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La tortura nei tempi moderni: articolo 613 bis cp.

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La tortura nei tempi moderni: articolo 613bis cp.

Sommario

Introduzione………...p.7

Capitolo 1: La tortura nella storia………...p.9

1.1: Le radici della tortura: dall’Antico Egitto alla Grecia…….……p.9

1.2: La tortura dai Romani al XIX secolo………….…….……...p.11

1.3: Le torture nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale….….p.17

1.4: La tortura come fenomeno globale…….………..……….p.18

Capitolo 2: Il pensiero di Verri e Beccaria sulla tortura………....p.20

2.1: La tortura per Pietro Verri….………p..20

2.2: La tortura nel pensiero di Cesare Beccaria…….……….……..p.21

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Capitolo 3: Dall’assenza di una fattispecie ad hoc all’approvazione

del reato di tortura nell’ordinamento

italiano………...p.24

3.1: La tortura in Italia………..p.24

3.2: Le proposte di legge sull’introduzione del reato di tortura che si sono avute negli anni……….……p.26

3.3: Il Ddl n.2168………..p.29

3.3.1: Analisi pratica del disegno di legge……..………..…p.32

3.3.2: Il nuovo testo approvato al Senato………..p.35

3.3.3: La tortura è legge………..….p. 36

3.4. Casi pratici di morti sospette in Italia………...….p.38

3.4.1: I fatti della Scuola Diaz di Bolzaneto……….…p.38

3.4.2: Le condanne all’Italia dopo i fatti della Diaz………...p.39

3.4.3: Il caso Cucchi………..………p.40

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3.4.5: Il caso Regeni…………...………...p.42

Capitolo 4: La tortura nelle fonti internazionali………....p.44

4.1: La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo………..p.44

4.2: La convenzione europea per i diritti dell’uomo……….p.45

4.2.1.:L’importanza dell’articolo 3 della CEDU………...p.47

4.3: La CAT………...p.48

4.4: La Dichiarazione interamericana dei diritti e dei doveri dell’uomo dell’organizzazione degli stati americani………..p.49

4.5: La convenzione americana per la prevenzione e la punizione della tortura………....p.50

4.6: Le convenzioni di Ginevra……….p.51

4.7: La convenzione della Nazioni Unite sui diritti del fanciullo……….p.52

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4.8: I principi fondamentali sul trattamento dei detenuti nelle Nazioni Unite………..p.53

4.9: La dichiarazione sull’eliminazione della violenza nei confronti della donna………p.53

4.10: Conclusioni in materia di fonti

internazionali…….…...……….p.54

Capitolo 5: Forme di tortura negli stati del mondo…………....…p.55

5.1: Le torture cinesi………...………..p.55

5.2: Gli stupri di regime in Argentina e Cile……….p.56

5.3: La tortura in Africa………...……….p.57

5.4: Una forma di tortura dei nostri giorni: l’ISIS………....p.59

5.5: La tortura è una componente tradizionale della prova in Russia………...p.60

5.6: La tortura negli Stati Uniti d’America………...p.60

5.7:La tortura in Turchia………...p.63

5.8: Conclusioni………p.66

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6.1: A proposito di dignità umana……….p.68

6.2: La tortura come forma di lesione della dignità umana………...p.70

Capitolo 7: Una particolare forma di tortura: il carcere…………p.73

7.1: I controlli del comitato di prevenzione della tortura…………..p.75

7.1.1: I controlli all’Italia del 1992………...p.78

7.1.2: I controlli all’Italia del 1995………...…p.79

7.2: Quando è violato l’articolo 3 della Cedu……….……...……...p.80

7.3: E se ad essere violata è la salute psichica di un detenuto?...p.84

7.4: I rapporti di Amnesty International sulla situazione carceraria………...p.84

Capitolo 8: Psicopatologie della tortura………...….p.86

8.1: Alcune forme di tecniche manipolative……….p.87

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8.3: Effetti psicologici della tortura………..p.90

8.4: Riflessioni conclusive………....p.92

Capitolo 9: Guarire dalla tortura………...………….p.95

9.1: il recupero della vittima………...p.96

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Introduzione:

La tortura è un termine estremamente attuale, che affonda le sue radici nel lontano XX secolo a.C. E’ sufficiente, infatti, scorrere i principali quotidiani degli ultimi anni (o addirittura mesi!) o ascoltare un qualsiasi telegiornale, per renderci conto di quanto tutto ciò che ci circonda sia disseminato da eventi frutto di barbarie compiute da esseri umani su altri esseri umani. Ne è la dimostrazione la morte del giovane studente Giulio Regeni, torturato in Egitto da ignoti qualche mese fa, per essere stato “colpevole” di non si sa quale fatto, o le torture carcerarie che vengono perpetrate con continua frequenza, tra le quali spicca, senza ombra di dubbio, la vicenda di Stefano Cucchi. O ancora gli eccessi di violenza compiuti dalle Forze dell’Ordine nei confronti di manifestanti e, tra questi, come non citare i drammatici eventi verificatosi nella ormai famosa scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001, i quali sono costati all’Italia numerose condanne da parte dell’Unione Europea e del mondo intero? Per chi pensa però che la tortura sia da esaminare solo in ambito nazionale si sbaglia: se si varcano i confini del Bel Paese la storia non cambia, come ci si muove in Europa si può osservare di come ogni stato ecceda nella manifestazione dei suoi poteri compiendo atti illeciti sull’uomo e cadendo in sanzioni da parte dell’UE. Spostandosi ancora più in là, verso gli Usa delle grandi tecnologie e della modernizzazione, ci si rende conto di quanto siano ancora in uso forme di tortura, prima tra tutti la pena di morte, intesa come lenta agonia fisica e soprattutto

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psicologica di detenuti. E ancora l’America del sud, la Russia, la Cina con i suoi metodi estremi di estorsione di confessioni, i paese africani, dove vengono ancora perpetrate barbarie nei confronti delle popolazioni, fino al fenomeno attuale dell’ISIS, che tortura ogni suo prigioniero prima di ucciderlo e diffondere il video su internet, dimostrano di quanto gli stati del mondo, così diversi e così lontani l’uno dall’altro siano però così vicini e così simili nell’uso di quella che è stata la più antica forma di barbaria usata sull’uomo: la tortura. Ma che cos’è la tortura? Dove affonda le sue radici? Su quali soggetti viene compiuta e per quali ragioni? Quali sono le sue forme di manifestazione? Esiste una normativa nazionale in grado di vietare tale pratica o di punire chi la utilizza? Sono questi gli interrogativi a cui questo elaborato tenta di rispondere.

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Capitolo Primo

La tortura nella storia

1.1. Le radici della tortura: dall’antico Egitto alla Grecia

La tortura affonda le sue radici nel lontano XX secolo a. C. ai tempi degli antichi Egizi, i quali utilizzavano metodi crudeli (per lo più frustate e bastonate) per intimorire o far confessare i malfattori e i nemici. Tuttavia fu soprattutto con i Greci e con i Romani che tale pratica divenne un’abitudine. I Greci la chiamarono “basanos” 1 e ne fecero ricorso sia con funzione “punitiva” che con funzione “giudiziaria”, al fine di “accertare” la verità. La tortura era praticata sia privatamente, nell’oikos, che pubblicamente, nella polis. Nell’oikos spettava al capogruppo la decisione finale in merito, venne quindi ampiamente utilizzata sia nelle violazioni delle regole di vita domestica, che per sanzionare i comportamenti poco rispettosi nei confronti della famiglia (la reclusione nel carcere domestico, le

1 In origine indicava la pietra di paragone per testare l’oro e solo in

seguito passò a indicare il procedimento con cui si metteva alla prova una persona. Assunse così il significato attuale. PLATONE,

