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Quali beni pubblici dai prati e dai pascoli montani?

COLTIVAzIONI fORAggERE E BENI PUBBLIC

2.3 Quali beni pubblici dai prati e dai pascoli montani?

La corretta utilizzazione dei prati montani e dei pascoli d’alpeggio e la tra- dizionale gestione degli allevamenti (con scambi interaziendali di capi durante i mesi estivi) concorrono alla produzione di svariati beni o servizi di cui beneficia sia la collettività locale sia i turisti provenienti da fuori Valle.

Prati e pascoli sono agro-ecosistemi che si distinguono dalle altre colture agrarie per la multivalenza, in quanto essi abbinano alla funzione produttiva una serie di valenze di carattere extra-produttivo, assimilabili per molti aspetti a quelle

degli ecosistemi naturali (Gusmeroli, 2012). Le funzioni specifiche svolte dai cotici erbosi sono riassunte in tabella 2.11; alle funzioni extra-produttive corrispondono specifici servizi, per lo più a carattere ambientale (salvaguardia della biodiversità e della funzionalità del suolo, riduzione dell’erosione superficiale e stabilizzazione dei versanti, prevenzione degli incendi, ecc.) ma anche di azioni atte a preservare il paesaggio e la cultura tradizionale o, in generale, a garantire la vitalità anche economica dei territori più marginali.

L’importante funzione protettiva esercitata dai prati e dai pascoli montani con- siste innanzitutto nel mantenimento della fertilità dei suoli in quanto la presenza del cotico erboso ostacola la lisciviazione e la dispersione nell’ambiente degli elementi minerali. Pure, la presenza della vegetazione favorisce la stabilità dei versanti, in quanto viene attutita l’azione battente delle piogge, con riduzione del ruscellamento e dell’erosione. In presenza di formazioni erbacee l’assestamento del manto nevo- so è favorito, cosicché si riduce notevolmente il rischio di valanghe e, pur essendo l’effetto anti-incendio prerogativa di tutti gli spazi aperti (ivi compresi gli arativi) nel caso dei pascoli appare più significativo in relazione alla loro dislocazione nella fa- scia bioclimatica delle foreste, in particolare di resinose (Gusmeroli, 2012).

Gli effetti benefici in termini di salvaguardia della biodiversità vegetale con- nessi alla presenza dei prati e dei pascoli e alle diverse modalità di utilizzazione delle foraggere permanenti in Valle d’Aosta sono ampiamente documentate da specifici studi condotti a livello locale (Tarello et al., 2004; Bassignana et al., 2009; Bassignana et al., 2011a e 2011b).

Per quanto concerne specificamente i prati permanenti la salvaguardia della biodiversità è strettamente connessa alla diversità della vegetazione e alle pratiche gestionali messe in atto dagli agricoltori. A livello di singola parcella l’in- tensità di gestione (numero di sfalci nel corso dell’anno, livello di fertilizzazione) determina in modo rilevante la produzione foraggera e la ricchezza di specie delle vegetazioni prative mentre a livello aziendale c’è un’ampia varietà di prati in con- seguenza della variazione d’intensità delle pratiche agricole e della diversità delle condizioni ambientali (più o meno umide o, al contrario, più o meno secche).

Le tipologie di prato stabile rinvenibili in Valle d’Aosta sono dunque alquanto diversificate: da prati piuttosto produttivi e nell’insieme meno ricchi di specie, fino a prati meno produttivi ma più diversificati. I prati relativamente intensivi (sfalci abbastanza precoci, fertilizzazione relativamente elevata) assicurano un’abbon- dante produzione di fieno dall’alto valore nutritivo, mentre i prati più estensivi per- mettono di raccogliere un fieno di buona qualità anche se si effettuano sfalci più tardivi (Curtaz e Talichet, 2011).

