Il recupero del torturato è assolutamente particolare, si deve infatti raccogliere qualsiasi notizia anamnestetica, bisogna valutarlo obiettivamente per poter decidere la giusta strategia terapeutica. Tuttavia possono sorgere diversi problemi, tra questi bisogna segnalarne un primo legato alla specificità della tortura subita, che non è riconducibile ad una vera e propria malattia: è ben difficile che le persone parlino delle esperienze subite e talvolta passano anni prima che riescano ad aprirsi; questo perché la tortura è una forma di violenza che è tanto più devastante quanto incomunicabile, è una condizione che il subinconscio difficilmente può elaborare razionalmente, così da consentire difficilmente il palestinese (in questo metodo l’individuo è sospeso in aria con
trauma subito. E’ piuttosto raro infatti che la vittima di una tortura chieda aiuto, piuttosto il medico viene a conoscenza delle torture in un secondo momento. Il secondo problema da segnalare è legato alla lingua: molti soggetti hanno subito torture nel paese di origine e diventa estremamente difficile instaurare un dialogo vero e proprio. Per questa ragione un ruolo fondamentale è fatto dagli interpreti, che creano un rapporto di fiducia con il soggetto vittima di torture. L’incontro con la vittima deve essere poi condotto cercando di non simulare un interrogatorio, quindi l’operatore deve astenersi da prendere appunti, ma allo stesso tempo deve dimostrarsi interessato al colloquio, anche perché molte informazioni possono essere prese più che dalle parole, dal linguaggio del corpo, dal tono della voce, dai gesti dell’intervistato. Il secondo step, che poi è il più difficile, è il condurre la visita vera e propria: è molto complicato indagare sulle lesioni praticate, oppure chiedere semplicemente l’accesso al corpo del paziente87. In questa seconda fase diventa fondamentale il lavoro di medici e di psicologi, che devono collaborare, ben sapendo che la vittima di tortura può non essere stata sincera88. Non esistono tecniche valide
per tutti, esistono tecniche valide per ogni singolo caso, esistono tecniche che partono dal colloquio col paziente, procedono con la visita dello stesso e si concludono sempre parlando, tentando il recupero psicologico, provando a ridonare la fiducia persa in se stessi e nella vita. Gina Gatti, iscritta all’università di Concenpcion in Cile negli anni settanta ha raccontato la sua esperienza personale a Amnesty International: 87 Basti pensare l’eventualità di dover visitare una donna che ha subito violenza sessuale, oppure il dover praticare esami strumentali che rievocano tecniche come l’elettroshock (banalmente si segnala il fare un elettrocardiogramma, o un elettroencefalogramma). 88 Non bisogna dimenticare che la vittima ha comunque vissuto un
“otto uomini durante il regime di Pinochet si presentarono in casa mia nell’estate del ’76, mi bendarono e mi portarono via. Arrivammo nella casa di tortura, lì mi denudarono, e mi condussero in una cella, un luogo stretto, freddo, con una lampadina che pendeva dal soffitto. Ho amato la mia cella, perché lì ritrovavo me stessa dopo la tortura, e mi ricomponevo in attesa di una nuova tortura che poteva arrivare dopo poche ore. I miei torturatori lì mi hanno distrutta, ma è anche il luogo dove mi sono rialzata mille volte. Mi hanno praticato scosse ai genitali, mi hanno picchiata, mi hanno costretta a vivere la mia fucilazione ridendo quando mi accorsi che al momento dello sparo era tutta una finzione, mi hanno fatto vedere altri uomini torturati, appesi nudi, costretti a stare dentro a contenitori di vomito, escrementi ed acqua sporca. Poi un giorno mi hanno detto “vai a casa”, e mi hanno riportato da mia madre, mio padre, mia sorella; di lì una fuga continua. Poi sono scappata, sono arrivata in Italia, qui ho una figlia e vado dall’analista. Non è stato facile all’inizio, ma piano piano ho recuperato un brandello di serenità, di fiducia, di stima in me. Ho imparato ad ascoltarmi, a ricomunicare con gli altri, ad avere discussioni collettive, certo all’inizio rivivere le torture a parole fu difficilissimo, le vomitavo in maniera inizialmente incomprensibile, ma poi è iniziato il recupero di me, le persone che mi hanno ascoltato, rispettandomi, aiutandomi. Le persone mi hanno ridato la gioia della conoscenza. Ed io sono debitrice di questo”.
