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LA PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO NELLE COMPAGNIE ASSICURATIVE

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1 Indice

INTRODUZIONE ... 7

CAPITOLO I

LA PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO

Premessa ... 11

1. LA CONFIGURAZIONE DEL REATO DI RICICLAGGIO ... 13

1.1. Le fasi tipiche del riciclaggio ... 13

1.2. La nozione penalistica di riciclaggio ... 14

1.3. La definizione comunitaria ... 16

1.4. L’autoriciclaggio ... 17

1.5. Il finanziamento del terrorismo ... 18

2. LE FONTI NORMATIVE ... 21

2.1. Gli organismi internazionali ... 21

2.2. Le Direttive europee ... 24

2.3. L’evoluzione della normativa nazionale ... 31

3. LA LEGGE 231/2007: L’APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA AGLI INTERMEDIARI FINANZIARI ... 33

3.1. Le diverse categorie di destinatari ... 33

3.2. Il riciclaggio come fattore di rischio per gli intermediari finanziari ... 36

3.3. Il principio di collaborazione attiva ... 37

3.4. Il coinvolgimento del settore assicurativo ... 40

3.5. La riassicurazione e la prevenzione del riciclaggio ... 42

4. GLI OBBLIGHI DI ADEGUATA VERIFICA E DI REGISTRAZIONE ... 45

4.1. L’adeguata verifica della clientela e il risk based approach... 45

4.2. La duplicazione delle procedure di adeguata verifica ... 50

4.3. L’obbligo di astensione ... 51

(2)

2

4.5. Il Regolamento IVASS in pubblica consultazione: l’adeguata verifica del

beneficiario ... 54

5. LA SEGNALAZIONE DELLE OPERAZIONE SOSPETTE ... 55

5.1. Gli indicatori di anomalia ... 55

5.2. La procedura di segnalazione ... 59

5.3. L’analisi delle SOS: alcuni dati... 61

6. LA LIMITAZIONE ALL’USO DEL CONTANTE ... 64

CAPITOLO II

IL SISTEMA DEI CONTROLLI INTERNI NELLE IMPRESE

ASSICURATIVE

1. L’EVOLUZIONE DELLA CORPORATE GOVERNANCE E DEI CONTROLLI INTERNI ... 67

1.1. Legge Antiriciclaggio e Sistema dei Controlli Interni ... 67

1.2. La Corporate Governance: dal CoSO all’ERM ... 69

1.3. L ’evoluzione del Sistema dei Controlli Interni in ambito assicurativo ... 72

2. OBIETTIVI E ARTICOLAZIONE DEL SISTEMA DEI CONTROLLI INTERNI NEL REGOLAMENTO n.20/2008 ... 73

3. GLI ORGANI SOCIALI ... 77

3.1. L’Organo amministrativo ... 77

3.2. Il Comitato per il controllo interno ... 79

3.3. L’Alta Direzione ... 79

3.4. L’Organo di controllo ... 80

4. LE FUNZIONI DI SECONDO E TERZO LIVELLO ... 82

4.1. La funzione di Risk Management ... 82

4.2. La Compliance ... 86

4.3. La funzione di revisione interna (internal audit) ... 88

5. L’ESTERNALIZZAZIONE DELLE FUNZIONI ... 90

6. IL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO E L’ORGANISMO DI VIGILANZA ex D.lgs. 231/2001... 92

(3)

3

CAPITOLO III

L

A FUNZIONE ANTIRICICLAGGIO NELLE AZIENDE DI

ASSICURAZIONE: PROFILI FUNZIONALI

1. IL REGOLAMENTO n. 41 DEL 15 MAGGIO 2012... 95

1.1. L’istituzione della funzione antiriciclaggio ... 95

1.2. Obiettivi e principio di proporzionalità ... 97

1. I COMPITI DELLA FUNZIONE ANTIRICICLAGGIO ... 99

1.1. I requisiti e le competenze richieste... 99

1.2. Le attività ... 101

1.3. La reportistica e i flussi informativi ... 106

2. IL RESPONSABILE DELLA FUNZIONE ... 107

2.1. I requisiti di indipendenza, autorevolezza e professionalità... 107

2.2. Responsabilità ... 110

2.3. Il responsabile delegato per le segnalazioni di operazioni sospette ... 112

3. IL RUOLO DEGLI ORGANI SOCIALI E DI CONTROLLO ... 114

3.1. L’Organo amministrativo e l’Alta direzione ... 114

3.2. L’Organo di controllo ... 117

3.3. L’organismo di vigilanza ... 118

4. LE VERIFICHE DELL’INTERNAL AUDIT ... 120

5. CRITICITA’ NEI PRESISIDI IN MATERIA DI RETE DISTRIBUTIVA DIRETTA ... 123

CAPITOLO IV

LA FUNZIONE ANTIRICICLAGGIO NELLE AZIENDE DI

ASSICURAZIONE: PROFILI STRUTTURALI

1. L’AUTONOMIA ORGANIZZATIVA ... 125

2. L’ISTITUZIONE DI UNA FUNZIONE ANTIRICICLAGGIO ACCENTRATA ... 127

(4)

4

3.1. Le diverse modalità di decentramento ... 130

3.2. I vantaggi e le criticità della struttura decentrata... 131

3.3. La Compliance come destinatario naturale dei presidi antiriciclaggio ... 133

4. L’ESTERNALIZZAZIONE DELLA FUNZIONE ANTIRICICLAGGIO ... 136

4.1. I vantaggi e le problematiche dell’esternalizzazione di una funzione di controllo interno ... 136

4.2. La disciplina dell’esternalizzazione nel Regolamento ISVAP n. 41/2012 ... 138

4.3. Le anomalie nella gestione esternalizzata della funzione antiriciclaggio ... 139

5. LA FUNZIONE ANTIRICICLAGGIO NEI GRUPPI ASSICURATIVI ... 141

5.1. Il gruppo assicurativo e la vigilanza supplementare ... 141

5.2. Le disposizioni antiriciclaggio in materia di gruppo assicurativo... 145

5.3. L’organizzazione della funzione antiriciclaggio in una struttura di gruppo ... 146

CONCLUSIONI ... 151

Bibliografia ... 153

(5)
(6)
(7)

7

I

NTRODUZIONE

Il Sistema dei controlli interni è in continua evoluzione e assume sempre più importanza nella gestione dell’attività aziendale. La complessità dei modelli di

corporate governance impone alle imprese del mondo finanziario di sviluppare

meccanismi di controllo efficaci ed efficienti, in grado di monitorare i diversi rischi aziendali.

In questo contesto si intende affrontare i recenti sviluppi normativi e, di conseguenza, organizzativi apportati alle imprese assicurative esercenti i rami vita dal Regolamento ISVAP n. 41 del 15 maggio 2012, attuativo dell’art 7 c.2 del D.lgs. 231/07, che introduce per queste ultime la funzione antiriciclaggio, ampliando così il numero dei soggetti preposti ai controlli, sulla scia di quanto già successo nel settore bancario con le disposizioni emanate da Banca d’Italia nel 2011.

Il settore assicurativo, così come gli altri settori dell’industria finanziaria, è potenzialmente a rischio di essere coinvolto nel riciclaggio dei proventi di attività illecite e nel finanziamento del terrorismo. Anche se la sua vulnerabilità non è considerata alta come quella di altri comparti finanziari, tale settore è un possibile bersaglio per le organizzazioni criminali. Il coinvolgimento delle imprese assicurative, sia esso consapevole o inconsapevole, espone le stesse a rischi legali, operativi e reputazionali. Pertanto esse devono prendere adeguate misure per prevenire l’uso improprio dei prodotti assicurativi dei rami vita.

La prevenzione del riciclaggio è da tempo oggetto di studio da parte degli organismi internazionali, poiché la dimensione economica e sociale del fenomeno richiede l’adozione di strumenti cooperativi condivisi a livello comunitario e mondiale. Inoltre, a livello nazionale, si è assistito negli ultimi anni all’introduzione di misure sempre più incisive di prevenzione e contrasto del riciclaggio.

