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Il controllo di gestione nell'ambito del settore della GDO: il caso Alfa S.a.s

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea in Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

IL CONTROLLO DI GESTIONE NELL’AMBITO DEL SETTORE

DELLA GDO: IL CASO ALFA S.A.S.

Relatore: Prof. ALESSANDRO CAPODAGLIO

Candidato: ANDREA GIUSTI

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INDICE

Introduzione ... 5

PRIMO CAPITOLO ... 7

LA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA ... 7

1.1 Il ruolo essenziale della distribuzione in un sistema economico moderno ... 7

1.2 La Grande Distribuzione Organizzata oggi ... 10

1.3 Le formule distributive ... 12

1.4 Il discount ... 14

1.4.1 Elementi distintivi ... 14

1.4.2 Nascita e sviluppo del discount ... 17

1.4.3 L’evoluzione dei discount ... 19

1.4.4 Il panorama dei discount italiani ... 19

1.4.5 Le diverse tipologie di discount ... 20

1.5 La formula contrattuale del franchising ... 22

1.6 L’andamento del mercato della GDO ... 23

SECONDO CAPITOLO ... 28

RIFLESSIONE SUL TEMA DEL CONTROLLO DI GESTIONE NELL’AMBITO DEL SETTORE DELLA GDO... 28

2.1 Il Controllo di gestione ... 28

2.2 Contabilità analitica e Analisi di marginalità ... 30

2.3 Il Controllo di gestione nella GDO ... 32

2.3.1 Il ritardo nell’adozione degli strumenti del controllo di gestione nella GDO.... 32

2.3.2 Le caratteristiche generali del sistema di controllo ... 33

2.3.3 Le specificità del controllo di gestione nelle aziende commerciali della GDO . 35 2.3.3.1 L’aspetto finanziario del controllo di gestione: il ciclo del CCN ... 37

2.3.3.2 L’aspetto reddituale: la configurazione più appropriata ... 39

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2.3.4.1 Il mix di margini ... 42

2.3.4.2 Ottimizzare le rotazioni ... 43

2.3.4.3 Ottimizzare gli spazi di vendita ... 43

2.3.4.4 Costi di struttura equilibrati ... 44

TERZO CAPITOLO ... 45

ESPERIENZA DI STAGE PRESSO AURA MEDIAZIONE CREDITIZIA SRL 45 3.1 La società ... 45

3.2 La filosofia societaria ... 45

3.3 I servizi offerti ... 47

3.4 Il servizio del controllo di gestione ... 50

3.5 L’esperienza di stage e primo approccio con il caso Alfa S.a.s ... 50

QUARTO CAPITOLO ... 52

L’AZIENDA ALFA S.A.S ... 52

4.1 Company profile azienda Alfa ... 52

4.2 Analisi di bilancio ... 54

4.3 Il progetto ... 67

4.3.1 Presentazione del progetto ... 67

4.3.2 Fase iniziale ... 69

4.3.3 Raccolta dei dati ... 71

4.3.4 Organizzazione dei dati di ricavo ... 75

4.3.5 Organizzazione dei dati di costo ... 83

4.3.6 Confronto e prima analisi di marginalità ... 87

4.3.7 Ripartizione del costo del personale e seconda analisi di marginalità ... 95

4.3.8 Costi fissi e terza analisi di marginalità ... 103

QUINTO CAPITOLO ... 108

CONCLUSIONI ... 108

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5.2 Individuazione aree a bassa marginalità ... 109

5.3 Confronto risultati ottenuti con performance del settore ... 112

5.4 Possibili azioni strategiche correttive per sviluppo aree a bassa marginalità ... 113

Bibliografia ... 114

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Introduzione

L’attuale contesto socio-economico nel quale le imprese appartenenti al settore della Grande Distribuzione Organizzata si trovano ad operare, è caratterizzato da un’elevata competitività e da una spiccata dinamicità. Diventa pertanto indispensabile disporre di un sistema di controllo della gestione che fornisca informazioni mirate e tempestive sull’andamento della redditività e della liquidità aziendale.

