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Traduzione audiovisiva e varietà geolettale. "También la lluvia" di Icíar Bollaín

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA

E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

TRADUZIONE LETTERARIA E SAGGISTICA

ELABORATO FINALE

Traduzione audiovisiva e varietà geolettale.

También la lluvia di Icíar Bollaín

CANDIDATA

Fabiola Scidà

RELATRICE Chiar.ma Prof.ssa

Rosa María García Jiménez

CORRELATRICE Chiar.ma Prof.ssa

Alessandra Ghezzani

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INDICE

1. INTRODUZIONE p.4 2. LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA p.6 2.1. Definizione e terminologia p.6 2.2. Il doppiaggio p.10 2.2.1. Il fandubbing p.13 2.3. La sottotitolazione p.14 2.3.1. Sottotitolazione intralinguistica p.19 2.3.2. Sottotitolazione interlinguistica p.21 2.3.3. Il fansubbing p.22

2.4. Altri tipi di traduzione audiovisiva p.23

2.4.1. La sopratitolazione p.23 2.4.2. Il voice-over p.24 2.4.3. Il commento p.25 2.4.4. La narrazione p.25 2.4.5. La descrizione audiovisiva p.25 3. «TAMBIÉN LA LLUVIA» p.26 3.1. Presentazione del film p.26 3.2. La regista p.28 3.3. Il quechua p.28

4. COMMENTO ALLA TRADUZIONE p.31 4.1. Il testo originale p.31 4.2. Analisi della traduzione p.32 4.2.1. Livello fonetico p.32

4.2.1.1. Yeísmo p.32 4.2.1.2. Seseo p.35 4.2.1.3. Neutralizzazione della –d intervocalica p.36 4.2.1.4. Aspirazione del suono /x/ p.37 4.2.2. Livello morfosintattico p.38 4.2.2.1. Il voseo p.38

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4.2.2.2. Leísmo, laísmo e loísmo p.42 4.2.2.3. La suffissazione p.45 4.2.2.4. Discordanza di genere p.49 4.2.2.5. Gli avverbi di luogo p.50 4.2.2.6. Le forme verbali p.51 4.2.2.7. I pronomi e gli aggettivi dimostrativi p.58 4.2.2.8. La struttura sintattica p.61 4.2.2.9. Altri fenomeni p.64 4.2.3. Livello pragmatico p.66 4.2.3.1. La modalizzazione p.66 4.2.3.2. La ricorrenza p.68 4.2.3.3. I segnali discorsivi p.71 4.2.3.4. Le congiunzioni y,o, e que p.84 4.2.3.5. Gli intercalari p.86 4.2.3.6. La deissi personale p.88 4.2.3.7. Code switching e spanglish p.89 4.2.3.8. Conversazione simultanea p.90 4.2.4. Livello lessicale p.92 4.2.4.1. I riferimenti culturalmente vincolati p.92 4.2.4.2. I modismos p.98 4.2.4.3. Il turpiloquio p.103 4.2.4.4. Lessico argotico p.108 4.2.4.5. Riferimenti intertestuali p.110 4.2.4.6. Varietà linguistica p.111 4.2.4.7. Altre difficoltà p.115 5. CONCLUSIONI p.119 6. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI p.121 7. APPENDICI p.125

También la lluvia / Anche la pioggia p.I

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1. INTRODUZIONE

Il presente lavoro nasce con l’obiettivo di esaminare le problematiche legate alla traduzione audiovisiva, fornendo una riflessione di tipo linguistico sulle principali difficoltà riscontrate e sulle scelte traduttive effettuate. A tale scopo, si è scelto di proporre una traduzione dallo spagnolo all’italiano del copione del film “También la lluvia”, diretto dalla regista spagnola Icíar Bollaín. Nel complesso processo che porta alla versione finale di un film nella lingua di arrivo, la traduzione del copione non rappresenta che una prima, seppur importante fase del lavoro, seguita dall’adattamento dei dialoghi e il doppiaggio, ma per questioni di tempo si è deciso di focalizzarsi solo sul lavoro di traduzione della sceneggiatura.

La scelta della pellicola è stata dettata da diversi fattori: in primo luogo, la data di produzione molto recente (2010), che ci permette di riscontrare un linguaggio “attuale” e ricco di riferimenti alla contemporaneità; un elevato contenuto di riferimenti intertestuali presenti, come quelli alla Bibbia e alle lettere di Cristoforo Colombo, scritte durante la colonizzazione spagnola; infine, la presenza di lingue diverse dallo spagnolo, come ad esempio il quechua, lingua ufficiale della Bolivia, dove è ambientato il film, il latino e l’inglese. Il lavoro di traduzione, inoltre, ha rilevato un’altra caratteristica fondamentale del film, vale a dire la presenza di un linguaggio fortemente legato alla varietà geolettale dello spagnolo americano. Il lungometraggio, infatti, presenta un alto numero di attori sudamericani, i quali parlano uno spagnolo vincolato culturalmente e socialmente alla varietà diatopica americana (che per molte caratteristiche differisce dallo spagnolo parlato nella penisola iberica).

Attività preliminare alla traduzione del film è stata la rielaborazione del copione ufficiale fornito da Morena Films, società spagnola che si è occupata della produzione di “También la lluvia”, ottenuta grazie al confronto tra la sceneggiatura e il film e la successiva integrazione delle battute mancanti alla versione scritta. È su questo testo riveduto e corretto che è stato effettuato il lavoro di traduzione. Tale lavoro non ha potuto prescindere dal tenere costantemente in considerazione le componenti non verbali del film (immagini, suoni, musica, gestualità degli attori), che hanno determinato alcune scelte traduttive.

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Il presente lavoro si suddivide in tre sezioni: la prima fornisce una breve introduzione riguardo alle caratteristiche della traduzione audiovisiva, la seconda sezione offre una piccola descrizione del film scelto, mentre l’ultima parte propone un’analisi delle scelte traduttive effettuate durante la realizzazione della traduzione del copione di “También la lluvia”. A seguire, si potrà trovare un’appendice contenente la sceneggiatura del film in lingua originale e la sua traduzione in italiano.

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2. LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA

2.1. Definizione e terminologia

Come afferma Elisa Perego, ricercatrice dell’Università di Trieste ed esperta del settore:

con il termine “traduzione audiovisiva” si fa riferimento a tutte le modalità di trasferimento linguistico che si propongono di tradurre i dialoghi originali di prodotti audiovisivi (prodotti che comunicano simultaneamente attraverso canali multipli, come quello acustico e quello visivo), al fine di renderli accessibili a un pubblico più ampio. 1

Il canale acustico o sonoro, nella sua forma verbale e non verbale, comprende la colonna sonora, cioè i dialoghi, la musica, i suoni e i rumori; il canale visivo invece, anch’esso sia verbale che non verbale, include ovviamente le immagini, ma può presentare anche sottotitoli, didascalie e scritte di scena.

La traduzione audiovisiva è diventata argomento di discussione solo in tempi recenti. In particolare, l’AVT (acronimo di Audiovisual Translation, nota anche in italiano come TAV) si è trasformata in un importante campo di ricerca negli anni Ottanta del Novecento, grazie a Christopher Titford2, che nel 1982 introduce il concetto di constrained translation (una traduzione in cui il testo è solo uno dei componenti del messaggio comunicativo e rappresenta una fase intermedia tra la pianificazione e la recitazione), ripreso e approfondito da Roberto Mayoral3 nel 1988, ma ha raggiunto il suo apice solo intorno agli anni ’90. Nel 1995, infatti, in occasione del centesimo anniversario della nascita del cinema, il Consiglio d’Europa ha scelto di celebrare un forum incentrato sulla comunicazione audiovisiva e sul trasferimento linguistico.

Gli studiosi si sono avvalsi di varie terminologie per definire questo settore traduttivo: in primo luogo, l’etichetta “traduzione filmica”, usata soprattutto nel periodo in cui la televisione non aveva la popolarità di cui attualmente gode; l’espressione “traduzione per lo schermo”, che fa riferimento al mezzo di distribuzione del prodotto (come lo schermo televisivo,

1 PEREGO, E., La traduzione audiovisiva, Carocci editore, Le Bussole, Roma, 2005, p.7. 2 Apud BARONE, C. et al., Dallo stilo allo schermo. Sintesi di teoria della traduzione, Edizioni

PLUS, Pisa, 2011, p. 145.

3MAYORAL, R. et al., Concept of constrained translation. Non-linguistic perceptions of

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cinematografico o del computer); successivamente si è diffuso il termine “trasferimento linguistico”, che mette in evidenza la componente verbale del prodotto audiovisivo, integrata da elementi non verbali. La preferenza degli studiosi per la denominazione “traduzione audiovisiva” è data dal fatto che essa racchiude differenti categorie di testi audiovisivi diversi dal film, come ad esempio documentari, notiziari, pubblicità e programmi televisivi.