Alla luce di quanto finora premesso, il primo capitolo si propone di analizzare il sistema di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo nel suo complesso, facendo riferimento all’insieme di principi e standard condivisi a livello internazionale per poi giungere a una definizione puntuale di quella che è la normativa italiana di riferimento.

L’apparato di norme preventive si basa in particolar modo su una serie di obblighi che impongono l’adeguata conoscenza della clientela, secondo un approccio

(8)

8

basato sul rischio, la registrazione e la conservazione dei dati e delle informazioni acquisite nell’assolvimento della customer due diligence, ma soprattutto la segnalazione delle operazioni considerate sospette alle Autorità di riferimento.

L’intero sistema di collaborazione a prevenzione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo che si delinea è supportato dall’adozione di adeguati assetti organizzativi e procedurali, definiti in dettaglio dalla normativa secondaria.

Per inserire le nuove misure di controllo interno nell’attuale governo societario, il secondo capitolo richiama, seppure brevemente, quello che è ad oggi il sistema di controllo interno di un’impresa assicurativa, analizzando i molteplici organi e le numerose figure che lo compongono.

Il terzo capitolo approfondisce poi le peculiarità della nuova funzione antiriciclaggio introdotta dal suddetto Regolamento ISVAP, prendendo in esame le singole attività di competenza della funzione e del suo responsabile, che emerge quale figura multidisciplinare e trasversale, con compiti talvolta sovrapposti a quelli della

compliance. Inoltre vengono riprese con uno sguardo critico le norme destinate ai

presidi in materia di rete distributiva diretta che impongo alle imprese assicurative obblighi di controllo non solo su soggetti che operano contemporaneamente per più compagnie, come i broker, ma anche su soggetti già oggetto da tempo di norme e regolamenti in materia; si pensi ad esempio alle banche e alla conseguente duplicazione dei controlli.

Infine il quarto ed ultimo capitolo intende esaminare le nuove disposizioni ISVAP sotto il loro profilo strutturale, ossia si analizza l’impatto che queste ultime hanno sull’assetto organizzativo delle compagnie. Si possono infatti facilmente prevedere cambiamenti organizzativi significativi nelle imprese assicurative che esercitano i rami vita, derivanti dall’introduzione di una nuova funzione che deve necessariamente coordinarsi e inserirsi nel Sistema dei controlli interni preesistente.

In base a quanto previsto dalle disposizioni della normativa secondaria, l’azienda assicurativa ha la possibilità di implementare la funzione antiriciclaggio secondo diversi modelli. Infatti tale presidio potrebbe essere attribuito alla funzione di conformità, alla funzione di risk management o potrebbe costituirsi in forma autonoma. Inoltre, come per altre funzioni di controllo interno, è prevista la possibilità di ricorrere all’esternalizzazione.

Le scelte organizzative che si pongono per una impresa assicurativa, alla luce dei vincoli e delle opportunità emergenti dal Regolamento, sono molteplici e ciascuna

(9)

9

ha i suoi vantaggi e svantaggi, tutto sta nel trovare il posizionamento organizzativo che più consenta di rispettare gli obblighi normativi senza però intaccare né l’efficienza operativa, né la redditività aziendale. In altre parole l’analisi, che prende in esame le problematiche di organizzazione dei presidi antiriciclaggio senza entrare nel merito delle prassi operative, delinea i punti di forza e di debolezza dei possibili modelli organizzativi emergenti dal Regolamento. In quest’ottica il seguente elaborato propone infine qualche spunto di riflessione per le imprese assicurative costituite in forma di gruppo societario.

(10)
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11

CAPITOLO I

LA PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO

Premessa

A livello mondiale il Fondo Monetario Internazionale stima che le attività di riciclaggio ammontino a circa il 5-7% del Pil mondiale, mentre in Italia siamo intorno al 12%, quasi il doppio1. Questo dato spiega la ragione per la quale la lotta al riciclaggio assume una particolare valenza in un Paese come il nostro che paga un pesante tributo, anche in termini di mancato sviluppo economico, alla prepotente presenza della criminalità organizzata2.

Non si può procedere ad un esame delle misure di prevenzione e contrasto del riciclaggio senza comprenderne la natura, legandola da un lato alla crescente globalizzazione dei mercati finanziari e dall’altro alla lotta alla criminalità organizzata.

In primo luogo il riciclaggio è un fenomeno economico-finanziario, prima ancora che penale, infatti, la presenza di operatori economici collusi con la criminalità altera i meccanismi di mercato, nelle regole e negli obiettivi, e distorce la concorrenza, favorendo l’acquisizione del controllo di interi settori e l’ampliamento della sfera del potere della criminalità organizzata3. Sul piano macroeconomico il Fondo monetario internazionale ha indicato alcune potenziali conseguenze del money laundering, tra le quali la volatilità dei tassi di cambio e dei tassi di interesse, a causa di trasferimenti transfrontalieri non previsti, la crescita della instabilità dei passivi e dei rischi per la qualità degli attivi delle istituzioni finanziarie, nonché gli effetti negativi sul gettito fiscale e il cd. effetto “bolla” dei prezzi degli attivi per la disponibilità di denaro sporco.

1

Cfr. ARGENTIERO, BAGELLA e BUSATO, Money laundering in a two-sector model: using theory for measurement, European Journal of Law and Economics, vol. 26, 2008, pag. 2.

2

Cfr. TARANTOLA A.M., La prevenzione del riciclaggio nel settore finanziario: Il ruolo della Banca d’Italia, Roma, 2011, pag. 4.

(12)

12

Tali fenomeni sono facilitati dall’ormai crescente globalizzazione dell’economia. Il contesto internazionale che interessa la movimentazione dei capitali ha subito diverse evoluzioni con lo scopo di favorire l’abbattimento delle barriere e la promozione della libera circolazione tra Stati. Un esempio di riferimento è costituito dagli accordi di Schengen attraverso i quali i paesi membri dell’Unione Europea (e non solo) si impegnano a favorire – tra le altre – la libertà di movimento dei capitali all’interno dello spazio costituito dai rispettivi territori. A ciò si deve aggiungere la forte spinta evolutiva che sta interessando ancora oggi gli strumenti per il trasferimento di denaro e titoli di varia natura.

La globalizzazione ha sì il merito di dare impulso allo sviluppo economico mondiale, ma al contempo presenta rischi a causa della disintermediazione nei pagamenti elettronici, nell’uso delle smart card nei pagamenti che fanno perdere traccia dei loro passaggi, nella possibilità della localizzazione dei fondi, nei bonifici esteri di elevato importo e nell’uso di Internet e dell’e-cash elettronico, che pongono difficoltà a identificare i soggetti.

Lo stesso Prof. Avv. Razzante4, lega il riciclaggio alla crescente globalizzazione, individuando tra le cause complici dello sviluppo di tale fenomeno criminale le seguenti:

 La maggiore sofisticazione dei servizi di investimento e dei prodotti di ingegneria finanziaria;

 Le nuove frontiere della comunicazione aperte da Internet capaci di velocizzare il trasferimento di denaro e l’investimento dei capitali;  L’integrazione dei mercati, in particolare con i Paesi caratterizzati da

economie emergenti;

 L’adozione a livello europeo della moneta unica.

Dall’altro la lotta alla criminalità organizzata ha individuato come punto debole del sistema criminale la difficoltà che l’organizzazione incontra nel reinvestire i proventi derivanti dalle proprie attività illecite5. I gruppi criminali, al fine di assicurare

3

Cfr. CONDEMI M. - DE PASQUALE F. (a cura di), in “Quaderni di Ricerca Giuridica” n. 60, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, 2008, premessa.

4

Cfr. R. RAZZANTE, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia. II edizione, Giappicchelli Editore, Torino 2011, pagg. 1 e seg.

