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La Biblioteca Capitolare di Verona. Analisi delle dinamiche storiche, sociali ed economiche della più antica biblioteca d'Italia.

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale

in Economia e Gestione

delle Arti e delle attività

culturali

Tesi di Laurea

La Biblioteca Capitolare

di Verona

Analisi delle dinamiche storiche, sociali ed

economiche della più antica biblioteca d’Italia

Relatore

Ch. Prof. Federico Pupo

Correlatore

Ch. Prof. Fabrizio Panozzo

Laureando

Federico Marino Matricola 865843

Anno Accademico

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Indice

Introduzione ... 1

I.Le biblioteche in Italia: storia, definizioni, tipologie ed esempi ... 3

I.1. La situazione attuale... 3

I.2. Le biblioteche ecclesiastiche ... 6

I.3. Le biblioteche museo e la loro importanza ... 7

I.4. Le biblioteche storiche ... 11

I.5. Il funzionamento delle biblioteche storiche e alcuni esempi in Italia ... 15

I.5.1. La biblioteca Marciana ... 16

I.5.2. Biblioteca Angelica ... 19

I.5.3. Biblioteca Medicea Laurenziana... 21

I.5.4. La Biblioteca Nazionale Braidense ... 23

II.La Biblioteca Capitolare di Verona... 29

II.1. Dinamiche storiche della biblioteca più antica al mondo ... 29

II.1.1. Le origini ... 29

II.1.2. Prima dell’anno mille ... 30

II.1.3. Dall’età degli Scaligeri al Settecento ... 31

II.1.4. Dall'Ottocento fino ad oggi ... 33

II.2. L'ingente patrimonio della Biblioteca Capitolare ... 35

II.3. La gestione della Biblioteca da parte del Capitolo ... 38

II.4. Azioni intraprese dalla Biblioteca Capitolare ... 41

II.4.1. La collaborazione con l’Università di Verona e le mostre ... 42

II.4.2. Restauri ed interventi per l’accessibilità ... 48

III.Dall’esternalizzazione della gestione alla nascita della Fondazione Biblioteca Capitolare ... 57

III.1. Mission e vision della Fondazione Discanto ... 57

III.2. La collaborazione con Fondazione Discanto ... 58

III.2.1. Prima fase: avviamento del progetto ... 60

III.2.2. Seconda fase: mostra “Verona al tempo di Ursicino” ... 66

III.2.3. Terza fase: aperture in occasione di eventi ... 69

III.2.4. Quarta fase: aperture stabili nei fine settimana ... 76

III.2.5. Riepilogo dei risultati e considerazioni sulla collaborazione ... 83

III.3. Presenza online e web reputation della Biblioteca ... 86

III.3.1. Sito web ... 87

III.3.2. Facebook ... 88

III.3.3. Instagram ... 89

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III.3.5. Google Trends ... 92

III.4. La Fondazione Biblioteca Capitolare ... 94

III.4.1. La disciplina delle fondazioni ... 94

III.4.2. Gestione odierna e sponsorship: la donazione di Bauli S.p.a. ... 99

III.4.3. Collaborazione con altri enti culturali: il Museo Egizio di Torino... 101

Conclusioni ... 103

Bibliografia ... 107

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Introduzione

Alla base di questo studio vi è l’analisi delle azioni intraprese dalla Biblioteca Capitolare di Verona per rilanciare la propria immagine e porsi come agenzia educativa al servizio di studiosi e visitatori. Oggi, anche gli enti culturali devono confrontarsi con una realtà in rapida evoluzione proponendo iniziative in grado di interessare e rendere partecipe un pubblico che si configura come sempre più vasto e variegato, allo scopo di diventare veri e propri generatori di cultura.

L’obiettivo di questa tesi è quello di fornire un’analisi accurata dei passaggi che hanno consentito alla Biblioteca Capitolare di diventare uno spazio dinamico capace di affermarsi come catalizzatore per la ricerca e la formazione dei cittadini veronesi, prestando particolare attenzione agli aspetti economici e manageriali che hanno reso questo sviluppo possibile.

Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire questo argomento e la Biblioteca Capitolare come soggetto sono principalmente due. In primo luogo, volevo portare come tema del mio elaborato finale qualcosa di inerente al percorso di studi da me intrapreso e al contempo approfondire un argomento che sentissi vicino e che mi interessasse davvero. Per questi motivi la mia scelta è ricaduta sull’analisi di un’istituzione veronese che è riuscita, negli ultimi tre anni, a passare da una condizione di quasi totale stagnazione a quella di promotrice di cultura, capace di attirare importanti sponsor e collaborare con le maggiori realtà del territorio.

Sono state condotte indagini in loco, ricorrendo a delle interviste e alla consultazione di documenti relativi ai vari momenti di questo processo. Lo studio dei dati raccolti è stato svolto comparando l’operato della Capitolare con i dati economici disponibili, così da poter verificare il successo dei singoli eventi quantificandone costi e presenze.

Nel primo capito vengono descritte le tipologie di biblioteche simili alla Capitolare, per dare una definizione il più possibile completa dell’oggetto di studio in questione. Successivamente vengono prese in esame le maggiori biblioteche italiane, ripercorrendone brevemente la storia fino ad arrivare alle odierne metodologie adottate per tenere vivo e centrale il loro ruolo all’interno del panorama cittadino. Nel secondo capitolo viene esposta la storia della Biblioteca Capitolare, dei motivi che consentono di

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considerarla la più antica al mondo e del patrimonio qui contenuto. Viene altresì indagata la collaborazione con l’Università degli Studi di Verona, mettendone in evidenza gli aspetti salienti e i risultati che si intendono ottenere. Senza dubbio, uno degli scopi ultimi della Biblioteca è quello di rimodernarne la struttura e creare un percorso espositivo che permetta al pubblico di conoscerne la storia e gli elementi costituenti, per questo motivo viene riportato e commentato un progetto elaborato a tal scopo.

Il terzo capitolo verte invece sulla collaborazione tra la Biblioteca Capitolare e Fondazione Discanto, la fondazione culturale di cui si è avvalsa la Capitolare per sopperire alla mancanza di figure professionali in grado di promuoverne l’immagine. Si prosegue quindi con lo studio di questa collaborazione che, articolata in quattro fasi, ha portato alla realizzazione di molti eventi ed iniziative, proponendo aperture stabili e politiche gestionali in grado di suscitare interesse nei confronti della Biblioteca. Contestualmente vengono analizzati anche i profili e le pagine della Capitolare presenti online nelle piattaforme dei maggiori social media, allo scopo di comprendere quali benefici possano apportare questi canali, se correttamente utilizzati, ed esaminare l’online

reputation della Biblioteca.

Infine, ci si occupa dell’istituzione della nuova Fondazione Capitolare, dei suoi obiettivi e dei progetti futuri, quali la sponsorship con il Museo Egizio di Torino

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I.

Le biblioteche in Italia: storia, definizioni, tipologie ed esempi

I.1. La situazione attuale

In Italia il concetto di biblioteca è ancora per molti legato alle esperienze vissute in prima persona durante il periodo scolastico. Erano ritenute – e per certi versi lo sono ancora – un luogo per studiosi, come se fosse un servizio riservato a pochi, una istituzione poco incline all’innovazione ed <<orientata alla conservazione del patrimonio e alla gestione dei documenti>> (Rosa, 2007/2008, p. 2).

Questa visione arcaica e legata ad un retaggio del passato è sicuramente in parte dovuta alla poca attenzione che il nostro Paese ha dato nel corso degli anni a questa tematica e al <<diritto di accesso per tutti alle opportunità della lettura e della fruizione di libri e documenti bibliografici in genere>> (Rosa, 2007/2008, p. 2), facendo sì che ad oggi la biblioteca non venga dai più intesa come un servizio di facile accessibilità. La questione si complica ulteriormente se si pensa che l’Italia è uno dei Paesi dal patrimonio bibliografico più vasto e importante d’Europa. In Italia, l’assenza di un progetto politico da parte dello Stato nel settore delle biblioteche contrasta fortemente con ciò che sono le azioni intraprese da altri stati europei, che hanno reso queste istituzioni elementi fondamentali per la crescita della comunità decidendo di investire sulla conoscenza.

Un lavoro importante viene svolto dall’Associazione Italiana Biblioteche (AIB), che è da sempre in prima linea per difendere i diritti di accesso ai servizi bibliotecari e che da anni si impegna fortemente nel ricordare la necessità di una legge quadro nazionale sull’argomento, tuttavia ancora inesistente, a riprova di una mancanza di una “cultura di biblioteca” da parte della classe politica italiana. Ad oggi risulta tuttavia ancora difficile ricostruire in modo chiaro e lineare il sistema (o meglio il non-sistema) delle biblioteche italiane, così come è arduo riuscire a determinare esattamente il numero complessivo e i dati più importanti sulla loro funzione e funzionamento. La totale assenza di una legge quadro e di un riferimento legislativo e istituzionale statale fa sì che sia ancora oggi estremamente complicato definire cosa sia una “biblioteca pubblica”, intesa in modo molto generico come “biblioteca non privata” (Ridi, 2003).