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fustigazioni, le mutilazioni, i lavori estenuanti erano le torture maggiormente utilizzate). Ne erano vittime soprattutto le donne e gli schiavi. 2La tortura pubblica non poteva essere praticata sui cittadini ateniesi: fu un decreto di Scamandrio, risalente al VI sec a. C., che ne vietò l’uso.3 Per questa ragione erano torturati solo gli schiavi, gli stranieri e i meteci. Tra i metodi utilizzati il più crudele era l’apotympanismos, chiamata anche la crocifissione greca, con il quale il condannato veniva legato ai polsi, alle caviglie e al collo per poi essere attaccato ad un palo e lasciato in balìa della fame, della sete e dei morsi feroci degli animali rapaci. 4 Nei processi pubblici ateniesi vigeva la prassi di torturare gli schiavi prima di sottoporli a testimonianza: la “prokleis eis basanon” era richiesta da chi desiderava fare una testimonianza e consisteva nell’offrire il proprio schiavo, affinché fosse sottoposto a tortura; solo dopo quest’atto la testimonianza poteva essere ufficialmente utilizzata come prova. 5 Tra le fonti che citano la tortura intesa come prova “atechnoi” abbiamo Aristotele, che ne esalta l’affidabilità, Demostene che la definisce superiore ad ogni altro mezzo di prova, Iseo che la dice infallibile e molte altre. Di tortura quindi se ne parla come metodo molto efficiente e molto utilizzato, e questo contrasta con l’immagine della Grecia mite che per molti anni ha dominato la storia.

2 Tra le fonti: Lisia, per l’uccisione di Eratostene, in EVA CANTARELLA, la chiamavano basanos, la tortura ai tempi dell’antica Grecia, Criminalia, 2012, par.18. 3 Si cita l’episodio di Focione, condannato alla pena capitale nel 319 a. C., che non fu torturato prima dell’esecuzione, nonostante ne fecero richiesta in molti concittadini in E. CANTARELLA, La chiamavano basanos, la tortura ai tempi dell’antica Grecia, in Criminalia, 2012. 4 Vedi tortura di Mnesiloco in E. CANTARELLA, La chiamavano basanos, la tortura nell’antica Grecia, in Criminalia, 2012. 5 Significativo come però nessuna fonte parli di schiavi effettivamente torturati in giudizio in riferimento alla prokleis, E. CANTARELLA, la chiamavano basanos, la tortura ai tempi

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1.2. La tortura dai Romani al XIX secolo

Passando ad analizzare la tortura praticata ai tempi dei romani, ci possiamo rendere conto di quanto anche qui essa fosse largamente utilizzata, sia nei confronti degli schiavi, che nei confronti degli uomini liberi, per crimini di lesa maestà e, successivamente, su maghi e bugiardi. Una delle funzioni della tortura era infatti quella di arrivare ad estorcere la verità. Troviamo in Ulpiano l’espressione “ad eruendam veritatem” in quello che era l’interrogatorio “cum tormentis”6. Ulpiano giustifica dolor et tormenta per la ricerca della verità. Nel “De Officiis” Cicerone afferma che “l’indagatio atque inventio veri” è il primo dei doveri che spettano all’uomo e l’interrogatio cum tormentis diviene lo strumento privilegiato di escussione. La tortura fu inizialmente praticata sugli schiavi, solo qualche anno più tardi fu estesa nei confronti degli uomini liberi, purché nel rispetto della dignità della persona. Fra i metodi di tortura non vi rientravano la c.d. nuda interrogatio e la levis territio, (erano forme più blande di tortura, assimilabili per lo più alle percosse)7. La tortura sui servi era usata anche in caso di morte del padrone e poteva essere compiuta anche da parte di terzi senza l’autorizzazione del dominus se considerata oltraggiosa per il proprio padrone. Nei primi 6 Quaestionem intellegere debemus tormenta et corporis dolorem ad eruendam veritatem in Dig. 47.10.15.41 Ulp. 77 ad. ed. 7 D.47.10.15.41 (Ulp. 77 ad. ed.): Quaestionem intellegere debemus tormenta et corporis dolorem ad eruendam veritatem. Nuda ergo interrogatio vel levis territio non pertinet ad hoc edictum. Quaestionis verbo etiam ea, quam malam mansionem dicunt, continebitur. Cum igitur per vim et tormenta habita quaestio est,

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anni del Principato invece le cose iniziarono a cambiare, in particolar modo fu fatto divieto di praticare tortura su l’homo liber bona fides servens, sui liberti, e sui fratelli in caput fratis. Fu però Augusto nella sua Costituzione a inserire il divieto di iniziare un interrogatorio con questa pratica, eccezione fatta nei casi di capitalia et atrociora maleficia, quindi quando non fosse possibile farne a meno a causa della gravità del reato compiuto. L’Imperatore Adriano l’arricchì e mise la necessità che ci fosse un grave sospetto per poterla praticare. Ma in quale modo si torturava? A questa domanda non è facile rispondere, poiché era compito dei giudici stabilirlo (quaestiones modus margis est iudices arbitrari oportere), purché la persona ne uscisse viva: era compito dei magistrati decidere sulla vita e sulla morte e mai di colui che eseguiva la tortura. Fra l’altro era possibile infliggere più torture alla stessa persona, a condizione che da ciò potessero emergere nuove verità.8 Infatti la fides del torturato era tanto più vera, tanto più veniva inferto dolore nella tortura. La confessione estorta sotto tortura avvalorava gli indizi a carico della persona e mostrava l’accettazione della pena da parte dell’imputato. In ogni caso sussistevano dei limiti interni, quali l’arbitrium iudicis, ovvero il rispetto dell’integrità delle membra del torturato, al fine di non menomare la sua capacità lavorativa e della sua vita, e la sussistenza degli indizi a suo carico e limiti esterni, quali il diritto di appello alla tortura, il divieto di torture abusive o illegali (tant’è vero che in caso di inottemperanza a tali divieti l’imputato poteva esperire azione penale o civile di danno verso il giudice). Per molti secoli oratori, scrittori ci hanno parlato della prassi dei tormenta9, tuttavia con il passare degli anni si iniziò a dubitare della fondatezza di tale pratica: il dolore infatti poteva portare solo all’estorsione di una verità che in molti casi poteva essere falsata. La tortura era vietata in caput domini, ma con Settimio

8MODESTINO D.48.18.16. Mod 3 de Poen.

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Severo e Caracalla ci furono le prime deroghe al divieto, se compiute per crimini riconducibili alla sfera politica o sessuale. Tra le pratiche maggiormente diffuse di quegli anni rimanevano l’offerta dei propri schiavi a tortura per essere scagionati da un reato10 e quelle in cui i servi si offrivano spontaneamente a torture al fine di salvare il proprio padrone11. Fu con Diocleziano, nel 286, che s’iniziò a non ammettere questa prassi. Antonino Pio ammise anche la tortura degli impuberi, anche se le fonti dicono che era sufficiente perpetrare il semplice “terreri” (frustata) per scoprire la verità, in quanto la forza di resistenza degli infraquattordicenni era decisamente inferiore di quella di un uomo adulto. Una pratica largamente usata era la tortura con la corda, con cui il soggetto veniva legato e sollevato, per poi essere brutalmente lanciato a terra. Esistevano vari gradi: la terrizione reale, consistente in una minaccia di esecuzione, la tortura lieve, cioè un semplice sollevamento, il sollevamento per 30-40 minuti e il sollevamento con dei pesi ai piedi. La resistenza alla pratica variava in relazione al peso del corpo, alla magrezza e alla sua resistenza fisica. Accanto a queste la tortura della stanghetta, con cui s’imprimeva una stanghetta di ferro nella caviglia, quella del fuoco, e, tra le novità, la tortura della veglia (ben 40 ore di veglia sotto la vigilanza di due persone!). I soggetti sottoposti a tortura erano gli imputati, i convenuti nelle cause civili, il testimone (come il renitente, il testimone falso, il vacillante e l’infame). Fondamentale era che non s’iniziasse l’interrogatorio con tortura e che si praticasse solo per indagare su un crimine già realizzato e solo relativamente ad esso. Immuni erano i nobili, i militari, i decurioni, lo stato clericale e i dottori. Dispensati erano invece gli impuberi e i vecchi, gli invalidi (relativamente alla loro invalidità) e le donne in maternità (fino a 40 giorni dopo il parto). Con il passare degli anni s’iniziò a torturare meno, per esempio