5

La ricostruzione a ritroso dei vari passaggi che hanno subito i beni giunti a disposizione di una persona sospetta può costituire il legame tra questa persona e il delitto da cui originariamente le ricchezze

(13)

13

la propria sopravvivenza ed espandere il controllo, hanno la necessità di impiegare i proventi raccolti attraverso le attività criminali nel mercato regolamentato ed il mezzo attraverso il quale si realizza quest’opera di ripulitura è appunto il riciclaggio. I proventi raccolti dalle attività di traffico di stupefacenti, contrabbando di armi, tratta di essere umani, sfruttamento della prostituzione ed estorsione – solo per citarne alcune – si presentano sotto forma di denaro contante e devono essere reinvestiti nel sistema economico “virtuoso”. Il contante viene investito in attività commerciali che ne permettono la confusione all’interno della circolazione economica, quali supermercati,

phone center, ristoranti e fast food, bar e locali di intrattenimento, casinò, ma anche in

imprese edili ed agenzie immobiliari. A queste attività commerciali si affiancano tecniche sempre più raffinate di ingegneria finanziaria che coinvolgono l’intero sistema di intermediazione.

In questo scenario gli Stati, le organizzazioni internazionali e gli organismi preposti collaborano per la realizzazione di misure necessarie per contrastare il fenomeno del riciclaggio, secondo metodologie che prevedono una continua evoluzione delle tecniche per mantenere il passo con l’innovazione finanziaria ed i nuovi metodi utilizzati dai criminali per operare.

1.

LA CONFIGURAZIONE DEL REATO DI RICICLAGGIO

1.1. Le fasi tipiche del riciclaggio

Il riciclaggio consiste, quindi, nelle attività volte a dissimulare l’origine illecita dei proventi criminali ed a creare l’apparenza che la loro origine sia lecita. Il procedimento per riciclare denaro sporco, per il numero e la varietà delle transazioni di cui si compone è sempre più complesso e coinvolge spesso strutture finanziarie di diversi Paesi.

provenivano. In tal senso la lotta al riciclaggio diviene uno strumento a disposizione delle autorità giudiziarie per colpire i leader delle organizzazioni criminali. Cfr. SCIALOJA A. – LEMBO M., Antiriciclaggio, II edizione, Maggioli Editore, Repubblica di San Marino 2009 cap. 1 per maggiori delucidazioni riguardo il rapporto tra criminalità e riciclaggio.

(14)

14

Il fenomeno è oggi definito con il c.d. modello “trifasico”, poiché qualsiasi operazione di riciclaggio può essere scomposta in tre fasi tipiche:

1) Collocamento (placement) – è la fase che prevede l’ingresso dei fondi provenienti da attività illecite nel circuito dei pagamenti. Può essere effettuato sia presso intermediari tradizionali come banche, finanziarie, assicurazioni, sia presso intermediari non tradizionali, per esempio cambiavalute, banche clandestine, sia mediante l’acquisto di beni o con il trasferimento del denaro in altri paesi.

2) Lavaggio o pulitura (laundering) – mascheramento della provenienza illecita dei fondi mediante occultamento nel sistema finanziario. È composto da tutta una serie di operazioni di trasferimento dei fondi da una parte all’altra del globo, allo scopo di occultarne la provenienza.

3) Reimpiego (recycling) – reinvestimento dei capitali al fine di trarne profitto. Questo è il fine ultimo del riciclatore, il denaro ormai “pulito” viene reimpiegato o reimmesso nel mondo dell’economia legale, quale frutto di un’operazione finanziaria apparentemente legale.

1.2. La nozione penalistica di riciclaggio

Nonostante l’approccio armonizzato nel trattare il riciclaggio sia a livello internazionale che europeo, attualmente non esiste una definizione univoca che lo identifichi poiché i singoli Stati hanno adottato soluzioni coerenti con il proprio ordinamento interno. Dal nostro codice penale il riciclaggio emerge come un reato concorsuale e associativo6, riconosciuto e punito dall’art. 648-bis, ma soltanto in seguito all’individuazione del reato presupposto.

Il reato di riciclaggio infatti è composto da due fasi:

1) la commissione del reato presupposto da parte di un soggetto qualunque; 2) l’intervento di un soggetto diverso dall’autore del reato presupposto, il quale si preoccupa di occultare la provenienza del denaro illecita.

(15)

15

Per individuare il reato di riciclaggio bisogna quindi individuare un reato presupposto, a monte, che può andare dalla truffa alla frode fiscale, dalla corruzione alla rapina, etc. . Poiché nell’art. 3 della legge n. 191/1978 le tipologie di reato presupposto erano solo tre (rapina aggravata, estorsione e sequestro di persona), ampliate a quattro (produzione e traffico di stupefacenti) dalla legge n. 55/1990, si riscontravano problemi dal punto di vista operativo nell’applicazione troppo limitata della norma. Perciò con la legge n. 328/1993 il legislatore ha voluto ampliare le tipologie dei reati presupposti portando alla formulazione attuale dell’art. 648-bis7. Oggi ogni delitto non colposo può essere il presupposto del reato di riciclaggio. In altre parole ogni delitto doloso, cioè commesso con intenzione, per cui l’evento dannoso conseguente il fatto è prevedibile e voluto dal soggetto agente, e ogni delitto preterintenzionale, in cui l’evento conseguente il fatto è più grave di quello voluto dall’agente. Questa definizione di reato presupposto, commesso a monte, è molto indeterminata e probabilmente secondo alcuni sottintende qualsiasi delitto non colposo “diretto a produrre ricchezza”8

.

Dalla lettura del 648-bis, emerge quindi che la condotta di riciclaggio è integrata nel caso in cui il riciclatore:

- sia estraneo al fatto illecito il cui frutto è il denaro o il bene riciclato9; - conosca la provenienza delittuosa di ciò che sostituisce o trasferisce.

L’art. 648-bis non esaurisce la trattazione del codice penale riguardo il reato di riciclaggio, ma va letto insieme ad altre due norme: l’art. 64810

che riguarda la

6

Sui reati associativi cfr. CONFORTI G., Guida all’antiriciclaggio in banca, Bancaria Editrice, Roma 2011, pag 73 e seg.

7

Art. 648-bis. Riciclaggio. «Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita le pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648. »

8

Su questa tesi cfr. SCIALOJA A. – LEMBO M., Antiriciclaggio, II edizione, Maggioli Editore, Repubblica di San Marino 2009, pag 73.

9

Su questa clausola di esclusione si tornerà nel paragrafo successivo, approfondendo il tema dell’autoriciclaggio.

10

Art. 648. Ricettazione. «Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque s'intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa da 516 euro a 10.329 euro. La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a 516

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16

ricettazione e l’art. 648-ter che riguarda l'impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.

L’art. 648-ter11, introdotto con la legge n. 55 del 19 marzo 1990, ha lo scopo di contrastare e reprimere l’impiego di beni di provenienza illecita, in modo da criminalizzare la fase dell’articolato processo di reimmissione nel circuito finanziario dei flussi illeciti.

A questi il d.lgs. 231/2007, noto come Legge Antiriciclaggio, ha introdotto un’ulteriore previsione all’art. 648-quater rubricato “Confisca”. Il testo del nuovo articolo del codice penale impone, in caso di condanna per uno dei delitti previsti agli artt. 648-bis e 648-ter, la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salva l’ipotesi in cui i medesimi appartengano a terzi estranei al reato. Qualora non sia praticabile la confisca dei frutti del reato, il giudice deve sottoporre alla medesima procedura le somme di denaro, beni o altre utilità nella disponibilità del trasgressore – anche attraverso interposta persona – per un valore pari a quello del profitto realizzato dall’operazione illecita.

Quest’ultima modifica, introdotta dalla legge antiriciclaggio, è un ulteriore segnale di come la stessa costituisca per il nostro ordinamento il fulcro in materia di contrasto del reato, recependo disposizioni dettate dalla direttiva europea e coordinandole con quelle nazionali per creare un sistema integrato e coerente di norme.

