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il dirigente infermieristico e il mobbing

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e

Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in

SCIENZE INFERMIERISTICHE E OSTETRICHE

TESI DI LAUREA

Il dirigente infermieristico e il mobbing

Relatore

Chiar.mo Prof. Angelo Possemato

Candidato

Antonella Cordiviola

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Sommario

Sommario 1 Riassunto analitico. 2 Analytical summary 3 Prefazione 4 Introduzione 5 1) Il mobbing. 7 1.1) Definizione. 7 1.2) Tipi di mobbing. 8

1.3) Criteri caratterizzanti il mobbing. 10

1.4) Le cause del mobbing. 15

1.5) Le fasi del mobbing 17

1.6) Dimensione del fenomeno 18

1.7) Lo studio del mobbing 21

1.8) Strumenti di misura del mobbing 27

1.9) Il mobbizzato. 30

1.10) Il mobber 31

1.11) Gli spettatori 33

1.12) Il mandante 34

2) Il mobbing “infermieristico”. 35

2.1) La storia della professione infermieristica 35

2.2) L’immagine dell’Infermiere oggi 41

2.3) Il fenomeno “mobbing” nel campo infermieristico. 43

3) La Ricerca. 51

3.1) Revisione della letteratura. 51

3.2) Il disegno di ricerca. 53

3.3) Strumenti e metodi. 54

3.3.1) Lo strumento di indagine. 54

3.3.2) II campione di ricerca 55

3.3.3) I partecipanti 56

3.4) Analisi dei dati. 59

4) Conclusioni 73

Bibliografia. 76

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Riassunto analitico.

Il dirigente infermieristico e il mobbing

Questa tesi nasce dall’esigenza di esplorare e raccogliere dati sulla percezione del mobbing tra gli infermieri italiani per cercare di comprendere, seppur con i limiti della ricerca sui social network, le dimensioni del fenomeno mobbing.

L’obiettivo generale è stato quello di definirlo con le sue caratteristiche ed intercalarlo nel mondo infermieristico.

L’obiettivo specifico è stato quello di analizzare, attraverso un questionario, quanti e chi sono gli infermieri che si ritengono mobbizzati e da chi.

Il questionario ( NAQ-R) è stato pubblicato on line su un gruppo “chiuso” di infermieri e in 330 hanno risposto in maniera anonima e spontanea.

Dalla nostra ricerca emerge che 10,9% degli infermieri italiani si percepisce mobbizzato.

Dall’analisi dei dati risulta che il 12% delle donne che hanno risposto al questionario si ritengono mobbizzate mentre tra gli uomini si riscontra solo un 7% .

Il 17% dei dipendenti privati si ritengono mobbizzati contro il 10% dei dipendenti pubblici.

Per quanto riguarda l’anzianità di servizio, il maggior numero di mobbizzati (18%) si trova nella fascia d’età 15-25 anni. Il titolo di studio laurea magistrale, sembra anch’esso “facilitare” il fatto di essere vittima di mobbing (16%).

Il mobber più usuale risulta il coordinatore, mobber assistito dai colleghi co-mobber. Questo dato ci stimola a proporre un processo di miglioramento con diverse soluzioni come: indagini approfondite sui contesti in crisi e la formazione/ informazione del personale per far conoscere e riconoscere il mobbing per prevenirlo con interventi costanti e mirati sulle relazioni dei gruppi e unità di cura.

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Analytical summary

The nursing manager and mobbing

This thesis comes from the need to investigate and collect data on the perception of bullying among Italians nurses to try to understand, albeit with the limitations of research on social networks, the size of the bullying phenomenon.

The overall objective was to define it with its characteristics and intercalary it in the nursing world.

The specific objective was to investigate, using a questionnaire, how many and who are nurses who feel bullied and by whom.

The questionnaire (NAQ-R) has been published on-line on a closed "group" of nurses and 330 responded anonymously and spontaneous.

Our research shows that 10.9% of the Italian nurses perceive mobbed.

Analysis of the data shows that 12% of women who responded to the questionnaire are considered mobbed while among men is found only 7%.

Private employee believes mobbed by 17% compared to 10% of civil servants.

As regards the length of service, the greatest number of mobbed is located in the age range 15-25. The title of master degree study, also seems to "facilitate" the fact of being a victim of bullying.

The most usual is the mobber mobber coordinator assisted by co-mobber colleagues. This finding encourages us to propose an improvement process with different solutions such as: in-depth investigations in crisis contexts and training / information for staff to raise awareness and recognize bullying to prevent this with consistent and targeted on groups of relationships and care units .

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Prefazione

I motivi che stimolano ad effettuare questo studio risiedono nel fatto che l’espressione negativa del fenomeno del mobbing appare frequentemente nella vita delle organizzazioni inficiando spesso il buon lavoro che viene erogato all’interno di esse. Colleghi infermieri spesso nella vita lavorativa non riescono a trovare il lato positivo per episodi, fortunatamente pochi ma di grande peso, che ritengono vessatori ed umilianti.

L’attività propria dell’infermiere è già di per sé molto coinvolgente e stressante e il contatto con azioni che riguardano il mobbing aumentano la tensione.

Per questo motivo un’indagine sul mobbing potrebbe portare a riconoscere alcuni sintomi in un sistema malato che fa ammalare il lavoratore.

Giornate di lavoro perse, infortuni sul lavoro e sindromi stressanti concorrono anche a creare disservizi e far calare l’efficienza del sistema sanitario nazionale.

A questo punto un intervento mirato con un equipe multidisciplinare potrebbe evitare il fenomeno considerando anche la grande potenzialità del dirigente gestionale delle stesse professioni infermieristiche.

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Introduzione

Questo studio nasce per esplorare il fenomeno del mobbing.

Viene definito fenomeno in quanto appare tuttora un fatto straordinario, una cosa suscettibile di osservazione scientifica, un fatto di particolare significatività e problematicità che continua ad evolvere ed a sorprendere.

Il mobbing è un conflitto distruttivo che nasce e vive nelle organizzazioni di lavoro attuali diventando un problema psicosociale. Consiste in una serie di azioni continue e tormentose verso un lavoratore con l’obiettivo di frustrarlo e provocarlo per portarlo all’isolamento e poi alla fuga. La vittima è sottoposta ad un processo sistematico di molestie sul luogo di lavoro che lo spingono sul baratro fino al crollo psicologico, fisico e sociale.

Questo fenomeno viene denominato mobbing in Italia, bullying in Inghilterra, victimization in Svezia, e harassment in Norvegia e Finlandia.

Leymann descrisse per primo questo fenomeno nel 1984.

Il mobbing, nell'ambiente lavorativo è visto come processo intensificato in cui il gruppo e i comportamenti dei colleghi ricoprono un ruolo sostanziale.

Ed è per questo che abbiamo lanciato uno sguardo su come la dirigenza infermieristica potrebbe intervenire in un processo di conoscenza e prevenzione contro le azioni vessatorie verso gli infermieri da parte di un ambiente lavorativo malato che ancora non sa ancora di esserlo.

Riconoscere il mobbing è il primo passaggio per iniziare a sconfiggerlo e il dirigente infermieristico ha il dovere di includere nella sua mission il fronteggiamento di questo avvenimento caratteristico.

La razionalizzazione del fenomeno mobbing può dunque indurre, attraverso il leader, il gruppo di lavoro ad una proficua riflessione sulle cause della disfunzione e portare alla ricerca di nuove soluzioni.

Oltre che salutare per i lavoratori lo sarà anche per l’organizzazione, che come un organismo polivalente, potrebbe raggiungere, attraverso un benessere di clima ambientale, il suo massimo in termini di efficacia, efficienza e qualità per la salute pubblica.

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Questo studio si propone di approfondire il fenomeno mobbing nel mondo sanitario e ricercare quanti infermieri hanno la percezione di subire delle azioni mobbizzanti e soprattutto da parte di chi.

Nasce così questa piccola ricerca che tenta di portare alla luce dati e numeri per iniziare un percorso di conoscenza e prevenzione.

