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L’evoluzione dell’approccio collettivo alla gestione delle risorse agricole in Valle d’Aosta

PRATI E DEI PASCOLI IN VALLE D’AOSTA

3.2 L’evoluzione dell’approccio collettivo alla gestione delle risorse agricole in Valle d’Aosta

Se, come si è evidenziato nel capitolo precedente, le caratteristiche territo- riali in Valle d’Aosta hanno orientato le scelte produttive del settore agricolo verso un allevamento di tipo estensivo, la connotazione montana del territorio ha, da sempre, indirizzato l’organizzazione del lavoro verso forme collettive: “La confi- gurazione geografica della Vallée è indubbiamente un fattore determinante nell’a- ver in essa favorito, più dell’agricoltura intensiva, la pastorizia; di conseguenza, l’esigenza imprescindibile e ab immemorabili di vasti pascoli usati da gruppi di famiglie o di centri abitati (hameaux); pascoli che in molti casi più propriamente si dovrebbero chiamare alpeggi in quanto […] nei documenti più risalenti nel tempo (sec. XII) ai pascua di proprietà consortile è sempre unita l’alpis.” (Benedetto, anno di pubblicazione non indicato).

L’approccio collettivo nasce, in un contesto alpino come quello della regione, proprio per garantire la fruizione e la gestione ottimale di importanti risorse quali pascoli, boschi, corsi d’acqua da parte delle comunità locali. Il carattere collettivo di tali forme di gestione non è frutto di un’imposizione esterna ma della naturale risposta alle esigenze economiche degli abitanti di villaggi montani, nei quali gli assetti proprietari individualistici non sarebbero stati funzionali allo svolgimento delle attività che erano alla base della vita economica delle comunità, vale a dire agricoltura e, soprattutto, allevamento del bestiame. Questa particolare imposta- zione si riflette chiaramente nella struttura stessa dei tradizionali villaggi rurali, espressione diretta dell’organizzazione sociale, dei valori culturali e dei rapporti che caratterizzavano la comunità; le hameau diventa così l’elemento di regolazio- ne di un sistema il cui equilibrio si fonda su semplici equazioni: ad una determi- nata estensione di pascolo corrisponde un dato numero di capi e un conseguente numero di famiglie. Nella comunità del villaggio ogni famiglia aveva quindi accesso agli edifici collettivi: la latteria, il mulino, il forno per il pane, la scuola e alle ri-

sorse comuni circostanti, in particolare pascoli e boschi (Comitato scientifico del Musée Petit-Monde, 2009).

Questo approccio si concretizza, dal punto di vista giuridico, nell’istituto della Consorteria: forma di dominio collettivo che in Valle d’Aosta ha origini an- tichissime, fatte risalire alla Lex Burgundionum del V secolo d.C. che delinea già chiaramente quella che sarebbe poi diventata la struttura tipica di una parte delle Consorterie valdostane, quelle “uti universi” (Benedetto, 1983). Senza volersi ad- dentrare nei dibattiti relativi alla natura giuridica e alle diverse ipotesi classificato- rie concernenti le Consorterie valdostane, importa in questa sede mettere in luce alcuni tratti caratterizzanti l’approccio collettivo che in esse si sostanzia.

Come evidenziato nel commento introduttivo di René Viérin (1997) alla tra- scrizione dei tre Règlements d’alpages di Verconey, datati rispettivamente 1647, 1674 e 1749, il ruolo delle Consorterie è più ampio rispetto alla sola gestione della pratica d’alpeggio: dai regolamenti si evince un equilibrato insieme di norme a garanzia dell’ottimale sfruttamento dei pascoli contro comportamenti opportuni- stici degli utilizzatori, che mette in luce la capacità di autoregolamentazione dei soggetti coinvolti. Le regole concordate tra i soggetti interessati, in un processo di governo cooperativo “dal basso”, non solo forniscono un’immediata risposta alle necessità del gruppo ma presentano un carattere di flessibilità ed adattabilità al mutare delle esigenze a tutto vantaggio dell’efficacia gestionale.

La Consorteria nasce per rispondere alle esigenze di una comunità locale fortemente radicata sul territorio; in essa le relazioni sociali, la condivisione di un insieme di valori e, soprattutto, di un’uguale “visione del mondo” si legano stretta- mente ad una profonda conoscenza della realtà fisica ed ecologica locale, derivan- te dall’esperienza di generazioni precedenti (Bravo, 2002).