Alla luce di questa testimonianza possiamo constatare che molte vittime di tortura sono in mezzo a noi, queste vittime sono persone sradicate, ma il loro sradicamento è intimo, talvolta muto e segreto.
E’ quindi fondamentale il parlare, il torturato ha bisogno di parlare e di gridare il rancore per quella società che lo ha lasciato nell’orrore, le sue cicatrici possono essere riemarginate solo attraverso il dialogo. Il dialogo si ottiene creando uno stato di fiducia reciproca con la vittima, il dialogo si ottiene senza pressare, il dialogo si ottiene incoraggiando. Quindi è possibile guarire dalla tortura? La testimonianza ci dice che si, è possibile, certo non esistono i maghi contro la tortura, ma esistono i successi psicoterapeutici, esiste il creare un nuovo ambiente sereno anche per la vittima di tortura.
Capitolo 10: Conclusioni
Ecco che siamo giunti al capitolo finale del nostro elaborato; dalla stesura abbiamo visto quanto siano antiche le forme di tortura, ma allo stesso tempo quanto siano ancora praticate, anche negli stati che oggi dicono di ripudiarla. Certo, sono cambiate le forme, si sono affinati i metodi, prima si praticavano forme arcaiche, oggi si preferiscono metodi alternativi come iniezioni, scosse elettriche, inoltre sono cambiate le ragioni, ma non è cessato l’uso di praticare questi trattamenti. Anzi, tanto più si va avanti con il progresso scientifico e tecnologico, tanto più siamo orgogliosi e soddisfatti dei nostri successi nella vita sociale, tanto più la più antica forma di barbaria continua a restare radicata negli ordinamenti e ci accorgiamo di quanto la nostra esistenza sia fondata su situazioni ingiuste e crudeli.
Ma perché si praticano torture? Perché nonostante ci siano una Carta europea dei diritti dell’uomo, nonostante siano state approvati i protocolli di Ginevra, nonostante vi sia la Dichiarazione universale dell’uomo, nonostante si stendano convenzioni per la tutela dei soggetti più deboli, quali donne e bambini, nonostante si inviino raccomandazioni agli stati di attenersi ai principi delle carte fondamentali, tutti, chi più, chi meno, tornano a praticarla? Perché nonostante che l’articolo 3 della Cedu sancisca a chiare lettere il divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti si continua ripetutamente a violarlo? Chi e cosa va a colpire la tortura? Sicuramente la tortura colpisce l’uomo, nel suo intimo, nella sua dignità umana, nel suo essere;
la storia ci insegna che sia nell’antica Grecia, che a Roma, che nel periodo inquisitorio la si usava per estorcere confessioni, attraverso
i tormenti si arrivava a scoprire quella che era definita la verità, o comunque sia si arrivava a sentire quello che si desiderava sapere, perché anche i maggiori autori89ne denunciavano la sua inutilità: niente è più falsato di una confessione estorta coi tormenti direbbe Cicerone, il dolore appanna, il dolore confonde, l’uomo posto davanti alla sua sofferenza può dire anche cose non vere pur di porre fine ai patimenti. Verri scriverebbe che “ la tortura non è un mezzo per iscoprire la verità, è un invito ad accusarsi reo sia egualmente reo che innocente. Onde è un mezzo per per confondere la verità, non mai per iscoprirla”. Oggi la tortura non è usata nei processi, ma emerge lo stesso negli interrogatori, nelle carceri, contro i prigionieri politici, subdolamente, nascostamente. E’ come se l’uomo andasse a colpire i soggetti dissidenti, i soggetti che contestano i regimi, i soggetti che sono autori di reati più o meno gravi. Ma se per il passato se ne è contestata la inutilità, oggi, con tutte le convenzioni che abbiamo, con l’esaltazione del rispetto della dignità umana, dovremmo astenerci più che mai dal praticarla. Nessuno, nemmeno il più barbaro degli esseri umani merita di essere annientato, mutilato nel suo corpo e nella sua anima. Già, perché si è detto che la tortura distrugge ogni brandello fisico e psicologico dell’uomo, la tortura lascia tracce indelebili nelle menti, ma non solo di chi tortura, anche dei torturatori, non è un caso che molti soggetti che la praticano arrivino a presentare disturbi psichiatrici e di aggressività anche piuttosto gravi verso il prossimo.