L’indagine sul fenomeno mobbing nasce dopo aver visto, toccato, compreso quanti danni provoca questo atteggiamento nelle persone riversandosi poi nelle organizzazioni e nelle famiglie.

Scoprire quanti sono gli infermieri toccati dal problema, analizzando le loro percezioni ci può dare la misura dello stato dell’arte ed individuare il mobber ci potrebbe avvantaggiare nel tentativo di implementare processi di soluzione al problema.

La nostra analisi del fenomeno parte da una revisione della letteratura e termina con l’analisi dei dati raccolti con un questionario ( NAQ-R) diffuso in rete in un gruppo chiuso di infermieri che hanno aderito in maniera anonima e spontanea.

il questionario è stato pubblicato on line con spiegazione dello studio ed ha ricevuto, nel giro di due giorni, 330 risposte.

Per classificare la popolazione che aderiva sono state aggiunte domande sul genere, l’età, l’anzianità e l’ambito lavorativo oltre che la domanda chiave su chi avvertissero come mobber.

Gli infermieri che avvisano il mobbing sono molti (quasi il 11%) ed il mobber riconosciuto la dirigenza infermieristica ed il coordinatore coadiuvato da colleghi infermieri.

Una situazione drammatica a rischio di spirale.

Alla luce delle risposte, necessita una riflessione per capire come poter intervenire per attenuare il problema che sta infettando il sistema lavoro.

Sicuramente una strada in salita ma che, con competenza, pazienza e volontà potrebbe a portare a risanare l’inquinamento delle relazioni e di conseguenza la rimozione delle azioni vessatorie e delle molestie.

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1) Il mobbing.

1.1) Definizione.

Il ​mobbing (dall'inglese ​[to] mob «assalire, molestare»; quindi «molestia, angheria») .1

Il termine indica i comportamenti violenti che un gruppo (sociale, familiare,animale) rivolge ad un suo membro. Il primo ad usare il termine con questa accezione è stato agli inizi degli anni ’70 l’etologo Konrad Lorenz per descrivere il comportamento mediante il quale alcuni gruppi di uccelli rispondevano all’invasione del territorio assalendo in gruppo un loro simile o una minaccia esterna, al fine di allontanare l’intruso. Alla fine degli anni ’80, il primo a parlare di mobbing fu nel 1996 lo psicologo tedesco Heinz Leymann che è considerato il fondatore di questa nuova direzione di ricerca della Psicologia del Lavoro. Leymann trovò un’analogia tra l’aggressività degli uccelli e quella manifestata da certi lavoratori nei confronti di altri coniando il termine mobbing come un’azione (o una serie di azioni) ripetute per un lungo periodo di tempo, compiuta da uno o più attori (mobber) per danneggiare qualcuno (mobbizzato), in modo sistematico e con scopo preciso. Il mobbizzato viene letteralmente accerchiato e aggredito intenzionalmente dai mobber che mettono in atto strategie comportamentali volte alla sua distruzione psicologica, sociale e professionale. Si tratta in definitiva di una comunicazione ostile e non etica diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo, che è progressivamente spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa e lì relegato per mezzo di ripetute e protratte attivit

​ à[1]​.

Negli ultimi anni, su tale concetto, si è sviluppato un interesse e un'attività di studio da parte di psicologi, medici e legislatori, tanto che la problematica, in pochi anni, ha trovato sviluppi in tutta Europa ed in particolare in Germania e Svezia. In Italia la tematica è stata introdotta dallo psicologo tedesco Harald Ege che definisce il mobbing

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... ​Il Mobbing è una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nell'impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell'umore che possono portare anche a invalidità psicofisica permanente

​ [2]​.

Attualmente il fenomeno viene definito come una forma di pressione psicologica sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte dei colleghi o superiori, attuati in modo ripetitivo e protratti nel tempo per un periodo di almeno sei mesi. In seguito a questi attacchi la vittima progressivamente precipita verso una condizione di estremo disagio che cronicizzandosi si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psico-fisico.

1.2) Tipi di mobbing.

Tra le modalità per distinguere le varie forme di mobbing che possono presentarsi in una realtà lavorativa, quella certamente più stabile e caratterizzante, si basa sul tipo di relazioni tra gli attori considerati.

Le altre tipologie del mobbing individuabili in letteratura, seppur riconoscendo un’asimmetria tra gli attori, evidenziano principalmente la relazione comportamentale degli attori e delle vessazioni in atto. In relazione al tipo di relazioni tra gli attori abbiamo:

Mobbing verticale.

Con questo termine, si intendono quelle vessazioni esercitate da una o più persone che hanno una posizione gerarchica superiore rispetto alla vittima. Un tipico esempio di mobbing verticale è l’abuso di potere [3]​. Talvolta questa forma di mobbing viene anche

chiamata bossing, che viene definito da Ege come ​una forma di terrorismo psicologico che viene programmato dall’azienda stessa o dai vertici dirigenziali ai danni di dipendenti divenuti in qualche modo scomodi e che si vogliono eliminare. Ciò che caratterizza il bossing è la sua manifestazione su scala aziendale. Esistono, però, anche casi in cui le azioni mobbizzanti sono messe in essere da altro personale facente parte

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della stessa struttura lavorativa pari grado o di grado inferiore. In genere, i sottoposti compiono mobbing sia per mantenere i piccoli privilegi di cui godono, sia perché, temendo la rivalsa del capo-mobber, si comportano, nei confronti della vittima, con la sua stessa aggressività, diventando, a loro, volta, mobber. Questi sottoposti, che partecipano tacitamente alle azioni vessatorie di un capo-mobber nei confronti di un suo subordinato, sono indicati con il termine di side mobber. Una caratteristica tipica del Mobbing verticale, è sia la sua efficacia quanto il suo passare inosservato. Ciò avviene, perché il capo, grazie al potere derivatogli dalla sua posizione, può mascherare le persecuzioni psicologiche dietro l’aspetto di misure disciplinari necessarie. Nella terminologia anglosassone, il mobbing verticale viene anche denominato “bossing” o “bullying”. Il bossing [4]​, può essere considerato una strategia aziendale che ha lo scopo

di ridurre gli organici per contenere i costi del personale attraverso azioni mobbizzanti. Il bullyng ha un significato più ristretto poiché indica i comportamenti vessatori messi in atto da un singolo capo per svariate motivazioni: idee politiche diverse, timore di veder minacciata la sua immagine sociale, per differenza di età, per antipatia personale, per invidia o raccomandazioni [5]​. Il bullying non viene esercitato solo sul posto di

lavoro, ma anche a scuola (dove è particolarmente diffuso), nelle carceri e in caserma (nonnismo), ma anche a casa tra fratelli o altri conviventi.

Mobbing dal basso.

Come il precedente, esso si basa sulla relazione gerarchica tra gli attori. Questa forma di mobbing, a differenza da quella verticale (discendente), vede il subordinato o i subordinati mettere in atto una serie di vessazioni ai danni di un superiore. Questa situazione, nella quale il mobber è in una posizione inferiore rispetto a quella della vittima, si verifica quando l’autorità di un capo viene messa in discussione da uno o più sottoposti, in una sorta di ammutinamento professionale generalizzato. In effetti, nelle situazioni di mobbing dal basso sono solitamente più d'uno, a volte anche tutti gli operai o i colleghi di un certo reparto, coloro che attuano una vera e propria ribellione contro il capo che non accettano. La vittima si trova quanto mai in una condizione di isolamento totale e devastante; inoltre essendo il numero dei suoi detrattori piuttosto alto, anche il suo tentativo di discolpa risulta arduo; l’ufficio del personale finirà col dare credito alla maggioranza delle voci. Questa forma di mobbing ha radici molto simili tra le culture. I casi di mobbing dal basso sono comunque abbastanza rari; nell’area tedesca si stima che

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ricoprano una percentuale del 10% del totale di tutti i casi di mobbing [6]​, in Italia la

percentuale è addirittura minore: infatti, se l’antipatia verso il capo è un fenomeno molto diffuso, non altrettanto si può dire dell’aperta manifestazione di questo sentimento.