1.3. La definizione comunitaria

La definizione aggiornata nel 1993 si allinea alla figura di reato delineata all’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 199012, per cui si commette reato di riciclaggio quando intenzionalmente di convertono o si trasferiscono valori patrimoniali

euro, se il fatto è di particolare tenuità. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l'autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile.»

11

Articolo 648 ter. Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. «Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.»

12

Si fa riferimento alla Convenzione “sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato”, conclusa a Strasburgo l’8 novembre 1990 e ratificata in Italia con la legge 9 agosto 1993, n. 328.

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17

(l’espressione «valori patrimoniali» comprende valori patrimoniali in qualsiasi modo descritti, materiali o immateriali, mobili o immobili, nonché documenti legali o strumenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti sui predetti valori) allo scopo di occultare o dissimulare l’illecita provenienza dei valori patrimoniali stessi o aiutare persone coinvolte nella commissione del reato principale (reato dal quale i beni derivano) a sottrarsi alle conseguenze giuridiche dei loro atti. Da notare che nella definizione europea si parla di “convertire o trasferire” mentre in quella italiana di “sostituire o trasferire”. Alla lett. b) dell’art. 6 si specifica poi che si commette lo stesso reato di riciclaggio anche con l’occultamento o la dissimulazione della natura, dell’origine, dell’ubicazione, di atti di disposizione o di movimenti di valori patrimoniali, nonché dei diritti di proprietà e degli altri diritti ad essi relativi, sapendo che detti valori patrimoniali sono provenienti da reati. Si commette altresì reato di riciclaggio ai sensi della lett. c) acquistando il possesso o l’uso di valori patrimoniali sempre sapendo, nel momento in cui sono ricevuti, che essi sono d’origine delittuosa ed ai sensi della lett. d) partecipando nella commissione di reati che sono stati previsti a norma del presente articolo 6. La definizione comunitaria e la sua articolazione in quattro parti è stata poi ripresa nel nostro ordinamento dall’art. 2 del d.lgs. n. 231/07, sul quale si dirà in seguito.

1.4. L’autoriciclaggio

Vi è però una differenza sostanziale tra la definizione del codice penale e la nozione dell’art. 2 della Legge Antiriclaggio (e quindi rispetto a quella comunitaria), per cui le due normative non sono perfettamente coincidenti. Gli artt. 648, 648-bis e 648-ter del c.p. prevedono la clausola di esclusione «fuori dei casi di concorso di

reato», si esclude quindi tra i soggetti attivi il concorrente nei reati presupposti, non

consentendo l’incriminazione del c.d. autoriciclaggio (o autoreimpiego). La Legge Antiriciclaggio, invece, nella sua innovativa definizione, che non opera distinzioni tra ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro, di beni o utilità di provenienza illecita e che configura il reato di riciclaggio ai solo fini della normativa in questione, elimina la clausola di esclusione.

Nell’applicazione pratica della norma l’intermediario che nutra sospetti sull’operazione compiuta da colui che è anche autore del reato presupposto, sarà tenuto

(18)

18

a segnalare l’operazione se soggetto alla Legge Antiriciclaggio, ma la condotta non rileverà penalmente. Nell’ordinamento italiano è pertanto rilevante sotto il profilo penale solo l’attività di riciclaggio posta in essere da un soggetto diverso dall’autore della condotta illecita che ha generato i proventi in questione.

Nella direzione della punibilità della condotta di chi ricicla in prima persona i proventi della propria attività delittuosa vanno, sia le raccomandazioni di organismi internazionali quali il Fondo Monetario Internazionale (Raccomandazione FMI 2005) e il GAFI, che le direttive europee susseguitesi nel tempo13, nonché le costanti indicazioni della stessa Banca d’Italia14

. In virtù di questa evoluzione, è sempre più impellente l’esigenza di colmare la lacuna del sistema penale italiano in materia di auto riciclaggio; pertanto nel gennaio 2013 è stata istituita una commissione di esperti per lo studio sull’autoriciclaggio, con decreto del ministro della giustizia. L'obiettivo del gruppo di studio guidato da Greco sarà l'individuazione di una condotta che possa tipizzare questa forma di comportamento al fine di costruire una previsione normativa.

Quanto finora esposto, supportato dalle autorevoli raccomandazioni e dalle proposte di modifica presentate, evidenzia come all’interno degli ordinamenti dei singoli stati debbano ricercarsi coerenza e coordinamento in materia di norme per il contrasto del fenomeno del riciclaggio.

1.5. Il finanziamento del terrorismo

Appare doveroso, parlando di riciclaggio, fare riferimento al fenomeno del finanziamento del terrorismo per la forte relazione che può unire le diverse pratiche criminali. Il riciclaggio, come abbiamo già accennato, è un reato funzionalmente collegato ad altri fenomeni illeciti, come ad esempio l’evasione fiscale e l’usura, ma è anche connesso al finanziamento del terrorismo. Tale legame ha assunto sempre più importanza nell’ultimo decennio, in seguito a quella serie di eventi che hanno turbato profondamente il mondo occidentale a partire dall’attentato agli Stati Uniti dell’11 settembre 2001. Il terrorismo consuma il denaro prodotto da chi ricicla ed in un certo

13

Si fa riferimento alla direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, e alla direttiva 2006/70/CE della Commissione, del 4 agosto 2006, che ne reca attuazione.

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19

senso il reato di riciclaggio diviene a sua volta «reato presupposto» necessario per finanziare altri reati.15 È evidente che un’organizzazione terroristica abbia bisogno di ingenti risorse finanziarie per mettere in atto attentati di notevole portata, pertanto occorre seguire l’origine e i percorsi di tali risorse in modo da troncare sul nascere la spirale terroristica. Le misure adottate e i presidi antiriciclaggio hanno in parte limitato l’accesso delle organizzazioni terroristiche nel mercato del credito e della finanza tradizionali, ma è anche vero che accanto ai canali tradizionali di trasferimento dei fondi esistono reti clandestine che offrono il medesimo servizio, come il sistema di matrice islamica Hawala.

Sebbene l’orientamento del legislatore italiano, come vedremo anche analizzando la legge 231/2007 e le disposizioni attuative di Banca d’Italia e Isvap, sia quello di dettare provvedimenti unici16 volti a contrastare sia il riciclaggio che il finanziamento del terrorismo, essi vanno considerati fenomeni distinti.

In proposito nel 2001 il GAFI17 ha pubblicato “The Nine Special

Reccomendations” trattando specificamente l’argomento del sovvenzionamento del

terrorismo, in stretta connessione con le precedenti quaranta raccomandazioni in materia di riciclaggio. La definizione fornita prevede che la minaccia del finanziamento del terrorismo debba essere estesa a qualsiasi persona che volontariamente fornisca o raccolga fondi con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, con l’intento illecito

14

A partire dal Decalogo del 2001 - Istruzioni operative per l'individuazione delle operazioni sospette fino ai più recenti provvedimenti del 2010 e del 2011 recanti gli indicatori di anomalia per gli intermediarie alle istruzioni per le segnalazioni di operazioni sospette.

15

Cfr. RAZZANTE R., La regolamentazione antiriciclaggio in Italia. II edizione, Giappichelli Editore, Torino 2011, pag. 20. Secondo l’autore troppo spesso il riciclaggio, così come l’evasione fiscale, sembra essere un reato non percepito come minaccia reale per il cittadino onesto, cosicché diventa un reato perseguito dalle Autorità di cui egli può disinteressarsi. Se invece si ribadisse alla società che il reato di riciclaggio è necessario per finanziare altri reati che vanno ad incidere sulla vita delle persone, tale comune impostazione mentale potrebbe cambiare e si favorirebbe una collaborazione tra cittadini e autorità.