Non è forse un controsenso decantarne l’inutilità e poi continuare a praticarla?
Abbiamo poi appurato che in Italia sia mancata per troppi anni una normativa vigente, nonostante i numerosi tentativi di introduzione
di una fattispecie punitiva ad hoc; inserire un reato di tortura è stato visto come una fatica, una fatica di Sisifo per così dire…; eppure nemmeno il nostro stato si astiene dal compiere torture, il carcere ne è un esempio, molti detenuti sono visti come il “nero” della società, come esseri che meritano solo di essere picchiati a fronte del crimine che hanno commesso, non è un caso che agenti delle forze dell’ordine talvolta eccedano nei loro poteri e, presi dalla foga, arrivino a picchiare i soggetti sotto custodia. Eppure si tende ad insabbiare il tutto e le morti di detenuti come Stefano Cucchi, o i segni lasciati sui soggetti dopo gli eventi della famosa scuola Diaz si prestano più che mai a confermare questa situazione; certo, è veramente triste scrivere e parlare di ciò. E’ triste che nel nostro ordinamento, nonostante sia previsto che la terza funzione della pena sia la rieducazione del condannato, proprio per un suo reinserimento nella società, si pratichino questi metodi: il carcere è l’ambiente che dovrebbe riformare il detenuto, che dovrebbe farlo crescere e migliorare, è il luogo che dovrebbe portare ad una sana e consapevole acquisizione di quanto commesso e non il luogo dove si picchia, dove si cerca di correggere con la violenza. Sembra un ritorno alle antiche leggi dell’occhio per occhio, dente per dente! Certo, non tutti gli istituti penitenziari o gli addetti alle forze dell’ordine sono così, ci mancherebbe, ma troppe volte l’Italia è stata richiamata al rispetto dei principi del famigerato articolo 3 della Cedu, troppe volte il Cpt90 ha evidenziato una situazione allarmante nelle carceri italiane, vuoi per le ridotte misure delle celle, per la mancanza di privacy tra i detenuti, per la sporcizia dei locali, per il rigido sistema per i detenuti sottoposti al regime del 41 bis, per la mancanza di attività rieducative, di spazi comuni, per la mancanza di condizioni igieniche adeguate negli spazi dei
pasti91, per il mancato ascolto dei detenuti che lamentano stati di malessere e questa cosa sicuramente non va bene. Oggi più che mai serviva una norma nel nostro paese che incriminasse questi trattamenti, anche se il testo approvato alla Camera lascia comunque numerosi dubbi circa la sua costituzionalità e la sua attendibilità.
Oggi più che mai occorre concretezza, dobbiamo iniziare a mettere in pratica i principi esposti nelle carte e non farli rimanere semplici pezzi di carta, teoricamente accettati, talvolta sbandierati, ma in verità ancora lasciati astratti.
Questo vale un po’ per tutti gli stati, si è parlato nello specifico dell’Italia, perché da un lato è il nostro paese, dall’altro poi la mancanza per molti anni di una normativa ad hoc è stato visto come una lacuna importante nel nostro sistema di giustizia.92 Ma anche nelle altre parti del mondo ci si dovrebbe comunque astenere da compire atti inumani verso altri esseri umani, visto che si afferma il divieto di compierla. La tortura si è ripetutamente affermato c’è, è presente: è presente in Medio Oriente e l’Isis ne è una forma, è presente negli Stati Uniti, è presente in Russia, in Cina, la tortura, lo si ripete colpisce gli avversari, gli oppositori. La tortura continua a serpeggiare negli ordinamenti, la tortura è quanto mai radicata. La tortura non fa distinzione: donne, uomini, bambini, anziani possono essere ugualmente colpiti; non è solo una questione di sadismo, anche chi la pratica, nel suo io, sa che non è giusto inferirla, è piuttosto un metodo usato per affermare la propria autorità su qualcun altro e per dimostrare a se stessi quanto si sia in grado di essere più forti.