Mobbing orizzontale.

Con questa tipologia si chiude la rosa delle modalità di mobbing che prendono in considerazione la relazione gerarchica. Questa forma viene esercitata da uno o più colleghi nei confronti di un soggetto. Le azioni più frequentemente attuate sono di natura socio comunicativa, volte all’isolamento della persona vessata dal gruppo e al blocco delle informazioni[7] .... Calunnie, dispetti, spregi, pettegolezzi sono soltanto

alcuni esempi. C’è poi la tattica dell’evitamento che relega la povera vittima prescelta ai margini delle attività aziendali, escludendola da tutte le scelte e da tutte le relazioni interpersonali. Questo fenomeno ha tutte le caratteristiche di quello che, in ambiente scolastico, prende il nome di bullismo.

Le statistiche sostengono che in Italia questo tipo di mobbing non sia ancora radicato come in altri Paesi ma in realtà la crisi occupazionale di questi ultimi anni può ribaltare questa situazione. Le difficoltà a trovare un lavoro e la voglia di far carriera possono favorire un’insana competizione tra colleghi che può condurre ad azioni aggressive e mobbizzanti.

1.3) Criteri caratterizzanti il mobbing.

La frequenza.

Il mobbing è caratterizzato da azioni ostili ripetute e protratte nel tempo. Per la necessità di distinguere tale “frequenza” da situazioni più o meno episodiche o comunque, che si presentano con minore intensità, si considera come “cut off” almeno una volta alla settimana. Comportamenti ostili anche gravi che si manifestano ad esempio una volta al mese, non possono essere considerati mobbing ma rientrano in situazione di “normale” conflitto lavorativo.

Questo perché il mobbing si configura attraverso uno stillicidio di attacchi e umiliazioni ed è attuato in modo sistematico. E’ proprio nella regolarità e frequenza ha la sua forza devastante. La continuità dell'azione vessatoria evidenza inoltre l’intenzionalità di nuocere da parte del mobber. Considerando la frequenza si dovrebbe considerare anche

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quanto siano ripetuti e regolari gli effetti di un’azione negativa o il timore della vittima del ripetersi delle molestie[8]​. Ad esempio, un pettegolezzo in grado di distruggere la

reputazione e la carriera della vittima, potrebbe configurare il mobbing anche senza azioni regolari e sistematiche dell'aggressore.

L'intenzionalità dell'aggressore.

Un aspetto fondamentale del mobbing consiste nel intenzionalità da parte dell’aggressore di nuocere. L'intenzionalità è legata al concetto di dolo che presuppone come conseguenza un danno. Per inquadrare in modo accurato l’azione dolosa, si dovrà indagare anche sulle motivazioni distinguendo per esempio tra aggressione reattiva indotta dalla volontà di nuocere alla vittima e un aggressione strumentale finalizzata ad ottenere benefici come ad esempio una promozione. Tale tipo di motivazione sembra essere la più frequente[9]​.

La percezione della vittima.

La percezione della vittima è il cuore del mobbing [10]​. Pur essendo un requisito

essenziale non significa che sia sufficiente. La percezione del conflitto spesso non coincide con quella del supposto aggressore o comunque non può essere riconosciuta a livello legale. Ovviamente il mobber non riconoscerà facilmente il conflitto e soprattutto non riconoscerà le azioni “dolose”. L’esperienza soggettiva della vittima resta comunque punto centrale per la valutazione del singolo fenomeno. Sembra esistere una correlazione diretta tra tale percezione con il danno subito dalla vittima[11]​.

La percezione del mobbizzato, può essere influenzata dalla posizione di potere del mobber e in alcuni casi essere prevalente rispetto alla natura e all’intensità delle azioni mobbizzanti subite[12]​.

Le conseguenze a livello di salute ​sono molteplici come ad esempio: ❏ ansia;

❏ depressione;

❏ disturbo post-traumatico da stress;

e nei casi più gravi giungere al suicidio o a commettere omicidio. Un danno indiretto spesso è quello sulle relazioni familiari.

In alcuni casi però il mobbing può agire come attivante o amplificante una patologia preesistente. In molti casi, dove la vittima è in grado di mettere in atto adeguate

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strategie di coping i disturbi possono essere più lievi o rimanere assenti per lunghi periodi.

La durata ​delle azioni mobbizzanti analizzate attraverso studi di ricerca è mediamente di dodici mesi[13]​. Per differenziare l’esposizione al mobbing da altri fattori di stress

lavoro correlati si concorda su un periodo di almeno sei mesi [14] tenendo conto che il

tempo di sei mesi è considerato come soglia tipica diagnostica dei disturbi psichiatrici. L’asimmetria di potere fra le parti coinvolte è spesso considerata un fattore determinante[8]​. Ovviamente essendo possibile anche un mobbing dal “basso”, tale

asimmetria può non essere oggettiva ma semplicemente percepita dal mobbizzato. L’incapacità di difendersi o di evadere dalla situazione è da considerarsi elemento di asimmetria a prescindere dalla posizione ricoperta nell’ambito lavorativo. Nel caso in cui le parti che hanno posizioni gerarchicamente asimmetriche a livello lavorativo, possono trovarsi comunque con lo stesso “potere” grazie a forma di supporto sociale possedute da colui che si trova in posizione di inferiorità gerarchica. Quando l’asimmetria di potere non è presente, il conflitto si riduce di intensità e per lo più si conclude positivamente. I fattori che determinano l’asimmetria di potere di natura sociale possono essere:

❏ il potere gerarchico;

❏ il potere dovuto alla maggiore esperienza e conoscenza dei meccanismi dell’organizzazione da parte del mobber:

❏ il potere ottenuto grazie al supporto ricevuto da persone influenti.

L’asimmetria di potere può essere anche indotta da forme di dipendenza dall’aggressore di natura diversa da quella sociale quali:

❏ dipendenza fisica; ❏ economica; ❏ psicologica.

A conferma di ciò, comunque, nella maggior parte dei casi gli aggressori sono i superiori e i manager (Einarsen, 2000). Nei casi in cui l’asimmetria di potere non è presente all’inizio delle azioni mobbizzanti, può manifestarsi in seguito proprio come conseguenza di queste. Il mobber può utilizzare strategie mobbizzanti estremamente subdole e pianificate per colpire proprio quegli aspetti della mansione lavorativa, o della personalità, che rappresentano i punti deboli del bersaglio. La vittima, che in un primo

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momento riusciva a far fronte alle azioni mobbizzanti dell’aggressore, si trova ben presto in una situazione di impotenza e di impossibilità di reazione.

Le azioni mobbizzanti implicano raramente aggressioni o violenza fisica, la natura verbale prevale relegando abusi fisici o minacce di violenza a percentuali estremamente basse[15]​. La molestia sessuale e razziste non rientrano di per sé nel costrutto di

mobbing[17]​.

Alcune situazioni mobbizzanti possono essere legate ad azioni di molestia sessuale, o coesistere contemporaneamente. Per quanto riguarda l’aspetto razziale o di genere, potrebbe essere fattori scatenanti il mobbing quando alcune categorie, percepite come aventi meno potere[16]​, diventano oggetto di comportamenti vessatori da parte di

aggressori che potrebbe perfino sentirsi legittimati ad esercitare. La maggior parte delle azioni non sono di per sé così distruttive, ma la loro frequenza e persistenza, dirette esclusivamente verso la stessa persona col preciso fine di recarle danno, possono diventare una forma estrema di stress[17]​. Di seguito sono riportate alcune delle

principali classificazioni delle azioni mobbizzanti individuati dai principali studiosi del fenomeno.