10 “Offerebat familiam reus et ministros in tormenta flacitabat “

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ammettendo un divieto di pratica nel periodo pasquale, contrariamente a quanto si era fatto tra il IV e il V secolo, che furono anni disseminati da crudeltà senza scrupolo compiute da imperatori e funzionari: la condanne erano fondate su meri sospetti e la giustizia era il frutto di libero arbitrio. In epoca giustinianea la quaestio si usava solo se esistevano gravi elementi probatori, nel giusto modo, e risparmiando il torturato vel innocentia vel supplicio. L’interrogatorio cum tormentis rimase uno strumento a sé stante, caratterizzato dall’impiego della forza, per risolvere quelli che erano i casi di stallo. La tortura era il mezzo taumaturgico con cui si giungeva alla verità, ed era l’unico mezzo in grado di tranquillizzare gli scrupoli di coscienza dei giudici che mandavano a morte le persone: una confessione, anche se estorta, colmava il vuoto fra il mero sospetto e la prova piena di colpevolezza. Tuttavia furono in molti, sia giuristi che retori, che affermarono i pericoli che si celavano dietro alla pratica dei tormenta: i tormenta non possono mai essere sede di verità, poiché la fides quaestionis est fragilis et periculosa…et veritatem fallat…ut exprimi eis veritas nullo modo possit, nella consapevolezza che, anzi, “la verità resiste in quanto tale soltanto se non la si tormenta”.12 Nonostante ciò, anche

altri imperatori riproposero il tema della tortura, si pensi a Teodosio che introdusse la tortura in nome della fede (non a caso Tertulliano nell’Apologetico scrisse che solo grazie ad essa era possibile rimuovere lo stigma e ripulire l’anima). Il fondamento di Dio era infatti salvare l’anima umana. Contemporaneamente iniziarono a essere praticate le ordalie: fra queste la “ordalia aquae frigide e ordalia aquae ferventis”13, o l’ordalia della croce, con cui si mettevano 12 A.BELLODI ANSALONI, Ad eruendam veritatem: profili metodologici e processuali della quaestio per tormenta, Bologna, Bonomia University Press, 2011, pag. 326. 13 La prima consisteva nell’immergere in acqua fredda un corpo, sul presupposto che l’acqua pura respinge ciò che è impuro: se questo galleggiava era soccombente, se andava a fondo, era

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a croce le due persone e chi era colpevole si sarebbe stancato per primo, oppure l’ordalia del pane e del formaggio, con cui si facevano mangiare bocconi enormi di questi alimenti e chi non si strozzava dimostrava la propria innocenza. Fu però Innocenzo III nel IV Concilio Lateranense che proibì le ordalie praticate dai chierici e Papa Giovanni XXII che nel Concilio di Valladolid del 1322 dispose la scomunica “latae sententiae ipso facto” per coloro che prendevano parte al divieto di ordalie. Negli anni successivi invece la rappresentazione del processo occidentale fu caratterizzata per essere animata da un enorme furore repressivo verso tutto ciò che era considerato reato, la forma di esempio per descrivere questo modello è sicuramente il processo inquisitorio, indirizzato soprattutto alla persecuzione degli eretici e delle streghe dal XVI al XVII secolo. Nell’estorsione di confessioni, l’impiego della tortura tornava ad essere senza limiti: fra l’altro era aggravato dalla totale assenza di difensore durante la pratica e si basava su una mera presunzione di colpevolezza. Il giudice agiva “nell’interest civitati, ne crimina remaneant impunita”, al fine di garantire la pax publica. Il giurista Damhouder scrisse che la confessione avuta sotto tortura era la salvatrice del vizio, la restauratrice della virtù, la debellatrice dei demoni, il fatto quindi di immergere il reo nelle acque assolutorie del dolore faceva perdere la ripugnante natura della pratica14. Nel Tractatus de Maleficiis di Gandino la tortura è presentata come una pena da irrogare solo in presenza di determinate situazioni, cioè se sussistevano elementi sufficienti e veritieri e se lo decideva il giudice in caso di lacune nel diritto. Nel periodo inquisitorio il podestà o il capitano potevano sottoporre a tortura in sospettato di omicidio, di pentola di acqua bollente per poi farlo recuperare al soggetto: se questi si scottava era soccombente. T. PADOVANI, Tortura , Pisa University Press, 2015.

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ferimenti con sangue e cicatrici permanenti “ita quod veritas inveniri possit de malleficio perpetrato” , vi era addirittura una licenza di tormento per i latrones publici, i rubatores strata e per gli autori di reati particolarmente infamanti come la rapina in luogo sacro, gli attentati alle religiose…Il tutto sulla base di indizi manifesti e pubblica fama. Quest’ultimo requisito poteva giocare un ruolo fondamentale nella sottoposizione a tortura: l’uomo che godeva di buona fama poteva essere dispensato dal giudice nel subire tale pratica. Risulta significativo il fatto che le torture venivano perpetrate sotto gli occhi della parte lesa e dei parenti. Le sue funzioni principali erano il criminis punitionem (difesa del crimine) e la defentio iurisditionis (la difesa della giurisdizione) e l’ad criminis inventionem (la scoperta del crimine). Nel XIV secolo in tanti si scagliarono contro la tortura, scriveva Francesco Casoni nel 1557 nel suo Tractatus de tormentis “de periculo tormentorum et de orrore iudicum, de non torquendo reo crisi formato processo et de errore iudicum”. Ma fu solo nel ‘600 ad entrare in crisi: molti furono i processi alle streghe, ciò attesta che si torturava, ma allo stesso tempo il razionalismo iniziò a definirla una pratica non veritiera (Murray, Von Spee sono stati i maggiori espositori di tale tesi). Soprattutto Von Spee, analizzando la tortura su innocenti, evidenziò la durezza della pratica, anche per i più forti, cosicché chiunque sarebbe stato spronato a confessare (anche il falso!). Così fu anche il pensierò di Thomasius, per il quale il solo fatto di praticare una tortura sarebbe stato in contrasto col principio del nemo se detegere, di Hobbes, di Beccaria, di Verri15 , di Manzoni, di Filangeri e Pagano, per i quali una confessione estorta tra i tormenti non era equiparabile nemmeno ad un indizio. Al contrario lo stato che non praticò la tortura fu l’Inghilterra che emanò la Magna Charta Libertatum.

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1.3. Le torture nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale

Ma la tortura non si arrestò in questo periodo, anche in epoca ben più recente l’uomo è stato vittima di punizioni corporali, pene fisiche…basta pensare alla Prima Guerra Mondiale, durante la quale venivano usate violenze e sevizie di ogni genere sulle popolazioni civili, venivano uccisi senza pietà i cittadini, senza risparmiare né donne, né anziani, né bambini. La Commissione di Inchiesta “sulle violazioni al diritto delle genti e delle norme circa la condotta della guerra e al trattamento dei prigionieri di guerra” (Decr. Lgt. 15 Novembre 1918, n. 1711) analizzò gli atti di slealtà e di barbarie subiti dalle vittime da parte del nemico e i trattamenti inumani subiti dai prigionieri, non escluse tra questi donne incinte, anziani e bambini (si pensi che i prigionieri venivano mandati come cavie fuori dalla trincee per spianare la strada ai soldati e, talvolta, utilizzati come scudo, e quindi fucilati, al posto loro). Stesse caratteristiche si ripetono nel secondo Conflitto Mondiale: a subire le barbarie furono gli oppositori al regime nazifascista, i non ariani, gli zingari, gli omosessuali, deportati nei campi di concentramento e qui picchiati, seviziati, costretti a stare in camere senza ossigeno o ad essere quasi congelati, usati come cavie umane, e sottoposti a lavori massacranti fino a cancellarne la dignità.