Va in ogni caso evidenziato che spetterebbe alle singole biblioteche il compito di specializzarsi, cioè di decidere e capire, oltre agli obiettivi generali, quale altra missione intendono perseguire, a seconda del tipo di utenti, documenti e servizi in essa presenti. Il

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problema sorge se si considera che <<non sempre la missione di una biblioteca coincide con la sua appartenenza amministrativa […]. Un comune spesso gestisce sia una biblioteca istituzionale per i propri funzionari, sia una biblioteca di base per tutti i cittadini>> (Ridi, 2003, p. 280), tuttavia quest’ultima potrebbe essere diretta anche da un soggetto diverso dal Comune, così come potrebbe assolvere a compiti e funzioni diverse, quali quelle di conservazione e ricerca non identificabili banalmente con quelle di base.

Fortunatamente dagli anni Settanta, grazie alle competenze passate in mano alle Regioni, le biblioteche hanno iniziato ad assumere un ruolo di maggiore rilievo e numerose leggi, seppur appunto regionali, sono state emanate sull’argomento. La Regione Veneto, nella fattispecie, con la LR n.50/1984 si è impegnata a<<promuovere e disciplinare le attività riguardanti le strutture di conservazione dei beni culturali, con particolare riferimento ai musei, alle biblioteche e agli archivi, per la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio culturale della comunità regionale>> (LR n.50/1984, art. 1)

Come si può capire, in Italia esiste una grande frammentazione all’interno del sistema bibliotecario, e ciò fa sì che le biblioteche si differenzino sulla base di una suddivisione amministrativa, funzionale e tipologica, non sempre coincidenti.

In linea generale si distinguono i seguenti tipi di biblioteche:

➢ Biblioteche statali: sono tutte le biblioteche afferenti alla Direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali del MiBACT (Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo), che differiscono fra loro per dimensioni ed importanza, ma anche per origine e vocazione. Alcune sono infatti biblioteche “universitarie” degli stati preunitari, altre storiche (come la Medicea Laurenziana di Firenze), al-tre ancora istituti specializzati e infine alcune, nate recentemente, sono invece prive di specializzazione disciplinare. Nove di queste biblioteche vantano il titolo di “nazionale”, solitamente prerogativa di un unico istituto per Paese, tra le quali vanno ricordate quelle di Roma e Firenze battezzate come “nazionali centrali”, in quanto ricevono per “diritto di stampa” una copia di ogni pubblicazione stampata in Italia.

Si tratta comunque di una categoria anomala, identificata solo in Italia e non ri-conducibile a nessuna delle categorie definite dall’Unesco, che vengono invece utilizzate in tutto il mondo.

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➢ Biblioteche delle università: sono tutte le biblioteche afferenti al MIUR (Ministero dell’istruzione, delle università e della ricerca). Godono di una crescente autono-mia, sono legate ad un ateneo e non vanno confuse con le biblioteche universitarie afferenti invece al MiBACT. Sono spesso definite con il termine “accademiche” e hanno come scopo il supporto della ricerca e della didattica, che le porta quindi ad avere collezioni altamente specializzate. Dispongono spesso di una emeroteca, cioè di una sezione dedicata completamente ai giornali, alle riviste e ai periodici. In Italia sono state le prime biblioteche a fornire l’accesso ad Internet agli utenti e a mettere online i propri cataloghi.

➢ Biblioteche pubbliche: intese come << il centro informativo locale che rende prontamente disponibile per i suoi utenti ogni genere di conoscenza e informa-zione>> (UNESCO, 1995). Il concetto di biblioteca pubblica così inteso è forte-mente riconosciuto soprattutto all’estero, ed è radicato nella vita quotidiana di tutti i membri della comunità, indipendentemente dal loro stato sociale. In Italia questo concetto di biblioteca pubblica fa sorgere tuttavia talvolta equivoci con le “biblio-teche statali”, le “biblio“biblio-teche di proprietà pubblica”, quelle “aperte al pubblico” e le “biblioteche di pubblica lettura” – quest’ultime gestite dalle amministrazioni comunali e provinciali. L’Italia è quindi carente di un modello di servizio che renda la biblioteca pubblica esattamente riconoscibile e distinguibile.

➢ Biblioteche scolastiche: sono biblioteche appartenenti alle scuole, che fornendo <<servizi, libri e risorse per l’apprendimento consentono a tutti i membri della comunità scolastica di acquisire capacità di pensiero critico e un uso efficace dell’informazione >> (UNESCO, 1999). Purtroppo, in Italia si tratta di biblioteche esistenti solo in via teorica, vengono affidate a personale scarsamente qualificato e sono privi di finanziamenti adeguati.

➢ Altre biblioteche: vanno menzionate le biblioteche dette “istituzionali”, cioè quelle appartenenti ad istituzioni pubbliche politiche, amministrative e giuridiche, che danno supporto al lavoro degli enti di cui fanno parte; da non dimenticare anche tutte le biblioteche afferenti ad enti di ricerca e culturali non universitari e tutte quelle biblioteche che vengono categorizzate e racchiuse all’interno dell’enorme scenario delle “biblioteche private”. Queste ultime fanno riferimento

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non solo alle biblioteche familiari e personali, ma anche quelle di banche, sinda-cati e partiti politici, quelle aziendali e – seppur con alcune differenze – anche quelle ecclesiastiche.

Va evidenziato tuttavia come queste tipologie di biblioteche possono essere ulteriormente suddivise e distinte in base all’ente di appartenenza. Si distinguono infatti biblioteche generali (come le nazionali e pubbliche), biblioteche specializzate (come quelle universitarie e di enti di ricerca) e infine biblioteche speciali, ideate per utenti con caratteristiche specifiche (come quelle per non udenti) (Ridi, 2003).

Ai fini di questo elaborato si è deciso di prendere in esame nello specifico tre tipologie di biblioteche, poichè sono tutte riconducibili alla situazione della Biblioteca Capitolare di Verona. Il compito già arduo di dare una definizione onnicomprensiva di questa prestigiosa istituzione è quindi ulteriormente complicato da vari fattori, quali l’appartenenza a varie categorie ed una lunga e non sempre documentata vicenda storica.

I.2. Le biblioteche ecclesiastiche

Con questo termine si intendono le biblioteche che appartengono ad un ente o ad un’istituzione ecclesiastica. Non sono quindi necessariamente ecclesiastiche le biblioteche che, per determinati motivi, si ritrovano ad avere una grande raccolta di tipo teologico e religioso. Il titolo “ecclesiastico” è perciò legato all’appartenenza e non al tipo di materiale che la biblioteca conserva (Santi, 2000).

La finalità di queste biblioteche è quella di essere a disposizione per l’ente o l’istituzione che la possiede, ma rimane comunque, in quanto bene culturale, accessibile ad esterni, soprattutto studiosi, secondo le modalità stabilite dall’autorità ecclesiastica. Sono biblioteche che possono essere anche di conservazione e di aggiornamento, tuttavia non è loro riconosciuto il titolo di “istituzioni pubbliche” e non svolgono quindi il servizio sociale a queste riservato (Tavazzi, 2004).

Ad oggi le biblioteche ecclesiastiche in Italia sono circa 16351 e sono di diverso tipo: biblioteche storiche (hanno come scopo la documentazione e conservazione di materiale più o meno recente),biblioteche di università, istituti pontifici o teologici, biblioteche di

1 Dato reperito nel sito dell’Anagrafe delle Biblioteche Italiane, disponibile

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istituzione diocesana legate alle chiese locali, di enti e istituti ecclesiastici, di ordini, congregazioni e istituti religiosi, biblioteche di istituti di istruzione legati alla chiesa, biblioteche parrocchiali, di monasteri e conventi.

Nonostante il censimento del patrimonio librario sia ancora in corso, si stima vi siano circa 27 milioni di volumi tra manoscritti, codici minati, incunaboli, periodici, giornali, stampe, carte geografiche, fotografie, cartoline, immagini sacre, dischi (Santi, 2000) contenuti in queste 1635 biblioteche.

Anche le biblioteche ecclesiastiche non sono esenti da problematiche. La difficoltà principale risiede nel riuscire ad ottenere una conoscenza precisa di dove si trovano esattamente e di ciò che davvero contengono.

