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Capitolo 2. Metodi Numerici

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Academic year: 2021

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Capitolo 2. Metodi Numerici

2.1 Introduzione

Le bobine a RF per applicazioni di Risonanza Magnetica sono solitamente costituite da fili o strip conduttori e da condensatori. Vista la loro relativa complessità strutturale è spesso difficile poter analizzare queste antenne applicando direttamente le equazioni di Maxwell. Per l’analisi di bobine la cui dimensione è una piccola frazione della lunghezza d’onda del segnale d’interesse, si può utilizzare il metodo del circuito equivalente.

Questo metodo consiste nel cercare di ricondurre l’oggetto in esame a un circuito elettrico equivalente RLC ( il filo conduttore è modellizzato attraverso un’induttanza) che verrà analizzato con le leggi dell’elettrotecnica; successivamente si procede al calcolo del campo B1 usando le leggi quasi statiche di Biot-Savart. Questo tipo d’approccio è efficiente e sufficientemente accurato finché le dimensioni della bobina sono piccole rispetto a quelle della lunghezza d’onda del segnale RF impiegato.

Come già accennato, però, nelle applicazioni di RM la tendenza è quella di aumentare il campo magnetico statico, e conseguentemente la frequenza di risonanza del sistema, secondo la legge di Larmor. Le frequenze attualmente utilizzate non permettono quindi di trascurare l’interazione tra il campo RF (B1) e il campione biologico. Le risorse di calcolo oggi a disposizione hanno reso disponibile un altro tipo di approccio, quale la progettazione assistita dal calcolatore. Questo strumento si basa sull’utilizzo di tecniche di calcolo che consentono di individuare la distribuzione dei campi elettromagnetici in configurazioni più o meno complesse; una volta noti i campi è possibile calcolare tutti i parametri di interesse per la progettazione ( parametri di mutua induzione, SNR etc. ). Da un punto di vista applicativo, si può dire che i problemi elettromagnetici si riducono alla risoluzione di una o più equazioni

(2)

integrodifferenziali (che possono essere anche accoppiate tra loro) con le appropriate condizioni al contorno e iniziali.

I principali metodi numerici utilizzati in ambito elettromagnetico sono:

• Metodo dei Momenti (Methods of Moments, MoM);

• Metodo degli Elementi Finiti (Finite Elements Method, FEM);

• Metodo delle Differenze Finite nel Dominio del Tempo (Finite Difference of Time Domain, FDTD).

Si procederà, nel proseguo, ad una breve illustrazione dei metodi numerici sopra citati, con particolare attenzione al metodo delle differenze finite nel dominio del tempo, in considerazione del fatto che questo metodo è alla base del software Parrallel Conformal Finite Difference Time Domain, il solver utilizzato in questo lavoro di tesi (cap. 3).

2.2 Metodo dei Momenti

Consideriamo la seguente equazione integrale:

s(x) = α(x)ƒ(x) + ∫ g(x, x′)ƒ (x′)dx′ (2.2.1)

dove ƒ(x) rappresenta la funzione incognita e le funzioni s(x), α(x) e g(x, x′) sono note. La funzione g(x, x′) spesso dipende solo dalla differenza x - x, cioè

(3)

L’equazione 2.2.1 prende il nome di equazione di Fredholm10.

Supponiamo che le variabili x e x′ siano contenute nell’intervallo [a,b], e espandiamo la funzione incognita in termini di opportune funzioni note:

ƒ(x) a1f1(x)+ a2 f (x) + ... + 2 aN f (x) = N

( )

n N n f N

=1 α (x) (2.2.2)

Le f (x) sono dette funzioni di espansione o funzioni base. Si può quindi n ricondurre il problema alla ricerca dei pesi a1 , a2, ..., aN che permettono di esprimere la soluzione cercata come una combinazione lineare di funzioni base note. Sostituendo la 2.2.2 nella 2.2.1 si ottiene:

( )

( ) ( ) ( ) 1 1 x g a x f x a x s N n n n N n n n

= = + = α (2.2.3) con:

′ ′ ′ = b a n n x g x x f x dx g ( ) ( , ) ( ) (2.2.4)

La scelta delle funzioni di base f deve essere tale da permettere la n

ricostruzione della funzione incognita f(x) che in generale può avere un andamento qualsiasi lungo x. Per ottenere la forma numerica della 2.2.3, si può imporre la stessa 2.2.3 in N punti in modo da avere N equazioni in N incognite ed effettuare la risoluzione in forma matriciale.

I risultati ottenuti con questa procedura risultano, però, poco accurati nella maggior parte delle applicazioni. In alternativa si utilizza l’operazione di

Weighting o Testing.

A tal fine si introduce un ulteriore insieme di funzioni wn(x) definite nello stesso dominio della funzione f e si definisce il prodotto interno < w, f >, cioè un’operazione scalare che soddisfi le condizioni di simmetria, linearità e tale per cui:

(4)

< f, f ∗ > > 0 per f ≠0 = 0 per f ≠0

Una possibile scelta è la seguente:

< >=

b

a w x f x dx

f

w, ( ) ( ) (2.2.5)

dove è immediato verificare che la 2.2.5 soddisfa le condizioni precedentemente introdotte.