Abbiamo poi visto che esistono forme di recupero delle vittime di tortura, Amnesty International dice che è possibile, alcune
91 I rapporti del CPT del 1992 e 1995 ne sono una conferma. 92 Vedi per questa ragione i tentativi di introduzione della
testimonianze analizzate in precedenza lo confermano 93, eppure il recupero è estremamente difficile: serve tempo, serve pazienza, servono cure. E non sto parlando di cure soltanto fisiche, servono cure più profonde, servono cure di tipo psicologico, servono cure effettuate con le parole, con il rispetto, con la fiducia, perché una vittima di tortura perde la fiducia, il rispetto di sé, perde anche la voglia di vivere; in troppi momenti i ricordi possono riemergere e tornare a distruggere le menti dilaniate dalla paura, troppe volte un essere umano può scoraggiarsi e decidere di non andare avanti. Il lavoro dei professionisti medici è quindi di fondamentale importanza. Solo così si possono superare le patologie psichiatriche che col tempo emergono nei soggetti torturati.
Che cosa si può fare quindi? Come annientare queste barbarie, come farle diventare solo un brutto ricordo dalla storia del mondo? Forse la risposta la si potrebbe trovare nell’informare la popolazione, sicuramente tanti sanno che questi trattamenti avvengono, sicuramente i mezzi di informazione documentano questi fatti a grandi linee, ma questo forse non basta. Mi riferisco al fatto che si potrebbero far conoscere le testimonianze delle persone che l’hanno vissuta in prima persona; indubbiamente queste storie potrebbero apparire come nude e crude, talvolta potrebbero segnare e ledere la sensibilità dei lettori, degli ascoltatori, ma è solo così che ci si potrebbe rendere conto di quanto male facciano. Magari servono opere di sensibilizzazione pubblica e servono norme che puniscano chi compie torture e trattamenti inumani e degradanti, ma non con altri trattamenti inumani e degradanti, altrimenti si rischia di tornare al punto di partenza, e si giunge ad affermare quanto invece prima si è cercato di negare. E’ difficile andare avanti migliorandoci, se ci si limita a mettere nelle carte degli
ordinamenti questi principi, considerandoli fondamentali e poi concretamente arrivando a stralciarli ogni giorno.
Il torturare distrugge l’uomo vittima, l’uomo che viene ferito, picchiato, spaventato, la tortura rimane nella carne e nella mente, ma distrugge anche l’uomo che tortura, che rimane segnato dalle pratiche inferte. Il torturare distrugge poi la gente che guarda, da un lato perché si rimane indifferenti e impotenti, dall’altro perché essa lascia tracce di paura verso chi ascolta ed apprende. Si è detto che la lotta per i diritti umani, per il divieto di torture e di trattamenti inumani e degradanti ha bisogno di tutti, senza distinzione di sesso, età, o ceto sociale, tutti dobbiamo muoverci per affermare questi principi, tutti dobbiamo muoverci per farli diventare concreti.
Gli uomini sono tali perché hanno una loro propria dignità e questa dignità non merita di essere calpestata. E la tortura, che la si veda come reato o come semplice pratica più o meno utilizzata, va proprio a colpire l’uomo nei suoi aspetti più intimi e fondamentali.
Per questa ragione è bene rimarcare che, sia che si guardi la tortura come tecnica fallace, usata per estorcere confessioni nella maggior parte dei casi falsate, sia che la si guardi come tecnica volta ad incutere terrore e ad affermare la supremazia di qualcuno contro chi contesta un particolare regime, oggi più che mai gli ordinamenti dovrebbero attivarsi e condannarla concretamente una volta per tutte. Solo così, forse, l’uomo smetterà di torturare e torturarsi a sua volta….