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1.4. La tortura come fenomeno globale

La storia insegna che non sono stati da meno gli Stati Uniti: qui il linciaggio ha dimostrato di essere una delle forme maggiormente usate di tortura ed è stato praticato soprattutto sulla popolazione di colore (donne e bambini compresi). I linciaggi erano perfino annunciati sui giornali e venivano praticati in luoghi pubblici sotto gli occhi di folle incuriosite, questa la pratica: la persona veniva appesa ad un albero, un palo o un ponte e lasciata in balìa della folla, che si ripercuoteva su di essa con colpi di pistola, coltellate, o bastonate. Talvolta si arrivava addirittura ad abusare di chi era appeso e di solito, quando questi giaceva ormai morto, si prendeva un brandello del corpo della vittima, quale un occhio, orecchio come souvenir. E’ interessante notare come le indagini sommarie finissero tutte come decesso per mani ignote. Il linciaggio come tortura pubblica venne inteso dai suoi fautori come punizione atroce per crimini atroci, era utilizzato per sanzionare crimini al corpo sociale e all’ordine razziale; essi erano poi una sorta di spettacolo, in grado di spezzare la routine quotidiana delle piccole cittadine. La pace non ha cambiato le cose e la tortura è divenuta un fenomeno globale: la Russia, la guerra in Vietnam (durante in regime di Pol Pot si ustionavano le vittime, gli si strappavano le unghie o si bastonavano fino a far perdere sangue dalla bocca e dal naso), il Sudamerica (si pensi alle scariche elettriche sui genitali delle vittime), la Cina, l’Africa, Iraq, l’Egitto, la Giordania e così molti altri stati. Non è da meno l’Italia: si segnala il trattamento disumano subito dai detenuti e le condanne dopo gli eventi della scuola Diaz. Diceva

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Sciascia che “non c’è paese che non ammette la tortura, ma in effetti sono pochi i paesi che non la pratichino” e l’unico modo per combatterla, laddove è occulta, è farla venire alla luce.

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Capitolo 2:

Il pensiero di Verri e Beccaria sulla tortura

2.1: La tortura per Pietro Verri

Giunti a questo punto è necessario approfondire la concezione della tortura nel pensiero di due illustri autori come Verri e Beccaria. Partendo dal primo, la fonte per eccellenza sono le “Osservazioni sulla tortura”, qui l’autore trattò il tema narrando della pestilenza che colpì Milano nel 1630 (egli si rifece a quanto scritto dal Ripamonti): la pestilenza mieteva vittime, ma si preferiva trovarne la causa, piuttosto che cercare un modo per debellarla ed ovviamente la causa fu trovata nei demoni e nei maghi. Per questa ragione s’inizio ad usare in modo sempre più frequente la tortura; emblematico è come si indentificò in un tale Guglielmo Piazza l’untore, grazie alla fugace testimonianza di due donne Caterina Troccardi Rosa e Ottavia Persici Boni. Costui fu torturato, e il terzo giorno di atroci sofferenze, si ritrovò ad autoaccusarsi per la pestilenza e a fare nomi di altre persone coinvolte. Non è difficile immaginarci che anche questi furono necessariamente torturati e si generò una sorta di catena, nella quale ognuno, per sfuggire a nuovi supplizi, si ritrovava ad ammettere la propria responsabilità, e a fare nomi di altri uomini, gettando anche loro nelle sofferenze più atroci. Da questo passo si evince come per Verri la tortura non fosse una pena, bensì il classico modo di ricerca della verità attraverso i tormenti, tormenti che, per nascondere il raccapriccio che ne aveva la società, erano considerati “passeggeri” (le

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pratiche che presupponevano un dolore, anche se forte, comunque destinato a finire). Verri tuttavia, come fecero molti suoi predecessori e anche attraverso il pensiero di molti di questi, come Cicerone, Sant’Agostino…s’interrogò sul fatto che essa potesse essere effettivamente un metodo per scoprire la verità, arrivando a questa conclusione: dal momento che i più robusti preferivano morire, i più deboli finivano per autoaccusarsi e il sentimento che ne nasceva era solo il desiderio di porre fine agli atroci tormenti, era inutile perpetrare un male ingiusto per arrivare ad una verità che sarebbe stata viziata. Sulla base di questo la tortura era sicuramente non lecita, scrisse infatti il nostro autore “mi pare impossibile che l’usanza di tormentare privatamente nel carcere per avere la verità possa reggere però a lungo tempo ancora dopo che si dimostra che molti e molti innocenti sono stati condannati al supplizio con la tortura, ch’ella è uno strazio crudelissimo e adoperato talora nella più atroce maniera, che dipende dal capriccio del giudice senza testimoni…che questo non è un mezzo per reperire la verità…che i più venerabili scrittori sempre la detestarono, che si è introdotta illegalmente ne’ secoli e che finalmente oggigiorno varie nazioni l’hanno abolita e la vanno abolendo senza inconveniente alcuno”.16

2.2: La tortura nel pensiero di Cesare Beccaria

Al contrario dell’opera di Verri, il testo del Beccaria non riscosse inizialmente il fascino e i meriti che oggi siamo soliti attribuirgli: la Milano giudiziaria rispose con un “gelido silenzio”, la Francia lo guardò con sdegno e solo qualche anno più tardi dalla sua stesura “I

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delitti” attirò sempre più l’attenzione dei dotti penalisti dell’epoca e fu questa la sua fortuna. L’autore scrisse in quest’opera un appello appassionato contro l’uso di qualsiasi tortura, contro l’uso di prove segrete, contro le disparità nella commisurazione della pena e contro le punizioni corporali brutali. Il testo è divenuto così il riferimento per la Scuola Classica criminologica di diritto penale. Il fulcro dell’opera è l’esistenza di una pena, commisurata al fatto commesso, infatti tanto più questa è certa e proporzionata, tanto più l’ordinamento assumerà credibilità nei confronti dei consociati.17 La pena era ingiusta per natura, per questo le pene che sforavano il loro spazio, andando a cadere nella tortura, non potevano in nessun modo essere utilizzate. “Più severa era la pena più vi era il rischio che il reo commettesse altri reati, più brutale era la pena, più l’animo umano diveniva crudele e pronto a fare maggior male”.18Tassatività della norma penale, presenza di una legge chiara, scritta, generale e redatta in lingua non straniera, necessità di un organo giudicante terzo ed imparziale e pena certa e proporzionale sono stati i capisaldi del libello. Fu tuttavia nell’irregolarità delle procedure criminali che vi si ravvide il fulcro dell’opera: la confessione non era più la conditio sine qua non condannare e la tortura era soltanto un assurdo morale e giuridico. I Delitti e delle Pene fu una chiara, lucida, penetrante denuncia del sistema vigente, nonché della sua struttura processuale. Beccaria esordì nel XII capitolo affermando che torturare era la prassi maggiormente usata nelle nazioni per costringere il reo a confessare o a fare i nomi di eventuali suoi complici; tuttavia questo sistema era una sorta di inno alla resistenza al dolore. Beccaria paragonò la tortura alle antiche legislazioni, nelle quali le prove del fuoco e dell’acqua bollente erano

17 La misura della giustizia consiste nella massima felicità divisa

nel maggior numero”. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Milano, Giuffré, 1964, p.7.