A questo punto è possibile effettuare l’operazione di Testing su entrambi i membri della 2.2.3:

= = + = N n N n n m n n m n m a r x a g x s 1 1 , , ( ) ( ) (2.2.6) dove:

= b a m m w x s x dx s ( ) ( ) (2.2.7)

= b a m n mn x w x f x dx r α( ) ( ) ( ) (2.2.8)

′ ′ ′ = b a b a n m mn x w x g x x f x dxdx g α( ) ( ) ( , ) ( ) (2.2.9)

In definitiva, il problema di partenza definito nell’equazione 2.2.1 che genericamente può essere rappresentato nella forma:

Lf = s (2.2.10)

dove L rappresenta un operatore lineare integro-differenziale, è stato discretizzato nella forma 2.2.5 che rappresenta un’equazione di tipo matriciale:

s a

(5)

dove a è il vettore delle incognite contenente i pesi delle funzioni di base, M è la matrice i cui elementi sono calcolati secondo la 2.2.8 e la 2.2.9, mentre s rappresenta il vettore del termine noto i cui elementi sono dati dalla 2.2.7. La soluzione è quindi ottenibile per inversione della matrice risolvente cioè:

s M

a= −1 (2.2.12)

La scelta delle funzioni di base fn deve essere tale da permettere la ricostruzione della funzione esatta f che in generale può avere un andamento qualsiasi lungo x. A tale scopo si possono usare delle funzioni di base che possono essere definite su sottodomini o sull’intero dominio.

Una possibile scelta consiste nel ricostruire l’andamento della funzione f(x) come combinazione di funzioni RECT centrate nei vari sottodomini e di ampiezza pari al valore centrale della funzione in quel particolare dominio.

Tale scelta non consente, tuttavia, di rappresentare bene la derivata della funzione incognita. Si potrebbe individuare, come scelta alternativa, l’utilizzo di impulsi triangolari, o anche sinusoidali.

2.3 Metodo degli Elementi Finiti

Il Metodo agli Elementi Finiti utilizza, come il Metodo dei Momenti, una procedura dei residui pesati per ottenere una forma numerica della soluzione. Adesso però le incognite sono i campi anziché le correnti.

Per arrivare alla equazione risolvente bisogna partire dalle equazioni di Maxwell ai rotori, che in questa sede verranno risolte nel dominio della frequenza11:

⎩ ⎨ ⎧ + + = ∇ − = ∇ 0 J E E j H x H j E x σ ωε ωμ (2.3.1)

(6)

Dalla prima delle 2.3.1 si ottiene: E x j H =− ∇ ωμ 1 2.3.2)

che, sostituita nella seconda, fornisce:

0 2 E j E 1 x( xE) jωJ σ ωσ ε ω + + ∇ ∇ =− (2.3.3)

La 2.3.3 diventa l’equazione differenziale da risolvere con le opportune condizioni al contorno, che nel nostro caso sono:

0 ) ( ˆ 0 ˆ = ∇ = E x n E x n su su h e Γ Γ (2.3.4)

dove si è indicato con Γ un eventuale contorno del tipo conduttore elettrico e perfetto (PEC), mentre Γ rappresenta un contorno del tipo conduttore h magnetico perfetto (PMC).

Analogamente al metodo seguito nella descrizione del Metodo dei Momenti, il passo successivo consiste nel definire un prodotto interno:

Ω ⋅ >= <

Ω f d f,υ ( υ) (2.3.5)

dove con Ω si è indicato il dominio di indagine che può essere un volume

(problema tridimensionale) o una superficie (problema bidimensionale). L’equazione risolvente la 2.3.3, in termini di residui pesati, diventa ora:

{

− ⋅ + ⋅ +

[ (

∇ ∇ ⋅

}

=−

⋅ Ω

Ω E j E x xE) ] j Ω(J )d 1 0 2 υ ω υ μ υ ωσ υ ε ω (2.3.6)

Applicando la prima identità di Green in forma vettoriale si ottiene:

dS n E x x d E x d E x x d [( ) ˆ] 1 ) ( ) ( 1 )] ( [ 1 Ω= Ω+

Ωμ υ Ωμ υ μ Ω υ (2.3.7)

(7)

dove con ∂ si è indicato la frontiera del dominio Ω Ω che, in dipendenza dal fatto che sia un volume o una superficie, rappresenta, quindi, una superficie o una curva (comunque chiuse).

L’equazione 2.3.6 può essere scritta come:

{

}

Ω ⋅ − = = ⋅ ∇ + Ω ∇ ⋅ ∇ + ⋅ + ⋅ −

Ω Ω d J j dS n x E x d x E x E j E ) ( ˆ ] ) ( [ 1 ] ) ( ) [( 1 0 2 υ ω υ μ υ μ υ ωσ υ ε ω (2.3.8)

Il dominio di indagine viene quindi scomposto in sottodomini (elementi finiti

mesh) sui quali è possibile definire i valori incogniti del campo. A questo scopo

è necessario scegliere il tipo di elemento da utilizzare, siano essi elementi triangolari o quadrangolari nel caso 2D, tetraedri o parallelepipedi nel caso 3D. La mesh risultante sarà fatta in modo che le proprietà dielettriche e magnetiche

siano uniformi su ogni elemento.

Questa fase (fase di preprocessing) è solitamente realizzata automaticamente da

programmi di calcolo che forniscono anche una numerazione dei nodi e degli elementi. Per definire completamente la geometria della mesh è sufficiente conoscere il numero di nodo con le sue coordinate, il numero di elemento a cui si associano i nodi che lo individuano e le proprietà del materiale.

Il campo elettrico (o magnetico) viene sviluppato su ogni elemento secondo le funzioni base. Ne consegue che la scelta di queste funzioni base è, quindi, molto importante ai fini dei risultati. Supponiamo di espandere il campo elettrico su una base di funzioni vettoriali Wj(r), funzione della posizione r ; il campo

elettrico può quindi essere espresso dalla relazione seguente:

= = Ne j j jW r e r E 1 ) ( ) ( (2.3.9)

dove con N si è indicato il numero di spigoli (edge) nel quale è suddiviso il e

dominio computazionale. I coefficienti e rappresentano, quindi, il valore j

assunto dal campo elettrico allo spigolo j-simo e rappresentano i termini incogniti da determinare.

