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Beni pubblici dai prati e dai pascoli della Valle d’Aosta

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Academic year: 2021

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E DAI PASCOLI DELLA VALLE D’AOSTA

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BENI PUBBLICI

DAI PRATI E DAI PASCOLI

DELLA VALLE D’AOSTA

a cura di

Stefano Trione

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Ricerca realizzata nell’ambito di una convenzione di studio stipulata tra il Dipartimento Agri-coltura della Regione Autonoma Valle d’Aosta (RAVA) e l’Istituto Nazionale di Economia Agra-ria (INEA)

L’impostazione del rapporto è stata curata da Stefano Trione

TesTi:

Premessa: Stefano Trione

Capitolo 1: 1.1 Patrizia Borsotto; 1.2 Sylvie Chaussod; 1.3 Stefano Trione Capitolo 2: 2.1 Stefano Trione; 2.2 Sylvie Chaussod; 2.3 Patrizia Borsotto

Capitolo 3: 3.1, 3.6 e 3.7 Patrizia Borsotto; 3.2 e 3.5 Sylvie Chaussod; 3.3 e 3.4. Stefano Trione Sintesi conclusiva: Patrizia Borsotto; Sylvie Chaussod; Stefano Trione

Alla realizzazione dello studio ha fattivamente contribuito Andrea Dal Vecchio, laureando del Corso di Laurea Magistrale in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Torino Per i preziosi suggerimenti forniti gli autori ringraziano vivamente Francesco Vanni, refe-ree della presente pubblicazione ai sensi della “Procedura di referaggio delle pubblicazioni scientifiche e tecniche dell’INEA”

Coordinamento editoriale: Benedetto Venuto Segreteria di redazione: Roberta Capretti

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Riassunto – Summary - Sommaire 5

Premessa 7 Capitolo I

Beni pubblici e politiche agricole 11

1.1 Esternalità e beni pubblici: alcune definizioni 11

1.2 Come favorire la produzione di beni pubblici di origine agricola 17

1.3 L’attenzione ai beni pubblici nella PAC 2014-2020 24

Capitolo II

Coltivazioni foraggere e beni pubblici 33

2.1 I caratteri distintivi del sistema agro-zootecnico valdostano 33

2.2 La gestione delle superfici foraggere e del bestiame 40

2.3 Quali beni pubblici dai prati e dai pascoli montani? 46

Capitolo III

L’approccio collettivo all’utilizzazione dei prati e dei pascoli in Valle d’Aosta 53

3.1. Finalità e metodi di indagine 53

3.2. L’evoluzione dell’approccio collettivo alla gestione

delle risorse agricole in Valle d’Aosta 55

3.3 I fattori che influenzano l’approccio collettivo alla gestione dei pascoli 58

3.4 Le politiche a sostegno del sistema agro-zootecnico 60

3.5 Le relazioni tra gli operatori coinvolti nell’utilizzazione dei prati

e dei pascoli alpini 62

3.6 Opportunità e criticità legate all’utilizzazione dei pascoli 68

3.7 Opportunità dalla PAC 2014-2020 74

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Acronimi 81

Riferimenti bibliografici 83

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Nel presente lavoro si espongono i risultati di uno studio inteso a eviden-ziare come taluni specifici beni e servizi pubblici, specialmente di tipo ambientale, legati all’utilizzazione dei prati e dei pascoli in Valle d’Aosta vengono resi disponi-bili alla collettività.

L’attenzione è focalizzata sull’approccio collettivo che - pur con modalità ben differenti rispetto al passato - è ancor oggi alla base della utilizzazione dei prati e dei pascoli, nonché della gestione dei capi bovini in Valle d’Aosta. Le com-plesse relazioni tra gli operatori che partecipano alla gestione dei pascoli e delle mandrie (allevatori, proprietari dei fondi, istituzioni, ecc.) vengono indagate in una logica di analisi dell’azione collettiva, avendo cura di far emergere i punti di forza e le criticità dei rapporti che legano i diversi soggetti coinvolti nella gestione delle superfici foraggere.

Alla luce delle proposte della Commissione europea in vista della program-mazione degli interventi di politica agricola e di sviluppo rurale per il periodo 2014-2020 e per i benefici di cui godono la comunità locale e i turisti il mantenimento del tradizionale sistema di sfruttamento delle foraggere è fortemente auspicabile, così come lo è il mantenimento del sostegno fino ad oggi accordato agli alpicoltori valdostani. Lo studio evidenzia, infine, alcune proposte formulate dagli operatori nel corso dell’indagine che si ritengono particolarmente utili a sostenere e miglio-rare l’articolata pluralità di interventi a favore del locale sistema agro-zootecnico e, specialmente, della conservazione dei prati e dei pascoli e della tutela dell’am-biente e del paesaggio alpino.

The purpose of this study is to highlight how the traditional exploitation of meadows and pastures in Aosta Valley ensures the provision of high valued public goods - especially agro-environmental public goods - to the whole local commu-nity and tourists.

The analysis is focused on the collective action based on specific rules, norms and specific organisational patterns concerning the management of

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pastu-res and the livestock movements among farms. The complex relations among cat-tle breeders, alpine farmers, owner of pastures, local municipalities and the Re-gional Government have been investigated in order to draw attention to strengths and weakness.

According to the EU Proposal for the CAP after 2013 and in order to keep the provision of public goods it is important to warrant the financial and non-financial support supplied until today from local Government to alpine farmers. Therefore this study underlines some proposals expressed by farmers and other workers in the agricultural sector useful to improve the political and administrative measu-res concerning animal husbandry, stewardship of meadows, pastumeasu-res and alpine environment and landscape.

Cette étude présente les résultats d’une recherche qui met en évidence comme, en Vallée d’Aoste, l’exploitation des prairies et des pâturages assure à la collectivité des biens et services publics, en particulier environnementaux.

L’analyse se concentre sur l’approche collective qui est encore aujourd'hui, bien que de façon différente par rapport au passé, à la base du pastoralisme en Vallée d’Aoste. Les rapports entre les différents acteurs qui participent à la gestion des alpages et des troupeaux (éleveurs, propriétaires fonciers, institutions publi-ques, etc.) sont analysés dans une perspective d’action collective, visant à mettre en lumière les points forts et les criticités de ces liens.

Sur la base des propositions de la Commission européenne pour la pro-grammation des politiques agricoles et de développement rural pour la période 2014-2020 et en considération des bénéfices pour la communauté locale et pour le tourisme, il paraît important de préserver le model traditionnel d’élevage et maintenir le soutien accordé jusqu’à présent aux alpâgistes. L’étude reprend, en-fin, quelque proposition avancée par les sujets interpelés au cours de l’enquête et jugée particulièrement utile pour améliorer les actions de soutien du système agropastoral local et sauvegarder les prairies et les pâturages et, par ce biais, l’environnement et le paysage alpin.

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Il concetto di “bene pubblico” è ben caratterizzato nella teoria economica: esso è connotato dalla “non esclusività” (se è disponibile per un consumatore ciò non riduce la disponibilità per altri consumatori) e dalla “non rivalità” nel consumo (se il bene è consumato da una persona, non si riduce la possibilità di un’altra di consumare lo stesso bene). A differenza di quanto accade per altri settori econo-mici, l’agricoltura può fornire beni pubblici in grande quantità e di svariata natura poiché sussiste un elevato grado di interazione tra i processi produttivi agricoli e l’ambiente: le attività agricole, in molti casi, sono in grado di modellare il territorio e il paesaggio, migliorare la qualità del suolo e dell’acqua, contribuire al mante-nimento di habitat semi naturali e alla tutela della biodiversità vegetale e anima-le. Inoltre, poiché l’agricoltura coinvolge ampie porzioni di territorio, la collettività può ben percepire lo stretto legame esistente tra l’esercizio dell’agro-zootecnia e il mantenimento e la cura del paesaggio.

Nel caso dei beni pubblici di origine agricola si tratta per lo più di servizi richiesti dalla società i quali tuttavia, a differenza dei beni privati, non hanno un mercato di riferimento o il loro mercato non funziona in maniera propria: vale a dire, non si creano una domanda e un’offerta dal cui incontro scaturirebbe il “giu-sto prezzo”. In effetti, quasi sempre accade che i produttori non sono affatto ricom-pensati per la produzione di servizi pubblici e i consumatori non sono riconoscibili e non manifestano disponibilità a pagare per assicurarsi tali beni. Affinché essi siano resi disponibili nella misura desiderabile dalla collettività occorre, dunque, l’azione delle politiche pubbliche che agiscono, in genere, secondo due differenti modalità: o attraverso la definizione di standard minimi obbligatori da rispettare, oppure attraverso la concessione di un sostegno che incentivi la produzione di un determinato bene o servizio.