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considerate i giudizi di Dio. La tortura non era nient’altro che un affare di temperamento e di calcolo in proporzione alla robustezza del reo “Io giudice, doveva trovarvi rei di un tal delitto: tu vigoroso, hai saputo resistere al dolore, e però ti assolvo! Tu debole vi hai ceduto, e però ti condanno.” 19. Secondo il nostro autore dalla tortura l’innocente avrebbe perso, e il colpevole vi avrebbe guadagnato: molti furono gli innocenti che si confessarono colpevoli per gli spasimi, molti coloro che caddero in contraddizioni e per questo furono nuovamente torturati. Detto ciò rimane da analizzare se la tortura fosse utile per scoprire eventuali complici; chiaramente non è difficile capire che per Beccaria essa fosse inadeguata anche per questo fine: se non serve a scoprire il reo, figuriamoci se può servire per trovare altri soggetti colpevoli! La tortura non era nemmeno utile per purgare l’infamia, o meglio che un uomo considerato infame dovesse confessare i suoi crimini con lo slogamento delle sua ossa. Potremmo andare avanti con molte altre parole, ma quello che è necessario ribadire è che molti sono gli esempi grazie ai quali si evidenzia lo scarso valore delle confessioni estorte con i tormenti. Non resta quindi che concludere riportando il teorema generale enunciato dal Beccaria, e cioè “perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, deve essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili date le circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi”. 20 E’ chiaro quindi che in un pensiero del genere la tortura non possa trovare spazio.

19 C.BECCARIA, Dei delitti e delle Pene, Milano, Giuffré, 1964, pag.

41.

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Capitolo 3

L’assenza di una fattispecie ad hoc nell’ordinamento italiano

3.1: La tortura in Italia

E’ giunto adesso il momento di analizzare la disciplina vigente nel nostro paese; come non è difficile immaginarsi dalla lettura del titolo di questo capitolo, l’Italia, ad oggi, non ha una norma che sanzioni il reato di tortura, né di questa c’è alcuna traccia all’interno del codice penale italiano. Eppure sono passati ben ventisette anni da quando, nel 1989, si è ratificata la Convezione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti (CAT)21. Per molti anni si sono susseguiti tentativi d’introduzione di disegni di legge che auspicavano la creazione di una nuova fattispecie criminosa, tuttavia essi sono sempre stati abbandonati; lo stato ha più volte ribadito che la fattispecie non è ancora venuta alla luce in quanto l’Italia ha già norme che implicitamente condannano gli autori di tortura (come gli articoli 572 c.p.22 e 605 c.p.23). Si tratta però di reati comuni, quando invece

in ambito internazionale la tortura viene delineata come reato proprio, inoltre molto spesso questi reati, come le lesioni, le percosse, l’ingiuria…si muovono in un perimetro che non include la violenza

21La convenzione fu adottata nel 1984 dall’Assemblea delle

Nazioni Unite con la Risoluzione 39/46.

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psicologica, mentre invece questo è elemento fondamentale nella tortura; in alcuni di essi, come appunto le lesioni o percosse, manca l’elemento psicologico del voler infliggere intenzionalmente il dolore e la sofferenza acuta, cosa che invece non deve mai mancare nella tortura, molti poi sono perseguibili a querela di parte e chiaramente questo mal si concilia con le vittime di torture. Un ulteriore ostacolo è dato dalla facilità con cui questi reati si prescrivono, mentre il reato di tortura non può prescriversi brevemente, anche perché di solito passa del tempo fra il subire la condotta e la denuncia della stessa. Eppure non mancano episodi come i fatti della Scuola Diaz, (i giornali la definirono la “notte cilena” ed ancora la “macelleria messicana”, proprio a voler rimarcare gli orrori che furono compiuti24 ), la morte di Stefano Cucchi (morto nel reparto penitenziario di Roma dopo aver subito violenze da parte dei Carabinieri che l’avevano arrestato per il possesso di venti grammi di hashish e di alcune pastiglie a torto ritenute di ecstasi), la morte di Federico Aldovrandi, (deceduto nel 2009 non per overdose, ma a seguito di ipossia-asfissia posturale e sul cui corpo sono state individuate ben cinquantaquattro lesioni, indicative di uno scontro violento, prolungato e doloroso) per i quali il vuoto di normativa risulta essere un vero e proprio problema. Il Governo ha tentato più volte di porre rimedio a questa lacuna normativa, che ormai è considerata una vera e propria fonte d’imbarazzo, con vari tentativi d’introduzione di fattispecie ad hoc che sanzionino gli autori di torture, senza mai riuscirci; finalmente oggi, dopo numerosi Ddl, numerose discussioni e immense fatiche di Sisifo, anche il nostro ordinamento si è dotato di una norma che introduce il reato di tortura. Tuttavia, non lascia molto ben sperare il fatto che le critiche per la nuova legge siano comunque numerose e c’è chi avanza seri dubbi di costituzionalità della stessa.

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3.2: le proposte di legge sull’introduzione del reato di tortura

che si sono avute negli anni

Alla luce di ciò è necessario passare ad analizzare le proposte di legge che si sono susseguite dal 2013 ad oggi per introdurre la fattispecie criminosa che condanni gli autori di tortura.

Una prima è la numero 1499 del 7 Agosto 2013 dell’Onorevole Marazziti: in base ad essa è prevista la collocazione nell’articolo 613 bis del codice penale e la sua configurazione come reato comune, costruito come reato di evento a forma vincolata, che si realizza quando l’agente sottopone una persona a tortura mediante violenza o minaccia. La pena prevista è della reclusione da quattro a dieci anni. E’ prevista una circostanza aggravante a effetto comune per l’ipotesi di fatto commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato ad un pubblico servizio, ed aumenti di pena se dal fatto ne derivi una lesione o la morte del soggetto. Ai commi successivi sono analizzate l’estradizione, con il divieto di praticarla laddove lo straniero possa essere sottoposto ad essa e l’inutilizzabilità delle dichiarazioni ottenute mediante tortura. I rilievi critici individuabili concernono l’eccessivo semplicismo con cui viene definita la tortura, in quanto manca una vera a propria definizione della fattispecie e ciò la rende tautologica.

Una seconda è la numero 979 del 17 Maggio 2013 dell’Onorevole Gozi: questa la colloca nell’articolo 593 bis del codice penale, qui si tratta di un reato di evento a forma libera, polarizzato sul dolore e sofferenze fisiche e mentali subite dalla vittima. L’articolo 1 della

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stessa si conclude con la specificazione che “qualora il fatto costituisca oggetto di obbligo reale, l’autore non è punibile”. Questo punto si trova in contrasto con la normativa della Corte EDU, secondo cui il divieto di tortura è assoluto e non può mai subire deroghe.25

Una terza è la numero 588 del 28 Marzo 2013 dell’Onorevole Migliore: la norma è ubicata nell’articolo 608 bis del codice penale, la tortura si caratterizza come reato proprio del pubblico ufficiale che cagiona alla vittima sofferenze fisiche e mentali; è reato di evento a forma libera, si ripropone la pena da quattro a dieci anni, è prevista una clausola estensiva di punibilità per l’ufficiale che istiga altri alla commissione del fatto. All’articolo 2 è previsto il divieto di immunità per gli autori di tortura. Questa proposta lascia però scoperta la fattispecie laddove sia effettuata da un privato, anche se sotto vari aspetti è la più vicina a quanto sancito nella CAT.

Una quarta è la numero 276 del 15 Marzo del 2013 dell’Onorevole Bressa: in questo caso si introduce la norma 613 bis del codice penale, sono riproposte la solita pena (da quattro a dieci anni), la solite aggravanti e divieti di immunità/estradizione. Tuttavia al secondo articolo essa mira all’introduzione di un fondo per le vittime di tortura. Anche in questo caso si contesta l’eccessiva laconicità nella definizione della fattispecie criminosa.