Nel 1989, Dirk Delabastita4 definisce la traduzione audiovisiva “still a virgin area of research”, poiché gli studi sulla traduzione erano sempre stati restii a comprendere la traduzione filmica tra i propri argomenti di studio. Per definirne le caratteristiche principali, quindi, Delabastita confronta la traduzione per il cinema con altri tipi di traduzione, come ad esempio quella teatrale. Secondo lo studioso, la differenza più grande tra la traduzione per il teatro e la traduzione per il cinema (che fino allora erano spesso accomunate) è che mentre un’opera teatrale è sempre diversa a ogni sua rappresentazione, il film è registrato e rimarrà inalterato durante ogni proiezione di fronte a un pubblico. Per questo motivo, il traduttore dovrà avere un atteggiamento diverso nel confrontarsi con i due differenti tipi di testi. La traduzione audiovisiva è intersemiotica, poiché deve tenere in considerazione l’interrelazione tra iconico e verbale. Un testo audiovisivo è un costrutto semiotico comprendente diversi codici significanti che operano simultaneamente per produrre un significato. Un film quindi è composto da una serie di segni codificati, articolati in base a regole sintattiche. Egli individua quattro tipi di segni filmici:

 segni verbali trasmessi acusticamente;  segni non verbali trasmessi acusticamente;  segni verbali trasmessi visivamente;  segni non verbali trasmessi visivamente.

Come sappiamo, il testo verbale da tradurre è formato da dialoghi filmici. Secondo quanto afferma Sabatini5, il parlato filmico fa parte del sottogenere noto come lingua “trasmessa” che presenta rispetto al parlato spontaneo alcune caratteristiche particolari. Il linguaggio filmico orale

4 Apud RANZATO, I., La traduzione audiovisiva. Analisi degli elementi culturospecifici,

Bulzoni editore, Milano, 2010, pp. 4-5.

5 Apud PEREGO, E., La traduzione audiovisiva, Carocci editore, Le Bussole, Roma, 2005,

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costituisce, infatti, un parlato adattato che, secondo Chaume Varela6, è una «oralidad prefabricada» (un’oralità prefabbricata), che tenta cioè di ricostruire artificiosamente il parlato spontaneo.

Lo scopo del traduttore audiovisivo è sicuramente quello di rendere il testo da tradurre accessibile e al contempo usabile (Díaz Cintas, Anderman, 2009). Con il termine accessibilità si fa riferimento al livello di fruibilità del prodotto audiovisivo, che quindi prescinde da qualsiasi impedimento fisico o cognitivo dell’utente. Secondo il criterio dell’inclusione sociale, però, qualsiasi prodotto o servizio deve essere raggiungibile da tutte le tipologie di utenti. Per tale ragione, le basi dell’accessibilità risiedono nella totale comprensione dei limiti dell’essere umano; è proprio per questo motivo che la nozione di accessibilità è spesso associata ai diritti delle fasce più deboli della società (anziani e disabili). Grazie alla recente crescita di sensibilità riguardo a tale problema, si sono diffuse alcune forme di traduzione audiovisiva che in passato ricoprivano un ruolo marginale, come ad esempio l’audiodescrizione per ciechi e la sopratitolazione per sordi.

Il termine usabilità, invece, è definito come la qualità che rende un prodotto efficace, efficiente, intuitivo e soddisfacente per l’utente.7 Questa nozione fa riferimento al grado di semplicità di uso di un prodotto e si è sviluppata intorno agli anni Novanta, parallelamente alla diffusione del web e dei computer (la definizione di usabilità, infatti, è strettamente legata a questi ambiti, come afferma Nielsen). Secondo Nielsen8 esistono varie categorie per descrivere l’usabilità: la facilità di apprendimento (o learnability), in altre parole la velocità con cui l’utente impara a utilizzare il prodotto; l’efficienza d’uso (efficiency), cioè la velocità con la quale l’utente fruisce del prodotto; la memorizzabilità (memorability), che è la capacità di utilizzare il prodotto senza dover imparare nuovamente a farlo; la frequenza e la gravità degli errori (errors) presenti nel prodotto e la capacità di reazione degli utenti agli stessi; la soddisfazione soggettiva dell’utente (satisfaction), in altre parole la sua gratificazione.

6

Ibidem.

7 PEREGO, E., TAYLOR, C., Tradurre l’audiovisivo, Carocci editore, Le Bussole, Roma,

2002, p.50.

8 NIELSEN, J., Usability 101: Introduction to Usability, 4 gennaio 2012 (consultabile sul sito

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Secondo il tipo di trattamento che i dialoghi originali subiscono e secondo come si presenta la loro traduzione, distinguiamo varie forme di traduzione audiovisiva. Secondo la classificazione offerta da Yves Gambier9 nel 2003, si possono distinguere fino a tredici diversi tipi di trasferimento linguistico nel settore audiovisivo: otto sono quelli dominanti e cinque i tipi

challenging, più difficili e impegnativi. Tra le tipologie dominanti troviamo la

sottotitolazione interlinguistica, il doppiaggio, l’interpretazione consecutiva, l’interpretazione simultanea, il voice-over, il commento libero, la traduzione simultanea e la produzione multilingue; fanno parte della tipologia challenging invece la traduzione degli script (copioni e sceneggiature), la sottotitolazione simultanea o in tempo reale, la sopratitolazione, la descrizione audiovisiva per non vedenti e la sottotitolazione intralinguistica per sordi. Tuttavia la suddetta classificazione oggi risulta essere obsoleta, poiché non è più in grado di descrivere e rappresentare fedelmente quella che è la realtà professionale del settore audiovisivo, notevolmente mutata nel corso degli ultimi anni. Inoltre, nella classificazione di Gambier vengono definite challenging delle modalità traduttive che oggi sono diventate molto comuni in vari paesi europei (come precedentemente detto, l’audiodescrizione per non vedenti e la sopratitolazione per sordi), grazie al processo tecnologico che ha portato alla creazione di programmi e software innovativi.

Alla luce di tali innovazioni tecnologiche, in questo lavoro ci soffermeremo solo sulle principali metodologie di trasferimento presenti attualmente sul mercato europeo: il doppiaggio, la sottotitolazione, la sopratitolazione, il voice-over, la narrazione, il commento e la descrizione audiovisiva per non vedenti.

9 GAMBIER, Y., Introduction. Screen Transadaptation: Perception and Reception, The

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2.2. Il doppiaggio

Il doppiaggio deve la sua nascita all’avvento del cinema sonoro, lanciato dalla produttrice cinematografica americana Warner Bros con il film “Il cantante di jazz” di Alan Crosland, proiettato per la prima volta nelle sale statunitensi il 5 ottobre 1927. A partire dal 1930, infatti, si introducono nel mondo della cinematografia due nuove tecniche: il doppiaggio e la sonorizzazione. Quest’ultimo termine fa riferimento alla tecnica di realizzazione della parte sonora di un film (dialoghi, rumori di fondo, ecc.). Al fine di diffondere i loro film a livello internazionale e per non perdere il mercato europeo a causa della barriera della lingua (in Europa solo nel Regno Unito si parlava la stessa lingua degli USA), gli Stati Uniti decisero di ricorrere a un metodo avanguardistico, ma laborioso: lo stesso film veniva girato più volte in diverse lingue. Le più utilizzate erano il francese, lo spagnolo e il tedesco. A volte gli attori del cast venivano sostituiti con altri improvvisati, che parlavano una lingua straniera; spesso invece gli attori rimanevano gli stessi, ma si improvvisavano poliglotti o si facevano doppiare dal vivo con voci straniere fuori campo, dietro le cineprese, mentre il cast davanti la cinepresa recitava muto, muovendo solo la bocca. Gli attori principali dovevano rimanere sempre gli stessi ed erano perciò costretti a recitare tutte le differenti versioni nelle varie lingue, leggendo il copione sui gobbi posizionati dietro le cineprese, in cui era riportata la pronuncia fonetica delle parole.