(8)

Per arrivare ad una forma numerica dell’equazione risolvente 2.3.8 rimane da definire la funzione υ.

Utilizzando la formulazione di Galerkin, secondo la quale si fanno coincidere le funzioni di base con le funzioni di test, cioè υ =W , si ottiene quanto segue:

{

}

e i i j j i j j i j j i N j j j N i d W J j S d n W x W x e d W x W x e d W W j e W W e e ..., , 2 , 1 , ˆ ] ) ( [ 1 ) )( ( 1 ) ( 0 1 2 = Ω ⋅ − = = ⋅ ∇ + Ω ∇ ∇ + + Ω ⋅ + Ω = ⋅ −

Ω Ω ∂ Ω Ω = Ω ω μ μ ωσ ε ω (2.3.10) la 2.3.10 rappresenta quindi un sistema di N equazioni in e N incognite. e Se in fase di preprocessing, come già accennato, si è provveduto a discretizzare il dominio di indagine in elementi con caratteristiche elettriche omogenee, definendo con Ω un generico sottodominio della nostra geometria, i vari n termini della 2.3.10 assumono la seguente espressione:

n i j n i j W d nW W d W ⋅ Ω=− ⋅ Ω −

Ω Ω ( ) 2 2 ε ω ε ω (2.3.11) n i j n i j W d j nW W d W j

⋅ Ω=

⋅ Ω Ω Ωσ ω σ( ) ω (2.3.12) ) ( ) )( ( ) ( 1 ) )( ( 1 n d W x W x n d W x W x j i n i j ∇ Ω= ∇ ∇ Ω ∇

Ωμ Ω μ (2.3.13)

[

]

[

xW xW

]

ndS n dS n W x W x j i n ( j) i ˆ ) ( 1 ˆ ) ( 1

∂Ωμ ∇ = ∂Ω μ ∇ (2.3.14)

Le costanti ε(n), µ(n) e σ(n) rappresentano rispettivamente la costante dielettrica, la costante magnetica e la conducibilità dell’elemento n-simo.

Siamo quindi passati da un problema disomogeneo nella globalità della geometria, ad una serie di problemi omogenei relativamente ad ogni sottodominio.

(9)

Nella 2.3.10, il termine noto è rappresentato dalla correnteJ , ed anche per 0

questo termine è possibile usare un’espansione con le stesse funzioni di base utilizzate per il campo:

= j j jW r J J0 (( )) (2.3.15)

ed i pesi J sono adesso noti; è, dunque, possibile calcolare il secondo membro j

della 2.3.10: n i j i id j J W W d W J j ⋅ Ω=− ⋅ Ω −

Ω ω 0 ω ∂Ω (2.3.16)

A questo punto, è possibile impostare il sistema numerico in forma matriciale; in particolare, definendo il vettore delle incognite e e quello dei termini noti J , cioè: ⎥ ⎥ ⎥ ⎥ ⎥ ⎥ ⎥ ⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎢ ⎢ ⎢ ⎢ ⎢ ⎢ ⎢ ⎣ ⎡ = e N e e e e . . . 2 1 ⎥ ⎥ ⎥ ⎥ ⎥ ⎥ ⎥ ⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎢ ⎢ ⎢ ⎢ ⎢ ⎢ ⎢ ⎣ ⎡ = N J J J J . . . 2 1 (2.3.17) si ottiene: J C e B S T+ + ) = ( (2.3.18)

dove le matrici T,S,Be C hanno come elementi i seguenti termini:

n i j n j i n j n W W d t = − +

⋅ Ω Ω )) ( ) ( ( 2 , ω ε ωσ (2.3.19) n i j n j i xW xW d n s =

∇ ∇ Ω Ω ( )( ) ) ( 1 , μ (2.3.20)

[

]

Ω ∂ ∇ ⋅ = n dS n W x W x n bi j ( j) i ˆ ) ( 1 , μ (2.3.21)

Ω ⋅ Ω − = n j i n j i j W W d c, ω (2.3.22)

(10)

In definitiva, il problema di partenza si è ricondotto alla risoluzione numerica di un’equazione matriciale del tipo:

Ae= h (2.3.23)

la cui soluzione è ovviamente:

h A e= −1

(2.3.24)

Dal punto di vista numerico l’onere computazionale maggiore è quello necessario all’inversione della matrice risolvente. Infatti, per una accurata interpolazione dei campi si è soliti usare dei sottodomini con grandezze caratteristiche dell’ordine di λ/10. Ciò determina un considerevole incremento delle incognite, anche per problemi di dimensioni non elevate.

Risulta opportuno, però, considerare che la matrice risultante è una matrice molto sparsa ossia con pochi valori diversi da zero per riga: alla costruzione dei vari termini contribuiscono infatti solo gli elementi adiacenti.

Esistono delle tecniche di memorizzazione delle matrici che evitano l’uso di memoria da parte dell’elaboratore dove non necessario (si memorizzano solo gli elementi non nulli e la loro posizione relativa all’interno della matrice).

Il sistema finale viene quindi risolto in maniera iterativa, ad esempio mediante il metodo del Gradiente Coniugato, o con altri metodi di fattorizzazione.