Un ruolo fondamentale è svolto dall’Associazione dei Bibliotecari Ecclesiastici Italiani (ABEI), associazione che già in passato si è presa l’incarico di pubblicare Annuari in cui sono state censite tutte le biblioteche ecclesiastiche in Italia e ciò che si può reperire al loro interno. Oggi, grazie alle ICTs, è possibile trovare questo tipo di informazioni direttamente dal loro sito web2, all’interno della sezione “censimenti”.

Un secondo problema riguarda indubbiamente il personale: accade infatti che vengano impiegati bibliotecari che non sono in grado di valorizzare e promuovere la biblioteca in cui sono inseriti e si limitano piuttosto alla mera conservazione del patrimonio.

Infine l’ultima questione è inerente la catalogazione, che procede, seppur con tempi diversi in base al tipo di biblioteca, comunque sempre a rilento.

I.3. Le biblioteche museo e la loro importanza

Sia i musei che le biblioteche hanno sempre avuto un ruolo importantissimo nel trasmettere e preservare la cultura, in quanto luoghi di raccolta e conservazione di libri, manufatti e oggetti. Tuttavia, queste due istituzioni differiscono profondamente l’una dall’altra.

Nella sua forma più elementare definiamo come museo, una qualsiasi collezione di un “qualcosa”. La nozione stessa di museo si origina dalla passione per il collezionare, desiderio che è insito profondamente nella natura umana: tutte le civiltà, dalla più primitiva a quella più avanzata hanno sempre condiviso il desiderio di accumulare oggetti

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8 dall’incredibile bellezza, rarità, valore o curiosità.

Il termine museo ha origine da Musaion, tempio delle muse di Alessandria. Questo

Musaion, oggi anche conosciuto come la Grande Biblioteca di Alessandria, costruita nel

III secolo A.C., era il posto dedicato alle muse e allo studio, nel quale potersi dedicare alla ricerca riguardo alle discipline nobili. In origine il museo stava quindi ad indentificare una istituzione di ricerca, una libreria e un’accademia. Con il tempo tuttavia il termine museo è stato sempre più identificato e accoppiato ad una tipologia di edificio, tant’è vero che secondo il dizionario Treccani il museo viene definito oltre che come una <<raccolta di opere d’arte, o di oggetti aventi interesse storico-scientifico, etno-antropologico e culturale>> anche come <<l’edificio destinato a ospitarli, a conservarli e a valorizzarli per la fruizione pubblica, spesso dotato di apposito corredo didattico>> (Treccani).

Il collezionismo è cominciato nel Medioevo grazie alle grandi istituzioni religiose che disponevano di biblioteche, tuttavia in questo contesto il collezionismo era non solo dato dal desiderio di accumulare più conoscenza possibile, ma derivava anche dalla ricerca su commissione, sia di oggetti che di manoscritti.

Con il Rinascimento, in seguito, il collezionismo diventò una mania e i conoisseurs cominciarono a collezionare più per il puro desiderio del possedere e per sé stessi, che per il pubblico. Solo successivamente, col passare degli anni, le collezioni private di questi studiosi vennero utilizzate per soddisfare le esigenze di studio e i musei cominciarono ad aprire le loro porte a tutti coloro aventi un'istruzione.

In tempi moderni il pubblico iniziò ad avere accesso a questi luoghi intorno al XVII secolo, nello specifico nel 1683, quando venne fondato ad Oxford lo Ashmolean Museum of Art and Technology e il termine “museo” venne usato nella lingua inglese per riferirsi ad un edificio capace di ospitare artefatti.

La vera spinta si ebbe tuttavia con la costruzione del Museo del Louvre di Parigi, che venne fondato con lo specifico intento di rendere possibile al pubblico la vista e la fruizione di oggetti e artefatti collezionati, che fossero esposti in un unico posto per il puro scopo educativo.

Grazie al fatto che sempre più musei vennero creati ed aperti al pubblico nel XIX secolo, le biblioteche in essi contenuti iniziarono ad assumere una certa rilevanza. In America, ad esempio, il Boston Museum creò una reference library, cioè una biblioteca per la consultazione di libri ed opere, già nel 1875, mentre a New York, i fondatori del

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Metropolitan Museum previdero la creazione di una biblioteca come parte integrante del

museo. Un esempio europeo è invece il German National Museum, creato nel 1852 a Norimberga, nel quale venne edificata una libreria e un archivio storico nel quale, e grazie al quale, raccogliere e conservare tutta la documentazione inerente la storia dell’arte tedesca (Van der Watern, 1999).

Lo scopo generale con cui queste biblioteche vennero create fu quello di riuscire a fornire una documentazione inerente agli oggetti contenuti in quel specifico museo, fornire cioè una conoscenza contestuale e soprattutto un background generale.

La biblioteca museo era in questo senso vista come uno strumento in grado di fornire un supporto ai manufatti del museo, affinché si potesse andare al di là della mera ammirazione e si riuscisse a conoscere anche la storia e i dati tecnici relativi al singolo oggetto (Lo, But, Trio, 2014).

Le prime biblioteche museo rimanevano tuttavia biblioteche private. In passato solo nei casi in cui la collezione della biblioteca fosse conosciuta come particolarmente importante e degna di nota, l’accesso veniva consentito in via eccezionale anche a studiosi ed esperti, che principalmente erano riusciti a guadagnarsi l’accesso grazie alle loro relazioni con il curatore del museo.

Al giorno d’oggi molte biblioteche museo raccolgono materiale relativo alle attività intraprese dal museo stesso, in modo tale da dare al pubblico accesso completo alla storia, per esempio fornendo materiale esplicativo sulla vita di un artista o su tutto ciò che riguarda la storia della creazione e dell’evoluzione di una mostra. Ciò migliora l’interpretazione e la comprensione, così come il godimento dell’oggetto per tutti i fruitori, sia esperti, che inesperti (Lo, But, Trio, 2014).

Alcuni musei tuttavia realizzarono che avrebbero potuto custodire solo una piccola parte di oggetti e manufatti, sebbene lo studio degli stessi prevedesse la necessità di avere a disposizione una quantità di esempi molto più vasta, rispetto a quella che il singolo museo potesse in effettivo contenere.

In questi musei, le librerie vennero quindi sviluppate come estensione stessa degli oggetti custoditi in esso. Nonostante il museo possa cercare di ottenere uno o due esemplari dello stesso manufatto, la biblioteca del museo riesce ad avere libri nei quali sono illustrati centinaia di altri oggetti dello stesso tipo.

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sa che potrà trovare informazioni più dettagliate sulle opere nella collezione della biblioteca, così come sa che potrà trovare altrettante informazioni riguardanti il museo stesso, come questo lavora, sulle sue collezioni e mostre.

Altro scopo delle biblioteche museo può essere ritrovato nella natura stessa dei materiali che la biblioteca contiene, cioè nei libri. Vedere cioè un libro non solo come uno strumento di in grado di portare e veicolare informazioni, ma come un manufatto vero e proprio e il bibliotecario come un curatore. Secondo questa interpretazione i libri, così come i manoscritti, sono visti come la “tecnologia”, attraverso la quale la capacità unica ed esclusiva dell’essere umano, il pensiero, viene comunicato e trasmesso. Sia i manoscritti, che i libri, sono inoltre l’oggetto nel quale seguire la storia dell’illustrazione, così come i libri ci permettono di seguire il processo che ha portato all’invenzione della stampa.

Va inoltre sottolineato che le biblioteche museo, al contrario di altri tipi di biblioteche, contengono cataloghi di collezioni permanenti di altri musei, così come cataloghi di mostre di altri musei, di gallerie e delle case d’aste. Questo perché le biblioteche museo collezionano cataloghi di altri musei in maniera più approfondita, cercando di raccogliere e conservare quanto più materiale possibile, poiché sono a conoscenza che questi non saranno mai reperibili e acquistabili in libreria.

Raccolgono inoltre tutti quei documenti e libri che non potrebbero mai essere conservati nelle Biblioteche Nazionali, ricoprendo così un ruolo molto importante per la memoria nazionale. Infine custodiscono tutti gli scritti delle case d’asta, che permettono di tracciare l’autenticità degli oggetti (Van der Watern, 1999).

Per molti anni quindi, biblioteche, musei e archivi hanno raccolto informazioni in una varietà di forme diverse allo scopo di migliorare l’efficienza del servizio, la fruizione da parte del cliente e aumentare la soddisfazione dello stesso. I benefici derivanti dalla collaborazione tra musei e biblioteche possono essere qui di seguito riassunti:

• attrarre nuovi gruppi di pubblico ed espandere il raggio di attrazione della biblio-teca e del museo stesso;

• migliorare la percezione di musei e biblioteche come serie istituzioni tradizionali;

identificare nuovi modi per incoraggiare la preservazione del cultural heritage;

promuovere la creazione di best practice, cioè di metodi d’azione e di modelli ottimali, dai musei e dalle biblioteche;

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• condividere risorse fisiche come spazi e materiali;

• condividere politiche per la preservazione e la conservazione delle collezioni; • condividere esperienza e lavorare in modo collaborativo;

• condividere i costi legati alla formazione dello staff.