Il doppiaggio è la modalità di traduzione audiovisiva più conosciuta e più diffusa in Italia ed è stata introdotta nel periodo del regime fascista,il quale proibiva la circolazione dei film stranieri in una lingua differente dall'italiano, al fine di mantenere viva la lingua della nazione. A partire dal 1931, infatti, i film vennero doppiati in italiano e il 5 ottobre 1933 il governo, con il Regio Decreto Legge n. 1414, proibì l’importazione di film non doppiati in Italia. La pellicola nella versione originale doveva essere sottoposta alla revisione della censura: in questo modo il governo poteva esercitare un controllo linguistico che mirava alla sparizione dei dialetti, dei regionalismi e degli accenti nella versione finale doppiata, al fine di difendere e promuovere l’identità nazionale (come già

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faceva l’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, fondato nel 1926 da Giovanni Gentile), ma anche al controllo del contenuto politico presente nel film.10

La tecnica del doppiaggio consiste nel sostituire la colonna sonora originale di un prodotto audiovisivo (film, serie e programmi televisivi, cartoni animati, ecc.) con un’altra tradotta e registrata nella lingua d’arrivo. I campi di maggiore utilizzo sono il cinema, la televisione, l’animazione e la pubblicità. Questo sistema si avvale di attori doppiatori e richiede una grande precisione nell’adattare i nuovi dialoghi in maniera tale che il testo udito dall’utente e i movimenti labiali degli attori coincidano il più possibile. Inoltre, se uno dei personaggi della versione originale parla la stessa lingua della traduzione, si dovrà optare per l’utilizzo di una varietà dialettale, in modo da ricreare la verosimiglianza dei dialoghi originali e la loro non uniformità di registro linguistico.

Il processo di doppiaggio si articola in varie fasi.11 Inizialmente, la figura del traduttore si occupa di una prima traduzione (spesso letterale) del copione, preceduta da una visione del prodotto audiovisivo per controllare se la sceneggiatura che è in suo possesso coincide con la versione finale della pellicola e, eventualmente, aggiungere i dialoghi mancanti. A livello linguistico, il traduttore dovrà adattare alla lingua di arrivo, se presenti, i termini culturalmente connotati (che fanno riferimento a realtà tipiche del paese associato alla lingua di partenza), dovrà veicolare l’umorismo presente nella versione originale, tradurne i giochi di parole e trasporre il turpiloquio e le varianti sociolinguistiche (accenti regionali, dialetti, idioletti, ecc.).

Successivamente, l’adattatore-dialoghista cerca di rendere i dialoghi comprensibili e fluidi per il pubblico a cui il prodotto è destinato, rispettando i ritmi, le pause e il significato delle battute originali. Dopo questi primi due stadi si passa alla suddivisione del prodotto audiovisivo in scene, si cancellano dalla traccia audio le voci originali, cercando però di mantenere il brusio e i rumori di sottofondo. I nuovi dialoghi in lingua d’arrivo vengono quindi registrati in uno studio di doppiaggio e, una volta terminata questa fase, si ricompongono tutte le sequenze e si uniscono alle tre principali tracce audio: la base musicale, la

10 Per maggiori approfondimenti, si veda QUARGNOLO, M., La censura cinematografica da

Giolitti a Mussolini. Osservatore politico letterario, luglio 1970.

11 Cfr. PAOLINELLI, M., DI FORTUNATO, E., Tradurre per il doppiaggio. La trasposizione

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banda degli effetti sonori e quella delle voci. Quest’ultimo procedimento è noto anche come missaggio.

Per quanto riguarda i programmi televisivi, spesso la colonna sonora originale non è eliminata, ma viene semplicemente abbassata e sovrapposta alla colonna sonora prodotta nella lingua d’arrivo (si possono trovare vari esempi di questo genere all’interno di emittenti televisivi come RealTime, il quale fornisce agli utenti programmi televisivi anglofoni). In questo caso, non si tratta più di doppiaggio, ma della cosiddetta tecnica del voice-over, di cui parleremo nei prossimi capitoli.

Secondo quanto affermato dal già citato Delabastita, nel doppiaggio il processo traduttivo prevede che i segni contenuti nel prodotto audiovisivo di origine siano riprodotti sostituendo ai segni verbali acustici del testo fonte i segni verbali acustici di quello di arrivo. Irene Ranzato12, docente dell’Università della Sapienza di Roma, tra gli elementi culturali di un testo originale include anche le risate, presenti soprattutto in serie e programmi televisivi. Negli Stati Uniti, a differenza dell’Italia, le sitcom sono solitamente girate di fronte a un pubblico, che può ridere alle battute dei protagonisti e divertirsi vedendo ciò che succede sulla scena. Può avere anche reazioni diverse dalla risata, come ad esempio gridolini di sorpresa, applausi e fischi. Per quanto riguarda la loro versione italiana, le colonne delle risate presenti nei prodotti stranieri sono spesso soppresse e sostituite da silenzi e da risate preregistrate, sempre uguali in tutto il corso del programma.

12 RANZATO, I., La traduzione audiovisiva. Analisi degli elementi culturospecifici, Bulzoni

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2.2.1. Il fandubbing

Il fenomeno chiamato fandubbing è piuttosto attuale e nasce all’interno del mondo della traduzione audiovisiva delle community translation, termine che si riferisce a gruppi di spettatori appassionati (i cosiddetti fan) che traducono in maniera non professionale serie televisive e programmi stranieri.13 Il fandub è un doppiaggio amatoriale prodotto dai fan di film, serie televisive o programmi stranieri che non sono stati tradotti ufficialmente nella loro lingua. Tale fenomeno comporta una traduzione più o meno accurata dei dialoghi originali (questo dipende dal livello di conoscenza della lingua straniera dell’utente che realizza la traduzione), una modifica della trama e delle personalità dei protagonisti. I primi doppiaggi dei fan sono dovuti al successo dei cartoni animati giapponesi negli anni Ottanta.

I fandubbers non dispongono di supporti multimediali scaricabili da Internet per realizzare i loro doppiaggi, inoltre la maggior parte delle loro produzioni utilizza voci di doppiatori che sono stati reclutati tramite audizioni su forum. Poiché i fandubs utilizzano materiale coperto da copyright, essi sono tenuti a rispettare i diritti d’autore per non rischiare di incorrere in sanzioni pecuniarie e di essere perseguiti penalmente.

Quando il doppiaggio non mira alla diffusione del prodotto audiovisivo, ma si limita semplicemente a fornirne una versione umoristica, il fenomeno prende il nome di re-dubbing o fundub. Uno dei primi film “ridoppiati” risale al 1994 in Germania ed è un rifacimento del famoso “Star Trek: The Next Generation” e, con l’avvento della digitalizzazione iniziato nel 1998, è diventato popolare e si è diffuso in tutta la Germania. In Italia, uno dei

re-dubblers più famosi è sicuramente Paolo Ruffini, che con la sua compagnia di

amici ha fondato un gruppo chiamato “Il nido del cuculo” e ha doppiato in dialetto livornese molti celebri film italiani e internazionali (come ad esempio “Il signore degli Anelli”).14

13 Cfr. BARONE, C. et al., Dallo stilo allo schermo. Sintesi di teoria della traduzione, Edizioni

PLUS, Pisa, 2011, p. 154.

14 Il link al filmato è https://www.youtube.com/watch?v=FCwu5ciE9rs (ultimo accesso 13

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2.3. La sottotitolazione

La sottotitolazione è un tipo di trasferimento linguistico che ha lo scopo di offrire una traduzione in forma ridotta dei dialoghi originali del prodotto audiovisivo, attraverso un testo scritto collocato solitamente nella parte bassa dello schermo e in sovraimpressione (vale a dire sovrapposto alle immagini). Esistono due tipi di sottotitolazione: interlinguistica, realizzata cioè in una lingua diversa da quella del prodotto originale, e intralinguistica, vale a dire nella stessa lingua originale del prodotto audiovisivo.

Si è detto che questo tipo di trasferimento linguistico consiste in una riduzione del testo originale. Il traduttore, infatti, è vincolato da limiti di spazio: i sottotitoli contengono di solito un numero di caratteri compreso tra 30 e 40 (spazi inclusi), disposti su due linee di testo, per migliorarne la lettura. Inoltre, ci sono anche dei vincoli temporali, poiché un sottotitolo può permanere sullo schermo da un minimo di un secondo e mezzo a un massimo di sei secondi. Tra un sottotitolo e l’altro devono esserci almeno quattro fotogrammi, fino a un massimo di sei (questo dato dipende dal paese e dal laboratorio di produzione dei sottotitoli).15 Per questo motivo, si tende a eliminare tutti gli elementi che non sono necessari alla comprensione dei dialoghi del testo originale. Tra questi elementi troviamo le espressioni enfatiche (che possono essere intuite sullo schermo), i pronomi personali, gli articoli, le preposizioni e le congiunzioni, le copule iniziali, i nomi di cose o persone sottointesi o ripetuti, i riferimenti a elementi o persone presenti sullo schermo, i nomi propri, i soprannomi, alcuni marcatori del discorso, le perifrasi verbali e vari tipi di tempi composti. Nonostante quello che si è appena detto, non si può affermare che esista un tipo di sottotitolazione universale, poiché il sottotitolo è costruito diversamente a seconda del mezzo di comunicazione per cui è preparato (cinema, televisione, dvd, ecc.): si utilizzano infatti strumenti, processi tecnici e approcci al testo differenti. La sottotitolazione, inoltre, è vincolata alla velocità di lettura e comprensione del testo degli spettatori: essa infatti è maggiore al cinema (secondo alcuni studi si impiega circa il 30% di tempo in meno a leggere i sottotitoli sul grande schermo, piuttosto che in televisione).16

15 DURO, M. et al., La traducción para el doblaje y la subtitulación, CATEDRA, Madrid 2001,

p. 278.