(11)

2.4 Il metodo delle Differenze Finite nel Dominio del Tempo

Nella comunità scientifica si sta diffondendo sempre più il metodo delle differenze finite nel dominio nel tempo (Finite Difference Time Domain, FDTD); ciò in conseguenza della semplicità concettuale e grazie alle moderne capacità di calcolo. La teoria relativa a questa tecnica era infatti stata presentata già nel 1966 da Yee ma le applicazioni in ambito elettromagnetico sono diventate molto attuali solo negli ultimi anni.

Il metodo si basa su una discretizzazione delle equazioni di Maxwell ai rotori direttamente nel dominio del tempo tramite opportune differenze finite che permettono la risoluzione senza bisogno di invertire alcuna matrice.

Supponiamo che nel problema non siano presenti sorgenti ma siano tuttavia presenti materiali con perdite di tipo elettrico e magnetico. Per tenere conto di tali perdite, verrà considerata la presenza di una densità di corrente magnetica equivalente Jm e di una densità di corrente elettrica equivalente J:

H

Jmm (2.4.1)

JE (2.4.2)

dove con σm si `e indicata una conducibilità magnetica equivalente, le cui

dimensioni sono Ω/m, e con σ una conducibilità elettrica espressa in S/m. Le equazioni di Maxwell ai rotori espresse nel dominio del tempo diventano:

=− ∇ ∂ ∂ μ 1 t H x E m H μ σ − (2.4.3) ∇ = ∂ ∂ ε 1 t E x H E ε σ − (2.4.4)

Nel caso più generale, quello tridimensionale, le equazioni 2.4.3 e 2.4.4 rappresentano un sistema di 6 equazioni scalari in 6 incognite; esplicitando le varie componenti vettoriali delle due equazioni in coordiante cartesiane si ottiene:

(12)

⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ + ∂ ∂ − ∂ ∂ = ∂ ∂ x m z y x H y E z E t H σ μ 1 ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ + ∂ ∂ − ∂ ∂ = ∂ ∂ y m x z y H z E x E t H σ μ 1 (2.4.5) ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ + ∂ ∂ − ∂ ∂ = ∂ ∂ z m y x z H x E y E t H σ μ 1 ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ − ∂ ∂ − ∂ ∂ = ∂ ∂ x y z x E z H y H t E σ ε 1 ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ ∂ ∂ − ∂ ∂ = ∂ ∂ y z x y E x H z H t E σ ε 1 (2.4.6) ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ − ∂ ∂ − ∂ ∂ = ∂ ∂ z x y z E y H x H t E σ ε 1

Per problemi nei quali non ci siano variazioni rispetto a una delle tre coordinate cartesiane è possibile ricondurre la risoluzione delle equazioni di Maxwell a due sistemi di 3 equazioni in 3 incognite (problema 2D) nei quali uno dei campi è contenuto interamente nel piano considerato. In particolare, supponendo che ci sia uniformità dei campi lungo la direzione z del riferimento cartesiano,

considerando il campo magnetico trasverso al piano (modo TM) si ha: ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ + ∂ ∂ − = ∂ ∂ x m z x H y E t H σ μ 1 ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ + ∂ ∂ = ∂ ∂ y m z y H x E t H σ μ 1 (2.4.7) ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ − ∂ ∂ − ∂ ∂ = ∂ ∂ z x y z E y H x H t E σ ε 1

(13)

⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ ∂ ∂ − = ∂ ∂ y z y E x H t E σ ε 1 ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ ∂ ∂ = ∂ ∂ x z x E y H t E σ ε 1 (2.4.8) ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ + ∂ ∂ − ∂ ∂ = ∂ ∂ z m y x z H x E y E t H σ μ 1

Bisogna osservare che i modi TE e TM sono disaccoppiati per cui non c’è interazione tra i campi dei due modi; questo fa sì che si possa considerare la sovrapposizione dei due problemi. Questo tipo di equazioni può essere utile, ad esempio, allo studio delle guide d’onda sul piano trasverso o di problemi a simmetria cilindrica.

2.5 Discretizzazione mediante differenze finite

L’algoritmo di Yee usato nel metodo FDTD è basato sull’approssimazione a differenze finite delle derivate nello spazio e nel tempo delle equazioni di Maxwell ai rotori. Data una funzione f(s) non rapidamente variabile, per un

intervallo Δs sufficientemente piccolo, la sua derivata può essere approssimata

tramite una differenza finita su due punti. L’accuratezza migliore (minimizzazione dell’errore quadratico medio) si ottiene per una differenza finita centrale, cioè:

( )

2 0 0 /2) ( /2) ( 0 s O s s s f s s f ds df s s Δ + Δ Δ − − Δ + = = (2.5.1)

(14)

Ciò determina che gli errori di discretizzazione sono ridotti di un fattore quattro se l’intervallo finito viene dimezzato.

Nello schema FDTD viene utilizzata proprio una differenza centrale per discretizzare tutte le derivate sia spaziali che temporali presenti.

Data la complessità della notazione consideriamo per il momento il caso di propagazione in spazio libero, con campi di tipo TE. In questo caso le equazioni 2.4.8 si riducono a: x H t Ey z ∂ ∂ − = ∂ ∂ 0 ε y H t Ex z ∂ ∂ = ∂ ∂ 0 ε (2.5.2) x E y E t Hz z y ∂ ∂ − ∂ ∂ = ∂ ∂ 0 μ

2.5.1 Discretizzazione spaziale

La discretizzazione spaziale prevede il posizionamento dei campi in una griglia, come quello in figura 2.1, che permette facilmente l’esecuzione della derivata tramite differenze finite. In particolare i campi magnetici vengono posizionati al centro della superficie sottesa dalla singola cella, risultando così sfalsati di mezza cella.