Una quinta è la numero 189 del 13 Marzo 2013 dell’Onorevole Pisicchio: anche per questa proposta la fattispecie è introdotta con l’articolo 613 bis, è configurato come reato comune, effettuabile da chiunque, l’elemento oggettivo consiste nella causazione di atroci

25 Vedi articolo 2 CAT “no exceptional circumstances whatsoever,

wheter a state of war o threat of war, internal politacal instability, or any other public emercency, maybe invoked as a justification of

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sofferenze fisiche, mentali o nell’effettuare trattamenti disumani o degradanti mediante l’uso di violenze o minacce gravi. La pena prevista è dai tre ai dodici anni. Nel secondo comma è previsto un aumento di pena se il fatto è compiuto dal pubblico ufficiale o da un incaricato ad un pubblico servizio, mentre al terzo un aumento di pena è previsto se dal fatto ne deriva una lesione grave o gravissima, e il doppio se sopraggiunge la morte. Anche qui è sancito il divieto d’immunità e di estradizione. A tale proposta si obietta fra le aggravanti l’aumento di solo un terzo di pena per l’ufficiale ed inoltre la scelta di comprendervi solo violenze o minacce nella sanzione della stessa.

Una sesta è la numero 2168 approvata dal Senato il 5 Marzo 2014: il nuovo delitto di tortura dovrebbe collocarsi nell’articolo 613 bis del codice penale, la fattispecie è strutturata come reato comune, con un aggravamento della pena se il fatto è compiuto da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio. L’elemento oggettivo consistente nel cagionare acute sofferenze fisiche o psichiche, attraverso condotte di violenze, minacce gravi o trattamenti disumani o degradanti la dignità umana, la norma individua poi una serie di soggetti passivi nel caso in cui l’evento sia prodotto su una persona privata della libertà personale, ovvero affidata alla sua custodia o autorità o cura o assistenza, o ancora che si trovi in una condizione di minorata difesa. Il dolo è generico, e la pena edittale è da tre a dieci anni, mentre per l’ipotesi delle aggravanti da cinque a dodici anni. Ai commi terzo e quarto sono previste aggravanti laddove il fatto produca lesioni gravi, gravissime o sia fatto volontariamente; viene poi proposto un nuovo comma del codice di procedura penale che prevede l’inutilizzabilità delle informazioni ottenute mediante tortura . Rilievi critici si prospettano per la difficile definizione fra reato comune o reato proprio, condivisibile la descrizione dell’evento, degna di critica

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è l’individuazione dei soggetti passivi: la prima abbraccia sì i prigionieri privati di libertà personale, ma non si appresta a ricollocarvi anche le vittime di tortura che si trovano in stato di libertà (vedi i fatti della Scuola Diaz), l’ipotesi seconda è ancora più discutibile, poiché la persona sottoposta a custodia può rientrare in interferenza con l’ipotesi di maltrattamenti in famiglia, mentre la terza rende estremamente difficile capire quali possano essere i soggetti che si trovino in uno stato di minorata difesa. Anche le aggravanti sono suscettibili di obiezioni, in quanto per le lesioni gravissime è prevista l’aumento della metà rispetto alla pena (quindi da quattro anni e mezzo a quindici), mentre per i maltrattamenti in famiglia va da sette a quindici anni, quindi con un minimo edittale più elevato. Inoltre anche la causazione dell’evento morte con la reclusione di trent’anni è ben più elevata di altri reati, come nel caso di sequestro di persona o di atti di terrorismo.

3.3: il Ddl n. 2168

A questo punto si riporta il testo del disegno di legge numero 2168 approvato al Senato:

Introduzione degli articoli 613bis e ter del codice penale “chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero mediante trattamenti inumani o degradanti la dignità umana, cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza ovvero che si trovi in una condizione di minorata difesa, è punito con la reclusione da tre anni a dieci anni.”

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Al comma secondo si prosegue dicendo che “se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni ovvero da un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni la pena è della reclusione da cinque a dodici anni”.

Al comma terzo si dice che “ se dal fatto deriva una lesione personale grave le pene sono aumentate di un terzo e della metà in caso di lesione personale gravissima. Se dal fatto ne deriva la morte la pena è della reclusione ad anni trenta.

Il 613 ter invece condanna il “pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio della sua funzione che istiga un altro pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, se l’istigazione non è accolta ovvero se è accolta ma non è commessa alla reclusione da sei mesi a tre anni”.

L’articolo secondo del disegno di legge invece presuppone una modifica dell’articolo 191 del codice penale, con cui si dice che “le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante tortura non sono comunque utilizzabili salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale”.

L’articolo terzo del disegno di legge concerne la disciplina delle immigrazioni e norme sulle condizioni dello straniero e prevede che “non sono ammessi respingimenti o espulsioni o estradizioni di persone verso uno stato, qualora ci sia fondato motivo di ritenere che esse rischino di essere sottoposte a tortura. Nella valutazione di ciò si tiene conto dell’esistenza, in tale stato, di violazioni sistematiche dei diritti umani”.

L’articolo quattro analizza l’esclusione dell’immunità diplomatica “non può essere riconosciuta l’immunità diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in altro stato o da un tribunale internazionale. Al comma secondo invece si dice che nel rispetto del diritto interno e dei trattati internazionali, nei casi di cui al comma 1, il cittadino straniero è

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estradato verso lo stato richiedente nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura, o nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, verso lo stato individuato ai sensi della normativa internazionale vigente in materia.

Nell’articolo cinque si stabilisce che dalla presente legge non derivino oneri per lo stato.

Nell’articolo sei si disciplina l’entrata in vigore dopo la sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

La Camera dei deputati ha apportato le modifiche che seguono al testo: l’articolo 613 è così formulato “chiunque, con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere, da essa o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o di infliggere una punizione o di vincere una resistenza, ovvero in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale, o delle opinioni politiche o religiose, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso di poteri, o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, si applica la reclusione da cinque a quindici anni. Ai fini dell’applicazione del primo e del secondo comma la sofferenza deve essere ulteriore rispetto a quella che deriva dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”. “Se dal fatto deriva la morte quale conseguenza non voluta, le pene sono aumentate di due terzi. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte la pena è dell’ergastolo”.

L’articolo 613 ter prevede che “fuori dai casi previsti dall’articolo 414, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale

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nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga un altro ufficiale o altro incaricato ad un pubblico servizio a commettere un delitto di tortura, è punito con la reclusione da uno a sei anni”.

L’articolo secondo è invariato rispetto al testo del Senato. L’articolo terzo aggiunge “nonché per il reato di cui al 613 bis”.

L’articolo quarto marca maggiormente che “in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali o oggetto di tortura, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione o dalla tortura ovvero da violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani”.

L’articolo cinque precisa che “non è riconosciuta l’immunità dalla giurisdizione agli stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in altro stato o da un tribunale internazionale; nel rispetto del diritto interno lo straniero può essere estradato nello stato richiedente in cui è in corso una condanna per reato di torturato nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, verso il tribunale stesso o lo stato individuato ai sensi dello statuto del medesimo tribunale”.

Gli articoli seguenti (il sei e il sette) sono invece invariati.

3.3.1: Analisi pratica del disegno di legge

Dalla lettura del disegno di legge il reato di tortura viene collocato nel capo dei delitti contro la libertà individuale (capo III), a chiusura della sezione contro la libertà morale (sezione III). Tuttavia c’è chi rimane perplesso dalla collocazione dopo l’articolo 613 c.p., che punisce lo

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stato di incapacità procurato mediante violenza26. Infatti, benché il reato di tortura sia un reato plurioffensivo, prima di violare la libertà morale di un individuo, ne colpisce l’incolumità individuale, intesa nel senso d’integrità fisica e psichica. Difficile capire a primo colpo se si tratta di reato comune oppure di reato proprio: l’incipit del “chiunque” lascia presupporre che sia un reato comune, ma a guardare meglio i requisiti del soggetto passivo permettono di qualificarlo come reato proprio. Il reato è di evento, e l’elemento soggettivo vuole che si verifichino le acute sofferenze fisiche o psichiche. Il termine acuto tuttavia è di per sé troppo difficile da misurare, per tanto c’è chi obietta che anche stavolta il legislatore non sia stato preciso nel disegnare la nuova fattispecie criminosa27. Il dolo è generico, questo permette anche al dolo eventuale di poter integrare il reato, ma ciò si pone in contrasto con l’articolo numero 1 della CAT, che offre una nozione di tortura accompagnata dall’avverbio “intenzionalmente”, lasciando vedere che si tratta quindi di dolo specifico. 28Oltre a questa contrasta con le più recenti leggi adottate dagli Stati, e con lo Statuto di Roma29.