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In Europa, i typical subtitling countries (Luyken, 1990, p. 139), ovvero i paesi che si avvalgono della sottotitolazione come principale tecnica di traduzione, sono prevalentemente quelli nordici (come ad esempio Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia), che anche in passato prediligevano tale metodo di trasposizione rispetto al doppiaggio, per motivi di autenticità linguistica. Questa tecnica di trasferimento linguistico è utilizzata anche in paesi in cui vige più di una lingua ufficiale, come i già citati paesi scandinavi, il Belgio, la Croazia, l’Irlanda, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Polonia e la Slovenia. In questi paesi la sottotitolazione ha raggiunto dei livelli molto alti di specializzazione (principalmente in Belgio e nei Paesi Bassi). Al contrario, in Grecia, nonostante sia anch’esso un paese tipicamente sottotitolante, la qualità delle traduzioni dei sottotitoli è scadente, poiché è vincolata al risparmio economico e il processo non è regolato da un ente sovraordinato, ma viene revisionato da studi di sottotitolazione.

Secondo il traduttore professionista Xosé Castro Roig17, il processo

standard per la realizzazione dei sottotitoli si articola in cinque fasi principali: 1) localizzazione;

2) traduzione; 3) adattamento;

4) simulazione e correzione; 5) stampa.

La prima fase, quella di localizzazione, anche nota con il nome di

spotting o modello, consiste nella suddivisione in segmenti dei dialoghi presenti

nel materiale da tradurre (che consta di un copione del prodotto audiovisivo, solitamente film o serie televisive, e una lista dei sottotitoli da realizzare). Spesso tale materiale presenta i sottotitoli con la loro localizzazione originale, creata da coloro che hanno trascritto la colonna sonora originale in testo, e il traduttore deve adattarla al paese di arrivo. In altri casi, invece, la lista dei sottotitoli presenta già la localizzazione adatta al paese di ricezione del prodotto. Di solito molte aziende inviano al traduttore, insieme al materiale da tradurre, un documento contenente informazioni tecniche relative al prodotto audiovisivo come il titolo, il nome della persona che ha realizzato la

17 DURO, M. et al., La traducción para el doblaje y la subtitulación, CATEDRA, Madrid,

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localizzazione, la data, la lingua, ecc. Il traduttore, quindi, deve prendere come riferimento la lista dei sottotitoli ricevuta e introdurre la traduzione su ogni linea di sottotitolo. Queste ultime sono numerate e hanno un determinato tempo di entrata e di uscita, sincronizzati con l’audio. Lo spotting dei sottotitoli è principalmente tecnico: durante tale fase, infatti, devono essere determinati e annotati i momenti in cui i sottotitoli appaiono e scompaiono dallo schermo, in modo tale da permettere una successiva sincronizzazione con l’audio. È importante considerare anche i cambi d’inquadratura e di scena, poiché quando questi avvengono, lo spettatore tende a riabbassare lo sguardo e a rileggere il sottotitolo: per ogni cambio d’inquadratura dovrà esserci, quindi, un nuovo sottotitolo.

Le fasi di traduzione e adattamento sono piuttosto complesse: il traduttore di sottotitoli deve essere in grado di trasferire le intenzioni comunicative della versione in lingua originale nella versione d’arrivo, ma soprattutto deve saper attuare una trasposizione dal codice orale al codice scritto. Il testo scritto, infatti, deve essere in sincronia con i movimenti e i gesti degli attori presenti in scena. Grazie alle nuove tecnologie, questo procedimento è semplificato da software in grado di convertire automaticamente il numero dei fotogrammi in caratteri e di configurare i margini del testo, in maniera tale da non introdurre un numero superiore ai caratteri ammessi. Per quanto riguarda l’adattamento del testo, è necessario seguire una serie di criteri fondamentali. Il testo che contiene i sottotitoli deve essere naturale e avere le caratteristiche tipiche della conversazione orale (deve perciò rispettarne la punteggiatura e le regole ortografiche). Inoltre, il traduttore dovrà prestare attenzione a non alterare il linguaggio. Secondo Xosé Castro Roig, i criteri basici da seguire, sono i seguenti: 18

 la separazione del sottotitolo in due righe non deve interrompere l’unità di significato della frase; i sostantivi non devono mai essere separati da aggettivi e verbi, ma devono essere inseriti all’interno della stessa riga;

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 nei dialoghi, per indicare che due persone stanno parlando, generalmente si usa un trattino posizionato all’inizio di ogni riga, in modo tale da rendere le due frasi facilmente identificabili;

 il corsivo viene usato per voci narranti (o voci off), testi di canzoni, termini stranieri e voci provenienti da apparecchi elettronici, come telefoni e segreterie telefoniche;

 le maiuscole vengono usate di rado, in quanto già presenti all’interno del film (per esempio in titoli, cartelli, ecc.);

 i punti sospensivi non possono essere utilizzati all’inizio di una frase, tranne il caso in cui si debba evidenziare un silenzio antecedente, interrotto dall’inizio della frase;

 non si devono usare le virgolette uncinate («»), ma bisogna utilizzare le virgolette alte o inglesi (“ ”): tali segni servono a indicare parole gergali, inventate o pronunciate non correttamente e per i riferimenti bibliografici e letterari, le citazioni e le frasi lette dai personaggi;

 il sottotitolo non può iniziare presentando un numero in cifre;

 è indicato l’uso di abbreviazioni (per esempio, Sig. per signore), a patto che siano riconosciute e non provochino confusione nello spettatore.

Durante la fase di simulazione, come suggerisce il nome, il laboratorio che realizza i sottotitoli simula una rappresentazione della sottotitolazione simultanea alle immagini proiettate sul video. Il tecnico che si occupa di questo processo, insieme a un supervisore di produzione, verifica che i sottotitoli rispettino i tempi prestabiliti e, soprattutto, i criteri di visibilità e leggibilità (a tale scopo, controlla la posizione e il colore del testo sullo schermo). Inoltre, questa fase è utile per la correzione di eventuali errori e per il riallineamento delle linee del testo.

L’ultimo procedimento è quello relativo alla stampa, in cui i sottotitoli vengono stampati su celluloide: grazie a una macchina con stampa a caldo o un proiettore laser ogni sottotitolo viene inciso sulla pellicola cinematografica.

Come già accennato, agli esordi del cinema i film erano muti e le uniche informazioni che il pubblico aveva erano fornite attraverso intertitoli o

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didascalie, proiettati tra una scena e l’altra. Introdotti per la prima volta nel 1903 ne “La capanna dello zio Tom” di Edwin Stanton Porter, queste scritte avevano lo scopo di supplire all’assenza di suoni. La maggiore complessità delle trame filmiche resero necessaria l’introduzione di commenti scritti dal carattere descrittivo-esplicativo o, talvolta, di brevi dialoghi che venivano visualizzati su sfondo opaco tra una scena e l’altra. Da un punto di vista traduttivo, la pratica dell’intertitolazione consisteva nel tradurre e sostituire gli intertitoli originali con altri nella lingua d’arrivo. Considerati antiestetici e anticinematografici, poiché interrompevano di continuo il ritmo della narrazione filmica, già a partire dalla fine degli anni Venti gli intertitoli si trasformarono in sottotitoli: al posto di essere interposti tra una sequenza di immagini e l’altra, essi venivano direttamente sovrapposti alle immagini. Queste prime forme di sottotitoli, però, dovevano essere inserite in ogni copia di distribuzione, poiché la pellicola originale di solito non era disponibile. A tale scopo, Francia, Norvegia, Svezia e Ungheria registrarono immediatamente dei brevetti per metodi di sottotitolazione avanzati. Il 26 gennaio 1929 uscì nei cinema di Parigi la versione sottotitolata in francese del già citato film di Alan Crosland “Il cantante di jazz”, pellicola che ha dato origine al cinema sonoro. Il 14 agosto 1938 fu mandato in onda in televisione il primo film sottotitolato, “Lo studente di Praga” di Arthur Robinson.

I primi articoli accademici riguardanti la sottotitolazione si sviluppano tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta del Novecento. Uno dei pionieri del settore è sicuramente Laks, che nel 1957 pubblica l’articolo

Le sous-titrage des films. Sa technique. Son esthétique19 (“La sottotitolazione

dei film. La sua tecnica. La sua estetica”, mia traduzione). Anche lo studioso Dollerup si dedica alla sottotitolazione, concentrandosi soprattutto sul suo ruolo pedagogico nello studio delle lingue straniere.