Da tempo l’Unione europea ha cura di promuovere l’offerta di beni pubblici di origine agricola; come detto, mediante incentivi e norme esso influenza la ge-stione delle risorse agricole in modo tale da orientarla verso la fornitura di beni e servizi, i cui benefici per la collettività giustificano l’importanza dell’agricoltura e, quindi, del sostegno a questa accordato, in primis, attraverso la PAC.

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Emerge, dunque, la necessità di mantenere un adeguato livello di sostegno all’agricoltura, sempre più condizionato al conseguimento di beni e servizi pubbli-ci. Dalle proposte regolamentari dell’ottobre 2011 si evince come nella PAC post 2013 l’attenzione sia focalizzata sui servizi di tipo ambientale — pertinenti il suolo, l’acqua, la biodiversità, la stabilità del clima, ecc. — pur essendo, tuttavia, tutt’al-tro che trascurati i temi dell’occupazione agricola e rurale, del presidio territoria-le, del paesaggio e le tematiche relative alla sicurezza alimentare e alla qualità (denominazioni) delle produzioni agroalimentari.

Nel presente lavoro si espongono i risultati di uno studio inteso innanzitutto a illustrare le modalità e la strategia attraverso le quali in Valle d’Aosta vengono resi disponibili alla collettività taluni specifici beni e servizi legati all'utilizzazione dei prati e dei pascoli, specialmente di quelli situati alle quote più elevate.

Le coltivazioni foraggere permanenti costituiscono la quasi totalità della su-perficie agricola a disposizione delle locali aziende agro-zootecniche; esse forni-scono il foraggio verde ed essiccato che non soltanto è alla base dell’alimentazione del bestiame allevato e, dunque, delle pregiate produzioni lattiero-casearie, ma anche della fornitura di preziosi servizi a carattere ambientale ed economico so-ciali. Infatti, la corretta gestione dei prati e dei pascoli - che impedisce sia la sovra che la sottoutilizzazione del cotico erboso - consente di salvaguardare il territo-rio dai fenomeni erosivi e dal dissesto idrogeologico, di preservare la biodiversità vegetale e animale e di mantenere i tradizionali elementi del paesaggio alpino; senza dimenticare che i pascoli e gli alpeggi rappresentano una risorsa culturale ed educativa a disposizione della comunità locale e dei turisti che frequentano la regione alpina.

Lo studio, inoltre, intende focalizzare l’attenzione sull’approccio collettivo che - sebbene con modalità ben differenti rispetto al passato - è ancor oggi alla base della utilizzazione dei prati e dei pascoli, nonché della gestione del bestiame bovino e ovi-caprino in Valle d’Aosta. Il richiamo ai pascua di proprietà consortile di epoca medioevale e all’ancor più antico istituto giuridico della Consorteria - che per secoli è stato alla base della corretta gestione delle risorse territoriali - evi-denzia come tale approccio sia da sempre strettamente legato alla connotazione montana del territorio, che indirizza l’organizzazione del lavoro verso forme collet-tive, in grado di garantire alle comunità locali una fruizione ottimale di importanti risorse naturali quali pascoli, boschi e corsi d’acqua.

Un’ulteriore e non meno importante finalità della ricerca consiste nel racco-gliere - attraverso le interviste ai “testimoni di qualità” individuati nel corso dell’in-dagine - proposte utili a sostenere e migliorare l’articolato sistema di interventi a

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naturalmente conto delle indicazioni pervenute dalla Commissione e dal Parla-mento europeo circa le strategie attinenti il futuro della politica agricola comune.

Il presente lavoro è dunque articolato in tre capitoli (cui si aggiungono delle brevi riflessioni conclusive) nel primo dei quali sono fornite alcune definizioni ine-renti alle esternalità e ai beni pubblici e viene sottolineata l’importanza annessa all’ottenimento di beni e servizi pubblici di origine agricola così come illustrato in recenti studi condotti dall’Unione europea, dall’OCSE e da altri organismi scien-tifici nazionali e internazionali in vista dell’applicazione della PAC post 2013. Le proposte regolamentari licenziate dalla Commissione europea nell’ottobre 2011 sono quindi analizzate al fine di evidenziare le suggerite prescrizioni normative attinenti al tema dei beni pubblici (specialmente quelli ambientali) tenendo con-to, inoltre, della discussione in atto delle proposte medesime, delle reazioni e dei suggerimenti intesi a modificare i contenuti dei regolamenti definitivi, di prossima emanazione.

Nel secondo capitolo sono brevemente richiamati i caratteri peculiari del sistema agro-zootecnico valdostano per poi focalizzare l’attenzione sulle modalità di gestione delle superfici foraggere e del bestiame durante la stagione estiva e, ancora, sono evidenziate le caratteristiche dei beni e servizi resi disponibili alla collettività attraverso la tradizionale utilizzazione dei prati e dei pascoli.

Il terzo capitolo illustra la metodologia seguita al fine di indagare i prati e i pascoli valdostani quali fornitori di beni e servizi pubblici, precisandosi che tale metodologia costituisce un adattamento di quella predisposta per la realizzazione del Progetto di ricerca INEA “Agricoltura e Beni Pubblici. Ri-orientamento delle politiche e governance territoriale”. Segue un breve richiamo al carattere collettivo che in passato contraddistingueva la gestione delle risorse naturali in Valle d’Aosta per poi evidenziare i fattori-chiave ancor oggi alla base dell’approccio collettivo all’utilizzazione dei prati e dei pascoli. Successivamente viene fatto cenno alle at-tuali modalità di intervento pubblico a sostegno dell’alpicoltura e, più in generale, delle locali aziende agro-zootecniche per poi passare all’esposizione dei risultati delle interviste e dei questionari somministrati ai “testimoni di qualità”.

In particolare, oggetto di studio sono le complesse relazioni che intercorro-no tra gli operatori coinvolti nella gestione dei pascoli e delle mandrie (allevatori, proprietari dei fondi, istituzioni, ecc.). Tali relazioni sono indagate in una logica di analisi dell’azione collettiva, avendo cura di far emergere le criticità dei rapporti

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che legano i diversi soggetti, i fabbisogni da soddisfare se si vuole mantenere vivo e vitale il sistema zootecnico valdostano e, ancora, le opportunità connesse all’ap-plicazione della PAC 2014-2020.

Una breve sintesi conclusiva riporta quanto principalmente emerso dalla ricerca evidenziando le proposte formulate dagli intervistati in ordine alla possi-bilità di modificare, migliorandole, le politiche pubbliche, per superare le criticità evidenziate dagli operatori e, infine, per consentire all’alpicoltura di rendere dispo-nibili in misura sempre maggiore alla collettività beni e servizi pubblici, special-mente di tipo ambientale.

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1.1 Esternalità e beni pubblici: alcune definizioni

È opinione diffusa che lo scopo finale dell’intervento pubblico consista nel garantire la fornitura di beni e servizi alla collettività e che senza una governance appropriata sia illusorio attendersi che la domanda di beni pubblici venga sod-disfatta poiché questi, data la loro intrinseca natura, non possono essere offerti attraverso il mercato. Il settore primario è in grado di offrire un ampio range di beni pubblici che sono fortemente apprezzati nelle società europee: perciò il rap-porto tra agricoltura e beni pubblici assume sempre più un’importanza strategica per le scelte politiche che caratterizzeranno il settore agricolo negli anni a venire, in particolare, riguardo alle riforme in atto della Politica Agricola Comune (PAC) e alla revisione di bilancio dell’Unione Europea.

Tutte le attività economiche, ivi compreso l’esercizio dell’agricoltura, sono in grado di produrre “effetti esterni” (o esternalità) che possono essere positivi quando producono benefici a terzi, seppur non remunerati (Marshall, 1952) oppure negativi quando causano danni a terzi pur in assenza di qualsivoglia compensazio-ne (Pigou, 1960). Si tratta, più in gecompensazio-nerale, di “interferenze prodotte dalle attività di un soggetto economico sulla funzione di utilità di un altro soggetto, senza che per questo avvenga una qualsiasi transazione economica” (Baumol, 1965) e, secondo la definizione data da Meade (1973) e adottata dall’OCSE (2001) si usa il termine “economia (o diseconomia) esterna” per indicare “un evento che determina be-nefici (o danni) considerevoli su uno o più individui senza che essi abbiano alcun controllo o potere decisionale sull’evento in questione”.

Per esternalità, quindi, debbono intendersi quegli effetti collaterali e non intenzionali della produzione e del consumo che influiscono, positivamente o ne-gativamente, su terzi. L’aspetto cruciale delle esternalità è che vi sono beni assai preziosi per gli individui - quali, ad esempio, l’aria e l’acqua non inquinate, il pae-saggio e gran parte dei beni ambientali - che non vengono venduti sui mercati poi-ché per essi non sono disponibili prezzi di mercato. Secondo la teoria economica, i

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soli meccanismi di mercato non consentono un’allocazione efficiente delle risorse lì dove il privato produttore di esternalità non è indotto dal meccanismo dei prezzi a soddisfare i bisogni collettivi, perché il suo operato non è compensato o sanzionato dal mercato.