Questa sistemazione di campi permette una facile esecuzione delle derivate parziale rispettando il legame esistente tra un campo elettrico e un campo magnetico, risultando al tempo stesso facile da implementare in un codice di calcolo.

(15)

Figura 2.1: Griglia per il calcolo delle FDTD.

Con riferimento alla figura 2.2, utilizziamo la seguente notazione:

[

x i x y j y

]

E Exi,j = x =( +1/2)Δ , = Δ

[

x i x y j y

]

E Eyi,j = y = Δ , =( +1/2)Δ (2.5.3)

[

x i x y j y

]

H Hzi,j = z = +1/2Δ , =( +1/2)Δ

Con questa notazione, le equazioni di Maxwell 2.5.2 possono essere scritte come: x H H E ij i j j i z z y Δ − − = , − ,1 , . 0 ε y H H E ij ij j i z z x Δ − − = , ,−1 , . 0 ε (2.5.4) x E E y E E H ij ij ij i j j i y y x x z Δ − − Δ − = , ,−1 , −1, , . 0 μ

Il caso TM bidimensionale si può ottenere in maniera analoga.

Le equazioni 2.5.4 sono state ottenute discretizzando le equazioni di Maxwell (si è usata la notazione f.−∂f /∂t).

E’ facile notare come, una volta definito il grigliato dove sono assegnate le componenti di campo, l’algoritmo di Yee derivato dalle equazioni di Maxwell in forma differenziale rappresenti un’applicazione delle leggi di Faraday e di Ampere in forma locale.

(16)

Consideriamo infatti sul piano xy una singola cella con componenti di campo elettrico Ex ed Ey lungo gli spigoli e una componente di campo magnetico Hz

passante per il centro della faccia (fig. 2.2).

Figura 2.2: Singola cella del grigliato FDTD.

Applicando la legge di Faraday e considerando conducibilità elettrica e magnetica nulla si ha:

∫∫

∫∫

⋅ ∂ ∂ − = ⋅ ∂ ∂ − = ⋅ ∂sE dl t sB dS t sμH dS (2.5.5)

Supponendo H costante nella cella e E lungo gli spigoli, la 2.5.5 applicata alla celletta (i, j) di lati Δx e Δy diventa:

x y H y E x E y E x Exi,jΔ + yi+1,jΔ − xi,jΔ + yi+1,jΔ =− zi,j Δ Δ . 0 μ

che coincide con la terza delle (2.5.4), dividendo per l’area della cella ΔxΔy. In questo caso il vantaggio derivato dall’aver sfalsato i campi elettrici e magnetici di mezza cella risulta ancora più evidente.

Analogamente nel caso TM si potrebbe dimostrare che sistemando i campi come in figura 2.3 si trova anche l’equazione di Ampere in forma integrale:

(17)

Figura 2.3: Singola cella del grigliato FDTD.

2.5.2 Discretizzazione temporale

Per quanto riguarda la discretizzazione temporale, si applica lo stesso principio delle differenze centrali. Lo shift di mezza cella dei campi deve essere mantenuto anche nel tempo, per cui i campi elettrici e magnetici devono essere valutati a tempi diversi di una quantità pari a mezzo passo di campionamento Δt. Utilizziamo la seguente notazione En =E(t =t0 +nΔt), cioè indichiamo con l’apice la discretizzazione temporale a partire da un certo istante t0.

Le equazioni di Maxwell allora possono essere scritte nella seguente maniera:

=∇ Δ − ≅ − − t E E E n n n 1/2 1 . ε ε x Hn−1/2 (2.5.7) −∇ = Δ − ≅ + − − t H H E n n n 1/2 1/2 1 . μ μ x E n (2.5.8)

Nelle equazioni precedenti sono state trascurate le conducibilità elettrica e magnetica nel mezzo. Riarrangiando i termini si può riscrivere:

(18)

= − +Δ ∇ ε t E En n 1 x Hn−1/2 (2.5.9) + = − −Δ ∇ μ t H Hn 1/2 n 1/2 x E n (2.5.10)

Lo schema che prevede l’aggiornamento dei campi potrebbe essere quello illustrato in figura 2.4; il campo elettrico viene aggiornato utilizzando il valore dello stesso campo elettrico al passo precedente e il valore di campo magnetico ottenuto al passo intermedio. Analogamente, il campo magnetico si aggiorna a partire dal campo magnetico stesso ricavato al passo precedente e da quello del campo elettrico ricavato al passo intermedio (leap-frog scheme).

E’ importante osservare che, ai fini computazionali, non è possibile definire un vettore con indice frazionario. L’implementazione pratica delle 2.5.9 e 2.5.10 prevede che vengano aggiornati dei vettori con indice (temporale) generico n.

Figura 2.4: Schema che illustra l’aggiornamento dei campi.

Le equazioni 2.5.9 e 2.5.10 possono quindi essere riscritte come:

(19)

= − −Δ ∇ μ

t H

Hn n 1 x En (2.5.12)

sottintendendo lo schema sfalsato nel tempo appena illustrato.

Si noti come nella seconda equazione debba essere usato per il campo elettrico il valore appena ricavato dalla prima equazione.