Tab. 2.11 Servizi forniti dagli agrosistemi naturali, con particolare riguardo ai prati e pascoli alpini

Funzione produttiva

Produzione in aree inadatte alle colture agrarie Produzione stabile nel tempo

Trasformazione della cellulosa in principi nutritivi utilizzabili dall’uomo

Funzione protettiva

Miglioramento della fertilità del suolo Salvaguardia delle comunità biotiche del suolo Controllo dei rilasci di azoto e fosforo

Trattenimento e degradazione di molecole tossiche di antiparassitari Riduzione dell’erosione superficiale

Trattenimento della coltre nevosa

Prevenzione e contenimento degli incendi Tutela della fauna selvatica

Funzione ecologica

Potenziamento della biodiversità ecosistemica e specifica

Funzione storico-culturale

Costituzione del paesaggio culturale Mantenimento di spazi aperti e fruibili Custodia dell’identità alpina Fonte: Gusmeroli, 2012

Più in generale, considerando la notevole varietà di prati, pascoli e incol- ti produttivi che - a dispetto della contenuta estensione territoriale e delle omo- genee condizioni orografiche e climatiche della regione alpina - caratterizzano il sistema agricolo valdostano, le decisioni assunte dagli allevatori in merito alla gestione delle superfici foraggere influiscono in modo determinante sulla conser- vazione delle risorse foraggere. Dalle analisi condotte da Bassignana et al. (2011b) le superfici che vengono sia pascolate che sfalciate e affienate risultano avere un più elevato numero di specie vegetali rispetto a quelle la cui tecnica di utilizzazione è meno complessa.

L’interesse collettivo per la conservazione dei pascoli d’alpe non ha quale obiettivo solamente la biodiversità vegetale ma tiene conto anche degli effetti posi- tivi in termini di salvaguardia della biodiversità animale, con specifico riferimento alla fauna superiore erbivora e all’avifauna che popola l’ambiente alpino.

Infatti, il pascolo estivo condotto anche sulle superfici alle quote più eleva- te impedisce alle specie vegetali meno appetibili per il bestiame di svilupparsi e propagarsi, a vantaggio di quelle foraggere più facilmente digeribili il cui ricaccio è favorito durante la stagione estiva; nel contempo si migliora ovviamente la va-

rietà floristica dei pascoli. La fauna selvatica (camosci, stambecchi, cervi) trova nei pascoli alpini gli alimenti nel periodo immediatamente successivo al disgelo e nel tardo autunno (studi sulla competizione alimentare fra bovini e selvatici dimostra- no il vantaggio che questi ultimi traggono dalle superfici pascolate dai bovini). Infi- ne, la presenza di radure e di pascoli è essenziale alla sopravvivenza dell’avifauna tetraonide, rappresentata in Valle d’Aosta, dal gallo forcello o fagiano di monte e dalla pernice bianca (considerata, quest’ultima, specie vulnerabile).

La conservazione del tipico paesaggio alpino è di per sé un valore impre- scindibile in quanto consente di mantenere l’attrattiva esercitata dalle zone ru- rali come luoghi residenziali o destinazioni turistiche. Come evidenziato nel PSR 2007-2013 della Valle d’Aosta, l’agricoltura e, in particolare, l’alpicoltura hanno contribuito nei secoli a modellare il paesaggio della regione e, grazie alla strut- tura aziendale e sociale sviluppata lungo i diversi piani altitudinali, a una gestione capillare del territorio. La presenza contemporanea di agricoltura e allevamento ha portato allo sviluppo di un mosaico molto complesso di appezzamenti destinati alle diverse coltivazioni e, segnatamente, alla produzione di foraggio. Gli habitat “naturali” (boschi e macchie boscate, rocce e pareti rocciose, cespuglieti, …) si in- tegrano in questo tessuto contribuendo a creare i contrasti volumetrici e cromatici che costituiscono un fondamentale elemento identificativo del paesaggio alpino e, come detto, di tutto ciò beneficia non solamente la popolazione residente, ma anche i visitatori.