A questo proposito si parla di “fallimento del mercato”, conseguente al fatto che quando le imprese decidono il quantitativo di risorsa da utilizzare tengono conto solamente del prezzo di mercato; quando un’impresa sfrutta e degrada una risorsa ambientale senza prezzo non sostiene costi interni, ma determina un costo esterno per la società. Solo prendendo in considerazione questi costi sarà possi-bile spingere il livello di produzione ottimale di un mercato guidato dalla ricerca del profitto verso il livello di produzione socialmente ottimo (Turner et al., 2003).

In assenza di un prezzo di mercato diventa necessario l’intervento pubblico per indurre chi produce (o consuma) esternalità a dover fare i conti con i loro co-sti (o ricavi) (Velasquez, 2004). I “fallimenti del mercato” rappresentano una del-le ragioni che possono impedire al mercato, anche concorrenziadel-le, di garantire l’efficienza sociale nell’allocazione delle risorse: l’offerta di un bene che genera un’esternalità, ad esempio positiva, tende a essere inferiore rispetto al livello so-cialmente ottimale, poiché i meccanismi di mercato non tengono conto dei benefici sociali generati dalla stessa esternalità e, viceversa, per le esternalità negative (Musu, 2003).

Qualora si considerino le esternalità scaturenti dalle attività produttive1, è

dunque importante tener conto del fatto che vi sono beni che stanno a cuore alla collettività e che non vengono venduti sui mercati. Come già notato, tali sono mol-te risorse ambientali per le quali non sono disponibili prezzi di mercato e che si configurano, pertanto, come beni pubblici, vale a dire beni che possiedono due peculiarità: la non escludibilità e la non rivalità.

Al contrario dei beni privati (beni sui quali è possibile definire un diritto di proprietà e che sono, pertanto, escludibili e rivali) nel caso dei beni pubblici non è possibile escluderne le persone dall’uso; non esiste, per essi, una funzione di do-manda esprimente la disponibilità, per chi vuole usufruirne, di pagare un prezzo al proprietario. L’assenza di rivalità comporta, invece, nel caso dei beni pubblici che essi siano simultaneamente fruibili da più persone: l’uso del bene da parte di una persona non impedisce l’uso da parte di altri (al contrario di quanto accade, invece, per i beni privati).

1 In particolare, i prodotti e servizi scaturenti dall’agricoltura che determinano un vantaggio sociale sono definiti dall’OCSE Non-Commodity Outputs (NCOs) in contrapposizione ai Commodity Outputs (merci o beni primari con mercato) (OCSE, 2001).

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Come si evince dalla figura 1.1, ai beni privati (alimenti, servizi turistici, ecc.) si contrappongono i beni pubblici “puri” caratterizzati da escludibilità e rivalità pari a zero quali sono, per esempio, il paesaggio e la biodiversità, ma anche la difesa nazionale e il servizio di protezione dagli incendi che sono garantiti, rispetti-vamente, dallo Stato o dalle istituzioni locali (OCSE, 2001; Velazquez, 2004).

Oltre ai due casi estremi di beni pubblici puri e di beni privati, esistono ca-tegorie intermedie ovvero beni caratterizzati da livelli intermedi di escludibilità e di rivalità. In particolare, quando un bene pubblico è disponibile a tutti (non esclu-dibilità) ma è soggetto a congestione (rivalità) si è in presenza di una particolare categoria di beni misti definiti common goods; ne è esempio un parco pubblico molto frequentato, il cui accesso è libero a tutti ma che nel contempo è soggetto a sovraffollamento e tali sono tutte quelle risorse che risultano disponibili a tutti (open access resources) ma che possono andare incontro a sovrautilizzazione e conseguente degrado o esaurimento (per esempio: risorse ittiche marine, falde acquifere, ecc.).

In talune condizioni è possibile limitare l’accesso a questa tipologia di beni misti, accrescendone di fatto l’escludibilità; si parla di “risorse di proprietà co-mune” (common properties resources, secondo la categorizzazione suggerita dall’OCSE) e ne sono esempio le infrastrutture a disposizione di un consorzio ir-riguo per le quali è possibile escludere dall’uso coloro i quali non fanno parte del consorzio ed evitare il degrado o l’utilizzo eccessivo attraverso la definizione di opportune regole.

In relazione ai beni comuni o collettivi (commons) — in genere, tutte le risorse naturali rinnovabili — giova evidenziare come siano sovente minacciati di sfruttamento eccessivo, fino all’esaurimento, a ragione del fatto che per essi non sono chiaramente definiti e assicurati i diritti di proprietà, cosicché vengono uti-lizzati in modo indiscriminato causando, di conseguenza, una situazione diversa dall’ottimo sociale.

Si parla, in tal caso, di tragedia dei beni comuni (Hardin, 1968) alludendo ai rischi associati al libero accesso a risorse rinnovabili (per esempio, alle zone di pe-sca, alle foreste e ai pascoli naturali) anche se il termine “comune”, in questo caso, si riferisce in realtà alla proprietà comune, vale a dire alle risorse possedute da una comunità, mentre il libero accesso si riferisce a una situazione in cui nessuno è proprietario della risorsa; pertanto, sarebbe più corretto parlare di “tragedia del libero accesso”, ma anche in questo caso non è necessariamente vero che il libero accesso provochi l’esaurimento di una risorsa (Turner et al., 2003).

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club” (Cornes e Sandler, 1996), intendendosi per club un gruppo volontario che deriva da un reciproco vantaggio. Si tratta di beni i cui vantaggi sono escludibili, ma che sono soggetti a congestione (rivalità) in quanto la quota di accesso è stabilita dai soci a un livello pari alla disponibilità a pagare dei soci stessi. Beni misti di que-sto tipo sono, per esempio, un campo da golf, un parco, una riserva naturale o una riserva di pesca con accesso a pagamento; in tutti questi casi i vantaggi sono divisi dai membri del club e non c’è rivalità tra essi. Ancora, si parla di “beni soggetti a pedaggio” (toll goods) nel caso di beni la cui escludibilità è dovuta al pagamento di una quota di accesso ma che non presentano rivalità. Tali sono, per esempio, le autostrade soggette a pedaggio e il trasporto pubblico, nel qual caso il meccani-smo d’esclusione scaturisce dall’applicazione di una tassa a carico dell’utente, da questi corrisposta a titolo di “tributo”.

Fig. 1.1 Beni pubblici e beni privati

Beni misti (club goods)

riserva naturale con accesso a pagamento

Beni privati

alimenti, servizi turistici

Beni misti (club goods)

riserva naturale con accesso a pagamento

Beni misti (common goods)

parco pubblico a libero accesso soggetto a congestione, gestione delle risorse idriche 1

1

Rivalità

Escludibilità 0

Fonte: Velazquez (2004) parzialmente modificata

Dei due elementi che caratterizzano i beni pubblici impuri o misti (escludibi-lità e riva(escludibi-lità) il primo è quello più rilevante, poiché quanto più un bene è soggetto a esclusione tanto più il mercato sarà in grado di funzionare efficientemente in ragione della possibilità di chiedere agli utenti il pagamento di una “quota” per fruire del bene (Velazquez, 2004).

Per quanto attiene specificatamente al settore agricolo, i beni pubblici puri e misti da esso scaturenti sono molteplici e assai diversificati; una esemplificazione degli stessi è fornita in figura 1.2 seguendo la classificazione suggerita dall’OCSE.