Alla luce di quanto esposto finora siamo in grado di scrivere le equazioni risolventi nel caso TE considerando anche la variazione temporale. In particolare le 2.5.4 diventano ora:

) ( 1 1 0 1 1 , , , , − − − − − Δ Δ − = n z n z n y n yij ij x H ij H ij t E E ε ) ( 1 1 0 1 1 , , , , − − − − − Δ Δ + = n z n z n x n xij ij x H ij H ij t E E ε (2.5.13) ) ( ) ( 1 , , 1 , , , , 0 0 1 n x n x n x n x n z n zij ij ij ij x Eij E ij t E E y t H H Δ Δ − − Δ Δ + = − μ μ

Nel caso in cui si voglia tener conto di eventuali perdite ohmiche o della conducibilità del mezzo, la 2.5.7 diventa:

n−1./2 =∇

E

ε x n−1/2 − n−1/2

E

H σ (2.5.14)

che può essere discretizzata come:

∇ = Δ − n−1 n−1 n E t E E ε x Hn−1/2 2 1 − + −σ En En (2.5.15)

cioè ricorrendo a una semplice media per il calcolo del termine En−1/2.

E’ quindi sufficiente isolare il termine E per ottenere la relazione ricorsica n seguente: Δ ∇ Δ + + Δ + Δ − = − ε ε σ ε σ ε σ t t E t t En n 2 / 1 1 2 / 1 2 / 1 1 x Hn−1/2 (2.5.16)

(20)

2.5.3 Estensione al caso tridimensionale

Supponiamo di dividere la geometria del nostro problema in tante cellette di forma parallelepipeda: per ogni celletta è possibile definire un campo elettrico e un campo magnetico che verranno scomposti nelle tre coordinate cartesiane. Le tre componenti del campo elettrico verranno posizionate al centro degli spigoli che si adagiano sulla terna di assi cartesiani come mostrato in figura 2.5, mentre le tre componenti di campo magnetico verranno posizionate al centro delle tre facce che appartengono al piano xy, xz e yz.

Il risultato è una distribuzione uniforme delle tre componenti del campo elettrico e magnetico alternate e relazionate in maniera da riprodurre in modo numerico l’andamento dei campi su tutta la griglia di discretizzazione.

Le equazioni ora viste si possono interpretare come una discretizzazione alle differenze finite tra due componenti contigue.

L’algoritmo di Yee definito nel tempo rappresenta un continuo aggiornamento di tutte le componenti dei campi, che dipendono quindi dalle componenti vicine e da quelle all’istante precedente.

Tra i vantaggi di questo metodo oltre alla già citata affidabilità dei risultati nel caso di transitori si deve segnalare la possibilità di parallelizzare il metodo, ossia di scomporre la geometria in più sezioni e di delegare la risoluzione computazionale a più elaboratori. La fase di scambio dati tra elaboratori risulta limitata solo ai campi presenti all’interfaccia del confine usato per dividere i sottodomini.

(21)

Figura 2.5: Cella tridimensionale per il calcolo delle FDTD.

2.6 Accuratezza del metodo: dispersione e stabilità

L’algoritmo di Yee, per quanto efficiente dal punto di vista computazionale, presenta degli inconvenienti legati alla sua implementazione che riguardano essenzialmente problemi di dispersione numerica, stabilità ed errori provenienti dall’imposizione di opportune condizioni al contorno che vengono impiegate per terminare il dominio computazionale.

Questi aspetti verranno descritti nel seguito della trattazione.

2.6.1 Dispersione numerica

Consideriamo per semplicità il caso dell’equazione d’onda monodimensionale. Nel caso continuo può essere espressa come:

2 2 2 2 2 1 x u t u c ∂ ∂ = ∂ ∂ (2.6.1)

(22)

dove c rappresenta la velocità della luce e u - u(x, t) è la funzione che rappresenta il campo elettrico o magnetico.

La soluzione di questa equazione differenziale è esprimibile come somma di due funzioni che si propagano in direzione x e −x:

u(x, t) = F(x − ct) + G(x + ct) (2.6.2)

Per definire la relazione di dispersione occorre lavorare con segnali monocromatici a frequenza f fissata. Consideriamo, quindi, il caso più semplice di onda viaggiante di tipo sinusoidale:

u(x, t)= ej(ωt-kx) (2.6.3)

dove ω = 2πf e k rappresenta il numero d’onda legato alla frequenza di lavoro attraverso la lunghezza d’onda, cioè λ = c/f e k = 2π/λ.

Sostituendo la 2.6.3 nell’equazione d’onda si ottiene la relazione di dispersione, cioè la relazione che lega la pulsazione ω al numero d’onda k.

Per il caso particolare ora esaminato la relazione di dispersione è lineare:

c

k =ω (2.6.4)

Dalla relazione di dispersione è poi possibile ricavare la velocità di fase e quella di gruppo dell’onda che risultano:

c f ω υ ≡ (2.6.5) c k g = ∂ ≡ ω υ (2.6.6)

(23)

E’ bene notare come tali velocità non dipendano dalla frequenza e siano coincidenti.

Procediamo operando la stessa analisi nel dominio numerico.

L’equazione d’onda, con le notazioni utilizzate nei paragrafi precedenti, diventa adesso:

[ ]

( )

2

[ ]

2 1 1 2 2 2 1 1 1 2 ) ( 2 t O t u u u c x O x u u u n i n i n i n i n i n i + Δ Δ + − = Δ + Δ + − + − − + (2.6.7)

Trascurando i termini di ordine superiore ed esplicitando il termine n+1

i u si ha: 1 2 1 1 2 1 ) ( 2 ) ( + − − + + ⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎣ ⎡ Δ + − Δ ≅ n i n i n i n i n i n i u u x u u u t c u (2.6.8)

Questa rappresenta la soluzione numerica FDTD dell’equazione d’onda.

Di particolare interesse risulta il caso cΔt = Δx per il quale è possibile dimostrare che i termine di ordine superiore si annullano e l’equazione 2.6.8 risulta esatta e non più approssimata.