❏ attacchi alla possibilità di comunicare; ❏ attacchi alle relazioni sociali;

❏ attacchi all’immagine sociale;

❏ attacchi alla qualità della situazione professionale e privata; ❏ attacchi alla salute;

❏ attacchi ai contatti umani; ❏ isolamento sistematico;

❏ cambiamenti delle mansioni lavorative; ❏ violenze o minacce di violenze;

❏ demansionamento;

❏ critica continua circa il lavoro svolto;

❏ insinuazioni su possibili disturbi mentali della vittima; ❏ diffamazione;

❏ molestie sessuali.

Einarsen e Hoel nel 2001 [18] proposero una classificazione dicotomica delle azioni

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❏ Attacchi alla persona.

❏ Attacchi alla mansione e al ruolo lavorativo.

Tale classificazione ha raccolto il favore dalla comunità di ricercatori soprattutto per il fatto che la possibilità di dividere il mobbing in due sottospecie permette una maggiore incisività di intervento sul fenomeno, sia a livello preventivo che a livello correttivo. In uno studio del 2004[19]gli attacchi all’attività lavorativa sono risultati essere le azioni

mobbizzanti più frequenti, seguiti dagli attacchi alla persona e all’isolamento sociale della vittima. Nella maggior parte dei casi, poi, questi attacchi risultavano in interazione l’uno con gli altri. L’interazione delle azioni mobbizzanti emerse ha permesso agli autori della ricerca di avanzare delle ipotesi sulla sequenza temporale dei comportamenti di mobbing all’interno delle categorie prese in esame, ovvero mettere in luce dei pattern: gli attacchi alla persona e alla mansione sono estremamente collegati e risultano basilari nella comprensione del pattern delle categorie di mobbing. L’isolamento, nonostante sia legato agli attacchi alla persona e al ruolo lavorativo, non risulta associato agli attacchi verbali; gli attacchi verbali sono fortemente collegati agli attacchi alla persona, ma non agli attacchi alla mansione.

Il mobbing si svela nella sua completezza attraverso un escalation temporale. A partire da azioni sporadiche e difficili da identificare seguono azioni più aggressive e frequenti. Quando la vittima esaurisce le proprie capacità di coping non riesce più a far fronte alle richieste del lavoro divenendo, agli occhi dei colleghi, “vittima meritevole”. Si crea quindi una spirale in cui si associano al mobber i side-mobber. Il ruolo dei side-mobber è elemento propulsivo nel escalation del processo. Essi potrebbero anche agire da freno ma questo accade raramente per paura di schierarsi con il perdente e diventare a loro volta vittime.

Zapf e Gross [20] analizzarono il fenomeno di escalation del mobbing utilizzando il

modello EVLN (exit, voice, loyalty, neglect)[21] ideato da Albert Hirschman per

descrivere le strategie di coping messe in atto per fronteggiare i disagi lavorativi. ❏ Exit - comportamento attivo con valenza negativa che corrisponde in genere

all’abbandono del posto di lavoro.

❏ Voice - comportamento attivo con valenza positiva in cui si cerca il supporto (colleghi, superiori, familiari) o confrontarsi addirittura con l’aggressore.

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❏ Loyalty (lealtà) - comportamento passivo con valenza positiva in cui si continua a svolgere la propria attività con dedizione sperando nell’intervento dei vertici aziendali.

❏ Neglect (trascurare) - comportamento passivo con valenza negativa, in cui vi è una marcata riduzione del coinvolgimento lavorativo che spesso si manifesta con assenze ripetute.

Zapf e Gross [20]evidenziano cinque diversi percorsi di gestione del conflitto, tra questi il

VLVNE (voice-loyalty-voice-neglect-exit) risulta il più frequente.

Le azioni con valenza positiva, quindi, si trovano il più delle volte nelle fasi iniziali ed è proprio in queste fasi che si potrebbero ricercare strategie di azione per stroncare sul nascere il fenomeno.

La competitività nell’ambiente lavorativo, spesso è correlata a eventi di mobbing[16]​.

Il disconoscimento da parte dei vertici delle organizzazioni lavorative del mobbing, oltre a recare danno alla vittima, provoca un danno all’organizzazione con riduzione di produttività, assenteismo e aumento del turnover del personale[22]​.

L’azienda dovrebbe avere tutto l’interesse a limitare il fenomeno che come nel titolo del libro di G.Giorgi e V. Majer [10] può diventare un virus organizzativo in grado di

provocare gravi danni. Inoltre, l’azienda potrebbe disporre di potenti leve per fronteggiare il fenomeno come ad esempio:

❏ Miglioramento del clima organizzativo.

❏ Individuazione precoce del problema con riconoscimento dei “segni e sintomi” ❏ Arginare la nascita di side-mobber inconsapevoli attraverso una formazione sul

problema.

❏ Rendere “nudi” gli aspiranti mobber mantenendo una costante “luce” sul fenomeno.

❏ Intimorire i mobber con possibilità di denuncia e richiesta di risarcimento danni.

1.4) Le cause del mobbing.

L’obiettivo del mobbing è quello di “eliminare” una persona ritenuta in qualche modo “scomoda”, portandola anche al licenziamento e/o alle dimissioni. L’elemento principale spesso è la competizione, associata all’antipatia o alla gelosia nei confronti di quella persona. Come già accennato nel paragrafo 1.3 la competitività nell’ambiente

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lavorativo, spesso è correlata a eventi di mobbing ed è quindi lecito ipotizzare che la competitività sia alla radice delle cause di mobbing. Ma cosa significa competere? Se facessimo riferimento al significato etimologico della parola, scopriremmo che deriva dal latino con- e petere che significa “chiedere, andare insieme, convergere verso un medesimo punto”. La cultura moderna ha completamente cancellato l’aspetto collaborativo per trasformare la competitività in un’azione finalizzata a “schiacciare” il concorrente. William Edwards Deming fornisce un’interessante analisi di quest’ultimo concetto di competitività riportandone la valenza positiva del significato etimologico “La competizione porta alla sconfitta. Persone che tirano la corda in due direzioni opposte si stancano e non arrivano da nessuna parte”.

Accettando dunque l’accezione negativa del concetto di competitività diventa abbastanza evidente il suo potenziale legame con il conflitto che Leymann [27]considera

come causa scatenante del mobbing. Questo però, non aiuta un gran che a circoscrivere le cause del mobbing, in quanto, si apre un ventaglio molto ampio di cause in grado di generare conflitti.

Tim Field[23] si è concentrato sull’autore del mobbing, il “bullo”, secondo Field la causa

del mobbing è la personalità disturbata del mobber che sviluppa fin dalla più tenera età un disturbo della personalità. Il “bullo da ufficio” è psicopatico dalla nascita, anzi è un “sociopatico” che dovrebbe essere rinchiuso. Costoro quando sono all’ultimo stadio della loro pazzia si trasformano addirittura in serial bullies i quali, come i serial killer, sarebbero mossi da una forza incontrollabile a cercare sempre nuove vittime da violentare psicologicamente. Queste sue opinioni radicali non vengono condivise da molti studiosi del fenomeno ma aprono sicuramente un campo di ricerca delle cause del mobbing.

A completare il quadro delle cause secondo un modello … ❏ Ambiente

❏ Mobber ❏ Mobbizzato

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Ege[24] propone 18 tipologie di persone mobbizzate ma senza la pretesa che esse siano

esaustive e soprattutto caratteristiche specifiche ma semplicemente un riscontro di alcune caratteristiche dei mobbizzati.

Classificazione molto più netta e circoscritta, è proposta da R. Gilioli e A. Gilioli [25]​che

individuano quattro grosse tipologie di soggetti:

❏ Creativi, individui brillanti con spirito di iniziativa.

❏ Onesti, individui che si trovano ad operare in un ambiente nel quale esistono cordate di potere, gruppi molto coesi, dove chi non collabora o si estranea è facilmente punito con comportamenti vessatori.

❏ Disabili, soggetti deboli, a livello sociale, cognitivo o personale.

❏ Superflui, soggetti non più necessari all’organizzazione come il personale in esubero.

Caratteristica comune delle vittime di mobbing presente nella letteratura pare essere la diversità dal resto del gruppo.