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Fig. 1.2 Clas

sific

azione dei beni pubblici, beni mis

ti e beni priv ati l egati all ’agric oltur a NON RIV ALI CONGESTIONE RIV ALI Non escludibili

Beni pubblici puri - Paesaggio (valore di non uso) - Habitat naturali (valore di non uso) - Biodiversità (valore di non uso)

Ti

Po

ii

Risorse ad accesso libero - Sicurezza alimentare - Paesaggio (valore d'uso assegnato dai visitatori)

Ti

Po

ii

Risorse ad accesso libero

(I benefici riguardano solo una piccola giurisdizione come ad esempio un Comune)

Ti

Po

i

Beni pubblici puri a carattere locale - Controllo inondazioni - Conservazione del suolo - Paesaggio (valore d'uso assegnato

dai residenti)

- Eredità culturale (valore di non uso specifico per territorio) - Effetti positivi associati all'occupazio

-ne rurale

(Escludibili solo ai non appartenenti a una comunità)

Ti

Po

iii

Risorse di proprietà comune - Gestione delle acque - Habitat naturale (valore d'uso) - Biodiversità (valore d'uso)

Ti

Po

iii

Risorse di proprietà comune

Escludibili

Ti

Po

iV

- Habitat naturali (valore di non uso) - Biodiversità (valore di non uso)

Ti

Po V

Beni club - Sicurezza alimentare (in casi partico

-lari) - Habitat naturali (valore di non uso in condizioni particolari) -Biodiversità (valore di non uso in condi

-zioni particolari)

Beni privati - Paesaggio (se è possibile escludere i visitatori) - Eredità culturale (valore d'uso degli edifici storici) - Sicurezza alimentare (valore d'uso assegnato dagli agricoltori)

Font

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Giova notare che a molti dei beni contemplati in tabella - esternalità ambien-tali derivanti dall’esercizio dell’attività agricola - compete sia un valore d’uso che un valore di non uso. È il caso del paesaggio, della protezione degli habitat naturali e della biodiversità che, qualora possiedono un valore d’uso, derivante dalla possibi-lità di essere visti o visitati, conferiscono connotazioni molto specifiche alle zone in cui sono localizzati e la loro “produzione” dipenderà dalle agrotecniche prevalenti. Invece, se agli stessi beni è assegnato un valore semplicemente perché esistono (valore di non uso) essi si configurano come beni pubblici puri (non escludibili e non rivali) e non vi è alcuna relazione con la produzione agricola (Velazquez, 2004).

Nella categorizzazione formulata dall’OCSE il paesaggio rurale, dunque, as-sume caratteristiche diverse, potendosi configurare come bene pubblico puro ov-vero come bene pubblico locale (il valore d’uso è ad esso assegnato dai residenti) ma può anche diventare una risorsa ad accesso libero e soggetta a congestione: è il caso in cui la sua fruizione in aree circoscritte implichi l’afflusso da parte di numerosi visitatori. Ancora, il paesaggio agricolo diviene un bene privato se è com-pletamente escludibile, vale a dire se per esso viene stabilita una quota di accesso pari al valore d’uso dei visitatori. Infine, habitat naturali e biodiversità vegetale e animale possiedono senz’altro caratteristiche di beni pubblici puri, ma possono an-che essere soggetti ad esclusione, nel qual caso si configurano come “beni di club”.

Il controllo della funzionalità del suolo, la resistenza alle inondazioni e agli incendi boschivi sono beni pubblici a carattere locale in quanto i benefici riguar-dano spesso esclusivamente un’area e una popolazione circoscritti. Lo stesso vale per taluni aspetti connessi alla cultura e alle tradizioni locali, i quali assumono particolare importanza nel promuovere e nel mantenere la vitalità dei territori ru-rali: infatti, la possibilità di preservare il patrimonio culturale, anche garantendo un livello minimo di servizi e infrastrutture, è condizione indispensabile per con-seguire l’obiettivo di salvaguardare nel lungo termine la vitalità e l’attrattiva delle zone rurali.

Infine, la sicurezza alimentare intesa come garanzia dell’approvvigiona-mento di derrate è inclusa dall’OCSE sia tra i beni privati, sia tra i beni pubblici misti, precisamente, tra le risorse ad accesso libero e tra i “beni di club” soggetti a congestione. Si nota, tuttavia, che nell’attribuire alla sicurezza alimentare ca-ratteristica di bene misto si considerano unicamente le derrate rese disponibili a livello nazionale; ciò non è corretto in quanto la produzione interna non è l’unico modo e nemmeno il più efficiente per garantire un adeguato livello di sicurezza alimentare, stante la possibilità di ricorrere a fonti estere di approvvigionamento (Velazquez, 2004).

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1.2 Come favorire la produzione di beni pubblici di origine agricola

Il settore primario fornisce beni e servizi pubblici - soprattutto di tipo am-bientale - in grande quantità (fig. 1.3) e, in generale, tutti i modelli di agricoltura sono in grado di rendere disponibile tale tipologia di beni, sebbene sussistano diffe-renze a seconda della maggiore o minore estensività dei processi produttivi agricoli. È indubbio, infatti, che l’adozione di agrotecniche e di sistemi di allevamento a carattere estensivo (agricoltura biologica, sistemi che prevedono la combina-zione di attività agricola e allevamento, coltivazioni permanenti condotte secondo pratiche tradizionali, ecc.) consenta di ottenere in maggior misura beni e servizi di tipo ambientale in virtù di un minor impiego di input chimici (fertilizzanti e fito-farmaci), di un minor carico di bestiame e di una maggiore varietà di tipologie di copertura del suolo e della presenza di elementi paesaggistici di pregio. Tuttavia, anche sistemi agricoli più produttivi possono fornire beni pubblici, per esempio ricorrendo alle nuove tecnologie per migliorare la gestione del suolo e delle risor-se idriche e per ridurre le emissioni di gas a effetto risor-serra, oppure introducendo pratiche agricole che favoriscono la biodiversità nei paesaggi agricoli più intensivi. Fig. 1.3 I principali beni pubblici di origine agricola

Biodiversità sui terreni agricoli

Nel tempo molte specie animali e vegetali selvatiche hanno condiviso il territorio con la produzione agricola. Al giorno d’oggi, tuttavia, con l’intensificarsi dell’agricoltura, la biodiversità dei terreni agricoli dipende oggi pesan-temente dalla presenza di zone a bassa intensità di sfruttamento o di aree naturali attorno alle aziende agricole, come fasce di terreno incolto tra i campi, muretti o siepi, strade interpoderali, fossati e stagni. Queste aree forni-scono rifugio, cibo e siti di riproduzione a uccelli, mammiferi e insetti, oltre che le condizioni ideali per la crescita di fiori e altri tipi di piante autoctone. La biodiversità dei terreni agricoli comprende anche la ricca diversità gene-tica delle razze locali di bestiame e delle varietà di colture, molte delle quali si sono straordinariamente adattate ai suoli, alla vegetazione e al clima delle rispettive regioni.

Qualità dell’acqua e disponibilità delle risorse idriche

L’uso di fertilizzanti, erbicidi e antiparassitari per migliorare la produzione agricola è ormai una pratica comune, che tuttavia può avere enormi ripercussioni sulla qualità delle acque superficiali e delle falde acquifere. È im-portante trovare il modo di ridurre le quantità di nitrati, fosfati e altri rifiuti agrochimici che si riversano nei corsi d’acqua e nelle falde acquifere, in modo da proteggere le risorse d’acqua potabile e contribuire alla biodiversità di fiumi e zone umide. Poiché l’agricoltura è uno dei settori che maggiormente sfrutta le risorse idriche, soprattut-to per l’irrigazione di colture di alsoprattut-to pregio e per la produzione di frutta e ortaggi nelle zone più aride d’Europa, uno dei principali problemi al centro di numerosi interventi è quello di garantire un utilizzo più efficiente e sostenibile dell’acqua, per garantire la disponibilità di risorse idriche per tutti.

Funzionalità del suolo

il suolo è un elemento indispensabile per tutte le forme di produzione agricola. Un suolo adeguato possiede una buona struttura, sufficiente materia organica ed è resistente all’erosione da parte del vento o dell’acqua. La mag-gior parte delle pratiche agricole genera ripercussioni sulla funzionalità del suolo, ma quest’ultima può essere preservata ricorrendo ad appropriati metodi di produzione agricola.

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Stabilità del clima – aumentare lo stoccaggio del carbonio e ridurre le emissioni di gas a effetto serra

Per stabilizzare il clima del pianeta è importante liberare una parte di Co2 finora accumulata nell’atmosfera. Le piante accumulano Co2 con estrema efficacia e i metodi agricoli che prevedono la conservazione di un manto vegetale permanente e un ritorno dei rifiuti vegetali nel suolo rappresentano un buon meccanismo per “ripulire” l’atmosfera dal carbonio. i pascoli permanenti, infatti, sono in grado di immagazzinare carbonio in pari quantità rispetto alle foreste. oltre a migliorare lo stoccaggio del carbonio, l’agricoltura può anche contribuire a ridurre le emissioni di gas a effetto serra di cui è responsabile.

Resistenza agli incendi e alle inondazioni

Soprattutto negli Stati membri dell’Europa centrale e meridionale, la corretta manutenzione dei pascoli può co-stituire un’importante barriera alla diffusione degli incendi boschivi e ridurre il rischio di incendio in impianti permanenti come gli oliveti. in futuro, la capacità dei terreni agricoli di assorbire le precipitazioni eccessive e di immagazzinare le acque di esondazione sarà un fattore sempre più rilevante, nella misura in cui i cambiamenti climatici acuiscono i rischi di inondazione nelle zone urbane.