19 LAKS, S., Le sous-titrage des films. Sa technique. Son esthétique, L’Écran traduit,

Hors-série n° 1, Paris, 2013, consultabile online sul sito http://ataa.fr/revue/archives (ultima consultazione 20 marzo 2014).

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2.3.1. La sottotitolazione intralinguistica

La sottotitolazione intralinguistica consiste nella trascrizione totale o parziale in forma scritta dei dialoghi nella stessa lingua della colonna sonora originale del prodotto audiovisivo. La trascrizione integrale del messaggio è detta verticale, poiché si limita solo a trasporre il testo orale in un testo scritto nella stessa lingua, senza attuare alcun tipo di modifica.

Questo tipo di sottotitolo solitamente è utilizzato per rivolgersi agli utenti che presentano deficit dell’udito. Poiché gli spettatori con difficoltà uditive non possono beneficiare degli elementi sonori, la sottotitolazione intralinguistica per non udenti presenta contenuti aggiuntivi per accedere alle informazioni presenti nel dialogo originale (come ad esempio l’uso della punteggiatura per simulare l’intonazione del personaggio in scena, o la descrizione di rumori che sono significativi ai fini della comprensione della scena). Un altro importante fattore di cui tener conto è di tipo linguistico: la struttura sintattica e morfologica di un non udente, essendo influenzata dalla lingua dei segni, è diversa da quella di un normoudente. Inoltre, le persone affette da deficit di tipo uditivo hanno generalmente un lessico ridotto e presentano difficoltà di comprensione di determinate espressioni linguistiche (come ad esempio i modi di dire e le metafore). Per tutti questi motivi è quindi necessario attuare un’opera di semplificazione del testo originale.

Recenti studi hanno dimostrato che la velocità di lettura delle persone sorde è mediamente inferiore a quella dei normoudenti. Si è calcolato, infatti, che la durata ideale di un sottotitolo dovrebbe essere tra i 2 e i 3,5 secondi per linea. È emerso inoltre che i non udenti fanno meno fatica a leggere una riga per volta piuttosto che due, mentre i normoudenti leggono più velocemente due righe contigue piuttosto che separate.

La sottotitolazione per sordi è molto diffusa in vari paesi europei e in Italia ha iniziato a essere praticata regolarmente a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta del Novecento. Nel 1986, infatti, si trasmette il primo film con sottotitoli per non udenti, “La finestra sul cortile” di Alfred Hitchcock. Attualmente, nell’industria televisiva si propongono i sottotitoli per le persone che hanno deficit uditivo in forma criptata, in modo tale da garantire il servizio agli utenti che lo necessitano, ma senza imporne la presenza alla totalità del pubblico. Per quanto riguarda il cinema, invece, fino al 2010 non si offriva

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alcuna proposta di film sottotitolati, tranne pochi titoli in alcune sale e rare iniziative locali patrocinate dall'ENS (Ente Nazionale Sordi) e da FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti delle persone Audiolese). Dal 2011 si assiste a un cambiamento totale: l’avvento del sistema Movie Reading realizzato da Colby, società leader nella sottotitolazione in Italia, ha permesso di ricevere sul proprio smartphone i sottotitoli sincronizzati con la proiezione di qualsiasi film in qualsiasi cinema d’Italia e a un prezzo bassissimo per l’utente sordo.20

La sottotitolazione intralinguistica può anche avere uno scopo didattico: può servire all’utente per comprendere e praticare una lingua straniera. In questo caso, il dialogo originale è rappresentato simultaneamente al sottotitolo ed è trascritto in maniera integrale, in modo da agevolare la decodificazione della colonna sonora originale. Questo tipo di sottotitolazione può essere utilizzato in modo differenziato in base al livello di competenza linguistica dell’apprendente della lingua straniera. Inoltre, come afferma Elisa Perego:

la lettura del sottotitolo permette di verificare le ipotesi linguistiche che lo spettatore-apprendente formula nel corso della versione del film. Tale processo, di carattere induttivo, è articolato in tre fasi diverse: a) la comprensione delle informazioni fornite dal contesto (componente iconica, colonna sonora, gestualità dei personaggi); b) la formazione e la conseguente verifica delle ipotesi sul significato formulate dai destinatari; c) il rinforzo della decodificazione linguistica anche tramite il canale scritto. 21

20 Per maggiori informazioni si veda il progetto “Diffondere la sottotitolazione in Italia”,

realizzato da Diego Virginio Salvi del Comitato Nazionale Genitori Familiari Disabili Uditivi, aggiornato al 18 giugno 2012.

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2.3.2. La sottotitolazione interlinguistica

Come si è detto in precedenza, i sottotitoli interlinguistici sono quelli che si realizzano in una lingua diversa da quella del prodotto audiovisivo originale. Questo tipo di sottotitolazione traspone un testo orale in lingua originale di partenza in un testo scritto in una lingua di arrivo. La sottotitolazione interlinguistica ha acquisito l’etichetta di “modalità di traduzione trasparente”, poiché è offerta simultaneamente alla versione in lingua originale e perché rispetta totalmente l’integrità del dialogo originale.

I sottotitoli interlinguistici possono essere utilizzati anche per l’apprendimento di una L2 (una lingua straniera): in questo caso il processo di sottotitolazione è chiamato “rovesciato” o “in ordine inverso” (dall’inglese

reversed subtitling), proprio perché si assiste a un processo inverso a quello del

comune sottotitolo interlinguistico. Teorizzata da Danan22 nel 1992, la sottotitolazione interlinguistica “rovesciata” ha come caratteristica principale quella di avere i dialoghi originali doppiati nella lingua madre dello spettatore (L1) e i sottotitoli nella lingua originale (L2). Il parlato è nella lingua dell’apprendente, mentre il sottotitolo si presente nella lingua straniera. Questo tipo di sottotitolazione interlinguistica è consigliato soprattutto nelle prime fasi di apprendimento di una lingua straniera.

Un altro tipo di sottotitolazione interlinguistica è la cosiddetta sottotitolazione simultanea, una procedura che si esegue in tempo reale e che vede protagoniste due figure principali: un traduttore, che traduce in forma ridotta il contenuto del messaggio originale, e un tecnico, che scrive in maniera molto veloce ciò che lo spettatore leggerà sottoforma di titolo. Questo procedimento è utilizzato prevalentemente nei telegiornali e serve a trasmettere in diretta notizie dell’ultimo minuto e interviste importanti.

22 Apud PEREGO, E., La traduzione audiovisiva,Carocci editore, Le Bussole, Roma, 2005,

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2.3.3. Il fansubbing23

Il fenomeno del fansubbing, in continua espansione sul web, è da considerarsi analogo a quello già citato del fandubbing. Come quest’ultimo, il

fansubbing consiste nella traduzione amatoriale dei dialoghi di un prodotto

audiovisivo straniero, che non presenta una versione ufficiale nella lingua del fan che la realizza, ma a differenza del fandubbing (che attua un’operazione di doppiaggio) prevede anche la successiva sincronizzazione dei sottotitoli realizzati con il video e l’audio di tale prodotto. Questo procedimento ha come obiettivo la libera circolazione di film, serie e programmi televisivi stranieri e ne rende possibile la visione agli altri appassionati che non conoscono la lingua dell’originale.

Anche il fenomeno del fansubbing deve la sua nascita agli anime giapponesi e si è diffuso maggiormente negli anni Novanta, con l’avvento di Internet, che ha consentito agli appassionati del genere di cimentarsi con traduzione, creazione dei sottotitoli (attraverso dei programmi computerizzati) e la successiva condivisione del prodotto audiovisivo tramite web.

23 Cfr. BARONE, C. et al., Dallo stilo allo schermo. Sintesi di teoria della traduzione, Edizioni

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2.4. Altri tipi di traduzione audiovisiva

Oltre alle due principali modalità traduttive di doppiaggio e sottotitolazione, negli ultimi anni si sono diffuse nuove tecniche di trasferimento linguistico, nate per soddisfare le esigenze di ogni spettatore.

2.4.1. La sopratitolazione

La sopratitolazione è una metodologia di trasferimento linguistico usata principalmente in campo operistico e ha lo scopo di rendere fruibile al pubblico le rappresentazioni teatrali. Tale tecnica consiste nella proiezione di sequenze di testo del libretto dell’opera lirica o del copione teatrale, tradotto o adattato, su uno schermo che solitamente è posto sopra al palcoscenico. Il numero di caratteri del testo varia a seconda dei fattori contingenti, come la grandezza dello schermo, l’alfabeto utilizzato, la capacità di definizione del software del computer che proietta le didascalie e il genere letterario della rappresentazione (prosa o poesia).