16

Così come unici sono gli obblighi a cui sono sottoposti gli intermediari: anche nel sistema per il contrasto al finanziamento del terrorismo troviamo obblighi di segnalazione delle operazioni sospette, di congelamento dei fondi e di comunicazione alle autorità.

17

Costituito nel 1989 in occasione del G7 di Parigi, il Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale (GAFI) o Financial Action Task Force (FATF) è un organismo intergovernativo che ha per scopo l’elaborazione e lo sviluppo di strategie di lotta al riciclaggio dei capitali di origine illecita e, dal 2001, anche di prevenzione del finanziamento al terrorismo. Nel 2008, il mandato del GAFI è stato esteso anche al contrasto del finanziamento della proliferazione di armi di distruzione di massa.

Il GAFI elabora standard riconosciuti a livello internazionale per il contrasto delle attività finanziarie illecite, analizza le tecniche e l’evoluzione di questi fenomeni, valuta e monitora i sistemi nazionali. Individua inoltre i paesi con problemi strategici nei loro sistemi di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, così da fornire al settore finanziario elementi utili per le loro analisi di rischio. Del Gruppo fanno parte 35 membri in rappresentanza di stati e organizzazioni regionali che corrispondono ai principali centri finanziari internazionali, nonché, come osservatori, i più rilevanti

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di utilizzarli o nella consapevolezza che essi saranno utilizzati, interamente o in parte: a) per portare a termine uno o più atti terroristici; b) da organizzazioni terroristiche; c) da singoli terroristi. Inoltre si precisa come il finanziamento del terrorismo debba interessare qualsiasi forma di capitale, indipendentemente dall’origine lecita o illecita e come risulti irrilevante il fatto che gli stessi siano effettivamente utilizzati nell’attuare, piuttosto che per predisporre, un’azione terroristica, oppure sussista una connessione tra fondi ed atto.

È opportuno precisare che nella realtà i fondi destinati al finanziamento del terrorismo non hanno sempre natura illecita. In alcuni casi essi sono raccolti in modo lecito attraverso versamenti di offerte a fini religiosi, spesso di importi frazionati e di basso importo, non rilevanti per gli attuali sistemi di adeguata verifica e registrazione a cui sono soggetti gli intermediari. Data l’effettiva difficoltà di distinguere i fondi leciti da quelli illeciti, si sono sviluppate misure di contrasto al terrorismo che danno importanza al profilo soggettivo di chi compie l’operazione, attraverso delle vere e proprie liste di nominativi sospetti pubblicate dagli organismi internazionali.

Il D.lgs. n.109 del 2007 al punto a) definisce, riprendendo quanto disposto a livello internazionale, finanziamento al terrorismo «qualsiasi attività diretta, con

qualsiasi mezzo, alla raccolta, alla provvista, all’intermediazione, al deposito, alla custodia o all’erogazione di fondi o di risorse economiche; in qualunque modo realizzati, destinati ad essere, in tutto o in parte, utilizzati al fine di compiere uno o più delitti con finalità di terrorismo o in ogni caso diretti a favorire il compimento di uno o più delitti con finalità di terrorismo previsti dal codice penale, e ciò indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione dei delitti anzidetti».

Si può quindi concludere che mentre nel reato di riciclaggio rileva la provenienza illecita dei fondi o dei beni, nel reato di finanziamento del terrorismo, si ha riguardo alla destinazione dei beni o dei fondi, che è quella di compiere o favorire delitti con finalità di terrorismo.

organismi finanziari internazionali e del settore (tra i quali FMI, Banca Mondiale, ECB, Nazioni Unite, Europol, Egmont).

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21

2.

LE FONTI NORMATIVE

2.1. Gli organismi internazionali

Le fonti normative che hanno disciplinato la materia dell’antiriciclaggio e della prevenzione del finanziamento del terrorismo hanno origini lontane, ma è ultimamente che il fenomeno di contrasto ha ricevuto una forte spinta evolutiva. Possiamo distinguere tra fonti normative internazionali, comunitarie e nazionali, ed all’interno di queste ultime tra fonti primarie e fonti secondarie.

Le disposizioni promosse a livello internazionale si contraddistinguono per la statuizione di principi generali, di ampia portata, allo scopo di abbracciare una platea di Nazioni il più ampia possibile. Vi è un lungo elenco di disposizioni che dettano principi di massima, rispetto ai quali l’osservanza è esercitata in osservanza dei noti principi di “proporzionalità” ed di “approccio basato sul rischio”, familiari nell’ambito dell’attività bancaria, finanziaria e assicurativa. La scelta rivolta alla self-regulation responsabilizza dunque i destinatari, indirizzandoli verso la corretta applicazione delle norme ed al contempo lasciandoli liberi nelle scelte di attuazione.

Il primo intervento da parte di un organismo internazionale in tema di normativa antiriciclaggio si ha con la cosiddetta Convenzione di Vienna del 19 dicembre 198818. Di tale Convenzione rileva, ai fini del contrasto al riciclaggio, l’art. 3, paragrafo 1, il quale dispone che ciascuno Stato deve adottare i provvedimenti necessari per “attribuire

il carattere di reato” ad una serie di condotte, tra le quali figurano la conversione, il

trasferimento, la dissimulazione o la contraffazione dell’origine (o delle altre circostanze) di beni che si conosce essere proventi di reati relativi al traffico di stupefacenti e di sostanze psicotrope.

La Convenzione di Vienna è quindi rilevante quale primo atto che ha criminalizzato il riciclaggio, qualificandolo come reato, anche se tale “criminalizzazione” risulta limitata ai reati presupposto relativi al traffico di stupefacenti, di cui la Convenzione si occupava.

Un ruolo di vitale importanza, se non addirittura il ruolo di maggiore rilevanza, è assunto nel contesto internazionale dalle raccomandazioni del GAFI: si tratta delle “The

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22

Forty Recommendations”, presentate per la prima volta il 7 febbraio del 1990 e,

successivamente aggiornate, con ultima modifica nel 2012, a cui si sono aggiunte nel 2003 le “The Nine Special Reccomendations”, in tema di finanziamento del terrorismo. Le raccomandazioni del GAFI non hanno valore cogente19, ma la loro centralità è stata altresì riconosciuta anche dall’Unione Europea nella direttiva 2005/60/CE, sottolineando come le misure adottate dovrebbero essere coerenti con quelle degli organismi internazionali ed in particolare con quelle del capolista GAFI, non mancando di aggiornare la direttiva sulla base dei nuovi standard emessi. Le 40 raccomandazioni principali sono suddivise in quattro sezioni, riguardanti, rispettivamente:

a) l’inquadramento generale della materia, ovvero gli ordinamenti giuridici dei vari Paesi;

b) l’integrazione delle legislazioni attraverso le iniziative normative necessarie;

c) la prevenzione del riciclaggio nel sistema finanziario; d) il rafforzamento della cooperazione internazionale.

Sintetizzando il contenuto di tale documento20, si può dire che il GAFI raccomanda alle istituzioni finanziarie di eliminare l’instaurazione di conti anonimi, di procedere ad una completa identificazione della clientela, anche occasionale, e di conservare per almeno 6 anni le registrazioni e la documentazione relativa alle transazioni. Raccomanda di prestare attenzione a quelle transazioni che per la loro natura risultano complesse, inusuali e ingenti ed a quelle in cui non è possibile individuare uno scopo economico legale, nonché a quelle poste in essere con persone, società e istituzioni finanziarie provenienti da Paesi sospetti. Auspica la predisposizione di meccanismi che consentano alle istituzioni finanziarie di dare comunicazione di

18

Convenzione delle Nazioni Unite “contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope”, adottata a Vienna il 19 dicembre 1988 e ratificata in Italia con legge 5 novembre 1990, n. 328.

