolecole all'interno di canali microuidici; c) relativi proli di concentrazione

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