Sebbene i benefici derivanti dalla collaborazione tra musei e biblioteche siano evidenti, queste istituzioni oggigiorno si trovano a dover affrontare sfide, economiche e sociali, di grande rilevanza. Il pubblico infatti appare, oggi più che in passato, poco interessato e i budget di queste istituzioni, così come per la maggior parte delle istituzioni culturali, è diventato sempre più ristretto.

I.4. Le biblioteche storiche

I termini " biblioteche storiche" e "fondi storici"3sono certamente tra i più generici che si possano incontrare nell'ambito del lessico riferito alla biblioteconomia odierna (De Pa-squale, 2001).

Quali sono esattamente le caratteristiche che rendono una biblioteca "storica"? Quali gli elementi che permettono di ritenerla a pieno titolo storica invece di moderna? Ed ancora, qual è il discrimine tra un fondo storico ed uno moderno?

È sufficiente considerare come fondo storico la raccolta dei volumi la cui datazione sia antecedente alla data convenzionale del 1830?4

Molte le ipotesi avanzate al riguardo, ma gli interrogativi rimangono senza una risposta definitiva. Incompleta la definizione del Vigini << Fondo storico… la parte antica della collezione posseduta da una biblioteca>> (Vigini, 1985, p.55).

È opportuno inoltre riconoscere come, sempre più spesso, gli aggettivi "storico" e

3Per "fondo", nel campo della biblioteconomia si intende una raccolta o collezione di libri, manoscritti,

fotografie, disegni ecc. creata sulla base di donazioni private o per esplicita volontà della biblioteca

4Secondo la classificazione standard dei libri, il 1830 è considerato come spartiacque temporale: le

pubblicazioni precedenti sono considerate antiche, quelle successive moderne. Il motivo di tale scelta deriva dal fatto che, presumibilmente, in questa data vennero adottati i torchi meccanici che andarono a sostituire le tecniche manuali di stampa. In realtà questo mutamento iniziò verso la metà del XV secolo con l'invenzione da parte di Gutenberg della stampa a caratteri mobili, ed interessò tutto il campo della produzione libraria. Già nel XVII e nel XVIII secolo vennero introdotte molte migliorie al macchinario di Gutenberg che permisero un notevole aumento della produttività, quali le automazioni del carrello e della leva e la produzione dei primi torchi interamente in ghisa. Tra il 1812 e il 1816 assistiamo all'introduzione delle rotative, che permisero la stampa di circa 1600 copie di giornale all'ora. Appare quindi evidente l'artificiosità nel considerare il 1830 come discrimine tra libro antico e moderno.

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"antico" abbiano assunto il significato di "arcaico" e "superato", utili tutt'al più a qualche studioso interessato ad eventi passati slegati con il presente.

A tal proposito risultano illuminanti la tesi esposte da Alfredo Serrai durante una conferenza internazionale tenutasi a Verona nel 19925, nelle quali criticava la percezione e la funzione attribuita alle biblioteche storiche come: << raccolte librarie che, sussistendo da un certo tempo, rappresentano semplicemente la testimonianza documentaria di un passato... È come se le Biblioteche storiche non appartenessero più alle officine attive del pensiero e della ricerca, ma fungessero da archivi di oggetti bibliografici con conseguente arroccamento da una parte e ghettizzazione dall'altra>> (Serrai, 1992, p.1).

Il Serrai inoltre evidenzia il problema della mancanza di un criterio scientifico ed oggettivo per la catalogazione e la conservazione dei fondi storici, i quali vengono spesso separati dalla loro collocazione originaria per andare a costituire una raccolta a sé stante diventando: <<giacimenti degli scheletri impagliati di mentalità che, o rimangono inafferrate oppure subiscono, per ermeneutiche se non ottuse malizie, gli affronti del travisamento e della adulterazione>> (Serrai, 1992, p.2).

Un elemento certamente utile a comprendere quali siano le difficoltà che sorgono indagando un tale ambito riguarda la figura che con tali preziose raccolte lavora, ovvero il bibliotecario dei fondi storici. Bisognerà aspettare fino al 1983, in Italia, prima di trovare un saggio che affronti un tale argomento, ed una così tarda trattazione denuncia un'evidente mancanza di attenzione nei confronti di un tema così impegnativo. Il lavoro a cui si fa riferimento è stato edito da Viviana Jemolo e Mirella Morelli ed è contenuto nel "Bollettino AIB"6 sul tema della conservazione del libro antico (De Pasquale, 2001). L'articolo pone innanzitutto in evidenza le tristi condizioni nelle quali devono operare Bibliotecari i quali, non avendo a loro disposizione delle linee guida sulla gestione dei fondi storici, si affidano prevalentemente alla loro volontà e iniziativa. Le vicende pregresse di questi fondi rendono ancora più difficoltoso qualsiasi tentativo di ordinamento in quanto spesso venivano smembrati per confluire in altre collezioni o i precedenti curatori, volendo sistemare i volumi per argomento, non tenevano conto

5In onore dei 200 anni dalla fondazione della biblioteca civica di Verona, si tenne un ciclo di conferenze

dal titolo "La biblioteca generale storica fra continuità e trasformazione", nel quale Alfredo Serrai espose le tesi qui citate.

6Il "Bollettino AIB" è stato un trimestrale che trattava argomenti inerenti alla biblioteconomia ed agli

attori ad essa collegata. Edito dall'Associazione Italiana Biblioteche, ha pubblicato tra il 1992 ed il 2011. Dal 2012 la rivista titola "AIB Studi. Rivista di biblioteconomia e scienze dell'informazione", e si configura ora come un periodico elettronico ad accesso aperto.

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dell'antichità dei testi mescolandoli e rendendo poi difficile il loro ritrovamento.

In particolare, si ragiona sul concetto stesso di "fondo", sulla necessità di mantenerne l'unitarietà costitutiva seguendo il "criterio storico di provenienza" raramente osservato in passato e, laddove siano presenti segni di precedenti modifiche, sulle misure da adottare per il ripristino dello status originario. Tali procedimenti andrebbero eseguiti attraverso lo studio delle caratteristiche interne al libro, a livello fisico o virtuale, secondo le situazioni consolidatesi nel tempo in quella determinata collezione o biblioteca.

L'articolo prosegue sottolineando l'importanza degli archivi, da esaminare per una corretta ricostruzione dello storico degli acquisti e delle scelte biblioteconomiche, e dei metodi di consultazione, sia usati in passato sia da realizzare dallo stesso bibliotecario. Sostanzialmente, dunque, il saggio tenta di far emergere la figura del bibliotecario di fondi storici tra le altre professionalità impiegate nell'ambito della biblioteconomia tratteggiandone un'identità troppo spesso considerata vaga, attribuendoli quella qualità e competenze professionali (conoscenze nel campo della paleografia, codicologia, storia) che dovrebbero appartenergli (Jemolo, Morelli, 1983).

L'idea che il bibliotecario conservatore debba impostare il suo lavoro partendo dallo storico di una collezione libraria veniva ripetuto poco dopo in un articolo di Piero Innocenti e Marielisa Rossi nel quale si riflette sulle modalità da adottare per chi si appresta a studiare la storia di una raccolta o di una biblioteca. L'approccio consigliato nell'articolo prende il nome di "ricostruzione interna", la quale prevede di utilizzare come fonte primaria le documentazioni d'archivio, scritta e, se presente, orale della raccolta in esame (Innocenti, Rossi, 1987).

I concetti qui espressi riprendono l'idea di Paul Raabe che individua nel bibliotecario l'unica figura in grado di ricostruire correttamente la storia della biblioteca, avendo egli la possibilità di accedere alle fonti presenti. I due autori osservavano però un infrequente utilizzo di questa metodologia: ad oggi, lo studio degli archivi storici delle biblioteche, il cui primo rappresentante fu proprio Innocenti che indagò il catalogo della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, viene raramente praticato. Evidenziavano ad ogni modo come solo attraverso la ricostruzione delle vicende interne si possa iniziare a comprendere: << la fisionomia stessa della biblioteca, del suo nucleo originario, e del suo grado di fedeltà ad esso nella politica di accrescimento>>(Innocenti, Rossi, 1987, p. 30).