19

Cfr. CONDEMI M. - DE PASQUALE F. (a cura di), in “Quaderni di Ricerca Giuridica” n. 60, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, 2008, pagg.27-28. Le raccomandazioni del GAFI non hanno valore cogente. D’altra parte, salvo poche eccezioni, regole internazionali, linee guida,raccomandazioni ed altri strumenti adoperati nelle relazioni finanziarie internazionali non hanno natura di regole e vengono generalmente indicate come “soft law”, rappresentando una sorta di schema preliminare di atto normativo. Ne consegue che la “soft law” assume carattere e vigore normativo solo dopo la sua formale adozione da parte della legislazione domestica.

20

Cfr. per la sintesi RAZZANTE R., La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Giappichelli Editore, Torino 2011, pagg. 32-33.

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eventuali anomalie alle Autorità di vigilanza competenti. Il GAFI raccomanda altresì di implementare il sistema dei controlli interni, la formazione del personale e la verifica del sistema nel suo complesso. Si citano infine le modifiche principali intervenute nel 2012:

Lotta alla proliferazione delle armi di distruzione di massa mediante una

coerente attuazione di sanzioni finanziarie mirate e deliberate dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU.

Una maggiore trasparenza per rendere più difficile ai criminali e ai terroristi nascondere la loro identità o mascherare i propri beni per mezzo di entità o persone giuridiche.

 Adempimenti rafforzati e più stringenti per le persone esposte politicamente (PEP).

Ampliamento della sfera dei reati presupposto di riciclaggio di denaro compresi

i crimini fiscali.

Un migliore approccio basato sul rischio, che consente ai governi e al settore privato di agire in modo più efficiente concentrandosi sulle situazioni ad alto rischio.

Una più efficace cooperazione internazionale che comprenda lo scambio di informazioni tra le autorità competenti, indagini congiunte anche per il tracciamento, sequestro e la confisca dei proventi illeciti.

Maggior poteri e strumenti operativi rafforzati sia per le unità di informazione

finanziaria sia per le forze dell'ordine per indagare e perseguire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo.

Oltre ad emanare principi generali in forma di Raccomandazioni, il Gafi verifica i sistemi di controllo del riciclaggio dei paesi aderenti. Tale verifica viene svolta mediante tre diversi procedimenti: autovalutazione annuale, valutazione reciproca (mutual evaluation) e valutazioni c.d. orizzontali.

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2.2. Le Direttive europee

La disciplina comunitaria è oggi costituita dalla Direttiva 2005/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, nota come «Terza Direttiva Antiriciclaggio» ed è in bozza una quarta direttiva.

Ripercorrendo in ordine cronologico l’evoluzione comunitaria della lotta al riciclaggio notiamo che l’impegno comunitario ha inizio con una serie di Raccomandazioni e Convenzioni, a cui fanno seguito le diverse direttive. Il primo atto emanato da parte del Consiglio d’Europa lo troviamo nella Raccomandazione del 27 giugno 1980, avente ad oggetto “Misure contro il trasferimento e l’occultamento dei

capitali di origine criminale”, che metteva in primo piano l’esigenza di accertare

l’identità dei clienti da parte degli operatori bancari e di instaurare una più stretta collaborazione tra gli istituti bancari stessi.

Nel decennio successivo la Convenzione di Strasburgo dell’8 novembre 1990, di cui abbiamo già avuto modo di parlare, si caratterizzò per la sua innovativa configurazione del reato di riciclaggio e l’estensione dei reati presupposti a qualsiasi condotta criminosa (previsioni dell’articolo 6). La Convenzione rileva anche per avere descritto gli obblighi reciproci di cooperazione per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio (assistenza nelle indagini, adozione ed esecuzione di misure provvisorie finalizzate al sequestro e alla confisca).

L’Europa è ormai pronta ad affrontare il problema del riciclaggio, e il Consiglio dei Ministri, ispirandosi alle 40 raccomandazioni del GAFI del 1990 e alla Convenzione di Strasburgo, emana la direttiva n. 91/308/CEE “relativa alla prevenzione e all’uso del

sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite”. Occorre

sottolineare in primo luogo che la direttiva è un atto vincolante, non per quanto riguarda il testo, ma per quanto riguarda il risultato da raggiungere: il testo è il modello al quale lo Stato membro deve ispirarsi. Essa fornisce un impulso notevole affinché i destinatari si uniformino alle disposizioni contenute nel testo e ciò appare ancora più importante se si considera che al tempo nella maggior parte dei Paesi era possibile constatare la

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mancata esistenza di una legislazione efficace per contrastare il fenomeno del money

laundering.

In secondo luogo la «Prima direttiva» tratta una serie di argomenti in modo da fondare le basi per una disciplina ordinata, in particolare le tematiche principali sono due:

a) Per quanto riguarda gli intermediari destinatari la direttiva considera che tutti gli enti finanziari possano essere utilizzati per riciclare denaro. Inoltre dispone che gli Stati possano estendere tale disciplina, non solo agli enti, ma anche a tutte quelle attività professionali, anche non finanziarie, che per la loro natura possano essere oggetto di utilizzo a fini di riciclaggio.

b) Per quanto riguarda gli obblighi a cui sottoporre gli intermediari, la direttiva rende necessari gli obblighi di identificare e di registrare determinate operazioni finanziarie, esaminando attentamente quelle transazioni anomale.

Nonostante la prima direttiva comunitaria abbia rappresentato uno dei principali strumenti internazionali per la lotta contro il riciclaggio del denaro sporco, essa, nel 2011 è stata oggetto di modifica e integrazione, mediante la Direttiva n. 2001/97/CE21.

La «Seconda direttiva» risente, così come le nove raccomandazioni speciali del GAFI, della spinta alla lotta al finanziamento del terrorismo, indispensabile dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 a New York. Con essa viene riconosciuto a livello comunitario il finanziamento del terrorismo come una delle destinazioni principali dei proventi illeciti derivanti dal riciclaggio. In questo contesto storico, la seconda direttiva risponde a due principali necessità: da un lato cerca di ampliare l’ambito di applicazione della disciplina ai reati propri della criminalità organizzata, dall’altro estende gli obblighi assegnati agli intermediari ad altre categorie professionali.

Sotto il primo profilo viene modificato l’art. 1 della prima direttiva dove si affermava che per attività criminosa - definizione importante per l’individuazione dei reati presupposti di riciclaggio - doveva intendersi qualsiasi reato grave legato alla

21

Direttiva 2001/97/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 dicembre 2011, “recante modifica della direttiva 91/308/CEE del Consiglio relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite”

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produzione o spaccio di sostanze psicotrope. Nella seconda direttiva si specifica che costituiscono “reato grave” non solo quelli legati al traffico di stupefacenti, ma tutta una serie di altri reati, quali la frode, la corruzione ed ogni “reato che possa fruttare

consistenti proventi e sia punibile con una severa pena detentiva in base al diritto penale dello Stato membro”.

Sotto il secondo profilo la direttiva del 2001 va a modificare il precedente art. 6 dove si considerano soggetti destinatari degli obblighi di segnalazione “gli enti creditizi

e finanziari e i loro amministratori e dipendenti”. L’evidenza ha poi mostrato che anche

altri settori dell’economia, attività commerciali, professioni, potevano costituire un veicolo, consapevole o meno, per riciclare i proventi di attività illecite. In conseguenza di queste considerazioni, vengono previsti obblighi anche per le persone fisiche e giuridiche, quando agiscono nell’esercizio della loro attività professionale, quali: revisori, contabili esterni, consulenti tributari, agenti immobiliari, notai, avvocati, commercianti di oggetti di valore, se il pagamento supera determinate soglie, nonché case da gioco.

Oltre a questi due aspetti, nella direttiva 2001/97 il legislatore pone per la prima volta attenzione sui servizi finanziari on-line. Le esperienze investigative di quegli anni dimostrarono infatti come le grandi organizzazioni criminali si servissero ormai di internet per spostare enormi risorse finanziarie, senza lasciarne alcuna traccia.