Paesaggi agricoli

Per migliaia di anni la pratica agricola ha modellato, e continua a modellare ancora oggi, i caratteristici paesaggi agricoli europei, dai pascoli alpini ai paesaggi a terrazze, dalle “dehesas” ai frutteti, dalle pianure alluvionali ai paesaggi a mosaico dei campi coltivati alternati a praterie. Tuttavia, anche se molti modelli di sfruttamento del suolo e molti aspetti tradizionali e caratteristici del paesaggio locale non sono più essenziali per i metodi agricoli moderni, mantenerli in vita è essenziale se si vuole preservare la diversità di questi paesaggi culturali. La pro-tezione della diversità dei paesaggi agricoli è importante per mantenere l’attrattiva esercitata dalle zone rurali come luoghi residenziali o destinazioni turistiche.

Vitalità rurale

Nell’UE-27 le zone rurali sono estremamente diversificate in termini di sfruttamento del territorio, popolazione, prosperità, lingua, patrimonio culturale e tradizioni. Per garantire la vitalità delle zone rurali è necessario assi-curare opportunità di lavoro, un livello minimo di servizi e infrastrutture, e disporre inoltre di buone reti sociali e di capacità umane per sostenere e promuovere questi valori, con l’obiettivo ultimo di salvaguardare nel lungo termine la vitalità e l’attrattiva delle zone rurali come luoghi in cui vivere, lavorare e recarsi in visita. il territorio, la natura del paesaggio circostante, il clima e altri fattori naturali concorrono tutti alla comparsa di costumi, tradi-zioni e forme di identità delle zone rurali. L’agricoltura può contribuire a sostenere la vitalità rurale grazie al ruolo che la popolazione rurale, le attività rurali e le tradizioni ad essa associate svolgono in queste zone. E i vantaggi di questa interazione sono vicendevoli. Se le zone rurali rimangono economicamente e socialmente vitali, ciò a sua volta può favorire il proseguimento di attività economiche come l’agricoltura e la silvicoltura, il che a sua volta è importante per assicurare l’erogazione di beni pubblici ambientali dai quali dipendono numerosi settori, come il turismo rurale e le attività ricreative.

Sicurezza alimentare

Se è vero che il cibo è un bene privato, altrettanto certo è che il mercato non assicura la disponibilità di prodotti alimentari in qualsiasi momento e ovunque. È quindi necessaria un’azione deliberata per garantire la fornitura di prodotti alimentari nel lungo termine a livello europeo o globale. A tal fine è indispensabile mantenere in futuro la capacità di produrre cibo in maniera sostenibile attraverso una gestione appropriata dei suoli e delle altre risorse e la salvaguardia delle necessarie competenze.

Fonte: ENRD, 2011

Il progresso tecnico e lo sviluppo dei mercati hanno favorito l’introduzione di pratiche agricole sempre più intensive che hanno condotto, da un lato, a notevoli incrementi della produttività nelle aree agricole maggiormente vocate e, d’altro

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lato, a una progressiva marginalizzazione o all’abbandono delle pratiche agricole nelle zone meno competitive. In conseguenza di ciò si è osservato il declino di mol-ti habitat e specie, una crescente penuria idrica, fenomeni di erosione del suolo e perdita di sostanza organica dello stesso.

L’abbandono dell’agricoltura nei territori più marginali e il sovra-sfrutta-mento dei terreni nelle aree più vocate, inoltre, sono alla base di una più ridotta fornitura di beni pubblici a carattere ambientale e giustificano il fatto che si è an-cora distanti dal raggiungimento degli obiettivi prefissati dall’Unione europea in termini di riduzione dell’emissione di gas serra, di riduzione dell’inquinamento e di salvaguardia della biodiversità (ENRD, 2011).

L’analisi di 36 indicatori ambientali condotta a livello europeo da Cooper et al. (2009) rileva una situazione di criticità per molti beni pubblici, evidenziando il declino della biodiversità (soprattutto dell’avifauna), l’insufficiente stato di conser-vazione della maggior parte dei siti “Natura 2000”, l’incremento dell’erosione e della perdita di sostanza organica dei suoli, l’eccessivo sfruttamento delle risorse idriche e la generale perdita e/o semplificazione dei paesaggi agrari tradizionali. Si hanno tuttavia importanti eccezioni positive, come il miglioramento della qualità dell’aria e del suolo e una complessiva riduzione delle emissioni di gas serra da parte del settore zootecnico, dovuta prevalentemente alla riduzione del numero di animali allevati.

Come già notato, tra produzione agricola e ambiente esiste una stretta con-giunzione (jointness) poiché le attività agricole generano esternalità sia negative che positive sull’ambiente e risulta sovente difficile distinguere le prime dalle se-conde (Gargano e Sardone, 2004). L’intervento pubblico è quasi sempre indispen-sabile per assicurare la produzione di beni e servizi pubblici associati al settore, sebbene lo stesso debba essere articolato in relazione alle diverse caratteristiche dei territori rurali e quantunque sia sovente difficile disegnare politiche efficaci nel supportare la fornitura di beni pubblici che non siano distorsive dei mercati.

Ancora Cooper et al. (2009) individuano il livello comunitario come quello più appropriato per un intervento pubblico volto ad attenuare l’impatto delle at-tività agricole sui beni pubblici, ma soprattutto per rafforzare il ruolo strategico dell’agricoltura nella fornitura e nella valorizzazione di questi beni. Essi ritengo-no che nel recente passato la PAC abbia ben contribuito al raggiungimento degli obiettivi ambientali poiché è stata in grado di diffondere una maggiore consapevo-lezza ambientale tra gli agricoltori e soprattutto ne ha influenzato molte decisioni, prevenendo l’abbandono di molte aree rurali e favorendo la coltivazione di vaste superfici con metodi estensivi.

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Il secondo Pilastro della PAC prevede interventi (misure agro-ambientali) specificamente mirati a incentivare gli agricoltori affinché forniscano specifici beni ambientali, ma tale obiettivo viene perseguito anche sostenendo gli investimenti necessari e agendo positivamente sugli aspetti relativi alla formazione, al siste-ma della conoscenza, al capacity building e all’innovazione. Con i pagamenti di-retti e, soprattutto, attraverso l’applicazione della condizionalità il primo Pilastro della PAC fornisce un contributo variabile alla produzione di beni pubblici e così pure l’applicazione dell’art. 68 del regolamento (CE) n. 73/2009 (non in tutti i Paesi membri attraverso l’art. 68 sono incentivate tecniche e/o produzioni agricole in grado di fornire benefici a carattere ambientale).

In effetti, molti obiettivi ambientali sono raggiunti attraverso misure ideate per altri scopi (pagamenti diretti, articolo 68, alcune misure degli assi 1 e 3 dei programmi di sviluppo rurale). Questo implica un riconoscimento della rilevanza strategica di tutte quelle misure che, avendo un effetto diretto sui cambiamen-ti strutturali e sulla reddicambiamen-tività del settore, di fatto ne influenzano anche le per-formance ambientali. Un percorso virtuoso di questo tipo è stato identificato per gli interventi nell'ambito delle politiche di sviluppo rurale che contribuiscono alla sostenibilità economica, e quindi alla sopravvivenza, di molte aziende localizzate in aree svantaggiate e marginali, dove la fornitura di beni pubblici è strettamente legata alla presenza dell'attività agricola sul territorio (Vanni, 2010).

In linea del tutto generale, l’intervento pubblico consente di promuovere la produzione di beni pubblici attraverso due tipi di azioni: con la definizione di stan-dard minimi obbligatori da rispettare oppure attraverso la concessione di un so-stegno che promuova un determinato bene o servizio. Con l’erogazione di incentivi e attraverso la fissazione di norme o standard, dunque, è possibile influenzare la gestione delle risorse agricole orientandola verso la fornitura di beni e servizi pubblici, ciò che giustifica l’importanza dell’agricoltura e la validità della politica agricola comunitaria e, dunque, gli sforzi richiesti ai contribuenti nonostante le difficoltà di bilancio che investono attualmente tutti i Paesi europei.

Il sostegno fornito all’agricoltura è sempre più condizionato (almeno in linea di principio) al conseguimento di beni pubblici e le questioni rilevanti nel modello di fondo seguito dalla Commissione europea (fig. 1.4) sono riferibili all’identifica-zione dei beni pubblici, alla corretta valutaall’identifica-zione dei benefici e dei costi connessi alla loro produzione e, ancora, a come e in che misura il concetto di bene pubblico costituisce una chiave per la riforma delle politiche (Mantino, 2011).