Ma già nel 1985 Piero Innocenti sottolineava l'importanza di un'approfondita indagine sugli spostamenti e le ricollocazioni del materiale librario, ponendo il bibliotecario al

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centro di questo studio: <<Ma, dobbiamo domandarci, quale trattamento hanno subito questi fondi una volta entrati a far parte della biblioteca, anzi, a costituirla? Hanno mantenuto la propria sistemazione e la propria veste esteriore? O, piuttosto, sono stati fusi nel panorama delle collezioni, con nuova collocazione e addirittura una nuova legatura? La diversità delle soluzioni adottate testimonia, indirettamente, dell'interesse provato e dimostrato nei confronti delle nuove acquisizioni, del desiderio di accorparle a quelle preesistenti, spinto sino ad annullare le tracce in possesso precedente, o del rispetto della loro originaria provenienza. È palese che una ricostruzione così capillare è accessibile solo al bibliotecario, ed è altrettanto evidente che nell'approntare questo quadro storico non solo viene ricostruita la fisionomia delle biblioteche, ma si viene a far luce su come si sono andate affermando e costituendo pratiche bibliotecarie e biblioteconomiche, cioè le procedure di collocazione, classificazione, catalogazione, etc. La ricostruzione, in altre parole, consente di individuare i presupposti teorici, scientifici, storico-culturali di scelte che apparentemente sembrano obbedire a criteri meramente pratici e consente altresì di comprendere perché una scienza delle biblioteche che non parta da esse e dalla loro storia è destinata quasi sicuramente a fallire>> (Innocenti, 1984, pp. 295-296).

Sebbene i bibliotecari che operano in tale ambito siano figure le cui competenze e modus

operandi vadano ancora definiti, appare evidente come la diversa natura e tipologia di

fondo storico rappresentino il discrimine per identificare se una biblioteca possa o meno essere definita storica.

Come abbiamo già accennato, le collezioni storiche possono assumere aspetti molto differenti in base ai vari metodi di catalogazione e suddivisione operati dai proprietari nel corso del tempo.

Quasi mai è stato adottato un criterio univoco, piuttosto assistiamo ad una varietà di scelte operative basate su metodi gestionali che rispondono a diverse contingenze.

Uno dei casi più comuni si verifica al costituirsi di una biblioteca poiché, in genere, il materiale iniziale viene organizzato per argomenti così da garantire una più agevole consultazione da parte degli utenti, ed alcuni volumi che precedentemente facevano parte di una determinata collezione vengono smembrati durante la suddivisione (De Pasquale, 2001). Per questi motivi qualsiasi attributo di "storicità" deve necessariamente considerare il criterio adottato dai precedenti curatori, siano essi soggetti privati piuttosto che bibliotecari, delle collezioni in questione.

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Uno dei metodi più utilizzati in epoca moderna è stato quello della provenienza, ovvero di raggruppare il materiale in base al luogo d'origine. In passato i libri rivestivano un maggiore interesse in virtù dei loro contenuti, e non per la loro provenienza; per questa ragione molte raccolte furono smembrate per creare i reparti delle biblioteche, rendendo pressoché impossibile comprenderne l'unitarietà originaria.

Anche la natura dei documenti è un comune discrimine di catalogazione: troviamo i fondi dei manoscritti, degli incunaboli, degli schizzi etc. in base ai tipi documentari. È questo il più ampio dei criteri, in quanto è possibile suddividere il materiale in moltissime varianti a seconda degli scopi o dell'interesse di chi opera una tale scelta. Non tenendo conto dell'antichità dei manufatti, spesso questo criterio accorpa tipologie diversissime di reperti, dal codice manoscritto alle moderne stampe, e risulta quindi totalmente slegata dalla situazione in cui si è costituita.

La suddivisione cronologica è forse quella che meglio si adatta al moderno concetto di fondo storico in quanto, pur manomettendo l'unità costitutiva dei documenti, permette di costituire senza grandi difficoltà una sezione dedicata al materiale antico. Vi sono altresì raggruppamenti di libri che, per l'importanza del luogo di produzione, assumono una specifica denominazione: così si costituisce il fondo di Aldine (volumi prodotti da Aldo Manuzio) le Bodoniane (volumi prodotti da Giovanni Bodoni).

Discostandosi poco da quello delle attuali biblioteche, è possibile riscontrare classificazioni in base al contenuto dei singoli elementi. Questo criterio era particolarmente frequente nelle collezioni private, spesso utilizzate per fini educativi e di diletto. Tra queste venivano anche formate raccolte dette "locali", in quanto il soggetto principale era il territorio e la sua storia. Anche il formato stesso del materiale poteva costituire un discrimine significativo, specialmente in quei casi dove lo spazio giocava un ruolo fondamentale.

Ad una prima analisi risulta quindi evidente la difficoltà non solo di definire il concetto stesso di biblioteca storica, ma soprattutto di inquadrarlo nel più ampio campo della biblioteconomia (Carrucci, 1998).

I.5. Il funzionamento delle biblioteche storiche e alcuni esempi in Italia

Lo studio del funzionamento di alcune di queste prestigiose istituzioni ci permette di comprenderne i meccanismi interni, le dinamiche, e più in generale la mission che viene perseguita dalle singole Biblioteche Storiche. Le peculiarità uniche che le caratterizzano,

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come la storia della loro fondazione e la tipologia di fondi storici in esse contenute, ne rivela gli elementi distintivi delineando percorsi di studio e di ricerca. Molte di queste biblioteche tutt’oggi continuano ad acquisire materiale inerente agli argomenti che tradizionalmente le hanno caratterizzate, rendendole centri di studio per quel particolare ambito, e studiare queste caratteristiche risulta fondamentale per capirne le linee di sviluppo.

I.5.1. La Biblioteca Marciana

La storia della Marciana si lega ad uno dei nomi più illustri della letteratura italiana prerinascimentale: Francesco Petrarca. Nel 1362, a seguito della sua permanenza nella città lagunare, decise di regalare la sua ingente collezione libraria al fine di costituire una biblioteca pubblica che incentivasse lo studio e la cultura a Venezia. Nonostante le delibere e l’interessamento del Maggior Consiglio, il proposito del Petrarca non riuscì a realizzarsi.

Figura 1: La Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia

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Un ulteriore impulso si ebbe nel 1468 con la donazione del cardinale Bessarione, che rinnovò i propositi per la realizzazione di una biblioteca di Stato.

Ma fu solo nel 1537 che l’allora doge Andrea Gritti commissionò allo scultore ed architetto Jacopo Sansovino i lavori di costruzione della Biblioteca Marciana, che durarono fino al 1570 e vennero completati da Vincenzo Scamozzi.

L’ubicazione della biblioteca è cambiata nel corso dei secoli: in un primo momento si decise di conservare i libri presso un’apposita struttura in Riva degli Schiavoni, successivamente vennero trasferiti nella Basilica di San Marco ed infine nel Palazzo Ducale. Durante la costruzione dell’edificio sansoviniano, vennero usati come depositi momentanei alcuni spazi delle sale delle Procuratie. Nel 1811 la sede venne nuovamente spostata presso il Palazzo Ducale a causa di alcuni lavori di ristrutturazione fino al definitivo trasferimento nell’edificio sansoviniano della ex Zecca della Repubblica Veneta. (Zorzi, 1987)

Il corpus della biblioteca andò arricchendosi nei secoli successivi grazie ad innumerevoli lasciti, donazioni, ed in seguito ad una legge, varata nel 1603 e prima in Italia nel suo genere, che imponeva a chiunque stampasse nel territorio veneziano di depositarvi una copia del libro. Gli intensi rapporti commerciali con l’Oriente inoltre, favorirono in particolar modo la formazione di una vasta raccolta di libri e manoscritti provenienti dalla Turchia, Grecia, Cina e dalla penisola araba, tanto che oggi nella Marciana troviamo una delle più pregevoli raccolte di testi medio orientali nonché manoscritti greci e latini. La storia e l’importanza della maggiore tra le biblioteche veneziane la resero oggetto di donazioni non solo in ambito librario, ma anche di quadri, incisioni, statue e pregevoli oggetti di varia natura, che trovano una loro collocazione sia negli spazi destinati alla consultazione dei tomi, sia in apposite sale da esposizione. Qui si trova anche un notevole raccolta di carte geografiche ed atlanti, riguardanti sia la storia che l’attualità. Tra i pezzi più pregevoli spiccano la mappa mundi di Fra Mauro e la celeberrima pianta con vista a volo di uccello della città lagunare di Jacopo de’ Barberi.

In particolar modo la Biblioteca Nazionale Marciana ha concentrato i suoi sforzi nell’acquisizione di materiale che riguardasse la filologia classica e la storia della Repubblica di Venezia. Si stima che il patrimonio annoveri oltre un milione di volumi, di cui 13.117 manoscritti in volume, 4.639 manoscritti non legati, 2887 incunaboli e 24.060 cinquecentine.