Per colmare le lacune della precedente Convenzione, manifestatesi nell’effettivo svolgimento della prevenzione al riciclaggio negli anni successivi alle due direttive, un comitato di esperti redige la c.d. Convenzione di Varsavia22. Essa presenta tre aspetti degni di rilievo. In primo luogo, è l’unico atto internazionale giuridicamente vincolante il cui ambito di applicazione copre sia la prevenzione e il controllo del riciclaggio, sia il finanziamento del terrorismo. In secondo luogo, rispetto alla precedente Convenzione di Strasburgo, estende l’ambito di cooperazione a tutti quegli istituti tipici della prevenzione del riciclaggio (tra cui la verifica dell’identità della clientela e l’ obbligo di segnalazione di operazioni sospette). In terzo luogo, recependone la nozione ormai accettata internazionalmente, si introduce la definizione di financial intelligence unit -

FIU o UIF (Unità di informazione finanziaria), alla quale devono pervenire le

segnalazioni di operazioni sospette, stabilendo l’obbligo, per gli Stati firmatari, di

22

Convenzione del Consiglio d’Europa del 3 Maggio 2005 “Convention on laundering, search, seizure and confiscation of the proceeds from crime and on the financing of terrorism”.

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istituirla e dotarla di tutte le risorse e le informazioni necessarie per svolgere al meglio il ruolo di prevenzione del riciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo.

Nello stesso anno viene emanata la «Terza Direttiva» (direttiva n.2005/60/CE) che abroga e sostituisce le prime due (la n.91/308/ CEE e la n.2001/97/CE) . La nuova disciplina si svolge in 47 articoli. Essa delinea un sistema radicalmente diverso, ispirato ai contemporanei standard internazionali, più complesso e fondato su principi innovativi, almeno per l’ordinamento italiano. Il sistema nazionale per la prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo dovrà essere in conseguenza interamente rivisitato. La novità più evidente, ed anche la più importante, è data dall’estensione della prevenzione del riciclaggio al finanziamento al terrorismo. Tale estensione è resa subito palese dal titolo della direttiva (“Prevenzione dell’uso del

sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo”). È peraltro di immediata evidenza come la prevenzione

ed il contrasto al riciclaggio e al finanziamento al terrorismo, pur operando su un livello di complementarietà, costituiscano, tuttavia, due settori di intervento separati e distinti della direttiva. Quando la seconda direttiva venne adottata, infatti, era opinione concorde che tutti i crimini connessi al finanziamento del terrorismo costituissero “reati gravi” e quindi reati presupposto del reato di riciclaggio; in seguito l’esperienza nel campo del finanziamento al terrorismo ha però evidenziato come spesso la raccolta di fondi avvenga attraverso canali leciti, e non criminali, e come, pertanto, la precedente formulazione testuale non fosse in grado di coprire tutte le fattispecie di finanziamento al terrorismo. Nella terza direttiva (art.1, comma 4) si è ritenuto, per maggior chiarezza, di adottare una definizione che ricomprendesse la provenienza lecita dei proventi destinati al finanziamento del terrorismo, eliminando la precedente limitazione ai soli proventi illeciti. Analizzando brevemente la direttiva e lasciando un’analisi degli aspetti più operativi al paragrafo successivo – all’interno dell’esame del D.lgs. n. 231/2007 – possiamo sintetizzare le novità da essa introdotte nei seguenti punti:

 Per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione della direttiva, essa ha incluso tra i soggetti destinatari della normativa i prestatori di servizi relativi a società o trust. Inoltre sono assoggettati alla direttiva tutti i soggetti (persone fisiche o giuridiche) che negoziano beni nel caso in cui ricevano pagamenti effettuati in contanti e per un importo superiore a 15.000 euro (sia che la transazione sia effettuata con

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un’unica operazione, sia con diverse operazioni collegate e, soprattutto, anche nel caso di attività occasionale). Essi, pertanto, saranno sottoposti agli obblighi imposti dalla direttiva stessa quali gli obblighi di identificazione della clientela e di segnalazione delle operazioni sospette. Tale soglia di euro 15.000 è soppressa quando vi sia il sospetto di riciclaggio.

 La terza direttiva specifica il momento esatto in cui debba essere effettuata la verifica dell’identità del cliente e viene fatto anzitutto riferimento all’instaurazione di un “rapporto d’affari”. Per rapporto d’affari, deve intendersi un rapporto professionale o commerciale che sia correlato con le attività professionali svolte dagli enti o dalle persone soggetti alla normativa e del quale si presuma, al momento in cui viene allacciato, che avrà una certa durata. Si specifica poi che gli obblighi di adeguata verifica non riguardano solo i nuovi clienti, ma anche la clientela esistente, in un controllo continuo che accompagna tutto il corso dello svolgimento del rapporto d’affari.

 Per quanto riguarda la verifica della clientela si passa dal semplice obbligo di identificazione, consistente sostanzialmente nell’acquisizione di informazioni sull’identità, ad un più ampio dovere di verifica. La terza Direttiva antiriciclaggio, infatti, dedica un intero capitolo alla disciplina della verifica adeguata della clientela (o

customer due diligence). Da un lato si semplificano gli obblighi di identificazione e nel

contempo di ampliano quando le operazioni appaiono più rischiose attraverso una vera e propria valutazione del rischio di riciclaggio, che permea l’intera disciplina. In questo secondo caso si parla di obblighi rafforzati. La dorsale della nuova normativa comunitaria si fonda in sostanza sul cd. “risk based approach” di matrice anglosassone, consentendo in tal modo di differenziare gli obblighi secondo il rischio correlato al soggetto cliente, al prodotto o all’operazione.

 La direttiva prevede espressamente l’obbligo per ogni Stato Membro di istituire, così come anticipato dalla convenzione di Varsavia, una Financial Intelligence

Unit (FIU) alla quale è affidata la gestione centralizzata delle segnalazioni all’interno

degli Stati membri, ricevendo, analizzando e ritrasmettendo le comunicazioni. Viene così eliminata la generica definizione di “autorità responsabili per la lotta contro il riciclaggio” inserita nelle precedenti direttive.

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La terza direttiva non può, però, essere considerata un punto di arrivo nell’evoluzione della normativa comunitaria. Il 12 aprile 2012 la Commissione Europea ha reso pubblica la "Relazione della commissione al parlamento europeo e al Consiglio

sull'applicazione della direttiva 2005/60/CE relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo". Secondo il rapporto, in linea generale, il quadro vigente

sembra funzionare relativamente bene e non sono state individuate lacune fondamentali che richiedono modifiche sostanziali della terza direttiva antiriciclaggio. Tuttavia la direttiva dovrà essere riveduta per allinearla alla revisione delle raccomandazioni GAFI23. In proposito, occorrerà riflettere sul livello di armonizzazione del futuro quadro dell'UE. La concentrazione degli sforzi per migliorare l'efficacia delle norme sarà la sfida del futuro.

Il 5 febbraio 2013 la Commissione Europa ha avanzato la proposta di una « Quarta direttiva» che prevede i seguenti obbiettivi operativi:

 assicurare la coerenza tra le norme nazionali e, nel caso, la loro flessibilità di attuazione;

 assicurare che le norme siano incentrate sul rischio e vengano adeguate per far fronte a nuove minacce emergenti;

 assicurare, mediante l’ampliamento dell’ambito di applicazione, la coerenza dell’approccio dell’UE con l’approccio adottato a livello internazionale;

Senza scendere in dettagli tecnici, si possono evidenziare le misure principali con le quali si prevede di raggiungere tali obiettivi.

23

Come abbiamo osservato in precedenza, le nuove Raccomandazioni evidenziano la necessità di: – maggiore trasparenza nelle compagini societarie, al fine di agevolare l’identificazione del titolare effettivo;

– adempimenti rafforzati e più stringenti per l’individuazione e il controllo delle persone esposte politicamente;

– ampliamento della sfera dei reati presupposto di riciclaggio comprendente in modo esplicito i reati fiscali;

– miglioramento della cooperazione internazionale;

– maggiori poteri e strumenti operativi per le unità di informazione finanziaria e per le forze dell’ordine; – miglioramento dell’approccio basato sul rischio, che consente ai Governi e al settore privato di agire in modo più efficiente concentrandosi sulle situazioni ad alto rischio.