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Fig. 1.4 Beni pubblici: il modello di fondo della Commissione europea (DG-AGRI)

INCENTIVI / NORME E

STANDARD PRODUZIONE DI BENI PUBBLICI

BENEFICI E COSTI 1.Identificazione dei beni

pubblici

3. Definizione delle proposte di riforma

2.Quantificazione dei benefici e dei costi GESTIONE DELLE RISORSE AGRICOLE (land management practices) Fonte: Mantino (2011)

Tra i beni e servizi pubblici di origine agricola che sono oggetto di sostegno da parte della politica agricola europea prevalgono nettamente quelli di tipo am-bientale: biodiversità, paesaggio agricolo, disponibilità e qualità di risorse idriche, funzionalità dei suoli, qualità dell’aria, stabilità del clima, resilienza alle inondazio-ni e agli incendi, ecc. Tuttavia, una ulteriore importante categoria di beinondazio-ni pubblici direttamente o indirettamente legati all’attività agricola svolta nelle aree rurali è rappresentata dai servizi a carattere economico-sociale i quali possiedono sovente una dimensione territoriale ben definita (locale o regionale) e offrono relazioni di complementarietà con i beni pubblici ambientali (Mantino, 2011).

Tale tipologia di beni e servizi comprendono diverse dimensioni (economica, sociale e culturale) e sono legati alle diverse forme di capitale esistenti nelle aree rurali: esse riguardano capitali di natura fisica (servizi e infrastrutture, patrimonio culturale) e di natura relazionale (network, istituzioni locali, strutture di gover-nance); altre riguardano il capitale umano (capacità “imprenditoriali” e capacità di governance), la dotazione di valori (senso di identità e appartenenza, coesione sociale). Le principali tipologie di beni pubblici economico-sociali si riferiscono, dunque, ai servizi e alle infrastrutture essenziali, al patrimonio culturale (rural he-ritage: tradizioni, costumi, lingua, arte, ecc.), alle capacità “imprenditoriali” (skills and knowledge nelle imprese e nelle istituzioni locali), ai beni relazionali o social

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capital (network sociali e forme di coesione/partecipazione locale, istituzioni loca-li), al senso di identità e di appartenenza della comunità locale (rural identity) e, infine, alle strutture e capacità di governance. Giova sottolineare che l’agricoltura può giocare un ruolo diretto nella fornitura di questo tipo di beni, per esempio, nel caso di patrimonio culturale o capacità imprenditoriale che derivano direttamente dall’esercizio dell’agricoltura e da prodotti agricoli con una forte tradizione locale, ovvero nel caso di nascita di piccole e medie imprese dal contesto agricolo (Bagna-sco, 1977).

Gli strumenti mediante i quali la politica agricola europea può incentivare la produzione di beni pubblici ambientali sono stati indagati da uno specifico studio inteso a fornire al Parlamento europeo elementi utili alla definizione e alla nego-ziazione della futura politica agricola comunitaria (Baldock et al., 2011). In esso viene illustrata una specifica proposta di ri-orientamento della PAC allo scopo di rafforzarne l’efficacia nella fornitura di beni pubblici e si sottolinea, in particolare, la necessità di una maggiore integrazione degli obiettivi ambientali e il target della politica agricola europea - traguardo, questo, dettato dalla comunicazione della Commissione europea da cui emerge in maniera piuttosto netta come i beni pub-blici ambientali rappresentino il tema centrale attorno al quale definire gli specifici strumenti di intervento della PAC post 2013 (European Commission, 2010).

Pur riconoscendo l'importanza delle numerose funzioni sociali e culturali dell'agricoltura non remunerate dal mercato, la ricerca di Baldock et al. (2011) è incentrata sulla definizione di nuovi strumenti volti ad incentivare la produzione di beni pubblici di carattere ambientale, tra cui il paesaggio, la stabilità climatica, la conservazione della biodiversità, la qualità e la disponibilità delle risorse idriche, la funzionalità del suolo e la qualità dell'aria. Segnatamente, nello studio si evi-denziano le pratiche agricole che potrebbero convenientemente essere sostenu-te attraverso la componensostenu-te verde (cosiddetto greening) del primo Pilastro della PAC; di tali pratiche si analizzano i potenziali effetti, le sinergie e le sovrapposizioni tra quelle azioni che vengono proposte come volontarie e obbligatorie.

Come si evince dalla figura 1.5, attraverso le misure del gruppo 1 si propone innanzitutto un rafforzamento della condizionalità, trattandosi di azioni (mante-nimento delle colture foraggere permanenti e di elementi naturali del paesaggio, promozione delle tecniche di agricoltura biologica) caratterizzate da ampia diffu-sione, scarsa specificità e bassi costi di realizzazione. Invece, le misure (anch’esse a carattere “quasi obbligatorio”) del gruppo 2 sono contraddistinte da una mag-giore specificità e risultano, in alcuni casi, altamente innovative (per esempio, il programma di contabilità aziendale di emissione di gas serra).

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Secondo gli Autori dello studio queste tipologie di azioni potrebbero essere inserite nel primo oppure nel secondo Pilastro; nel secondo caso si tratterrebbe di modificare opportunamente le misure agro-ambientali nella nuova program-mazione 2014-2020 degli interventi di sviluppo rurale. Infine, le pratiche suggerite nell’ambito del gruppo 3 (misure volontarie) si configurano come azioni altamente specifiche e localizzate, da comprendersi tra le misure del secondo Pilastro. Fig. 1.5 Una proposta di greening

GRuPPO 1 Misure "quasi obbligatorie"

GRuPPO 2 Misure "quasi obbligatorie"

GRuPPO 3 Misure "volontarie"

Misure che non richiedono nessun adattamento alle condizioni locali:

- Mantenimento elementi non coltivati del paesaggio - Mantenimento pascoli e prati

permanenti

- Mantenimento agricoltura biologica

Misure che richiedono un certo adattamento alle condizioni locali: - Percentuale minima di set-aside

obbligatorio - Copertura suolo

- Mantenimento di habitat semi-naturali

- Schema aziendale di contabilità emissioni gas serra

Misure altamente specifiche e localizzate:

- Misure agro-ambientali locali - investimenti infrastrutturali in

nuove tecnologie - Misure orizzontali volte

all'integrazione tra obiettivi ambientali e vitalità rurale Fonte: Vanni (2011)

Nello studio citato si analizzano, inoltre, le principali implicazioni riguardo alla loro implementazione, in particolare rispetto al grado di sussidiarietà e alla flessibilità da concedere agli Stati membri e delle riflessioni e dei suggerimenti emersi si è tenuto conto nella formulazione delle proposte regolamentari dell’ot-tobre 2011 della PAC 2014-2020 (cfr. quanto detto al successivo par. 1.3). Le diverse opzioni sono state oggetto di un intenso dibattito, poiché è evidente che l'estensio-ne di azioni obbligatorie l'estensio-nell'ambito del primo Pilastro (attraverso il greening, cfr. par 1.3) avrà importanti implicazioni sulla struttura globale della PAC, in partico-lare sugli standard della condizionalità e sulla progettazione e implementazione di azioni volontarie nell'ambito dei programmi di sviluppo rurale.

Sebbene una sempre maggiore attenzione alle problematiche ambientali da parte dell'agricoltura non costituisca un orientamento nuovo nell’Unione euro-pea, il ri-orientamento della PAC verso una più efficace fornitura di beni pubblici ambientali pare configurarsi come un’evoluzione necessaria e non differibile. Le modifiche all'attuale struttura della PAC proposte nello studio sopraccitato rap-presentano un primo passo verso un cambiamento più radicale, che assai verosi-milmente richiederà un orizzonte temporale più ampio (Vanni, 2011).

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1.3 L’attenzione ai beni pubblici nella PAC 2014-2020

Le proposte di regolamento concernenti le misure di politica agricola da attuarsi nel periodo 2014-2020, approvate nell’ottobre 2011 dalla Commissione europea contengono chiare indicazioni in merito alla necessità di incrementare la fornitura di beni pubblici di origine agricola, in special modo di beni e di servizi am-bientali (Commissione europea, 2011a e 2011b). Il Parlamento europeo, inoltre, ha sottolineato che i fondi pubblici devono essere riconosciuti come forma legittima di pagamento per beni pubblici, forniti alla società, i cui costi non sono compensati dai prezzi di mercato (Parlamento europeo, 2011).

Nel corso del 2012 e nei primi mesi del 2013 le succitate proposte sono state oggetto di ampia discussione da parte del Consiglio e del Parlamento europeo, con l’obiettivo di dare vita al più presto a una nuova generazione di programmi nell’ambito della politica agricola comunitaria. In esse si richiamano le finalità già in precedenza enunciate con la Strategia Europa 2020 (Commissione europea, 2010) secondo cui gli obiettivi strategici della futura PAC sono una produzione ali-mentare redditizia, la gestione sostenibile delle risorse naturali e l’azione per il clima e, ancora, uno sviluppo territoriale equilibrato.