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dell’Iliade esistenti, ovvero l’Homerus Venetus A, databile X secolo, e l’Homerus Venetus

B, risalente al XI secolo; questi due manoscritti sono in assoluto i più famosi dell’Iliade

omerica, e vengono considerati le più fedeli testimonianze del poema. Di particolare rilevanza troviamo la Chronologia magna di Fra Paolino ed un manoscritto della

Naturalis historia di Plinio, trascritto nel 1481 per Pico della Mirandola. Di vitale

importanza per lo studio della storia di Venezia è la raccolta in 56 volumi dei diari di Marin Sanudo, storico e politico veneziano che scrisse nei suoi diari ogni avvenimento rilevante avvenuto a Venezia tra il 1498 ed il 1533.

La Marciana, oggi, si configura non solo come una classica biblioteca, ma riveste un ruolo di primo piano nella vita culturale della città: ospita il pregevole museo archeologico nazionale della Serenissima, organizza eventi e cicli di eventi legati a temi di attualità e non, è sede di importanti mostre di artisti nazionali ed internazionali, propone conferenze, percorsi di approfondimento legati alla Biennale e laboratori di vario genere (Zorzi, 1988). Consultando il sito web della biblioteca7 è infatti possibile vedere ed apprendere quanti iniziative siano state organizzate dalla Marciana dal 1996 fino ad oggi.

Ad esempio, nel 2019 la Biblioteca ha ospitato ben cinque mostre, dalla durata di diversi mesi ognuna:

• La mostra, dal titolo “Gli ultimi giorni di Bisanzio. Splendore e declino di un impero” (26 novembre 2018 – 5 marzo 2019), ha messo in luce la tragica situazione in cui versava Bisanzio nel XIV e XV secolo, il viaggio dell’Imperatore Manuele II verso l’Occidente e gli intensi rapporti commerciali tra Venezia e Costantinopoli.

• Tre mostre in concomitanza con la 58. Esposizione Internazionale. La prima dal titolo “Portfolio – Wild Thought. Johannes Brus, Ottmar Hörl” (12 maggio 2019 – 28 luglio 2018), sviluppata secondo il concetto di “pensiero selvaggio”. La seconda “Portfolio – The road guide to interesting times” (3 Agosto 2019 – 2 Settembre 2019), una mostra collettiva di artisti relativa all’arte figurativa, rappresentata sia in forma classica e tradizionale che moderna e innovativa. E la terza intitolata “Portfolio. Genealogies” (7 Settembre 2019 – 4 Novembre 2019), un’interpretazione da parte di tre diversi artisti, da punti di vista diversi, della tematica relativa la genealogia.

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• Una mostra documentaria “"1619-2019: 4° centenario della Historia del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi" (5 dicembre 2019 – 1° marzo 2020), un’iniziativa che ha l’intento di mettere in luce la genesi, la diffusione e la fortuna in Europa di quest’opera di Paolo Sarpi.

Per quanto riguarda gli eventi invece, quelli realizzati nel 2019 sono stati ben 66, di natura eterogenea: visite guidate delle Sale Monumentali della Biblioteca Marciana, presentazioni di libri e romanzi, conferenze, interventi di esperti in occasione delle iniziative organizzate per celebrare l’Anno Bessarioneo8, inaugurazione di mostre e tanto

altro ancora. Il calendario degli eventi per il 2020, che sarà altrettanto ricco, è iniziato dopo il periodo delle festività natalizie, il 5 gennaio, con la “Domenica delle Famiglie al Museo”, progetto che prevede l’ingresso gratuito alle Sale Monumentali e al Museo Archeologico Nazionale.

I.5.2. Biblioteca Angelica

La Biblioteca Angelica sorge nel cuore pulsante della città eterna, tra piazza Navona ed il Pantheon, e deve il suo nome al vescovo agostiniano Angelo Rocca (1546-1620), direttore della Tipografia Vaticana sotto il pontificato di Sisto V, che ne regolamentò la gestione e le dinamiche interne, portando elementi di assoluta novità nel panorama della biblioteconomia italiana. (Munafò, Muratore, 1989)

Fu Angelo Rocca a dotare la biblioteca di una sede appropriata, garantendole cospicue rendite annue e di uno statuto che prevedeva, tra le altre cose, che fosse aperta e consultabile da chiunque, indipendentemente dalla propria estrazione sociale. Questo esempio di liberalità culturale rese di fatto l’Angelica una delle biblioteche più visitate dell’intera penisola. Il crescente interesse nei confronti della biblioteca permise di ampliare, nel corso dei secoli, la già cospicua collezione libraria: tra gli acquisti più noti vi è certamente quello della raccolta del cardinale Domenico Passionei il quale, avendo svolto il ruolo di inviato pontificio nell’Europa protestante, nei suoi viaggi acquistò una moltitudine di libri aventi come soggetto la Riforma e la Controriforma; tant’è che ancora oggi la Biblioteca Angelica è una delle mete più frequenti fra gli studiosi di tale argomenti.

8 Il 2019 è stato l’anno del 550° anniversario della donazione a San Marco, vale a dire alla

Re-pubblica Veneta, della preziosa raccolta libraria del cardinale Bessarione, primo fondamentale nucleo della Biblioteca Marciana.

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Il nucleo originario dell’Angelica consiste nella collezione libraria dei frati del convento di Sant’Agostino di Roma, che si costituiva perlopiù di testi legati al cristianesimo ed alle necessità liturgiche e devozionali dei frati. A partire dal XVI secolo nel convento venne inaugurato uno Studium che, oltre a dotarsi dei mezzi necessari alla trascrizione e rilegatura dei libri, incentivò l’acquisto di ulteriore materiale librario, con particolare attenzione al pensiero di S. Agostino. Nel corso del tempo, quindi, questo patrimonio andò ampliandosi non solo in seguito ai lasciti dei nobili romani, ma anche per le trascrizioni e donazioni dei frati stessi (Terlizzi, 2015).

Come molte altre istituzioni culturali romane, il sacco di Roma del 1527 disperse la maggior parte della sua biblioteca, tanto che ancora oggi una buona parte delle sue collezioni vengono rintracciate presso la Biblioteca Nazionale di Francia.

Ad oggi, il fondo antico dell’Angelica conta oltre 100.000 testi, perlopiù databili tra il XV e il XIX secolo, ed altrettanti ne costituiscono il patrimonio. I manoscritti sono 2700 tra latini, greci ed orientali, gli incunaboli sono circa 1.000 e si contano oltre 20.000 cinquecentine. Sono presenti anche 10.000 le incisioni e le carte geografiche.

Gli argomenti più rappresentati, oltre al già citato periodo della Controriforma, (Sorbelli, 1934) comprendono scritti sulle opere di Sant’Agostino e sul suo ordine, collezione sui più importanti poeti della storia italiana quali Petrarca, Boccaccio e Dante, rare edizioni

Fonte: Biblioteca Angelica

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elzeviriane e bodoniane, saggi di opere teatrali e testi di letteratura italiana dal XIV al XVIII secolo oltre a periodici relativi ai medesimi argomenti.

Dal 1940 è la sede dell’Accademia Letteraria dell’Arcadia, dal 1975 fa parte del MiBACT e negli ultimi decenni le sale della biblioteca sono divenute scenario di numerosi film. È stata gestita dal 2009 al 2018 da Fiammetta Terlizzi, che durante i suoi anni di direzione ha cercato di rendere l’Angelica un polo di attrazione di attività culturali di diversa natura, nonostante le problematiche economiche derivanti dalla difficoltà nel reperimento di fondi e di personale. Quest’ultimi sono infatti due elementi fondamentali, senza i quali risulta impossibile portare avanti qualsiasi progetto atto a sensibilizzare il pubblico sull’immenso patrimonio che la biblioteca possiede.

Dallo scorso anno la Biblioteca è invece gestita da Umberto d’Angelo.

Gli eventi realizzati nel 2019 sono stati circa una trentina: conferenze su tematiche storiche, lezioni rivolte agli studenti delle scuole superiori sul Paradiso di Dante, cicli di incontri dell’Accademia Letteraria dell’Arcadia, mostre di pittura e scultura con le loro inaugurazioni, visite gratuite alla biblioteca, concerti di musica classica e presentazioni di libri9.