In vista delle riflessioni che verranno svolte nei paragrafi successivi, è im- portante qui sottolineare come gli individui componenti la comunità avessero que- sta sostanziale comunanza di prospettiva, con uguali fabbisogni e obiettivi. La Con- sorteria radunava famiglie, abitanti di un villaggio o di una frazione, accomunate non solo dal territorio ma anche dallo svolgimento di una stessa attività agricola – con particolare riferimento all’allevamento – con uguali ritmi, metodi di lavoro e savoir faire. Le famiglie, inoltre, risiedevano nella maggior parte dei casi in uno stesso villaggio: il legame hameau – Consorteria era particolarmente forte nelle Consorterie comunemente definite “uti universi”, nelle quali proprio l’essere pro- prietario e conduttore di terre in un dato luogo è condizione essenziale per essere consorzista. Confini territoriali ben definiti, conoscenza del territorio, condivisione di esperienze e prospettive sono tutti aspetti che facilitavano nel gruppo il raggiun-

gimento e l’implementazione di accordi che riguardavano problematiche comuni, garantendo il permanere dell’equilibrio tra lo sfruttamento e il mantenimento del- le risorse nell’interesse del gruppo stesso.

Benché anche ai giorni nostri sia identificabile, come si illustrerà nei para- grafi successivi, un approccio collettivo allo sfruttamento delle superfici foraggere, ampiamente condizionato, ancora oggi, dalla morfologia e dalle caratteristiche del territorio alpino, emerge in maniera evidente il progressivo abbandono dello stru- mento giuridico sottostante, l’istituto della Consorteria che, per secoli, ha avuto un ruolo di primaria importanza nella corretta gestione delle risorse territoriali valdostane.

Le motivazioni alla base della situazione di incertezza e di progressivo di- sinteresse per tale strumento sono sicuramente molteplici (Louvin, 2004); tra di esse sono annoverabili gli inadeguati tentativi di riordino e categorizzazione dell’i- stituto da parte della legge (in primis la Legge 16 giugno 1927, n. 1766, causa di innumerevoli conflitti in Valle d’Aosta), l’appesantimento gestionale imposto dalla normativa di riferimento e, in parallelo, il crescente uso alternativo dello strumen- to consortile (consorzi di miglioramento fondiario) nella realizzazione di opere sul territorio. È tuttavia indubbio che il declino sia legato prioritariamente ai profondi mutamenti economici e sociali del contesto regionale che hanno subito, nel corso della seconda metà del secolo scorso, una forte accelerazione: si pensi, in parti- colare, all’emergenza e al rapido sviluppo del settore turistico, e del terziario in generale, con la contestuale perdita di attrattività del settore agricolo.

Attualmente, con riferimento alla gestione dei pascoli, l’azione delle Con- sorterie si sostanzia, in un’ottica contrattualistica privata, nell’affitto degli alpeggi a terzi, a scapito della secolare gestione comunitaria degli stessi. L’indebolimento dello strumento collettivo per eccellenza e il suo appiattimento su schemi tradizio- nali, pubblicistici o privatistici, non deve tuttavia portare a trascurarne i fondamen- tali principi regolatori che hanno permesso per secoli alle comunità valdostane di amministrare in modo sostenibile le proprie risorse: dalla cooperazione tra i diversi soggetti proprietari, al rispetto degli equilibri ambientali, dalla conoscenza del territorio alla partecipazione delle comunità ai processi decisionali (per un’a- nalisi approfondita della categoria dei beni comuni in Valle d’Aosta cfr. Faval, 2011). A quarant’anni esatti dalla legge regionale n. 14 del 5 aprile 1973 recante “Norme riguardanti le Consorterie della Valle d’Aosta”, unico tentativo di norma- re la materia a livello regionale, può dunque essere utile una “riappropriazione” di questo importante strumento per rispondere alle attuali esigenze, lontani da logiche puramente conservative. In un contesto socio-economico profondamente

cambiato, la riappropriazione non può che passare attraverso il corretto inseri- mento del sistema delle consorterie nel complesso quadro delle attività che oggi si esplicano sul territorio, allargando la prospettiva dalle attività silvo-pastorali a quelle turistico-ricreative, dalla gestione delle acque per scopi agricoli alla produ- zione di energia idroelettrica, dalla manutenzione del territorio alla prevenzione dei rischi idrogeologici e alla difesa dell’ambiente (Louvin, 2012).

3.3 I fattori che influenzano l’approccio collettivo alla gestione