La produzione di beni e servizi pubblici da parte dell’agricoltura deve es-sere garantita a costi ragionevoli per la collettività attraverso interventi di cui sia provata l’efficacia; perciò molti interventi contemplati dalle proposte della Com-missione europea garantiscono incentivi intesi a remunerare le perdite di reddito e i maggiori costi sostenuti dagli agricoltori e da altri soggetti pubblici o privati impegnati nella loro produzione. La discussione è stata particolarmente acce-sa, a lungo focalizzata proprio sui costi che gli agricoltori saranno effettivamente chiamati a sostenere per accedere ai benefici della futura PAC, ma anche sull’ef-ficacia in termini ambientali delle misure che saranno oggetto di finanziamento comunitario.

Giova sottolineare il fatto che, ancor più che in passato, nella PAC 2014-2020 alla realizzazione degli obiettivi ambientali contribuiscono sia il primo che il secondo Pilastro, vale a dire che gli stessi sono perseguiti tanto con i pagamenti diretti che attraverso gli interventi di sviluppo rurale (fig. 1.6).

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Fig. 1.6 Azione congiunta I e II Pilastro nella PAC 2014-2020

Effetti ambientali

Nuovo livello di riferimento (baseline)

Incentivi,

compensazioni Costi a carico della società

Livello di riferimento (baseline) Regolamenti e norme Costi a carico dell'agricoltore Misure Agro- Climatico-Ambientali GREENING Condizionalità Fonte: Vanni (2013)

La principale novità introdotta dalla proposta di regolamento sugli aiu-ti diretaiu-ti è senz’altro rappresentata dal greening (“inverdimento” o pagamento ecologico) definito come un pagamento per le pratiche agricole benefiche per il clima e l’ambiente2. Nella parte introduttiva della proposta di regolamento si

sottolinea, infatti, come uno degli obiettivi più importanti perseguiti dalla nuova PAC consista proprio nel miglioramento delle prestazioni ambientali attraverso una componente obbligatoria di greening dei pagamenti diretti, a sostegno di pratiche agricole benefiche per il clima e l'ambiente, applicabile in tutta l'Unio-ne europea (Commissiol'Unio-ne europea, 2011a). A tale scopo si suggerisce che gli Stati membri utilizzino parte dei loro massimali nazionali dei pagamenti diretti per concedere agli agricoltori un pagamento annuo, in aggiunta al pagamento di base, per pratiche obbligatorie volte a conseguire in via prioritaria obiettivi climatico-ambientali.

Il greening costituisce la seconda componente degli aiuti della futura PAC per importanza, dopo il pagamento di base, per un ammontare corrispondente al 30% del massimale nazionale, uguale per tutti gli Stati membri. Esso dovrà essere

2 L’intento è quello di "...accelerare il processo volto a inglobare nella PAC gli aspetti ambientali, introducendo una forte componente di inverdimento nel primo pilastro affinché tutti gli agricoltori dell'Unione europea che ricevono il sostegno vadano oltre gli obblighi di condizionalità e svolgano quotidianamente un'azione benefica per il clima e per l'ambiente” Commissione europea, 2011a).

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erogato annualmente per ettaro ammissibile di superficie agricola3 e gli

agricol-tori ne avranno diritto a condizione che percepiscano il pagamento di base e che rispettino sui loro ettari ammissibili tre pratiche agricole considerate benefiche per clima e ambiente:

- diversificazione delle colture: per le sole superfici a seminativo superiori a 3 ettari, il piano colturale deve prevedere la presenza contemporanea di almeno tre colture differenti con una superficie compresa per ognuna tra il 5 e il 70% della superficie a seminativo;

- mantenimento dei prati permanenti: gli agricoltori devono mantenere le superfici a foraggere permanenti (è consentita una soglia massima di con-versione delle superfici investite a prati e pascoli pari al 5%);

- presenza del 7% di aree di interesse ecologico: esclusa la superficie azien-dale allocata a foraggere permanenti, queste aree includono i maggesi, le superfici terrazzate e/o dedicate al mantenimento del paesaggio, le fasce tampone, le aree afforestate.

Le suddette pratiche agricole vanno rispettate congiuntamente, salvo nel caso di presenza di soli prati permanenti. Se si accerta che un beneficiario non rispetta gli impegni del greening, l’ammontare del pagamento ecologico e del pa-gamento di base, è revocato in toto o in parte. La riduzione è graduata in funzio-ne della gravità, della portata, della durata e della ripetiziofunzio-ne dell’inadempienza. Quindi i vincoli del greening sono di fatto obbligatori per l’agricoltore che intende accedere all’intero sistema dei pagamenti diretti, in quanto il loro mancato rispetto si ripercuote anche sul pagamento di base; si tratta, in altre parole, di una sorta di “condizionalità rafforzata” (De Filippis, 2012).

Alcune stime, ricavate dai dati statistici disponibili e basate su alcune neces-sarie approssimazioni, sono state formulate per valutare l’impatto sull’agricoltura italiana delle tre misure di greening proposte dalla Commissione europea (Povel-lato e Longhitano, 2011). Secondo tali stime, nel complesso, la superficie soggetta a greening potrebbe aggirarsi intorno a 11,7 milioni di ettari, di cui 888.000 ettari appartengono a enti pubblici. L’obbligo più discusso riguarda le aree di interesse ecologico, che riguarda tutte le aziende agricole italiane, con esclusione di quelle che hanno soltanto prati e pascoli permanenti. La superficie soggetta a questo obbligo è stimabile in 8,5 milioni di ettari talché, potenzialmente, gli ettari da dedi-care a elementi non coltivati sono all’incirca 600.000 e, attualmente, la

distribuzio-3 Si stima che il pagamento ecologico possa attestarsi sui 90-100 euro/ettaro, con differenze anche significative tra regioni, nell’ipotesi di applicazione della nuova PAC a livello regionale (De Filippis, 2012).

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ne di tali elementi risulta alquanto eterogenea, essendo per lo più concentrati in aree montane e collinari, mentre in pianura si renderebbe necessaria un’ulteriore conversione di almeno il 2,5% della superficie coltivata.

Come già accennato, il dibattito in merito alle proposte di riforma della PAC è molto acceso e le critiche nei confronti del greening, in particolare, sono numerose e sono di segno opposto a seconda che siano esse formulate dal mondo ambienta-lista ovvero dai rappresentanti degli agricoltori. Da un lato si sostiene che la politi-ca agricola europea va senz’altro nella giusta direzione, ma che si fa ancora troppo poco, soprattutto visto l’ammontare delle risorse finanziarie impiegate4. Così come

emerge dalle analisi svolte dall’Agenzia per la Valutazione Ambientale olandese, l’impatto positivo delle proposte della Commissione dell’ottobre 2011 sulla sal-vaguardia della biodiversità negli agro-ecosistemi e sulla riduzione dei gas serra risulterà, probabilmente, piuttosto contenuta (H. van Zeijts et al., 2011; PBL, 2012) e, in particolare, per effetto del greening potrà aversi un potenziale incremento del 3% di diversità biologica nel 2020 sulla superficie agricola dell’UE-27.

L’obbligo inteso ad aumentare le superfici d’interesse ecologico rappresenta senza dubbio un intervento assai significativo, benché si critichi fortemente la pos-sibilità (contemplata dalla proposta della Commissione europea) concessa all’agri-coltore di variare di anno in anno la localizzazione delle aree di interesse ecologico e si rilevi come l’efficacia dell’intervento potrebbe essere ulteriormente accresciuta qualora esso fosse adattato alle specifiche condizioni locali e qualora la realizzazio-ne di infrastrutture ecologiche fosse coordinata a livello regionale e locale.

Di tutt’altra natura sono le critiche espresse dalle imprese agricole: la pro-posta della Commissione europea relativa al greening sarebbe inaccettabile per-ché determinerebbe un aumento dei costi di produzione e, quindi, una riduzione della competitività delle imprese. Tuttavia, poiché la corresponsione del sostegno comunitario è in parte giustificata dalla produzione da parte delle aziende agricole di beni pubblici ambientali, essa dovrà necessariamente avere un impatto sulle attività delle imprese e sui loro costi di produzione, perché le imprese saranno chiamate a modificare i loro comportamenti rispetto a quelli determinati esclu-sivamente sulla base dei loro interessi privati. Invece, ciò che può essere messo in discussione è l’entità dell’aiuto, al fine di verificare se esso è effettivamente in grado di compensare i costi aggiuntivi che l’azienda agricola deve sostenere per attuare il greening.

4 A livello europeo si stima che gli Stati membri assegnino al greening il 30% del budget a favore del primo Pilastro, per un totale annuo di 13 miliardi di euro (PBL, 2012).