Molti dubbi sorgono dai commi successivi, ed in particolar modo non è ben chiaro se si vuole introdurre una nuova fattispecie di reato, oppure delle semplici circostanze aggravanti. Anche l’articolo 613 ter non è immune da censure: infatti se da un lato permette la punizione di 26 G.LANZA, verso l’introduzione del rato di tortura nell’ordinamento italiano, in Diritto penale contemporaneo, 2016. 27 I.MARCHI, luci ed ombre del nuovo disegno di legge per l’ introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano: un’altra occasione persa?, in Diritto penale contemporaneo, 2014. 28 Art.1 CAT: qualsiasi atto mediante cui sono stati intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da esse o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione”: 29 Anche qui si ripropone l’intenzionalità nel cagionare i dolori e le

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istigazione non accolta o seguita dalla commissione di reato, dall’altro lascia scoperta la previsione per la quale l’istigazione sia compiuta nei confronti di un soggetto privato. E’ chiaro quindi che il legislatore non sappia ancora bene cosa dover fare. Esistono poi numerose perplessità dal confronto con il reato di maltrattamenti in famiglia sanzionato dal 582 del codice penale, infatti in quest’articolo non solo è punito il maltrattamento nell’ambito del contesto familiare o di convivenza, ma anche laddove la vittima sia affidata ad un soggetto attivo per ragioni di cura, assistenza, istruzione, vigilanza o custodia. Per questa ragione in molti casi si potrebbe arrivare alla contestazione di tortura in ipotesi intrafamiliari con ripercussioni sotto il profilo sanzionatorio. Molto interessanti (a mio parere) gli spunti adottati da diversi autori nella rivista di Diritto penale contemporaneo, che, alla luce del disegno di legge approvato dal Senato, delle modifiche apportate dalla Camera, delle censure messe dalla Commissione di Giustizia hanno provato a riplasmare una nuova fattispecie criminosa, maggiormente conforme ai canoni della CAT e delle varie norme internazionali vigenti: tra queste si segnalano la sostituzione delle acute sofferenze30 con il termine

“malattia”, oppure la trasformazione dell’aggravante del pubblico ufficiale in una fattispecie autonoma, oppure ancora marcare il dolo specifico. Mi sento infine di spingermi più avanti e di dire che, secondo me, la giusta norma dovrebbe contenere il dolo intenzionale, volto proprio a cagionare volontariamente le sofferenze fisiche e mentali.

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3.3.2. Il nuovo disegno di legge approvato al Senato

Il 17 Maggio scorso il Senato ha finalmente approvato il disegno di legge riguardante il reato di tortura; questo passerà di nuovo alla Camera per una quarta lettura. Il testo è stato modificato, e secondo alcuni, addirittura stravolto. Nei mesi scorsi si era infiammato un ampio dibattito sulla questione, in particolar modo se il reato dovesse incarnare un’ipotesi di reato comune, oppure di reato proprio; il nuovo testo prevede una pena da quattro a dieci anni di reclusione per “chi con violenza o minaccia, o con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza, intenzionalmente, cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere, da essa o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o di infliggere una punizione o di vincere una resistenza, ovvero in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose”. La pena è aumentata da cinque a dodici anni se a commetterlo è un pubblico ufficiale. Se si verifica poi la morte non voluta della persona la pena sale a trent’anni di reclusione, se invece questa è voluta vi sarà l’ergastolo; inoltre è punita anche l’istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura. Il punto più critico del nuovo testo è sicuramente il fatto che il reato sia imputabile a chiunque e che quindi risulti essere reato comune., e non un reato proprio, come aveva richiesto la Convenzione delle Nazioni Unite. A tutela delle forze di polizia, è stata confermata l’esclusione dalla legge delle sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti da parte dei pubblici ufficiali.. Molte associazioni, tra le quali Amnesty International, Antigone, sono scese in campo per denunciare l’inadeguatezza del testo approvato al senato: queste infatti vi ravvedono un’inutile

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protezione nei confronti dei pubblici ufficiali che volutamente cagionano violenze sugli arrestati. Il Senatore Luigi Manconi (promotore del testo) ha detto che un altro punto su cui rimangono molti dubbi è il trauma psichico da accertare per poter definire il reato come tortura, difficile da vedere se si pensa che molti processi si verificano dopo numerosi anni dall’evento. Sono perplessi anche i pubblici ufficiali, in quanto la norma non scioglie i dubbi circa l’interpretazione dell’intensità delle sofferenze fisiche per definirle acute, quali siano i trattamenti inumani o degradanti, ed infine a quanto corrisponda il grado del trauma psichico. Alla luce di tutto ciò sono in molti a sperare che la Camera rimedi alle modifiche apportate. 3.3.3: La tortura è legge

Con 195 voti favorevoli, 35 contrari e 104 astenuti, anche la Camera ha approvato il disegno di legge che introduce il reato di tortura in Italia. Il nuovo articolo 613 bis del codice penale punisce con la reclusione da 4 a 10 anni “chi con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche, ovvero un trauma psichico a una persona privata della libertà personale, o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero si trovi in uno stato di minorata difesa…se il fatto è commesso mediante più condotte, ovvero comporta un trattamento inumano o degradante per la dignità della persona. La pena è aggravata da 5 a 12 anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso di poteri, o in violazione ai poteri del pubblico servizio. Restano escluse dalla tutela le sofferenze

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risultanti dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative dei diritti. Sono poi previste della aggravanti se: ne derivi lesione personale o personale grave (aumento fino a 1/3) ne derivi una lesione gravissima (aumento della metà); ne derivi la morte non voluta (30 anni di reclusione); ne derivi la morte voluta (ergastolo).

E’ stato poi introdotto l’articolo 613 ter che sanziona il pubblico ufficiale che ne istiga un altro a compiere tortura (la pena va da un minimo di sei mesi ad un massimo di tre anni).

L’articolo 191 del c.p.p. al comma 2 bis sancisce poi l’inutilizzabilità delle prove acquisite mediante tortura.

Ulteriori disposizioni prevedono anche il divieto di respingimento, espulsione, o estradizione di una persona verso uno stato quando vi siano fondati motivi di ritenere che questa possa essere sottoposta a torture e l’esclusione dell’immunità diplomatica allo straniero sottoposto a procedimento penale o condannato per il reato di tortura in un altro stato, o da un tribunale internazionale. Nei vari passaggi del testo si evince come la versione originale sia stata modificata: ora il reato punisce “chiunque”, quindi è divenuto un reato comune, e non più un reato proprio (il fatto che il reato venga compiuto da un pubblico ufficiale è specificato al secondo comma in veste di aggravante). In secondo luogo il testo punisce chi commette tortura con violenze o minacce, o mediante più condotte, e questo spinge molti a pensare che non possa essere applicabile a singoli episodi di violenza brutale. In terzo luogo vi è un passaggio singolare da il cagionare acute sofferenze fisiche o psichiche al cagionare acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico. Il fatto che il trauma debba essere verificabile induce molti a pensare che sia difficile da decifrare e la normativa risulti essere molto meno efficace.

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3.4: Casi pratici di morti sospette in Italia

Come, ahimè, non è difficile immaginarsi, anche l’Italia, complice forse l’assenza di una normativa ad hoc, si è fatta autrice di numerosi episodi di torture, per questa ragione risulta fondamentale passare alla rassegna delle varie vicende, anche se i fatti possono toccare la sensibilità di coloro che leggeranno.