Purtroppo questo caso è solo teorico e non vale in due o tre dimensioni.

Per trovare la relazione di dispersione numerica occorre considerare, come si era fatto nel caso continuo, dei segnali monocromatici.

In particolare, nel caso più generale, la soluzione dell’equazione d’onda in forma numerica per segnali sinusoidali è del tipo:

n j( n t k~i x)

i e

u = ωΔ− Δ (2.6.9)

dove stiamo considerando un numero d’onda complesso k~=k′+ jk ′′′. Sostituendo la soluzione 2.6.9 nell’equazione d’onda è possibile anche in questo caso ricavare la relazione di dispersione per il caso numerico che adesso assume una forma più complicata del caso semplice visto in precedenza:

(24)

[

]

⎪⎭ ⎪ ⎬ ⎫ ⎪⎩ ⎪ ⎨ ⎧ − Δ ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ Δ Δ + Δ = 1 cos1 cos( ) 1 ~ 1 2 t t c x x k ω (2.6.10)

Analizzando in dettaglio la 2.6.10 si possono trarre delle interessanti conclusioni. Innanzitutto, come era da prevedere, nel caso in cui

0 ,

0 Δ →

Δx t si ritrova la relazione di dispersione lineare valida nel caso

continuo. La stessa relazione si ritrova anche nel caso particolare in cui

cΔt = Δx. Possiamo affermare che i due casi sopra indicati sono gli unici in cui la relazione è di tipo non dispersivo. Tuttavia essi non risultano significativi nel caso di applicazioni pratiche.

Per comprendere cosa succede in pratica occorre considerare dei casi al variare della discretizzazione del dominio spaziale e temporale.

Definiamo il fattore S =cΔtx come un fattore di stabilità numerica che verrà discusso in seguito e sia N =λ0/Δx la risoluzione spaziale in termini di

lunghezza d’onda.

La relazione di dispersione può essere riscritta in termini di parametri ora definiti: ~ 1 cos−1(ξ) Δ = x k (2.6.11) con ⎦ ⎤ ⎢ ⎣ ⎡ ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ + =1 12 cos 2 1 N S S π ξ (2.6.12)

dalla 2.6.11 si nota come, per valori diξ ≤−1, il numero d’onda sia complesso. Questo implica che per una discretizzazione

2 S

(25)

l’onda risultante subisce anche un’attenuazione. Per una discretizzazione più fitta, il numero d’onda è reale.

Figura 2.6: Grafico dell’attenuazione e della velocità di fase.

Nel grafico di figura 2.6 viene riportata la velocità di fase e l’attenuazione calcolata dalla 2.6.11 nel caso in cui S=0,5.

Si può notare come la velocità di fase tenda al valore ideale all’aumentare della discretizzazione. Ciò è confermato anche nel grafico di figura 2.7 nel quale viene riportato l’errore percentuale rispetto al valore ideale in funzione del fattore N. Dal grafico si evince che, per mantenere l’errore ad un valore circa dell’ 1% occorre usare una discretizzazione di almeno 10 celle per lunghezza d’onda.

(26)

Figura 2.7: Errore percentuale rispetto al valore ideale in funzione di N.

Nel caso bidimensionale la relazione di dispersione può essere scritta nella seguente maniera: 2 2 2 2 ~ sin 1 2 ~ sin 1 2 sin 1 ⎥ ⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎢ ⎣ ⎡ ⎟ ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎜ ⎝ ⎛ Δ Δ + ⎥ ⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎢ ⎣ ⎡ ⎟ ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎜ ⎝ ⎛ Δ Δ = ⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎣ ⎡ ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ Δ Δ y k y x k x t t c y x ω (2.6.14)

che, nel caso di grigliato uniformeΔxy=Δ, definendo adesso S =cΔt/Δ e Δ =λ0/ N diventa: ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛Δ Φ ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛Δ Φ = ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ 2 sin ~ sin 2 cos ~ sin sin 1 2 2 2 2 k k N S S π (2.6.15)

dove Φ rappresenta adesso la direzione di propagazione dell’onda rispetto all’asse x della griglia.

La relazione precedente ci permette di evidenziare un altro effetto introdotto dalla discretizzazione e cioè il fatto che adesso la velocità di fase e di gruppo dipende dalla direzione dell’onda nel grigliato numerico.

La discretizzazione introduce quindi un certo grado di anisotropia che può essere mantenuto basso aumentando la densità della mesh, cioè il numero N.

(27)

2.6.2 Stabilità

Consideriamo di nuovo il caso dell’equazione d’onda monodimensionale in forma numerica.

Volendo scrivere la soluzione generica, potremmo procedere nella seguente forma: x i k j t n n i q e u = Δ ~Δ (2.6.16)

mettendo in evidenza il fattore q dal quale dipende la forma d’onda risultante. In particolare, la soluzione verrà amplificata o attenuata secondo che il modulo del fattore q sia maggiore o minore di 1 (nel caso in cui |q| = 1 si avrà una soluzione oscillante ma limitata).

Affinché la soluzione sia stabile occorre che ad un segnale di ingresso finito corrisponda un segnale di uscita finito. Nel nostro caso sostituendo l’espressione 2.6.16 nell’equazione d’onda in forma numerica ed eliminando i fattori comuni si ottiene: q2− Aq2 +1=0 (2.6.17) con: ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ Δ ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ Δ Δ − = 2 sin 2 1 2 2 x k x t c A (2.6.18) da cui: 1 2 ± =A A q (2.6.19)

Una soluzione instabile si ottiene se |q| > 1 e ciò può accadere solo se |A >1 e

(28)

(

1 2

)

1/2 =1 +

= A j A

q (2.6.20)

per cui la soluzione non diverge.