Appare che, per completare il quadro delle cause del mobbing, si dovrebbero prendere in esame anche gli altri attori spesso presenti nel fenomeno, denominati spettatori. Gli spettatori sono tutte quelle persone che non sono coinvolti direttamente nel Mobbing ma che in qualche modo vi partecipano, lo percepiscono, lo vivono di riflesso. Le caratteristiche personali e la funzione che lo spettatore ricopre all’interno del posto di lavoro ha un'importanza cruciale per lo sviluppo del mobbing.

Se uno spettatore non agisce molto spesso si può tramutare in un altro temibile aggressore, se non denuncia o cerca di interrompere il “meccanismo” in qualche modo può diventare lui stesso un mobber di riflesso, ossia un side-mobber. Al contrario, se si oppone può diventare un freno al processo di mobbing. La sua azione può essere rivolta ad un aiuto verso il mobbizzato evitandone l’isolamento o diventa quello che in letteratura è definito Whistleblower e cioè un individuo che denunci pubblicamente o riferisca alle autorità le azioni vessatorie subite dal collega.

1.5) Le fasi del mobbing

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Harald Ege[29]​, psicologo esperto di mobbing, ha adattato al contesto italiano il modello

a 4 fasi proposto da Leyman elaborandone uno a sei fasi:

❏ Condizione zero: conflittualità “fisiologica” in cui tutti sono contro tutti, non c’è una vittima precisa, ma si tratta di una caratteristica tipicamente italiana nel mondo del lavoro che viene, quindi, culturalmente accettata;

❏ I fase, il conflitto mirato: la conflittualità generalizzata della condizione zero emerge, viene individuata una vittima precisa con l’obiettivo di distruggerla; ❏ II fase, l’inizio del mobbing: la vittima inizia ad accusare un malessere

psicologico, percepisce un cambiamento comportamentale da parte dei colleghi che gli provoca sofferenza e disagio;

❏ III fase, iniziano sintomi psicosomatici tra cui insonnia e problemi gastrici; ❏ IV fase, le ripetute assenze per malattia ed il calo di rendimento portano il caso

all’attenzione dell’ufficio del personale da cui scaturiscono errori ed abusi nella gestione del caso;

❏ V fase, serio aggravamento della salute psicofisica della vittima; ❏ VI fase, esclusione dal mondo del lavoro.

1.6) Dimensione del fenomeno

Nel nostro Paese, secondo i dati forniti dall'Ispesl nel 2013, sono circa il ​7% con maggior incidenza al Nord (65%) e colpisce maggiormente le donne (52%). In ordine alla composizione, oltre il 70% lavora nella pubblica amministrazione. Sempre secondo l'Ispesl, il mobbing ha un costo molto elevato per il datore di lavoro: la produttività di un lavoratore cala infatti del 70%. Le categorie più esposte risultano gli impiegati con il 79%; seguono i diplomati con il 52%; infine i laureati con il 24%. Per quanto riguarda la durata delle azioni mobbizzanti: il 40% dei casi ha durata da un anno a due anni; il 30% dei casi oltre due anni; il 27% dei casi da sei mesi a un anno.

Da recenti studi sullo sviluppo del fenomeno emerge con sorpresa che, il mobbing colpisce anche gli operai. Non più quadri e dirigenti, bensì addetti alle mansioni più semplici. Sarebbero loro le vittime preferite degli abusi psicologici in azienda.

Nell’Unione europea le persone vittime di vessazioni sul posto di lavoro sono circa ​12 milioni pari all’8%​degli occupati. In testa alla classifica dei paesi dove più numerosi

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sono i casi di mobbing si pone l’Inghilterra con il 16,3%, segue poi la Svezia con il 10,2%, la Francia con il 9,9%, Irlanda al 9,4%, la Germania con il 7,3%.

La differenza dei dati, oltre a fattori legati al fenomeno stesso deve essere chiaramente vista alla luce delle modalità di reperimento dei dati. In Italia siamo ancora indietro dal punto di vista della diagnostica e della prevenzione rispetto a tanti altri Paesi Europei. La vittima spesso non denuncia questi abusi ma si chiude in se stessa e agendo in questo modo confonde il Mobbing con la depressione[26]​.

Come spiega Fernando Cecchini dello Sportello Disagio Lavorativo – Mobbing INAS CISL: “il 23,5% dei lavoratori dichiara di aver subìto almeno una volta forme di sopruso o persecuzione da parte del datore di lavoro. E, secondo l’ultimo rapporto Eurispes, i superiori restano i principali responsabili (87,6%) ma spesso l’aguzzino è un collega (39,2%). Si tratta del cosiddetto “mobbing orizzontale o trasversale” che, attraverso atti o pratiche dei pari grado, tende a isolare il lavoratore”[27]​.

I dati sulla diffusione del mobbing, provenienti in gran parte da studi riferibili al mondo lavorativo del Nord Europa, non sono confortanti se si pensa che, per l’International Labour Office (ILO), la violenza fisica ed emotiva sul posto di lavoro rappresenta la maggiore minaccia alla salute collettiva in questo nuovo millennio.

Leymann in una ricerca epidemiologica compiuta con il LIPT [41](Leymann Inventory of

Psychological Terrorization) ha dimostrato che circa il 3,5% della popolazione occupata svedese era vittima di mobbing.

In una ricerca compiuta presso la Abo University in Finlandia dal prof. Key Bjorkvist [42]

è emerso che il 24,4 % delle donne lavoratrici e il 16.9% degli uomini intervistati ha mostrato punteggi alti al WHS (Work Harassment Scale).

Una panoramica più completa sul fenomeno ci viene offerta dagli studi nordeuropei. In uno studio[40] fatto su 7986 lavoratori norvegesi, circa l’8,6% è stata vittima di mobbing

nei 6 mesi antecedenti; la durata media delle azioni vessatorie è risultata essere di 18 mesi.

Questa breve rassegna dei risultati di alcune ricerche ci suggerisce quanto questo particolare tipo di violenza sia presente in Europa e, si può ipotizzare, anche nel nostro paese. Per quanto riguarda la realtà occupazionale dell’ ​Italia si calcola che oltre un milione di lavoratori siano interessati dal fenomeno. Nel nostro paese è lecito parlare

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più di stime che di dati ; Ege (1998) ha stimato che quasi ​un milione di lavoratori sia vittima del mobbing.

Uno studio del[43]condotto in alcuni servizi sanitari inglesi mette in evidenza che il 38%

del personale ha subito abusi nel posto di lavoro e il 42% è stato testimone di attacchi verso i propri colleghi. Nel personale mobbizzato vengono descritti alti livelli di insoddisfazione lavorativa, di stress, depressione e ansia. L’Australian Nursing Federation, in un recente documento, afferma che casi di bullying e harassement (termini rispettivamente utilizzati in Inghilterra e negli Stati Uniti per identificare aspetti particolari del Mobbing, vedi maltrattamenti e molestie compiuti da un capo verso un suo sottoposto) sono in aumento nei diversi ambiti lavorativi, nonostante siano fenomeni ancora poco descritti e studiati. Tra gli ambienti lavorativi più favorevoli al verificarsi di situazioni mobbizzanti gli ospedali e le scuole [44]​. Mentre sono pochi i dati

riferibili alla diffusione del mobbing nel mondo sanitario, soprattutto il mobbing verso gli infermieri italiani è stato poco indagato. Ritroviamo due tesi sul mobbing fatte in Sardegna che concludono con questi dati: il mobbing classico resta minoritario, attestandosi sul ​9% ​del campione ma una buona parte dei soggetti ha dichiarato di aver sperimentato comportamenti che provocano disagio e malessere. In particolare, tra gli infermieri professionali, il 18% ha denunciato un aumentato carico di lavoro rispetto a quello dovuto, l’11% ha lamentato accuse infondate, un altro 11% la sensazione di essere sottoposti a controllo, il 9% minacce verbali e il 3% la rimozione da un incarico, assegnato in seguito ad un collega con competenze inferiori, per un totale del 62 per cento.[28] ​Nel febbraio 2003 è stata pubblicata una ricerca sull'argomento condotta

dall'Istituto Italiano di Medicina Sociale (I.I.M.S.) in collaborazione con l'Università Campus Bio Medico, che si connota come uno studio pilota su un campione di infermieri dell'area romana. Dai dati raccolti si è riscontrato che poco più del 10,7 % degli intervistati si può definire "a rischio di mobbing”, mentre una quota dell' ​8,8% dei soggetti è da considerarsi "altamente esposto a mobbing”[29]