Va sicuramente ricordato come accanto ad eventi culturali di questo tipo, a fine 2018 tuttavia, il Salone Vanvitelliano della Biblioteca Angelica, sia stato teatro di un “Silent Party”, una festa durante la quale la musica non viene trasmessa attraverso un impianto di diffusione, ma tramite cuffie di cui vengono dotati i partecipanti, ed ognuno ascolta la musica con il proprio dispositivo. L’iniziativa non è ovviamente passata inosservata ed è stata ampiamente criticata poiché ritenuta un’attività in contrasto con ciò che la biblioteca, in quanto istituzione, rappresenta. Nonostante le critiche, l’evento ha di fatto riscosso un discreto successo e ha permesso di raccogliere somme destinate al restauro.

I.5.3. Biblioteca Medicea Laurenziana

Costruita per volontà di Papa Clemente VII de’ Medici al fine di conservare l’imponente collezione libraria della famiglia, la biblioteca ospita una delle principali raccolte di manoscritti al mondo e si configura come un importante complesso architettonico in quanto progettata da Michelangelo Buonarroti 10. Si decise di utilizzare un edificio ecclesiastico antistante la Basilica di San Lorenzo per la sua realizzazione, per questo

9 Biblioteca Angelica, www.bibliotecaangelica.beniculturali.it

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motivo viene tutt’oggi chiamate anche libreria Laurenziana. Michelangelo diresse i lavori di costruzione fra il 1523 ed il 1534, anno in cui si trasferì a Roma. La biblioteca venne ultimata nel 1571 per ordine di Cosimo I de’ Medici dal Vasari e dall’architetto fiorentino Bartolomeo Ammanati, i quali si avvalsero dei modelli di Michelangelo per ultimare l’opera.

Oltre alle personali collezioni della famiglia de’ Medici, la Laurenziana ha arricchito negli anni il suo patrimonio acquisendo moltissimi classici, tra cui le maggiori opere di Tacito, Virgilio, Eschilo, Sofocle, Plinio e Quintiliano, svariate raccolte complete dei dialoghi di Platone, originali di Petrarca e Boccaccio e, di particolare rilevanza, una delle testimonianze più antiche del Corpus Iuris Giustinianeo, redatto appena qualche anno dopo la sua emanazione. Il Rinascimento fiorentino viene lungamente documentato nelle raccolte della Medicea, dagli albori fino al suo culmine. Si indaga anche l’Umanesimo tramite i testi e le collezioni di autori quali Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Niccolò Niccoli, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.

Particolarmente rilevante riguardo alla storia dei fondi della biblioteca, è stata la figura del canonico laurenziano Angelo Maria Bandini, che occupò la figura di bibliotecario dal 1757 fino al 1803, data della sua morte. Oltre ad operare un’accortissima politica di scelta riguardo alle acquisizioni, il Bandini catalogò tutti i codici presenti nella biblioteca

Figura 3: Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze

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tramite maestosi cataloghi a stampa, ancora usati dai moderni curatori. Inoltre nella Medicea non sono contenuti solo manoscritti ed opere a stampa, ma trova anche spazio una vasta raccolta di papiri, frutto delle spedizioni archeologiche italiane in Egitto. La Laurenziana si configura come una delle poche biblioteche storiche italiane attivamente impegnate nella continua acquisizione di opere, principalmente greche, latine e di codici miniati. Eventi ed esposizioni scandiscono il calendario della biblioteca con frequente regolarità, e si concentrano principalmente sul ricchissimo patrimonio qui contenuto. Conferenze sull’Umanesimo e sul Rinascimento fiorentino vengono spesso tenuto nelle sontuose sale della Biblioteca e, grazie alla presenza di un cospicuo numero di codici bizantini, si indaga sulla cultura libraria del vicino oriente tramite lo studio del materiale qui contenuto (Tesi, 1994).

I.5.4. La Biblioteca Nazionale Braidense

La Biblioteca Nazionale Braidense, resa accessibile al pubblico il 2 novembre 1786, venne istituita per opera dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo, che nel 1770 decise di destinare ad uso pubblico la biblioteca, allora privata, del conte Carlo Pertusani. L’impe-ratrice aveva come intento quello di rendere disponibile a Milano una biblioteca pubblica ricca di libri stampati di grande pregio, al fine di promuovere gli studi e gli interessi cul-turali nel contesto del riformismo illuminato. La biblioteca del Pertusani era stata prece-dentemente comprata dalla Congregazione di Stato per la Lombardia per volere del can-celliere Kaunitz, il quale aveva voluto evitare che circa 18.000 volumi lasciassero Milano, e che successivamente lasciò in eredità alla sovrana (Barretta, 2017). Venne così stabilita già in quegli anni la missione, ancora oggi valida e attuale, della Biblioteca Braidense: un’istituzione ad uso pubblico con il fine di incrementare la conoscenza.

Maria Teresa decise che la biblioteca avrebbe dovuto avere una posizione opportuna, do-vesse essere di facile accesso e il più possibile vicino al centro città. Per questo motivo venne scelto come edificio ideale il Palazzo di Brera, che, dopo lo scioglimento della Compagnia di Gesù, era stato messo a disposizione dello Stato. Lo scioglimento della Compagnia permise allo Stato di acquisire inoltre anche i fondi librari del Collegio Brai-dense e delle case gesuitiche di San Fedele e di San Girolamo (Aghemo, 2008).

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Il Palazzo di Brera venne ristrutturato dall’architetto imperiale Giuseppe Piermarini, il quale dovette tenere in considerazione le istruzioni impartite dal cancelliere Kaunitz, che voleva che alla biblioteca fosse dedicata la parte più importante di tutto l’edificio. Così questo diventò il Palazzo delle scienze e delle arti, dove oltre alla Biblioteca sarebbero sorte anche le Scuole palatine, l’Osservatorio astronomico, i laboratori, l’orto botanico, l’Accademia delle Belle Arti e la Pinacoteca.

Nel 1778 inoltre venne acquistata l’importante biblioteca del Medico svizzero Albrecht von Haller, che al suo interno raccoglieva quasi 20.000 volumi di carattere scientifico, al fine di creare di una raccolta aggiornata e differenziata non solo in campo umanistico ma anche scientifico e poter così soddisfare la richiesta del pubblico interessato allo studio di materie di questo tipo (Barretta, 2009).

In quanto biblioteca pubblica, questa beneficiò, fin dalle sue origini, della normativa che obbligava i tipografi a consegnare un esemplare di tutto ciò che veniva stampato nel Du-cato di Milano, permettendole così di divenire un centro di raccolta e documentazione della produzione editoriale lombarda. Poiché Milano già all’epoca era uno dei maggiori

Figura 4: Biblioteca Nazionale Braidense di Milano

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centri tipografici d’Italia, questo diritto di stampa divenne la forma di approvvigiona-mento maggiore per la Biblioteca, permettendo la creazione di raccolte ancora oggi uti-lizzate, consultate e studiate. La Braidense si costituì inoltre, come accade in questi casi per le biblioteche importanti, grazie ai patrimoni librari di biblioteche private, che ven-nero donati o acquistati dalla stessa. Tra le raccolte degne di nota vanno ricordate: il Ga-binetto Numismatico, la Miscellanea Vieusseux, le Edizioni aldine, il Fondo manzoniano, la Raccolta scacchistica, il Fondo Castiglioni, la Raccolta foscoliana, la Raccolta Bodo-niana e il Fondo Fotografico Sommariva.

Menzione particolare va al Fondo manzoniano, che custodisce 250 manoscritti e 550 vo-lumi della biblioteca del Manzoni, nonché fogli di carteggio, edizioni delle sue opere, opere di critica e pezzi miscellanei. La raccolta risale al 1885, quando la famiglia decise di donare i manoscritti dell’autore in suo possesso, purchè venissero custoditi in un ap-posito locale. Venne così creata e istituita la Sala Manzoniana (Aghemo, 2009).

Mentre nell’Ottocento le raccolte della Biblioteca erano di carattere generale, nel Nove-cento vennero acquisiti volumi di carattere soprattutto umanistico. Oltre alle sue colle-zioni, la Biblioteca possiede anche l’Archivio storico Ricordi, uno dei più preziosi fondi musicali esistenti, seppur in deposito. Al suo interno di immenso valore, degni di nota, sono custoditi gli originali di 23 delle opere di Giuseppe Verdi.

La Biblioteca venne insignita del titolo “nazionale” nel 1880 ed oggi è una delle più grandi biblioteche pubbliche italiane, appartenente al Ministero per i beni e le attività culturali. Attualmente la biblioteca possiede oltre 1 milione e 500 mila volumi e conserva al suo interno manoscritti, autografi, incunaboli, cinquecentine, periodici, stampe otto-centesche, stampe fotografiche, negativi su lastre, ma anche microfilm, cassette, video-cassette, cd-rom e DVD (Aghemo, 2008).