3.4.1: I fatti della Scuola Diaz e di Bolzaneto

Le sentenze del Tribunale di Genova ripercorrono in maniera molto dettagliata i fatti di tortura avvenuti a seguito delle manifestazioni del G8 di Genova del 2001. Nella sede della Caserma di Bolzaneto 55 fermati e 205 arrestati hanno subito condotte inumane e degradanti, che sarebbero potute ricadere nell’ambito del reato di tortura: in particolar modo le persone sono state picchiate, minacciate di violenza e di morte, ammassate, costrette a urinarsi o defecarsi addosso, sono state istigate a inneggiare al fascismo, hanno subito il taglio di ciocche di capelli e gli sono stati spruzzati contro gel urticanti, ad un uomo sono state per fino troncate le dita della mano, fino a che questo non è svenuto dal dolore. Analoga sorte nella scuola Diaz, dove molti agenti, nell’intento di trovare elementi di prova conti i c.d. black block hanno usato eccessivamente la forza picchiando con calci, pugni, manganellate, e causato nella vittime fratture di costole, arti, nonché ematomi in varie parti del corpo (pancia, genitali, viso) e perdita di

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senza cibo né acqua. I colpevoli di questi fatti sono stati quasi tutti assolti, mentre pochi condannati a pene ben poco consone alla gravità dei reati commessi31.

3.4.2: Le condanne all’Italia dopo i fatti della Scuola Diaz e

di Bolzaneto

A seguito di tali scioccanti vicende la Cassazione, nonostante abbia stabilito che i trattamenti furono inumani e degradanti e che l’Italia non abbia condotto un’indagine penale adeguata, non ha potuto qualificare i comportamenti come tortura, in quanto nell’ordinamento italiano manca una fattispecie ad hoc volta a sanzionare tali condotte; per questo alcune vittime hanno adito la Corte Europea per violazione dell’articolo 3 della CEDU. La Corte ha così stabilito che l’operato della polizia non può essere proporzionato agli scopi di ordine pubblico cui miravano gli operanti. Inoltre, gli agenti di polizia non hanno collaborato ad individuare gli autori delle violenze, nessun imputato è stato adeguatamente condannato, tenuto conto degli effetti di prescrizione ed indulto, inoltre, la legge italiana risulta essere inadeguata a sanzionare queste condotte. Perciò la Corte non può che evidenziare il deficit dell’ordinamento interno italiano e condannare l’Italia a dotarsi di strumenti idonei a punire in maniera adeguata i responsabili di trattamenti inumani e di tortura, ai sensi dell’articolo tre.

31 Cinque anni di reclusione per reati comuni come falso

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Significativo come l’Italia sedici anni dopo i fatti del 2001 abbia finalmente riconosciuto di fronte alla Corte Europea dei Diritti Umani le sue responsabilità e che quei fatti furono torture. Per questa ragione risarcirà le vittime delle violenze e si impegnerà all’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento.

3.4.3: Il caso Cucchi

Nell’ottobre del 2009 Stefano Cucchi è morto nell’ospedale del reparto penitenziario Pertini di Roma, ma le circostanze non sono mai state chiarite abbastanza. Egli fu arrestato per il possesso di venti grammi di hashish e di alcune pasticche a torto ritenute di ecstasi. Dopo l’arresto Cucchi, che già aveva due ematomi agli occhi, si sentì male, ma rifiutò il trattamento sanitario. Il giorno successivo in tribunale raccontò ad un altro detenuto di essere stato picchiato; ma il giudice lo condannò alla custodia cautelare in carcere e perciò fu condotto al Regina Coeli. La sua situazione peggiorò ulteriormente, tanto che nel verbale di morte si sono trovate anche fratture alla colonna vertebrale. Inoltre egli riportò un dimagrimento di ben quindici chilogrammi. Nel verbale è riportato che questi praticava lo sciopero della fame e ciò era particolarmente duro in una persona con le sue cagionevoli condizioni fisiche; alla famiglia non è stato concesso vederlo fino al giorno della sua morte, avvenuta nell’ospedale Pertini di Roma. L’indagine preliminare conclusa nel 2011 ha escluso che la sua morte fosse di omicidio volontario, ma sono state rinviate a giudizio tredici persone, tutte con le accuse di omissione di soccorso, abuso di autorità, falso ideologico, lesioni personali. Sempre le indagini sostennero che a causare la morte

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sarebbero stati i traumi conseguenti alle percosse, al digiuno, i danni al fegato e alla vescica (che ne impediva la minzione) e l’assenza di assistenza medica. La sentenza di primo grado portò alla condanna di quattro medici dell’ospedale per omicidio colposo, un altro medico per falso ideologico, mentre assolse gli altri infermieri e guardie penitenziarie fra lo sdegno da parte del pubblico in aula; in secondo grado tutti furono assolti ed in seguito a ciò i legali della famiglia Cucchi adirono la Cassazione. La Suprema Corte nel 2015 ha disposto il parziale annullamento della sentenza, ordinando un nuovo processo per cinque dei sei medici32. Nell’appello bis sono stai nuovamente assolti i cinque medici; ne è seguito uno sfogo della sorella che ha pubblicato una foto del cadavere del fratello nudo sul tavolo autoptico, scrivendo “Ciao Stefano, tu eri già così: lo sei sempre stato. Eri già morto quando ti hanno arrestato. Non se ne era accorto nessuno. Magari sei deperito e dimagrito dopo morto. Magari diranno così, ma tu sei sempre stato morto”.33

La Cassazione è nuovamente intervenuta sulla vicenda ed ha annullato il proscioglimento dei cinque medici indagati per omicidio colposo a danno del giovane: il Procuratore Generale ha infatti stabilito che la corte romana dell’Appello bis ha sovrapposto il suo giudizio, non scientifico, a quello di luminari periti, sentenziando che non è possibile stabilire se ci sia una connessione tra la morte del giovane e la mancanza di cure adeguate. Molti aspetti critici potrebbero essere così finalmente risolti con una nuova perizia sul caso.

32 Nel dispositivo della sentenza si legge che i sanitari avrebbero

dovuto prestare maggiore attenzione ed approfondire gli stati patologici di Stefano.

(42)

3.4.4: Il caso Aldovrandi

Nel 2005 Federico Aldovrandi è morto in altre circostanze dubbiose; si racconta che la sera prima del decesso uscì con gli amici per Ferrara e di ritorno verso casa sia stato trovato dagli agenti in preda ad allucinazioni e deficit mentali (forse anche complice l’assunzione di alcune sostanze stupefacenti). Il giovane è stato così picchiato violentemente (tanto che un manganello si è per fino spezzato) ed è deceduto a seguito delle lesioni riportate. L’autopsia medico legale ha evidenziato una “insufficienza miocardica contrattile acuta dovuta dall’aumentata richiesta di ossigeno indotta dallo stress piscofisico per lo stress piscologico e fisico nella resistenza all’immobilizzazione praticata dagli agenti rivelando però che le sostanze assunte non sono state in grado di causarne la morte”; il medico di parte ha invece evidenziato una morte da anossia-ipossia posturale, dovuta al caricamento sulla schiena di uno o più poliziotti durante l’immobilizzazione. I tre gradi di giudizio hanno confermato la condanna agli agenti per omicidio colposo e eccesso colposo nell’uso legittimo della armi.

3.4.5: Il caso Regeni

L’ultimo caso da analizzare riguarda la morte di un nostro connazionale, Giulio Regeni, avvenuta a Il Cairo nel Febbraio 2016, che ha scosso l’opinione pubblica mondiale ed ha inasprito i rapporti fra Italia ed Egitto. Giulio si trovava in Egitto per motivi di studio ed è stato trovato morto sulla strada Cairo-Alessandria nudo, con segni compatibili con una sottoposizione a tortura: contusioni, lividi,

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