I sopratitoli possono essere intralinguistici, realizzati nella stessa lingua della rappresentazione e volti a semplificare la comprensione del testo cantato o recitato che presenta un’elevata difficoltà linguistica, o interlinguistici (la traduzione è rivolta a un pubblico che non comprende la lingua del testo di partenza).

La sopratitolazione nasce nel gennaio del 1983, in occasione della riproduzione di Elektra di Richard Strauss, realizzata dalla Canadian Opera Company a Toronto. Nello stesso anno, ma a distanza di qualche mese, i sopratitoli sono stati introdotti per la prima volta negli Stati Uniti, durante la messa in scena di Cendrillon di Jules Massenet al New York State Theater. In Europa invece, i primi sopratitoli vengono realizzati nel giugno 1986 al Teatro Comunale di Firenze, a cura di Sergio Sablich e in occasione del Maggio Musicale Fiorentino, per una produzione di Die Meistersinger von Nürnberg di Richard Wagner diretta da Zubin Mehta. 24

Recentemente, molti teatri hanno deciso di disporre di sistemi tecnologici più avanzati: la visualizzazione di testi e traduzioni avviene su

24 BESTENTE, S., “Buon compleanno, sopratitoli”, 16 luglio 2008, in

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schermi con tecnologia LED ad alto contrasto e luminosità, posizionati non più sul palcoscenico, ma sugli schienali delle poltrone. Tali schermi individuali permettono una migliore visibilità del testo e consentono agli spettatori di decidere in che lingua realizzare la sopratitolazione.25

2.4.2. Il voice-over

Un’altra modalità di traduzione molto diffusa è quella del voice-over, che «si riferisce alla traduzione parlata dei dialoghi di un film, accompagnata dall’audio originale che rimane appena percepibile in sottofondo».26

Come già accennato in precedenza, tale tecnica presenta caratteristiche simili a quelle del doppiaggio, poiché anch’essa realizza una traduzione della colonna sonora originale, ma al contrario non richiede l’adattamento dei testi per la sincronia labiale con il prodotto audiovisivo (la traduzione si sovrappone alla traccia sonora originale, che è udibile dagli utenti). Per questo motivo, il

voice-over risulta più economico rispetto al doppiaggio e non si avvale di attori

e doppiatori professionisti, ma di annunciatori esperti.

Questo tipo di traduzione viene usato soprattutto per la televisione, ma alcune nazioni lo sfruttano in campo cinematografico: i paesi dell’Europa dell’Est, come Russia, Polonia e le repubbliche ex-sovietiche, la Cina, la Nigeria e tutti i paesi con un basso livello di alfabetizzazione (non richiede infatti particolari abilità di lettura). In queste nazioni tale tecnica usa un’unica voce per doppiare tutti gli attori presenti nel film. Inoltre, il voice-over può essere utilizzato dai notiziari per trasmettere informazioni importanti e di interesse pubblico.

25 Per maggiori approfondimenti, si veda EUGENI C., “Il sopratitolaggio. Definizione e

differenze con il sottotitolaggio.”, 2006, in http://www.intralinea.org/archive/article/Il_sopratitolaggio.

26 PEREGO, E., TAYLOR, C., Tradurre l’audiovisivo, Carocci editore, Le Bussole, Roma,

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2.4.3. Il commento

Il commento è una forma di traduzione audiovisiva utilizzata soprattutto per documentari e cortometraggi. Come afferma Elisa Perego27, questa tecnica «si colloca in una posizione di confine tra la traduzione propria e l’adattamento», poiché il testo originale è rielaborato in maniera molto libera. Il prodotto di arrivo non è fedele a quello di partenza e i contenuti sono adattati al pubblico a cui è destinato (il commento, infatti, è usato per rendere fruibili programmi culturalmente molto distanti): il testo può essere ridotto, sostituito, rimosso o espanso, in base alle esigenze degli utenti.

Questa modalità di traduzione realizza una sincronizzazione con le immagini del prodotto audiovisivo originale piuttosto che con la colonna sonora e spesso è rivolta a un pubblico di bambini, data la particolare capacità di adattamento dei contenuti testuali.

2.4.4. La narrazione

Come il commento, anche la tecnica della narrazione viene applicata a documentari e cortometraggi. È molto simile al voice-over, ma presenta alcune differenze a livello linguistico: il testo di partenza è tradotto con largo anticipo rispetto alla sua successiva recitazione e, inoltre, subisce un processo di semplificazione dei contenuti (secondo il tipo di pubblico al quale è rivolto il prodotto). Nella traduzione il linguaggio parlato è standardizzato e i discorsi diretti vengono eliminati.

Se il narratore del prodotto audiovisivo originale è presente sullo schermo, la voce del professionista della versione d’arrivo dovrà essere sincronizzata con esso e dovrà rispettarne il ritmo.

2.4.5. La descrizione audiovisiva

Questa modalità di traduzione è destinata a un pubblico di ciechi e ipovedenti e consiste nell’audiodescrizione dei contenuti presenti in un prodotto audiovisivo. Una voce fuori campo descrive in maniera dettagliata ciò che si vede sullo schermo, quando non lo si può intuire dalla colonna sonora. Si realizzano differenti forme di descrizione audiovisiva secondo il tipo di deficit visivo dell’utente (ciechi dalla nascita, ipovedenti e persone diventate cieche).

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3. «TAMBIÉN LA LLUVIA»

3.1. Presentazione del film

“También la lluvia” è un film del 2010 diretto da Icíar Bollaín, scritto dallo sceneggiatore Paul Laverty e prodotto dalla società spagnola Morena Films. Il lungometraggio è ambientato a Cochabamba (la terza città della Bolivia) nel 2000, anno in cui questa città è stata protagonista della vicenda nota anche come “guerra dell’acqua di Cochabamba”. Nel 1999, infatti, la compagnia statunitense Bechtel assume la gestione del servizio idrico a Cochabamba: il prezzo dell’acqua è triplicato, vengono imposti l’obbligo di acquisto di permessi per accedere alla risorsa e un sistema di licenze per la raccolta dell’acqua piovana. Dopo un anno di gestione, il 55% degli abitanti continua a non avere accesso all’acqua. Nell’aprile del 2000 centinaia di migliaia di persone scendono in piazza e marciano in protesta contro il governo cochabambino, che è quindi costretto a fare marcia indietro e a revocare la legislazione sulla privatizzazione dell’acqua. Il contratto con la multinazionale Bechtel viene interrotto e il servizio idrico nuovamente pubblicizzato.

Oltre a testimoniare una triste pagina della storia contemporanea di questa città boliviana, il film della regista spagnola Icíar Bollaín affronta anche un altro evento storico molto importante: la colonizzazione attuata dalla Corona Spagnola degli indios sudamericani e lo sfruttamento delle loro risorse d’oro. I due protagonisti della pellicola, infatti, il cinico produttore cinematografico Costa e il giovane regista idealista Sebastián (interpretato dal famoso attore messicano Gael García Bernal), lavorano insieme al loro progetto ambizioso di girare in Bolivia un film sull’arrivo dei colonizzatori spagnoli in America, guidati da Cristoforo Colombo. Il film dei due amici vuole anche mettere in risalto gli importanti rappresentanti della Chiesa Cattolica spagnola di quel tempo, Bartolomé de la Casas28 e Antonio Montesinos29, considerati le prime

28 Bartolomé de Las Casas (1484–1566) fu coinvolto fin dall’infanzia nelle vicende delle Indie:

suo padre e suo zio avevano partecipato alla seconda spedizione di Cristoforo Colombo nel 1493. Nel 1502, all'età di 18 anni, mise piede per la prima volta in America, sull'isola di Hispaniola (Santo Domingo), al seguito del Governatore Nicolás de Ovando e, come lui stesso afferma nella Historia de las Indias, a partire dal 1505 gli fu assegnato in encomienda un certo numero di indios che lavoravano per lui nelle miniere e nelle terre, facendo prosperare i suoi affari. Nel 1507 fu ordinato sacerdote e ritornò nelle Americhe, dove visse nelle isole di Hispaniola e di Cuba come chierico ed encomendero fino al 1513-14, data della sua prima conversione alla causa indigena, quando rinunciò alle sue proprietà e liberò gli indigeni per dedicarsi alla difesa dei loro diritti.

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figure radicali a battersi contro la Corona spagnola e la sua spietata crudeltà sugli schiavi indios.

Arrivati a Cochabamba, città scelta dai due protagonisti per rappresentare Santo Domingo, Costa e Sebastián iniziano la breve selezione del cast degli attori per la loro pellicola, ma hanno subito delle divergenze riguardo a un personaggio in particolare: Daniel, un giovane boliviano che secondo Sebastián sarebbe perfetto per interpretare il ruolo del ribelle indio Hatuey. Contro il volere di Costa, preoccupato per il carattere forte con cui l’uomo si è presentato durante la selezione, Daniel entra a far parte del film. I timori del produttore si riveleranno essere fondati: Daniel guida la rivolta del popolo di Cochabamba contro la privatizzazione dell’acqua attuata dalla società statunitense. Presto però Costa si renderà conto che Daniel non è un semplice ribelle, bensì lotta per il futuro di sua figlia e del suo paese, e il produttore non può che appoggiare le sue decisioni.