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In effetti, la Commissione europea stima effetti economici “modesti” dall’ap-plicazione del greening: nella UE-27 le aziende agricole che dovranno adeguare la propria struttura produttiva subiranno un aggravio di costi pari a 43 euro per etta-ro e si prevede, inoltre, un aumento dei prezzi agricoli per effetto della riduzione dell’offerta; nel caso specifico dell’Italia il costo unitario di attuazione delle misure di greening è stimato in 30 euro per ettaro, contro una media di 33 euro per ettaro a livello comunitario (European Commission, 2011).

Un giudizio almeno parzialmente positivo sul greening è quello espresso dal Groupe de Bruges (2012) secondo cui l’introduzione di una componente verde nei pagamenti diretti si configura come una chiara e positiva innovazione della politica agricola comunitaria. Le misure del greening, tuttavia, paiono piuttosto rigide e non in grado di consentire agli agricoltori di migliorare l’efficacia delle loro performance ecologiche. Pertanto si suggerisce di introdurre, a livello europeo, un menù di misure di greening, dal quale ogni Stato membro o Regione possa sce-gliere quali maggiormente si attagliano al proprio territorio e sistema agricolo5.

Tale menù comprenderebbe obblighi diversificati in relazione ai possibili campi d’azione (gestione delle acque, gestione del suolo, tutela della biodiversità, ecc.) e contemplerebbe interventi con diversi gradi di complessità (e di efficacia) che po-trebbero riguardare anche le misure agro-ambientali attivate con il secondo Pila-stro della PAC. L’adozione da parte degli agricoltori di pratiche agro-ecologiche via via più complesse consentirebbe agli stessi di migliorare le proprie performance ambientali e di ottenere pagamenti differenziati a seconda della maggiore o mino-re onerosità degli obblighi (Groupe de Bruges, 2012).

Nelle fasi più recenti del negoziato politico sul greening alle proposte re-golamentari sono stati avanzati da parte del Parlamento e del Consiglio europeo numerosi emendamenti intesi a suggerire condizioni assai meno restrittive per le aziende agricole. Per esempio, in caso di mancato rispetto degli impegni le san-zioni sarebbero limitate alla sola componente ambientale dei pagamenti diretti - e non all’intero pagamento di base - mentre il diritto ai “pagamenti verdi” verrebbe esteso automaticamente anche alle aziende che già sono oggetto di certificazione ambientale o che aderiscono a misure agroambientali dello sviluppo rurale e, an-cora, a quelle in cui i tre quarti della superficie è interessata da colture sommerse quale il riso.

Pure, impegni meno stringenti vengono indicati a riguardo delle aree di inte-resse ecologico: la Commissione Agricoltura del Parlamento europeo (COMAGRI)

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suggerisce, infatti, che siano esonerate le aziende agricole di dimensioni inferiori a 10 ettari, le coltivazioni arboree e i prati e pascoli permanenti e, per le restanti aziende, si prevede che l’obbligo di costituire un’area di interesse ecologico ri-guardi il 3% della superficie (anziché il 7% previsto dalla iniziale proposta della Commissione europea).

In merito al mantenimento dei prati permanenti6 nella proposta della

Com-missione tale requisito vale a livello aziendale mentre il Consiglio dei ministri ri-tiene necessario rendere l’obbligo meno stringente, consentendo agli Stati mem-bri di farlo rispettare a livello nazionale o regionale e, pure, dal dibattito emerge l’opportunità di allargare la definizione a tutte le superfici foraggere permanenti includendovi dunque anche i pascoli, oggetto specifico della presente ricerca.

Come in precedenza richiamato, la produzione di beni e di servizi ambien-tali è incentivata non soltanto dalle misure di greening, bensì soprattutto attraver-so la proposta di regolamento sul futuro dello sviluppo rurale nella quale le tema-tiche pertinenti l’ambiente, i cambiamenti climatici e l’innovazione sono indicate quali priorità orizzontali alle quali devono fare riferimento tutti gli altri strumenti e interventi.

Naturalmente, una differenza sostanziale tra il pagamento ecologico del primo Pilastro e il secondo Pilastro sta nel fatto che il primo è annuale, non è ba-sato su uno specifico contratto e si applica in modo generico a tutti gli agricoltori europei mentre le misure del secondo Pilastro consistono in impegni pluriennali basati su contratti stipulati dagli agricoltori e finalizzati al conseguimento di spe-cifiche priorità. Tuttavia, è significativo che nella premessa alla proposta di rego-lamento sullo sviluppo rurale si affermi che gli Stati membri debbono dedicare almeno il 25% del budget disponibile per il secondo Pilastro (stimato in circa 14,5 miliardi di euro per anno) per perseguire queste due priorità ambientali; stante la necessità di cofinanziamento a carico dei Paesi membri, il sostegno complessivo attraverso lo sviluppo rurale a questo tipo di azioni risulta significativamente mag-giore (PBL, 2012).

In linea con la Strategia Europa 2020, gli obiettivi generali del sostegno allo sviluppo rurale per il periodo 2014-2020 si traducono concretamente in sei prio-rità dell’Unione delle quali ben due hanno carattere specificamente ambientale: si tratta, precisamente, della priorità 4 “preservare, ripristinare e valorizzare gli

6 Alcune associazioni ambientaliste hanno criticato il fatto che questo requisito sarà attuato dal 2015, temendo che gli agricoltori possano convertire le superfici foraggere prima di quella data per non sottostare all’impegno del greening.

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ecosistemi dipendenti dall'agricoltura e dalle foreste” e della priorità 5 “incorag-giare l'uso efficiente delle risorse e il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima nel settore agroalimentare e forestale”7

(Commis-sione europea, 2011b).

Diverse misure di sviluppo rurale concorrono a incentivare la produzione di servizi ambientali da parte degli agricoltori e, più in generale, dei soggetti pubblici e privati operanti nel settore agro-forestale. Il Focus group della Rete Rurale eu-ropea per lo sviluppo rurale incaricato di indagare la fornitura di beni ambientali nei PSR 2007-2014 allo scopo di identificarne i fattori di successo e di fornire utili raccomandazioni per la redazione dei futuri programmi evidenzia quelle che sono le misure, o combinazioni di misure, da ritenersi maggiormente vantaggiose e atte a rispondere alle priorità ambientali indicate dall’UE (ENRD, 2012).

Tra queste figurano misure sulla consulenza e sul trasferimento di cono-scenze (Artt. 15 e 16); misure centrate sull’ambiente, quali la misura agro-clima-tico-ambientale (Art. 29) e la misura relativa a Natura 2000/direttiva quadro sulle acque (Art. 31); la misura sull’agricoltura biologica (Art. 30); indennità a favore delle zone soggette a vincoli naturali o ad altri vincoli (Art. 32); la misura sulla coo-perazione (Art. 36); investimenti in immobilizzazioni materiali (Art. 18); l’approccio LEADER (Artt. 42-45); e il partenariato europeo per l’innovazione8 (PEI), che

com-prende il sostegno all’innovazione “agro-ecologica” (Artt. 61-63).

La proposta della Commissione europea prevede la possibilità di estende-re le misuestende-re a beneficiari associati, con copertura dei costi di transazione - il cui massimale viene elevato dal 20% al 30% - se i beneficiari sono gruppi di agricoltori (per esempio: Art. 29: pagamenti agro-climatico-ambientali; Art. 30: agricoltura biologica) riconoscendo in tal modo l’importante ruolo svolto dalle azioni collettive. La stessa, inoltre, pone una forte enfasi sulle misure di tipo orizzontale e

sull’inno-7 La proposta per la politica di sviluppo rurale 2014-2020 prevede 18 “aree di interesse” (focus are-as) per le sei priorità unionali; segnatamente, gli aspetti per le priorità relative alla fornitura di servizi ambientali (priorità 4 e 5) includono: salvaguardia e ripristino della biodiversità; migliore gestione delle risorse idriche e del suolo; uso efficiente dell’acqua e dell’energia in agricoltura; approvvigionamento e utilizzo di fonti di energia rinnovabili; riduzione delle emissioni di metano e di protossido di azoto a carico dell’agricoltura; e promuovere il sequestro del carbonio nel settore agricolo e forestale.

8 Al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi del PEI in materia di produttività e sostenibi-lità dell'agricoltura, occorre istituire una rete PEI (da finanziarsi a livello UE a titolo di assistenza tecnica) che riunisca i gruppi operativi, i servizi di consulenza e i ricercatori che partecipano ad azioni finalizzate all'innovazione nel settore agricolo.

Figura

Fig. 1.1 Beni pubblici e beni privati
Fig. 1.2 Clas
Fig. 1.4 Beni pubblici: il modello di fondo della Commissione europea (DG-AGRI)
Fig. 1.6 Azione congiunta I e II Pilastro nella PAC 2014-2020
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