Seppure tali dati vanno considerati con le dovute cautele, in quanto riferiti a l'autopercezione di comportamenti vessatori nei propri confronti,essi evidenziano – in accordo con un’ipotesi da più parti formulata circa l’elevata esposizione del personale sanitario al fenomeno - una significativa presenza di soggetti sottoposti a vessazioni sul luogo di lavoro. La presenza di soggetti “esposti a mobbing” nel nostro campione è

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sorprendentemente simile al numero dei mobbizzati indicato nei dati pubblicati dall International Labour Office nel 1998 (Duncan Chappel e Vittorio DiMartino, 1998) stimati in 12 milioni, ovvero pari all’ ​8,1% degli occupati in Europa. Tuttavia è doveroso segnalare che le stime condotte dall’ILO sulla consistenza del mobbing in Italia, attesterebbero il fenomeno nel nostro paese intorno al ​4,2% della popolazione lavoratrice.

1.7) Lo studio del mobbing

Il mobbing, presenta aspetti di carattere psicologico, medico, giuridico, sociale, economico e anche politico, determinando la sua gestione in un’ottica multidisciplinare. Un team che operi sul mobbing dovrebbe avere al suo interno le seguenti figure professionali:

❏ Medico del lavoro, con particolare riferimento all’anamnesi lavorativa.

❏ Psicologo del lavoro, per l’analisi e la valutazione dei fattori di rischio psicosociali, dell’organizzazione del lavoro e per il riconoscimento dei criteri basilari caratterizzanti situazioni di mobbing.

❏ Psicologo clinico, con particolare riferimento alla valutazione e all’analisi delle manifestazioni psicopatologiche attuali e/o pregresse, attraverso il colloquio e metodi psicodiagnostici validi e sensibili.

❏ Medico psichiatra, per la diagnosi psichiatrica, ovvero la determinazione della tipologia della reazione a valle dell’evento mobbizzante.

❏ Medico-legale, per la valutazione analitica della sussistenza di un nesso di causalità e per l’individuazione di un eventuale danno biologico.

Le competenze e le possibili sfere di azione e intervento sopra elencate sembrano indispensabili per arrivare a una diagnosi sufficientemente affidabile del complesso fenomeno. Nonostante ciò, ancora oggi non sempre sono chiari i meccanismi e le occasioni di insorgenza e sembrano necessari ulteriori studi e ricerche all’interno di differenti contesti organizzativi/lavorativi, utilizzando diversi approcci (si ricorda anche che sociologi, economisti e sindacalisti sono tutt’oggi particolarmente attivi nello studio del fenomeno)[10]​.

Tra le caratteristiche del mondo lavoro che possono influenzare il fenomeno del mobbing possiamo avere:

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❏ La globalizzazione che, con lo spostamento di produzioni a basso costo di manodopera, ha determinato disoccupazione.

❏ La competitività tra le imprese con processi di riorganizzazione con esternalizzazione dei servizi e riduzione delle dimensioni aziendali che ha portato all’esplosione dei lavori atipici, alla precarizzazione.

La competitività, già individuata come causa del mobbing, scende a livello dei lavoratori preoccupati dallo spettro del precariato e della disoccupazione[30]​.

Le situazioni sopra elencate possono attivare un mobbing strategico in cui l’azienda utilizzerà il mobbing come tecnica di estromissione dei soggetti non sufficientemente produttivi. Azioni vessatorie associabili al mobbing, mosse da un interesse collettivo sono state presenti nel passato come ad esempio in Italia, negli anni Cinquanta e Sessanta, quando gruppi di operai, fortemente politicizzati, prendevano misure severissime nei confronti dei colleghi che con il loro comportamento incrinavano il senso di appartenenza e di affiliazione [31]​. Oggigiorno i legami e le relazioni all’interno

del luogo di lavoro si sono affievoliti e prevale l’individualismo e la competizione che determina azioni mobbizzanti subdole. L’incidenza negativa del mobbing sul processo produttivo è stato messo in evidenza da alcuni studi e ciò dovrebbe stimolare, almeno per mero conto economico, a prendere misure di contenimento del fenomeno.

E’ stato ormai ampiamente dimostrato che il mobbing ha effetti sulla salute delle vittime. I disturbi associabili sono molteplici: tachicardia, cefalea, problemi gastro intestinali, mialgie, depressione, ansia, insonnia, disturbi alimentari, farmacodipendenza ecc.

Numerosi studi sono stati effettuati per l’identificazione dei quadri sindromici da mobbing e per la messa a punto di strumenti diagnostici in grado di rilevare con sufficiente approssimazione il profilo patologico delle sindromi mobbing correlate ma restano significative le discrepanze nella stima dell’incidenza del fenomeno.

La diagnosi della sindrome da mobbing è una diagnosi di probabilità che si basa su accertamenti di carattere neurologico, psichiatrico, psicologico, internistico e di un’anamnesi lavorativa molto dettagliata. Competenze, esperienza e l’utilizzo di strumenti validati consentono di raggiungere un discreto grado di attendibilità diagnostica. Dalla diagnosi, se si evince un rapporto di causalità tra patologia e ambiente di lavoro, questa, sarà spendibile sul piano medico-legale. Il medico del

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lavoro, specialista di mobbing, potrà fornire linee guida di carattere sanitario nella gestione e nel superamento dei disturbi conseguenti alla violenza subita e certificare all’INAIL, nonché segnalare all’organo di vigilanza e alla magistratura, i casi di patologia riconducibili a episodi di mobbing[32]​.

Con il D. Lgs 81/2008 in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, all’art. 28 viene richiamata la necessità di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, compresi quelli collegati allo stress-lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 . A livello preventivo è previsto che il medico2 competente collabori con il datore di lavoro e con i servizi/organi di prevenzione/protezione, affinché l’integrità psicofisica, la dignità e la salute dei lavoratori vengano tutelate; pertanto, a livello preventivo, dovrà richiamare l’attenzione sui fattori di rischio meno tradizionali, tra cui anche quello di mobbing [33] e, in casi di

denunce, svolgere la funzione di referente per il potenziale mobbizzato, adempiere agli aspetti diagnostici e legali, indirizzando il lavoratore verso specialisti come uno psicologo, un medico specialista, un avvocato, coinvolgendo, possibilmente, anche il medico curante[33]​.

Il mobbing non è reato ​. La giurisprudenza punisce determinati singoli comportamenti che nell’insieme strutturano il mobbing, ma non il disegno persecutorio o il dolo vessatorio. Se il mobber conoscesse gli elementi dei reati distinti ed evitasse di metterli in atto tutti assieme potrebbe non essere punito. Infatti la Corte di Cassazione specifica 3

in modo chiaro quali siano le condizioni in base alle quali il lavoratore può ritenersi davvero vittima di mobbing. I giudici della suprema corte hanno individuato sette parametri con cui il dipendente deve provare di essere stato danneggiato. Perché si configuri il mobbing devono essere tutti e sette presenti, non uno di meno e l'onere della prova spetta al lavoratore.

In linea generale, il danno da mobbing in sede civile, è inserito in due tipologie di responsabilità: quella contrattuale ex art. 2087 c.c. e quella aquiliana ex art. 2043 c.c., che riporta il fenomeno nell’ambito del principio del neminem laedere.