Il film è dedicato alla memoria dello storico radicale americano Howard Zinn, morto all’inizio del 2010. Grande amico di Paul Laverty, Zinn ha partecipato alle ricerche per la realizzazione del film.

La pellicola di Icíar Bollaín, suo quinto lungometraggio e il primo che non scrive lei, ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi internazionali. Il 15 settembre 2010, infatti, “También la lluvia” è stato preselezionato per rappresentare la Spagna agli Oscar insieme a Lope, diretto da Andrucha

Waddington e Cella 211 di Daniel Monzón. È stato anche preselezionato al

premio messicano Ariel. Ha partecipato al Festival Internazionale del Cinema di

Toronto, nella sezione Contemporary World Cinema, e ha vinto il Festival del

Cinema Latinoamericano di Utrecht nel 2011. Inoltre, “También la lluvia” è stato scelto per aprire la 55ª Settimana Internazionale del Cinema di Valladolid. Alla venticinquesima edizione dei premi Goya il film ha ricevuto ben dieci nominations, riuscendo a vincere tre riconoscimenti: miglior attore non protagonista, miglior musica originale e miglior direttore di produzione.

29 Antonio Montesinos (1475–1540) fu un frate dominicano che nel 1510 prese parte alla prima

spedizione di missionari nel Nuovo Mondo. Si impegnò nella difesa dei diritti del popolo indio e predicò i famosi sermoni del 21 e 28 dicembre 1511. Tornò in Spagna nel 1512 per informare il re della dottrina che i domenicani attuavano nell’isola di Santo Domingo e a Puerto Rico, dove nel 1514 si ammalò gravemente. Nel 1515 fondò un convento in Venezuela e vi morì nel 1540. Fu proprio Antonio Montesinos a causare la conversione di Bartolomé de Las Casas alla causa degli indios.

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3.2. La regista30

Icíar Bollaín (Madrid, 12 giugno 1967) è un’attrice e regista spagnola. Figlia di un ingegnere e di una professoressa di musica, esordisce a soli 15 anni nel film El sur del 1983 di Victor Erice, a cui seguiranno Malaventura (1988) di Manuel Gutiérrez Aragón e Un paraguas para tres del 1992 di Felipe Vega. Diviene famosa in Italia grazie al ruolo che Ken Loach le assegna in Terra e

libertà del 1995, anno in cui l’attrice decide di esordire come regista con il film Hola, ¿estás sola?, che le vale il premio come miglior nuovo regista alla

Settimana Internazionale del Cinema di Valladolid, la Rosa camuna d’argento al Bergamo Film Meeting e la candidatura al Premio Goya per il miglior regista esordiente.

La consacrazione come regista arriva con la pellicola del 2003, Ti do i

miei occhi, vincitore di ben sette Premi Goya, tra cui quello per la miglior regia

e per il miglior film, oltre a numerosi premi internazionali.

Icíar Bollaín, inoltre, è membro dell’Accademia Spagnola di Cinematografia.

3.3 Il quechua31

Il film, come già si è detto, è ambientato in Bolivia. Il copione presenta molte scene in cui gli attori parlano in quechua, famiglia etno-linguistica attualmente composta da circa 9,6 milioni di persone suddivise in Bolivia e Perù, in cui è la lingua ufficiale, Colombia meridionale (Dipartimento di Nariño), Ecuador, la parte nord-occidentale dell’Argentina e il Cile settentrionale (nella provincia di El Loa). Oggi è la lingua nativa americana più estesa al mondo e la quarta lingua più estesa nel continente americano, seguita dall’aimara e dal guaraní. In senso più ampio, con il termine “quechua” si indica una famiglia linguistica cui appartengono, oltre al quechua, le parlate

30 Le informazioni contenute in questa parte sono state tratte principalmente dal sito internet

http://www.mymovies.it/ (ultima consultazione 13 gennaio 2014), database del mondo cinematografico.

31 Le informazioni contenute in questo capitolo sono riprese principalmente da: ISTITUTO

DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA, Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, Treccani, Roma, 1935, consultabile online sul sito www.treccani.it (ultima consultazione 21

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chinchaysuyu del Perù centrale, il quiteño della regione di Quito in Ecuador, le parlate cochabamba, chuquisaca e potosí della Bolivia, e alcuni dialetti delle Ande argentine.

Le tribù parlanti dialetti quechua possono dividersi in cinque gruppi: 1) il gruppo Inca, che comprende gli Inca propriamente detti, i Cana, i Canchi nell'alta valle del Vilcanota (a questo gruppo appartiene anche il Quechua propriamente detto);

2) il gruppo Ch'inch'a(y) suyu, in Perù centrale; 3) il Quiteño, nella regione di Quito, in Ecuador;

4) il gruppo boliviano (nelle regioni di Cochabamba, Chuquisaca e Potosí); 5) il gruppo argentino, che comprende la regione andina della repubblica argentina.

Non conosciamo il paese d'origine dei Quechua, che dal territorio fra il Río Apurimac e le Ande si estesero come conquistatori negli altipiani dell'Ecuador e del Perù, spingendosi al Potosí (in Bolivia) e al nord dell'Argentina. Secondo l’archeologo ed etnologo americano Daniel Garrison Brinton, invece, il luogo di formazione di questa lingua deve essere stato negli altipiani dell'Ecuador. Quando gli Inca si stabilirono nella zona di Cuzco decisero di adottare questa lingua, nonostante essi parlassero il puquina. Nell’annettere i diversi popoli andini, gli Inca imposero il quechua come lingua ufficiale e mantennero le lingue dei conquistati come dialetti. Divisi in più gruppi e famiglie, i Quechua si mescolarono, più tardi, agli Aymará, con cui hanno affinità etniche e sono da ritenere i creatori delle civiltà pre, paleo e neoquechua di Tiahuanaco (secoli V-IX) e incaica (secoli XI-XVI). Il popolo quechua, perciò, insieme agli Aymará, costituiva l’elemento etnicamente e linguisticamente dominante dell’Impero incaico (chiamato anche Tahuantisuyu), la cui struttura politico-sociale e il cui sistema di vita furono i più progrediti nell’America precolombiana.

Il quechua (conosciuto anche con il nome di Runa-simi) è la sola lingua indigena dell’America Meridionale che abbia avuto una grande importanza culturale nell’epoca precolombiana e che, prima della scoperta dell’America nel 1492, sia stata parlata da un popolo di alta civiltà come quello degli Inca, che

marzo 2014) e ALEZA IZQUIERDO, M., ENGUITA UTRILLA, J.M. (coord.), La lengua

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avevano organizzato un grande stato con un’estensione territoriale considerevole. Dopo la conquista spagnola (1532-1572), il quechua, invece di ridurre la sua estensione territoriale, la estese: i missionari, infatti, adottarono il quechua come lingua di evangelizzazione imponendola ai neofiti. È solo in questo periodo che il quechua assorbì dialetti minori come il puruhá, il cañari e altri idiomi e si estese a danno dell'aimara e dell'uru-puquina. Non solo, ma grazie ai missionari cattolici il quechua si diffuse anche in territori che non erano mai stati soggetti al dominio degli Inca (nella provincia di Santiago del Estero e nel bacino dell'alto Tuichi).

Pare che il nome quechua derivi dall'abbreviazione di Quehuasca-ychu, che in italiano significa "abbondanza di paglia ritorta", usata nelle loro capanne; il termine “quechua” fu dato nel 1560, per errore, alla lingua di tutto il popolo, mentre al contrario era soltanto quello della lingua di una piccola tribù del Perù centrale.

La lingua conosciuta oggi con il nome di quechua è una lingua di tipo agglutinante32 e sintetica, nella quale né l'accento né il tono della voce modificano il significato della parola. È una lingua di tipo sintattico Soggetto- Oggetto-Verbo (SOV).

32 Una lingua agglutinante è un idioma in cui le parole sono costituite dall'unione di

più morfemi. Questo termine fu introdotto da Wilhelm von Humboldt nel 1836 per classificare le lingue da un punto di vista morfologico. Nelle lingue agglutinanti inizialmente le parole sono costituite dalla sola radice, a cui vengono poi aggiunti prefissi o suffissi per esprimere categorie grammaticali diverse (ad esempio genere, numero, caso o tempo verbale) e i morfemi sono espressi da affissi. Inoltre, in una lingua agglutinante gli affissi non sono mai fusi con altri, e non cambiano forma in base alla presenza di altri.