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 Per quanto riguarda l’ambito di applicazione, la proposta di direttiva intende ampliare al gioco d’azzardo, ovvero includere il settore del gioco d’azzardo oltre le case da gioco che erano già incluse; inoltre intende abbassare da 15.000 euro a 7.500 euro le soglie dell’ambito di applicazione e degli obblighi di adeguata verifica della clientela a persone che negoziano beni di valore elevato per le operazioni in contanti;

Dal punto di vista della privacy, si vuole chiarire l’interazione tra gli obblighi in materia di antiriciclaggio/lotta al finanziamento del terrorismo e gli obblighi in materia di protezione dei dati;

 Un’ulteriore misura presente è fare riferimento esplicito ai reati fiscali come reato presupposto, inserendo i reati fiscali come categoria specifica di reati gravi. Le Raccomandazioni GAFI del febbraio 2012, infatti ricomprendono già esplicitamente i reati tributari - così come individuati da ciascun Paese con la propria legislazione penale e tributaria - nella categoria dei reati presupposto;

 Per quanto riguarda la problematica dell’effettiva individuazione del beneficiario, o titolare effettivo, la soluzione è richiedere a tutte le società di acquisire informazioni sui propri titolari effettivi, mantenendo l’approccio che richiede l’identificazione del titolare effettivo a partire da una soglia di proprietà del 25%, chiarendo però a che cosa essa si riferisca;

 Costituisce una novità della proposta di direttiva la richiesta agli Stati membri di identificare, valutare, comprendere ed assumere le misure per mitigare il rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo esistente in ogni Stato e di tenere aggiornata la valutazione del rischio. Tale attività può essere supportata dalla valutazione del rischio effettuata a livello sovranazionale da parte delle Autorità di vigilanza europee (EBA, ESMA, ecc.) ed i risultati devono essere condivisi con gli altri Stati membri e con i soggetti destinatari. I soggetti destinatari degli obblighi devono anch’essi identificare e valutare i rischi, aggiornare e documentare le loro valutazioni del rischio nonché dotarsi di politiche, controlli e procedure volti a governare il rischio di riciclaggio proporzionati alla natura e alle dimensioni dei destinatari.

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31

 La Commissione ritiene che, nella vigente direttiva, le disposizioni in materia di verifica semplificata si siano rivelate troppo permissive, perciò non individua alcuna situazione nella quale sia consentito applicare esenzioni tout court24.

 Ponendo rimedio ad un’evidente carenza dell’attuale disciplina, la proposta estende le disposizioni in materia di persone politicamente esposte (PEP)25 anche ai cittadini residenti in ciascuno degli Stati membri. Viene quindi previsto che gli obblighi rafforzati di adeguata verifica si applichino anche nei confronti di coloro che svolgono o hanno svolto funzioni politiche all’interno del Paese o in organizzazioni internazionali.

2.3. L’evoluzione della normativa nazionale

Ripercorrendo schematicamente l’evoluzione della normativa amministrativa – e tralasciando in questo paragrafo la normativa penale, già brevemente delineata nel paragrafo dedicato alla configurazione di reato di riciclaggio – si noterà come le iniziative nazionali si ispirino alle suddette strategie internazionali e costituiscano il recepimento fedele delle direttive comunitarie.

La normativa italiana ha perseguito per la prima volta l’intento di contrastare il fenomeno con la legge n. 197/1991, in attuazione della prima direttiva antiriciclaggio. Essa prevede obblighi solo in capo ad enti creditizi e finanziari, coinvolgendo così solo il sistema bancario e parabancario. La legge prevede nei primi tre articoli, le tre misure principali26:

 La limitazione all’uso del contante, in modo da canalizzare le transazioni più rilevanti verso il sistema degli intermediari finanziari. Il divieto di

24

Si ricorda che la vigente direttiva, all’art. 11, prevede espressamente l’esenzione dall’obbligo di adeguata verifica quando il cliente è un ente creditizio o finanziario e la possibilità per gli Stati membri di prevedere l’esenzione dagli obblighi quando il cliente è una società i cui valori mobiliari sono ammessi alle negoziazioni in un mercato regolamentato ovvero quando si tratta di una autorità pubblica.

25

Cfr. Direttiva 1° Agosto 2006 n. 2006/70/CE, intitolata “Definizione del concetto di “persone politicamente esposte” di cui alla Direttiva n. 2005/60/CE”.

26

Per un approfondimento più esaustivo della norma, cfr. SCIALOJA A. – LEMBO M., Antiriciclaggio, II edizione, Maggioli Editore, Repubblica di San Marino 2009, cap. 2

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32

trasferimenti di denaro o di titoli al portatore riguardava operazioni con valore complessivo27 superiore ai 20 milioni di lire (art. 1);

 Gli obblighi di identificazione della clientela e di registrazione di dati concernenti operazioni superiori a determinate soglie (nella legge si indica come soglia i 20 milioni di lire), anche se frazionate (art 2). Allo scopo di raccogliere i suddetti dati viene prevista l’istituzione dell’Archivio unico informatico (AUI) presso ciascun intermediario;

 L’obbligo di segnalazione delle operazione sospette all’Ufficio Italiano dei Cambi28 – UIC (art 3), introducendo la c.d. “collaborazione attiva” da parte degli intermediari.

Per quanto riguarda la normativa di secondo livello, alla legge seguirà nel 1993 la prima versione del «Decalogo»29 della Banca d’Italia, per riempire di contenuti operativi la norma e in particolar modo per dettagliare la nozione di operazione sospetta.

L’intervento legislativo successivo si ha con il D.lgs. n. 153/1997, la cui previsione più importante è la «segretezza delle segnalazioni», risolvendo il problema della segretezza del segnalante che si era posto già all’entrata in vigore della precedente legge30.

27

Si parla di valore complessivo per ricomprendere le cd. “operazioni frazionate”, ossia movimentazioni di importo singolarmente inferiore alla soglia prevista, ma che per la natura e la modalità con cui sono poste in essere, anche se in momenti diversi ed in un diverso periodo di tempo, possa ritenersi che facciano parte di un’unica operazione.

28

L’Ufficio Italiano dei Cambi è stato soppresso dal 1 gennaio 2008 con il D.lgs. 21/11/2007 n. 231. Le attività di prevenzione del riciclaggio, così come la gestione delle segnalazioni di operazioni sospette, sono state affidate, in piena autonomia e indipendenza, all’Unità di informazione finanziaria istituita presso la Banca d’Italia. Le altre funzioni istituzionali dell’Ufficio sono state assegnate alle corrispondenti strutture della Banca d’Italia.

29

Il Decalogo sarà poi aggiornato nel 1994, nel 2001 e nel 2010. L’attuale quarta versione del Decalogo ricomprende anche gli indici di anomalia.

30

Sul tema, cfr. CIRCOLARE UIC DEL 22 AGOSTO 1997 (Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 1997, n. 201). “Istruzioni per la produzione delle segnalazioni di operazioni da parte degli intermediari finanziari e creditizi ai sensi degli articoli 33 e seguenti del decreto legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito in legge 5 luglio 1991, n. 197, come modificata dal decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 153.” In essa si ribadisce che la procedura di segnalazione e di successiva analisi delle transazioni sospette poggia su tre principi fondamentali:

1) la celerità della procedura;

2) l'arricchimento della segnalazione sotto l'aspetto finanziario; 3) la tutela della riservatezza del soggetto segnalante.

Figura

Figura 1 - Iter di segnalazione dell'operazione sospetta
Figura 2- Ripartizione regionale delle segnalazioni nel 2012
Figura 4 -  La piramide del controllo del Gruppo Unipol
Figura 5 – Ruolo degli organi sociali nel SCI 23
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