Il mobbing, dal punto di vista penale, non si concretizza in una fattispecie, quindi il reato penale potrà scaturirei dalle azioni mobbizzanti se riconducibili alle fattispecie

2 art. 28, D. Lgs. 81/2008. 3 sentenza n. 10037/2015

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criminose di cui agli articoli del codice penale: 590 (lesioni personali colpose), 582 (lesione personale dolosa), 610 (violenza privata), 594 (ingiuria), 595 (diffamazione). L’art. 2087 c.c. recita “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi […] in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Tale norma comporta l’obbligo del datore di lavoro di non arrecare danno al lavoratore, attraverso la messa in atto delle misure necessarie per salvaguardare l’integrità psicofisica e la personalità morale. In mancanza di tali misure si configura un inadempienza contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c. Nell’ottica del mobbing il lavoratore deve essere tutelato da vessazioni, sia da parte dei superiori gerarchici (mobbing verticale), sia da parte dei colleghi (mobbing orizzontale o dal basso).

Altro articolo del codice civile che può trovare operatività nel mobbing, è l’art. 2103 che recita “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto […]”.

Buona parte della giurisprudenza non ritiene necessaria a carico del lavoratore, ai fini della prova del danno, dimostrare la volontà della condotta mobbizzante, ritenendosi sufficiente la prova dell’avvenuto inadempimento dei doveri di tutela e sicurezza nascenti dal contratto[34]​.

Un’altra parte della dottrina minoritaria ritiene tuttavia più coerente ricondurre la responsabilità del datore di lavoro per le condotte mobbizzanti subite dal dipendente nell’ambito della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. In questa ipotesi saranno qualificate illecite tutte quelle condotte dolose e colpose suscettibili di cagionare all’individuo un danno ingiusto (biologico, morale, esistenziale ecc.). È evidente che il ricorso alla fattispecie di cui all’art. 2043 c.c. comporta un aggravio dell’onere della prova in capo al lavoratore il quale sarebbe tenuto a dimostrare la preordinazione dolosa/colposa della condotta, il danno e il nesso di causalità ma, soprattutto, non permette allo stesso di avvalersi del termine ordinario di prescrizione, dovendo l’azione essere promossa entro i cinque anni dalla cessazione delle condotte oggetto di causa.

Ulteriore fonte normativa è il d.lgs. n. 81/2008, che recepisce, le normative europee sulla salute e sicurezza del lavoro e pone specifici obblighi ai lavoratori, ai preposti e al datore di lavoro a salvaguardia dell’ambiente di lavoro.

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europea del 2002 alle problematiche stress e mobbing. È emerso che il mobbing può essere considerato un rischio lavorativo, e che i datori di lavoro, in accordo con i lavoratori e i loro rappresentanti, dovrebbero mirare a impedire il mobbing, valutarne i rischi, agire in maniera adeguata per prevenire i danni. Nel caso del mobbing sono pertanto utilizzabili le norme sulla salute e sicurezza del posto di lavoro: anche il rischio di mobbing risulta essere un rischio ragionevolmente prevedibile e va valutato ai sensi d.lgs. n. 81/2008, e dalla valutazione dovranno scaturire delle misure da prendere anche atipiche rispetto ad altre aree del d.lgs. n. 81/2008 esplicitate invece apertamente (ad esempio, politiche di formazione, formulazione di codici di condotta, valutazione dei rischi psicosociali, misura della percezione soggettiva di mobbing nelle organizzazioni, analisi di clima organizzativo ecc.).

Inquadrato il mobbing in una delle categorie citate, ai fini di un risarcimento del danno, sarà necessario fornire la prova dei fatti da parte della potenziale vittima. Deve essere però riscontrata almeno l’alta probabilità del nesso causale, se non la certezza.

Un’ulteriore indicazione fornita dalla giurisprudenza è che, qualora la patologia sia “multicausata”, va percentualizzata la causa da motivi lavorativi. Il lavoratore, che sia riuscito a provare il nesso di causalità fra la condotta molesta e il pregiudizio subito, potrà invocare il ristoro di una pluralità di voci di danno, dal biologico al morale ex art. 2059 c.c., fino al patrimoniale da lucro cessante e danno emergente, nelle ipotesi in cui il mobbing si sia configurato mediante condotta di demansionamento ex art. 2103 c.c. Nell’analisi dell’​aspetto psicologico entra in gioco la distinzione tra ciò che è percepito dalla vittima e ciò che è realmente oggettivo.

Uno stressor soggettivo è altamente influenzato dai processi cognitivi ed emotivi di una persona, mentre uno stressor oggettivo è osservato indipendentemente dal processo cognitivo ed emotivo di una persona[35]​. Nella maggior parte dei casi c’è una

sovrapposizione tra i due stressor.

Una persona può, quindi, provare una forma di stress per determinate azioni e comportamenti, mentre un’altra può non percepire gli stessi come minacce.

La caratteristica individuale nel sentire la situazione come lesiva e persecutoria è fortemente in relazione con la valutazione individuale dell’evento (appraisal) e le strategie che permettono di affrontare adeguatamente gli stimoli stressogeni (coping).

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Partendo da un oggettività di azioni mobbizzanti, la risposta può essere diversa in relazione a caratteristiche della vittima non necessariamente intese come assolute, ma anche in relazione al momento e al contesto.

La stessa frequenza di azioni mobbizzanti, infatti, può portare o meno un individuo a sentirsi vittima di mobbing, in funzione del grado di suscettibilità dello stesso[36]​.

Inoltre, le situazioni mobbizzanti assumono valenza maggiore se sono contestuali a eventi traumatizzanti, extra lavorativi o in ambito lavorativo ma non correlate al mobbing[37]​.

Il mobbing, anche nella sua forma soggettiva può essere attivato e alimentato da condizioni dell’attività e dell’organizzazione. I vissuti dei membri si strutturano nell’interazione con l’organizzazione e le sue parti determinando il comportamento dei singoli, dei gruppi e dunque dell’organizzazione nel suo complesso[38].

Un’ulteriore spiegazione del mobbing soggettivo può essere ricercata nella teoria delle rappresentazioni sociali in cui la vittima cerca di capire se i comportamenti posti in essere nei suoi confronti siano intenzionali e ricerca maggiori informazioni, dando poi vita a una sua rappresentazione degli eventi[39]​.

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1.8) Strumenti di misura del mobbing

L’individuazione di una problematica e la sua rilevazione sono il primo passo per fronteggiarla e prevenirla. Attualmente, nel nostro paese, non sono molti gli strumenti psicometrici di misura del mobbing, e tra quelli noti, spesso non sono definiti i criteri e le peculiarità delle versioni che, nella quasi totalità dei casi, provengono da differenti realtà sociali e lavorative. Nel panorama internazionale si è proceduto invece ad uno studio più approfondito e sistematico delle tecniche utilizzabili per la definizione e la misurazione di questo fenomeno.

Uno dei metodi utilizzati è quello dell ​’intervista. I vantaggi di questa tecnica sono ascrivibili, per lo più, alla ricchezza del materiale raccolto ed all’esperienza diretta di raccolta dati del ricercatore, elemento che consente anche riflessioni e osservazioni che eludono dall’intervista stessa, ma che possono arricchire il lavoro di ricerca.

D’altra parte l’intervista richiede moltissimo tempo, il che costringe ad utilizzare campioni numericamente scarsi, ed è soggetta a tutte le distorsioni tipiche di questo metodo di misurazione; l’intervista rende, perlopiù, laborioso e complesso il lavoro di decodifica e interpretazione dei dati. Lo studio specifico di un caso è una parte importante dello sviluppo di una teoria e, quindi, anche della conoscenza di un fenomeno. Questo tipo di studio permette di concedere ad un singolo caso la completa attenzione e può fornire la base per nuove ipotesi di lavoro, indirizzando la ricerca empirica e lo studio teorico. Lo studio di un caso ha indubbiamente una altissima validità ecologica ma è molto dispendioso a livello di tempi, costringendo, come l’intervista, a considerare un numero esiguo di casi, ragione per cui non è possibile molto spesso compiere nessun tipo generalizzazione.