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4. COMMENTO ALLA TRADUZIONE

4.1. Il testo originale

Il testo di partenza dal quale è stata realizzata la traduzione è stato fornito dalla casa di produzione del film spagnolo “También la lluvia” (Morena Films), tramite e-mail. Dopo una prima visione della pellicola, si è ritenuto necessario attuare un’operazione di confronto tra il testo a disposizione e la sua realizzazione filmica; il copione originale è stato quindi rivisto e corretto, in modo da integrare le battute mancanti e ottenere una versione definitiva su cui poter lavorare a una traduzione.

Per motivi di tempo, in questo elaborato si è deciso di limitarsi alla realizzazione di una semplice traduzione, finalizzata a un successivo adattamento da parte di tecnici specializzati nella fruizione dei film per un pubblico di lingua italiana.

La decisione di far ricadere la scelta del film da tradurre su “También la lluvia” è principalmente di natura linguistica, in quanto il testo è un copione cinematografico, che presenta le caratteristiche tipiche del linguaggio filmico, oltre a una ricca varietà di lingue (spagnolo, quechua, inglese e latino). Inoltre, il film presenta un’altra caratteristica fondamentale, vale a dire la presenza di un linguaggio fortemente legato alla varietà geolettale dello spagnolo americano. Nel lungometraggio, infatti, si rileva un alto numero di attori sudamericani, i quali parlano uno spagnolo vincolato culturalmente e socialmente alla varietà diatopica americana (che per molte aspetti differisce dallo spagnolo parlato nella penisola iberica). Ci sono, però, anche altri fattori che hanno condotto a tale scelta: in primo luogo, la data di produzione molto recente (2010), che ci permette di riscontrare un linguaggio “attuale” e ricco di riferimenti alla contemporaneità; un elevato contenuto di riferimenti intertestuali nella sceneggiatura, come quelli alla Bibbia e alle lettere di Cristoforo Colombo scritte durante la colonizzazione spagnola. Inoltre, la pellicola ha suscitato interesse anche per gli argomenti in essa trattati: la guerra per la privatizzazione dell’acqua a Cochabamba, in Bolivia, avvenuta nel 2002 e la colonizzazione degli indios sudamericani da parte di Cristoforo Colombo, per ordine dei Re cattolici della Corona Spagnola, nel 1492.

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4.2. Analisi della traduzione

La traduzione verrà analizzata seguendo una strutturazione per livelli: fonetico, morfosintattico, pragmatico e lessicale. Per ciascun livello si discuteranno le principali difficoltà riscontrate durante la fase traduttiva e saranno illustrate le motivazioni che hanno determinato le scelte effettuate.

4.2.1. Livello fonetico 4.2.1.1. Yeísmo

Durante la visione del film “También la lluvia” si può notare la presenza di un fenomeno di particolare interesse a livello fonetico, il cosiddetto yeísmo. Tale fenomeno caratterizza molte regioni della Spagna e dell’America e consiste nel pronunciare in maniera non normativa due fonemi approssimanti palatali distinti: il fonema laterale /λ/, che corrisponde al grafema “ll” (in spagnolo elle), e il fonema fricativo /y/, che si identifica con il grafema “y” (in spagnolo ye o i griega).33

Generalmente, l’opposizione di queste palatali sonore che non segue la norma spagnola si articola in due processi principali:34

1) la nivelación, ovvero il livellamento dei due fonemi in un unico segmento, le cui realizzazioni sono differenti in base al paese di diffusione; è il fenomeno più esteso ed è presente nei Caraibi, in Messico, America Centrale, Venezuela, gran parte di Perù e Colombia, la parte occidentale dell’Ecuador, Cile, Uruguay e quasi tutta l’Argentina;

2) la distinción, vale a dire la distinzione tra i due fonemi, ognuno dei quali ha una differente realizzazione; tale fenomeno è diffuso in Paraguay, nelle zone centrali del continente (come Perù, Bolivia, nord del Cile e Argentina), l’Ecuador orientale e una frangia centrale della Colombia.

33 QUILIS, A., Principios de fonología y fonética españolas, ARCO/LIBROS S.L., Madrid,

1997, pp. 63-64.

34 VAQUERO DE RAMÍREZ, M., El español de América I. Pronunciación, ARCO/LIBROS,

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La nivelación, che vede la fusione dei due fonemi palatali, il laterale /λ/ e il fricativo /y/, in un unico fonema /j/, può a sua volta manifestarsi in due modi differenti:

a) yeísmo, che è il tipo di livellamento più esteso e presenta il fonema /j/ articolato in due realizzazioni più o meno aperte, [y] (chiusa) e [i] (aperta); b) žeísmo, con realizzazione rehilada e caratterizzato dal fonema [ž], diffuso principalmente nel Río de la Plata, in Uruguay e in una piccola zona interna della Colombia.

Nello spagnolo d’America, inoltre, la distinción, ovvero la distinzione fonologica tra /λ/ e /y/ si può realizzare con tre differenti coppie di allofoni: a) [λ] e [y], che è il tipo di distinzione maggioritaria (es: la coppia minima

pollo/poyo si realizza come [póλo] / [póyo]);

b) [ž] e [y], tipico della Colombia centrale e a Santiago del Estero, città dell’Argentina settentrionale (es: la coppia minima pollo/poyo si realizza come [póžo] / [póyo]);

c) [λ] e [ŷ], presente in Paraguay (es: la coppia minima pollo/poyo si realizza come [póλo] / [póŷo]).

Il fenomeno riscontrato durante la visione del film “También la lluvia” è quello denominato sheísmo, tipico del cosiddetto rehilamiento rioplatense e diffuso principalmente nei territori del Río de la Plata, compresi tra Buenos Aires, in Argentina, e Montevideo, capitale dell’Uruguay. Lo spagnolo rioplatense è caratterizzato da rehilamiento, vale a dire la vibrazione che si produce nel punto di articolazione di alcune consonanti e che aggiunge la sua sonorità a quella originata dalla vibrazione delle corde vocali. Questo termine fu usato per la prima volta nel 1925 da Amado Alonso, che lo considerava un tecnicismo indicante un «zumbido especial producido en el punto de articulación»35. Più tardi, questo tecnicismo fu adottato da Navarro Tomás, non

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per descrivere un fenomeno acustico, ma al contrario per indicare un fenomeno articolatorio.36

Lo yeísmo rehilado dello spagnolo della zona di Río de la Plata consiste nel processo di neutralizzazione della pronuncia dei fonemi /λ/ e /y/, che può realizzarsi in due maniere differenti: come fricativa postalveolare sonora /ž/, o come fonema fricativo postalveolare sordo /ʃ/. Nel primo caso il fenomeno è denominato žeísmo o zheísmo ed è tipico della zona bonaerense (di Buenos Aires), mentre il secondo è comunemente noto come šeísmo o sheísmo.37 Quest’ultimo presenta varietà diatopica rispetto allo žeísmo, poiché è tipico della zona di Bahía Blanca, situata a circa 550 km dalla capitale argentina, e varietà diastratica, vista la sua maggior diffusione tra le donne giovani.

La pronuncia rilevata durante la visione del film tradotto segue proprio questo secondo tipo di cambio fonetico (l’attore che presenta tale tipo di pronuncia sheísta è l’argentino Ezequiel Díaz, nato a Buenos Aires), e si verifica con alcune parole che presentano il grafema “ll”. Si riportano qui di seguito alcuni esempi ripresi dal copione di “También la lluvia”:

Escena 5: AYUDANTE DIRECCIÓN

[…] Hay algunas embarcaciones pequeñas en la orilla. Los niños perciben un olor desagradable mientras las extrañas criaturas mojadas y sucias, [los camareros sonríen con la descripción] unos barbudos, otros calvos, se acercan hacia ellos dando traspiés en la arena… Los chiquillos ocultos en los árboles se ríen y comentan sorprendidos intentando comprender quiénes son esos extraños....

Escena 45: EQUIPO 1

Sebastián, hasta acá llegamos.

Dal punto di vista traduttivo, in previsione di un futuro doppiaggio, si è deciso di omettere la rappresentazione di tale fenomeno fonetico e non trovarne un corrispettivo nella lingua di arrivo (l’italiano in questo caso), poiché non è stato considerato come una peculiarità dei protagonisti del film, ma come una semplice “variazione” di pronuncia degli attori. Inoltre, questo particolare tipo di pronuncia è reperibile solo in un numero molto ridotto di casi.

36 Apud BÈS, GABRIEL G., Examen del concepto de rehilamiento, Thesaurus, BICC, Tomo

XIX, Num. 1, 1964, p. 20 (consultabile sul sito http://cvc.cervantes.es/).

37 BÈS, GABRIEL G., Examen del concepto de rehilamiento, Thesaurus, BICC, Tomo XIX,

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