In definitiva, per la stabilità numerica nel caso monodimensionale è richiesta la condizione:

x t

cΔ ≤Δ (2.6.21)

Questo limite è noto come criterio di Courant.

Se il criterio di Courant è soddisfatto allora la griglia FDTD è connessa in maniera causale e la velocità di propagazione attraverso la mesh ha come limite

superiore la velocità della luce.

Nel caso tridimensionale il criterio stabilisce che:

2 2 2 1 1 1 1 z y x t c Δ + Δ + Δ ≤ Δ (2.6.22)

dove c rappresenta la velocità della luce calcolata nella celletta relativa. Per materiali disomogenei, bisogna considerare l’intervallo temporale minimo calcolato secondo la 2.6.22.

Il motivo per il quale il passo di campionamento viene ridotto nel passare da due a tre dimensioni si può ricercare considerando un’onda che si propaga con

° =

Φ 45 in un grigliato uniforme bidimensionale.

Lungo la direzione di propagazione il passo di discretizzazione della mesh risulta pari a Δx/ 2per cui il passo di campionamento deve ridursi di conseguenza (fig. 2.8).

(29)

2.7 Condizioni al contorno assorbenti

Per quanto riguarda le condizioni al contorno, occorre definire delle condizioni che simulino l’allontanamento delle onde incidenti al confine del dominio di indagine (condizioni assorbenti).

Immaginiamo, ad esempio, di voler determinare la distribuzione di un campo elettromagnetico generato da un’antenna in spazio libero: con il metodo FDTD è necessario discretizzare l’antenna e lo spazio circostante, per cui al confine del grigliato si deve simulare la propagazione delle onde che si allontanano dall’antenna. In letteratura sono state formulate implementazioni di questo tipo che vengono dette absorbing boundary conditions (ABC) o anche Radiation Boundary Conditions (RBC); tutte però introducono degli errori (riflessioni

spurie) che possono alterare i risultati della simulazione. Inoltre funzionano tanto meglio quanto più sono poste lontano dalla superficie scatterante, rendendo necessario un dominio computazionale molto grande.

(30)

A titolo esemplificativo, deriviamo la condizione assorbente del primo ordine nel caso monodimensionale; introducendo gli operatori

x x ∂ ∂ = ∂ e t t ∂ ∂ = ∂ ,

l’equazione d’onda è esprimibile come:

1 2 0 2 2 =u c u t x (2.7.1) ovvero: 0 1 1 = ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ + ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ t u c c t x x (2.7.2)

applicando separatamente gli operatori in parentesi si ottiene:

0 1 = ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ u c t x (2.7.3) 0 1 = ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ + u c t x (2.7.4)

nel primo caso, la soluzione è rappresentata da onde che viaggiano verso x

decrescenti del tipo u(x + ct), nel secondo caso invece le soluzioni sono onde

che viaggiano verso x crescenti cioè del tipo u(x − ct).

Le relazioni possono, quindi, essere discretizzate ed applicate rispettivamente a destra e sinistra del dominio numerico. Ad esempio la discretizzazione della prima, quella sul confine sinistro, porta a:

n n

(

un un

)

t c x t c x u u 1 1 2 2 1 1 Δ + Δ − Δ − Δ − = + + (2.7.5)

(31)

Le condizioni così derivate sono tanto più accurate quanto più il campo che arriva al confine del dominio assume la struttura di tipo onda piana e quanto più il campo incidente è normale al piano in cui si applicano. Nei casi pratici si verificano delle riflessioni spurie che si ritrovano nel dominio di indagine facendo diminuire l’accuratezza del metodo. In letteratura sono state proposte delle condizioni assorbenti basate su un principio differente: il dominio di indagine viene terminato con un mezzo che presenta una conducibilità elettrica e magnetica tale che alla discontinuità tra spazio libero e mezzo stesso l’impedenza relativa non vari e risulti sempre adattata (Perfectly Matched

Layer-PML). In particolare se il mezzo presenta proprietà tali che:

0

0 μ

σ ε

σ = m

la sua impedenza caratteristica risulta pari a quella del vuoto.

La riflessione all’interfaccia viene quindi ridotta in virtù dell’adattamento esistente tra mezzo e vuoto. Il segnale che entra nel mezzo viene poi attenuato per la presenza delle perdite. Il dominio viene poi terminato con un PEC in maniera che il segnale che arriva all’estremità del confine venga riflesso verso l’interno e subisca un’ulteriore attenuazione.

Ottimizzando il profilo di conducibilità del mezzo lungo la direzione di propagazione, si è in grado di assorbire onde con qualsiasi angolo di incidenza rispetto all’interfaccia. Il mezzo in questione fornisce risultati molto accurati (riflessioni spurie dell’ordine di -60 dB).

Il maggior onere computazionale viene compensato dal fatto che adesso le condizioni PML possono essere poste in prossimità degli oggetti analizzati, permettendo una riduzione del volume globale di indagine. Nel capitolo successivo verrà descritto il solver CFDTD basato sul metodo numerico FDTD, utilizzato per compiere simulazioni di bobine per MRI.

Figura

Figura 2.4: Schema che illustra l’aggiornamento dei campi.
Figura 2.5: Cella tridimensionale per il calcolo delle FDTD.
Figura 2.7: Errore percentuale rispetto al valore ideale in funzione di N.
Figura 2.8: Onda che si propaga con  Φ 45 = °  in un grigliato uniforme bidimensionale

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