Le tecniche di ​dialogo di Bubble e di Focus Group sono state utilizzate con successo da numerosi studiosi in ricerche esplorative nella quali si cercava di evidenziare le personalità di mobber e vittima, i sentimenti e i vissuti dei mobbizzati , le strategie di coping e i differenti tipi di “harassment” (molestia).

La tecnica di ”bubble dialogue” ha lo scopo di far emergere le sensazioni , le percezioni, i sentimenti, che rimarrebbero altrimenti inespressi, dei partecipanti. Ai soggetti viene chiesto di immedesimarsi in un personaggio di un video (talvolta si utilizza la

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simulazione) e provare ad esprimerne sentimenti e sensazioni [45]​. La tecnica del “Focus

Group“ prevede la partecipazione di 8-12 persone. I soggetti vengono indirizzati verso precisi argomenti di conversazione e sono invitati ad esprimere il loro punto di vista in proposito[45]​. I gruppi possono essere di due tipi a seconda della composizione dei

gruppi, facendo riferimento a organizzazioni di dimensioni rilevanti con approfondimenti dei vertici o a osservazioni indipendenti fatte dal gruppo di ricerca. Hanno l’obiettivo di rivedere la definizione di mobbing delle persone, valutarne l’interpretazione individuale, capire il contesto in cui avviene il mobbing, individuare i possibili meccanismi di coping del gruppo nei confronti del mobbing, identificarne forme di supporto, implementare possibili strategie di mediazione/ negoziazione e /o conflict management. con lo scopo di informativo/ formativo ed esplorativo delle percezioni che i lavoratori hanno del fenomeno. e’ stabilito che un intervento consulenziale di indagine sul malessere organizzativo fa parte di una metodologia di ricerca ed azione ove l’azione presenta risultati che modificano la situazione in senso sia sociale che psicologico in quanto immette nei soggetti nuove conoscenze , sentimenti dando vita ad un processo circolare. solo il fatto che vi sia un intervento iniziale modifica la realtà organizzativa e favorisce il cambiamento dell’organizzazione e del lavoratore.

Dall’uso di ​diari di vittime di mobbing, alle quali si chiedeva di annotare tutte le azioni vessatorie, i vissuti emotivi, le conseguenze sulla propria vita sociale ecc., sono emerse informazioni preziose e interessanti, anche se totalmente soggettive, del fenomeno del mobbing; tali informazioni hanno indirizzato e fornito spunti per approfondimenti e ricerche, il processo di risposta al fenomeno può essere meglio compreso se la vittima è in grado di utilizzare nel modo giusto il diario annotando di volta in volta ogni episodio riuscendo a razionalizzare il proprio pensiero.

La maggior parte delle ricerche finora svolte sul fenomeno del mobbing hanno utilizzato, come strumento di studio e di misura, il questionario ​; ciò ha permesso di raccogliere dati su grandi campioni in breve tempo, di analizzare diversi tipi di fattori come età, sesso, professione … e le eventuali correlazioni tra essi e la problematica in esame. Indagini empiriche hanno portato alla costruzione di strumenti psicometrici capaci di dare visibilità quantitativa e di disegnare la struttura fattoriale del fenomeno. I più importanti strumenti “quantitativi” di misurazione dl mobbing sono tre: il ​LIPT

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(Leymann Iventory of Psychological Terrorization), Il ​NAQ ​(Negative Act Questionnaire) e la ​WHS​ (Work Harassment Scale).

Leymann ha elaborato il questionaro LIPT [14] ​(Leymann Inventory of Psychological

Terrorization) catalogando 45 azioni mobbizzanti in cinque categorie. Il questionario suddivide le azioni vessatorie nelle seguenti categorie (Ceresia , Lupo, 2001):

❏ attacchi alla possibilità di comunicare ❏ attacchi alle relazioni sociali

❏ attacchi all’immagine sociale

❏ attacchi alla qualità della situazione professionale e privata ❏ attacchi alla salute

Ad ogni domanda è richiesto di indicare quanto spesso si è verificata la corrispondente situazione, negli ultimi sei mesi di lavoro.

K.Bjorkvist, K.Osterman e M.Hjelt-Back (1994) hanno messo a punto la Work Harassment Scale ​(WHS) ​per studiare il fenomeno dell'harassment, in una ricerca condotta su lavoratori dell'Abo Akademy University di Vaasa, in Finlandia.Il questionario è composto da 24 item. Gli intervistati devono indicare in una scala a 5 punte, quante volte, negli ultimi sei mesi, sono stati oggetto di azioni umilianti ed oppressive da parte dei colleghi sul posto di lavoro. Agli intervistati è, inoltre, richiesto di indicare il sesso della vittima o del mobber, nel caso in cui il soggetto avesse subito harassment e, in tale condizione, si invita a precisare anche la posizione gerarchica nell'organizzazione dei soggetti; è inoltre richiesto di specificare il tipo di lavoro svolto all'interno dell'organizzazione.

Il ​NAQ Negative Acts Questionnaire​[40] misura quanto spesso, negli ultimi sei mesi, il

lavoratore è stato oggetto atti negativi e potenzialmente causa di molestie. Il questionario si basa sulle testimonianze di vittime di mobbing.

Uno studio pilota ha poi permesso il perfezionamento della scala. Tutti gli item del NAQ fanno riferimento a comportamenti ma nessuno di loro contiene esplicitamente la parola molestia. I 22 item ( 17 in italia) di cui è composta la scala (Likert a 5 punti) fanno riferimento ad attacchi aperti e diretti contro la vittima e esclusione, isolamento sociale.

(31)

1.9) Il mobbizzato.

Il mobbizzato è la vittima del mobbing.

Il più delle volte è la persona diversa dal gruppo e la sua stessa diversità provoca nel mobber la paura dell’ignoto designandolo per l’esclusione.

Il mobbizzato è l’oggetto delle azioni vessatorie, delle persecuzioni e delle molestie del mobber e dei co-mobber che in modo sistematico e persistente perseguono con ogni mezzo il fine della sua eliminazione. In ambito lavorativo tentano di farlo apparire inutile, svuotandolo delle sue funzioni e facendolo sembrare come un peso per l’organizzazione. Il mobber mette in atto un piano per declassarlo, svilirlo, umiliarlo sul lavoro facendolo passare per vagabondo e incapace con la convinzione e l’incoscienza di avere di fronte un potenziale nemico che probabilmente non chiede altro che di fare il proprio lavoro con dedizione.

Non esiste mobbing quando il mobbizzato non ama o non è attaccato al proprio ruolo ed alle proprie funzione coltivate con professionalità e sacrificio di tempo e denaro.

I sentimenti del mobbizzato sono contrastanti all’inizio per la non consapevolezza del processo di eliminazione, difatti, non comprendendolo subito si butta nel lavoro come se dovesse dimostrare a qualcuno la propria professionalità che puntualmente viene derisa e contrastata anche con azioni al limite della legalità.

Questo processo alla lunga provoca delle disfunzioni sia fisiche che psicologiche al soggetto che all’inizio resiliente finisce per soccombere alle vessazioni e cattiverie progettate da un mobber sostenuto spesso dal mandante e dagli spettatori. La letteratura tenta di individuare alcuni tipi di vittime con degli idealtipi più facilmente esposti. Ege[24] propone una classificazione di 18 tipologie di persone pronte ad essere

mobbizzate anche se risulta difficile categorizzare le vittime e risultano essere: il distratto, il prigioniero, il paranoico, il severo, il presuntuoso, il passivo e dipendente, il buontempone, l’ipocondriaco, il vero collega, l’ambizioso, il sicuro di sé, il camerata, il servile, il sofferente, il capro espiatorio, il pauroso, il permaloso, l’introverso.

Secondo R. Giglioli e A. Giglioli [25] invece il mobbing interessa quattro categorie di

vittime: i creativi, gli onesti, i disabili ed i superflui. Il creativo è particolarmente brillante, con spirito d’iniziativa si diversifica dal gruppo a cui non sente di appartenere perché dopo tanti tentativi capisce che non riesce ad inserirsi. Anche l’onesto diventa

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