Il mantenimento del paesaggio montano e, segnatamente, delle malghe al- pine è strettamente legato alle modalità di utilizzazione e alle pratiche di gestione seguite nella conduzione degli alpeggi: per esempio, la riduzione della frequenta- zione da parte degli animali, legata ad un carico insufficiente o all’abbandono del pascolo, consente alla flora arbustiva di espandersi e conduce alla trasformazione del pascolo in bosco o, a quote superiori, nella preesistente landa a mirtilli, a ro- dodendro o a ginepro. Tuttavia, siccome l’involuzione da pascolo pingue a landa - habitat caratterizzato da vegetazione arbustiva aperta, a crescita bassa - richie- de almeno 50 anni, soprattutto nei primi anni dopo l’abbandono delle pratiche di corretta gestione si ha un’ingannevole impressione di stabilità nella copertura er- bacea (Bassignana, 2005).

Tra le pratiche colturali indispensabili al mantenimento dei pascoli d’alpe è la corretta fertilizzazione che consente di contrastare la spontanea tendenza all’impoverimento del suolo a causa del dilavamento operato dalle precipitazioni. In assenza di fertirrigazione i pascoli pingui degradano prima a pascoli di medio va- lore, dominati dall’associazione Festuca-Agrostis, poi a pascoli magri, dominati da

Nardus stricta e, infine, se accompagnata dalla riduzione della pressione di pasco- lamento - vedi fenomeni di insufficiente carico del bestiame e, dunque, di sottou- tilizzazione dei pascoli - conduce alla trasformazione in landa (Bassignana, 2005).

Già è stato notato come la conservazione del paesaggio alpino sia importan- te per mantenere l’attrattiva esercitata dalle zone rurali come luoghi residenziali o destinazioni turistiche. Si evidenzia tuttavia la necessità di una maggiore inte- grazione tra l’agricoltura e il settore terziario, nella fattispecie gli operatori del commercio e del turismo; in questi ultimi – e, più in generale, nella popolazione - sarebbe auspicabile una maggiore consapevolezza dei vantaggi legati alla più ele- vata qualità della vita garantita dall’esercizio dell’agricoltura e dell’allevamento.

Si auspica, inoltre, una sempre maggior concertazione tra turismo e realtà agricola al fine di creare un dialogo costruttivo che porti vantaggi a entrambe; da una parte, la fruizione di un ambiente rurale ben curato e dall’altra una maggiore redditività legata alla filiera corta e alla valorizzazione dei propri prodotti. Nell’in- centivare l’impiego dei prodotti agroalimentari locali22, ristoratori e operatori turisti-

ci debbono “… prendere coscienza del fatto che non acquistano unicamente un pro- dotto dall’agricoltore, ma acquistano anche il diritto di fruire di un territorio rurale ben curato su cui anche la loro attività turistica trae beneficio” (Lale Murix, 2008).

Con specifico riferimento alle malghe e ai pascoli in quota, è il caso di sotto- lineare come nelle regioni dell’Arco Alpino abbia avuto sempre maggior impulso il cosiddetto “turismo d’alpeggio” essendosi ovunque moltiplicate (a partire dall’an- no 2000) le visite organizzate con spiegazioni sull’attività d’alpeggio, dimostrazioni dal vivo sulla lavorazione del latte, degustazioni dei prodotti ottenuti sul posto e altre attività con degustazione (Corti, 2004). A tale riguardo, bisogna ricordare il successo in termini di partecipazione riscosso in Valle d’Aosta dall’iniziativa deno- minata “Alpages ouverts” giunta nel 2012 alla tredicesima edizione23.

La funzione storico-culturale annessa ai pascoli alpini e, più in generale, alla pratica estensiva dell’allevamento dei bovini e degli ovi-caprini assume particolare importanza nella regione alpina, dove la salita (inarpa) e la discesa (desarpa) delle

22 Va detto che in Valle d’Aosta non mancano esperienze di questo tipo, da additarsi quali best practi- ces (cfr. al successivo paragrafo 3.5 la descrizione del progetto Ayas a km 0).