La biblioteca offre inoltre attività didattiche, visite guidate e stage formativi gratuiti per un pubblico molto variegato di utenti. È inoltre impegnata, già dal 2012, in collaborazione con altre importanti organizzazioni, nel progetto “Dalla terra alla tavola, vita in cucina”, un’iniziativa che ha come tema centrale il cibo e che promuove un percorso volto proprio alla riscoperta di un luogo fulcro della vita familiare: la cucina. L’idea è quella di andare a ricercare quelli che sono i pilastri portanti della cucina milanese-lombarda e i suoi luo-ghi caratteristici.

La Braidense nell’ultimo decennio ha altresì promosso dei cicli di incontri sull’arte in mostra, tenuti dalla storica dell’arte Anna Torterolo, che hanno riscontrato un successo tale da decidere di aprire un canale YouTube ad essi dedicato. Questo ciclo di incontri si

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è poi trasformato e verte oggi sui tesori della Braidense, quindi sui manoscritti, codici miniati, incunaboli, cinquecentine e opere pregiate per contenuti e rarità, custoditi proprio presso questa biblioteca.

Infine, la Braidense presenta un calendario ricco di eventi che comprende: letture sceni-che di testi, interventi di esperti su opere e temi specifici, convegni su temi di attualità, mostre d’arte, presentazioni di libri e romanzi e molto altro.

In conclusione, come si è potuto notare dai precedenti paragrafi, le biblioteche storiche, non rivestono un ruolo di mero contenitore di libri e reperti più o meno antichi, bensì fungono da polo catalizzatore per attività ed eventi culturali che coinvolgono la città ed il suo territorio. Non si tratta di semplici biblioteche, ma di istituzioni che incentivano attivamente lo studio e la cultura. I fondi antichi contenuti in esse attirano studiosi e letterati da tutto il mondo, permettendo di documentarsi sulle ricerche svolte in passato, creando così un ponte tra passato e presente. Inoltre la concentrazione di un così vasto patrimonio culturale porta alla creazione di luoghi adibiti alla formazione di soggetti in grado di studiarne i contenuti e tramandarne gli insegnamenti, da qui la nascita di scuole ed università.

Oggi, ogni istituzione culturale dovrebbe aspirare ad una crescita economica autosufficiente migliorando le proprie condizioni in termini di capacità produttiva e manageriale, gestione delle risorse umane, relazionali, qualità dei servizi offerti e livello di reputazione internazionale.

Oggigiorno infatti sia i musei che le importanti biblioteche del mondo si caratterizzano sempre più come spazio dinamico, agenzia educativa e multimediale, istituto di ricerca e contesto formativo al servizio del pubblico chiamati ad essere luoghi accoglienti, dove trascorrere piacevolmente il tempo libero.

Per questo, accanto alla conservazione e alla tutela devono essere predisposte una serie di iniziative volte alla valorizzazione continua del Museo e della Biblioteca.

Instaurare un rapporto con il proprio territorio è forse il compito più importante per ogni istituzione culturale, ed in particolar modo per una biblioteca il cui scopo principale è quello di istruire i cittadini. L’ideazione di eventi ed incontri che incuriosiscano ad entrare in queste istituzioni è una pratica ampiamente diffusa soprattutto presso le biblioteche estere, che ha già dato prova della sua efficacia mettendo in moto positivi meccanismi di

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partecipazione. Un approccio in tal senso manageriale non è quindi da considerarsi lesivo nei confronti della dignità culturale dell’ente, ma bensì un valido supporto alla stessa, in quanto fornirebbe i mezzi per raggiungere e rendere parte integrante della comunità la biblioteca.

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II.

La Biblioteca Capitolare di Verona

II.1. Dinamiche storiche della biblioteca più antica al mondo

II.1.1. Le origini

La storia della Biblioteca Capitolare si intreccia fittamente con la storia della città in cui risiede, Verona, ed è di conseguenza influenzata dagli avvenimenti politici, religiosi e sociali del suo tempo (Adami, 2017).

Per comprendere quali siano gli eventi che portarono alla sua realizzazione, bisogna tornare indietro fino al III secolo a.C., quando iniziarono ad avvertirsi le prime fratture all'interno dell'Impero Romano. La coesione tra il senatus auctoritas e la populi libertas costituiva di fatto il fulcro della sua grandezza, e quando venne a mancare questo connubio il crollo divenne inevitabile.

I popoli germanici non fecero altro che dare il colpo di grazia ad un'Impero che stava già collassando su sé stesso. E quando questi popoli si trovarono a vivere tra le rovine dell'Impero Romano non furono in grado di ricostruire ciò che era stato distrutto, ed adattarono la loro vita primitiva alle poche strutture rimanenti. L'imbarbarimento e l'analfabetismo della popolazione portò, di conseguenza, alla quasi totale scomparsa dei luoghi preposti alla creazione dei libri, i quali erano stati molto attivi nei secoli precedenti alla caduta dell'Impero (Adami, 2017).

In questo periodo di impoverimento culturale fu la Chiesa cristiana a preservare e ad incentivare la cultura, e lo studio dei testi religiosi divenne la pietra angolare da cui far ripartire una nuova civilizzazione. Tuttavia, la novella religione non fu immediatamente in grado di esercitare la sua influenza nella trasformazione della società. Poté farlo solo quando, uscita dalla clandestinità dopo l'editto di Costantino nel 313, iniziò ad organizzare le proprie comunità intorno ai vescovi trasferendo le proprie sedi nei centri cittadini. Fu in questo periodo che nacquero alcune delle menti più brillanti della Cristianità, tra cui Ambrogio da Milano, Massimo da Torino, Girolamo da Stridone, Zeno da Verona. Tra questi nomi illustri, uno in particolare spicca per importanza: Agostino d'Ippona, dal quale fluì la linfa vitale che diede nuovi impulsi alla cristianità per i secoli a venire (Adami, 2017).

I primi centri per la trasmissione del messaggio cristiano, gli scrittorii, sorsero nelle immediate vicinanze delle sedi più significative per le comunità, quali le cattedrali o i

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maggiori monasteri, ma la loro attività non durò a lungo. Infatti durante la dominazione dei popoli barbari vennero per la maggior parte abbandonati se non addirittura distrutti (Brown, 2016). Tra i pochi scrittorii superstiti annoveriamo lo scriptorium veronense il quale, forse per il rapporto privilegiato che la città di Verona ebbe con Teodorico, re degli Ostrogoti, evitò la distruzione e poté continuare la sua attività libraria.

II.1.2. Prima dell’anno mille

È possibile determinare il periodo di attività dello scrittorio veronese grazie ad un testimone d'eccezione: l'amanuense Ursicino. Durante la copiatura di un libro sulla vita di san Martino redatta da Sulpicio Severo e quella di san Paolo monaco della Tebaide da uno scritto di san Girolamo, Ursicino, al termine del suo lavoro e nonostante fosse severamente vietato dalle regole dello scrittorio, aggiunse in calce al testo la seguente frase: <<Perscribtus codix hec Verona de vita beati sanctorum sub die kalendarum

augustarum Agapito viro clarissimo consule indicione decima per Ursicinum lectorem ecclesiae veronensis>> (Cod XXXVIII, pp. 10-11) ovvero << Il presente codice sulla

vita dei santi Martino e Paolo, entrambi beati, fu terminato a Verona, il primo di agosto, durante il consolato di Agapito, che fu un uomo assai illustre, durante la decima indizione- la quale corrisponde circa all'anno 517- da parte di Ursicino, lettore della chiesa di Verona>> (Loatelli, 2003, p. 35). Questa dichiarazione contenuta nell'attuale codice XXXVIII attesta l'esistenza di un amanuense di nome Ursicino appartenente alla Chiesa di Verona e di un istituto preposto alla trascrizione e composizione libraria; inoltre la data e l'analisi paleografica confermano l'esistenza e l'attività di questo scrittorio il quale, seppur con alterne vicende, operò durante il Medioevo fino a diventare l'odierna Biblioteca Capitolare, alla quale si può attribuire il primato di età quantomeno nell'ambito europeo, se non mondiale (Piazzi, 1994).

Ma il maggiore sviluppo dell'attività libraria della Capitolare e, di conseguenza, dell'accrescimento del proprio patrimonio bibliografico si ebbe sotto la dominazione carolingia grazie alla straordinaria figura dell'arcidiacono Pacifico (776-844 d.C.) (Turrini, 1962). Pacifico si distinse come uno dei più illustri rappresentanti del clero veronese, uomo di profondissima cultura, diede nuovi impulsi alla produzione libraria; lui stesso ricopiò oltre 218 codici e molti ancora ne completò, reintegrò e corresse. Oltre all'opera di amanuense, Pacifico fu anche autore, sarebbe sufficiente citare la celebre "Glosa del

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