23 Manifestazione organizzata a partire dall’anno 2000 dall’Association Régionale Eleveurs Valdotâines (AREV) con il contributo dell’Assessorato Agricoltura e Risorse Naturali della Regione Autonoma Valle d’Aosta. Consiste nella visita guidata, durante la stagione estiva, a 6-7 alpeggi raggiungibili in una-tre ore di marcia con percorsi didattici che mostrano cosa succede nei vari spazi dell'alpeggio - in particolare nella casera -, degustazioni di prodotti caseari e con giochi e animazioni a favore dei bambini.

mandrie dalle malghe sono eventi attesi e occasione di festeggiamenti per le co- munità locali, senza contare il diffuso interesse per le Batailles de Reines24 e per le

Batailles de chèvres25 che danno vita a un calendario sportivo distribuito nel corso

dell’anno dalla primavera all’autunno.

Al termine di questa breve rassegna intesa ad evidenziare i beni pubblici connessi all’utilizzazione dei prati e dei pascoli alpini preme sottolineare come ai numerosi servizi di natura ambientale si affianchino esternalità legate alla cultu- ra locale e all’accoglienza turistica, altrettanto rilevanti quanto quelle legate alle funzioni più propriamente ecologiche e ambientali. Di qui la necessità di sostenere il sistema zootecnico valdostano, così strettamente connesso allo sfruttamento delle risorse foraggere mediante agrotecniche e metodi di allevamento estensivi e al contempo basato su una complessa rete di relazioni coinvolgente disparati soggetti (allevatori, conduttori degli alpeggi, proprietari dei fondi, ecc.) che collet- tivamente contribuiscono a mantenere vitali le tradizioni locali e a rendere fruibile alla popolazione e ai turisti il territorio alpino.

24 “In Valle d’ Aosta le reines sono i rappresentanti più battaglieri della razza bovina Valdostana Pez- zata Nera e Castana, quelli che animano le lotte all’ interno delle mandrie. Esse posseggono ca- ratteristiche morfologiche che le distinguono dalle compagne: corporatura possente e muscolosa, fronte larga dotata di corna robuste, orientate normalmente in avanti. I combattimenti tra que- ste avvengono spontaneamente durante la mescolanza all’ interno di una stessa mandria o di più mandrie come in occasione della salita in alpeggio. Sono loro stesse che scelgono l’avversaria ed il momento più propizio per l’attacco. Le batailles programmate sono invece organizzate dall’As- sociation Régionale Amis Batailles de Reines mediante concorsi pubblici ad eliminazione diretta, su di un’area appositamente scelta ed adeguata e contro un’avversaria assegnata a sorteggio. Si svolgono ogni anno e le concorrenti meglio classificate sono ammesse a partecipare al concorso finale regionale per l’ assegnazione del titolo di reina delle reines di ogni categoria. Durante lo svol- gimento delle Batailles de Reines non c’è forzatura a lottare da parte dell’ allevatore che rimane spettatore. La competizione è leale, l’animale lotta contro un simile ad armi pari, non c’è lo scopo di eliminare l’avversaria ma di ottenerne la sottomissione con una più o meno onorevole sconfitta. In Valle d’Aosta questi combattimenti hanno assunto un grande interesse non solo nel mondo agri- colo, fanno parte di una cultura e di una tradizione di cui noi valdostani siamo orgogliosi e tenaci assertori” (Fonte: http://www.amisdesreines.it/).

25 Così come le Batailles de Reines, anche le Batailles de chèvres (combattimenti regolamentati fra capre allevate in Valle d’Aosta, la cui prima edizione risale al 1981) sono organizzate annualmente da uno specifico Comitato, l’Association Comité Régional Batailles Des Chèvres. Così come stabilito da uno specifico regolamento, le capre sono divise in tre categorie di peso (la 1ª oltre i 65 kg, la seconda fino a 65 kg e la terza che raggruppa le bime, le caprette sotto i due anni di età). L‘ordine della battaglia avviene per sorteggio, la gara inizia verso le ore tredici e si protrae fino a sera. La lotta dura finché una delle contendenti (a due a due) cede e si allontana, dopodiché viene eliminata dalla gara. Risulterà così vincitrice quella capra che avrà vinto il maggior numero di avversarie. In palio per le vincitrici gli tchambis, collari fatti in legno di acero e noce, intarsiati a mano con la tipica campana, più otto premi per ogni categoria (Fonte: http://bataillesdeschevres.it/).