Quando si parla di controllo di gestione all’interno di un’azienda commerciale, istintivamente si pensa subito alla grande distribuzione alimentare o ai grandi magazzini dove, grazie ai processi di concentrazione e di internazionalizzazione in atto negli ultimi anni, le capacità manageriali sono tendenzialmente più elevate e di conseguenza anche gli strumenti utilizzati per il controllo sono più sofisticati.

Spesso, tuttavia, ci si dimentica che il settore distributivo è caratterizzato anche da un numero molto elevato di piccole imprese che si caratterizzano come operatori autonomi, affiliati alle diverse insegne della GDO.

Con l’adozione di strumenti gestionali adeguati, anche le PMI della distribuzione moderna possono migliorare l’efficienza e adattarsi tempestivamente all’evoluzione di un mercato sempre più competitivo.

Lo scopo del presente lavoro è stato proprio quello di avvicinare agli strumenti del controllo di gestione un’azienda, operante nel settore grocery, che ne era sprovvista. Questo progetto è frutto di un’attività di stage, dalla durata di sei mesi, svolto presso Aura Mediazione Creditizia Srl, società fondata nel 2010 da un gruppo d’investitori privati e manager con esperienza nel settore bancario, regolarmente iscritta presso l’Albo dei Mediatori Creditizi e proprietaria del marchio registrato ConCredito.

L’azienda esaminata, che per motivi di riservatezza d’ora in avanti sarà chiamata “Alfa” è un punto vendita in franchising di una nota catena di discount, che chiameremo “Gamma”.

Nel primo capitolo di questa tesi si illustra il settore della Grande Distribuzione Organizzata, la sua storia, la sua evoluzione, l’andamento di questo mercato e in

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particolare ci si sofferma sulla formula distributiva che verrà analizzata nel caso pratico, ossia il discount.

Il secondo capitolo è dedicato alla riflessione sul tema del controllo di gestione nell’ambito del settore della GDO. Inizialmente viene effettuata anche una breve panoramica sul controllo di gestione e su due strumenti, la contabilità analitica e l’analisi di marginalità, che hanno rivestito un ruolo importante nel lavoro oggetto di questo elaborato.

Il terzo capitolo invece è rivolto all’esperienza di stage presso Aura Mediazione Creditizia Srl, viene presentata la società e i servizi da essa offerti.

Il quarto capito è dedicato al caso pratico. Qui, dopo aver presentato l’azienda Alfa ed aver effettuato l’analisi di bilancio, è descritto il lavoro centrale dell’elaborato. Il grosso del progetto di controllo di gestione si è incentrato sulla creazione all’interno di Alfa di un’organizzazione contabile in grado di generare dati di costo e di ricavo comparabili. Questo consentirà di fornire una visione più completa, precisa e tempestiva degli andamenti delle diverse aree aziendali e della ditta nel suo complesso, in quanto permetterà di effettuare una serie di analisi di marginalità che porteranno a individuare quali sono le aree aziendali in perdita e quali quelle più profittevoli.

Infine il quinto capitolo è dedicato alle conclusioni, vengono commentati i risultati ottenuti e forniti dei possibili suggerimenti per il miglioramento.

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PRIMO CAPITOLO

LA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA

1.1 Il ruolo essenziale della distribuzione in un sistema economico

moderno

Dalla fine degli anni ’70 la distribuzione commerciale italiana è stata protagonista di un imponente processo di cambiamento e di modernizzazione, avviato e sostenuto dalle importanti trasformazioni di natura economica, sociale e tecnologica che in quel periodo hanno caratterizzato l’evoluzione del nostro Paese. Tale cambiamento senza precedenti, che molti autori hanno definito con l’espressione “rivoluzione commerciale”, ha ridefinito il profilo della distribuzione italiana, rendendolo più simile a quello dei paesi occidentali industrializzati.

La rivoluzione commerciale italiana, analogamente a quelle che si erano manifestate in periodi precedenti in altri paesi, è consistita in un intenso processo di trasferimento di quote di mercato dalla cosiddetta distribuzione commerciale alla distribuzione moderna, caratterizzate, rispettivamente, la prima da dimensioni molto contenute dei punti vendita e da una conduzione dell’impresa a carattere familiare, la seconda da una dimensione delle strutture distributive assai più consistente e da una gestione manageriale. Questo processo, pur essendo avvenuto in Italia in tempi più recenti e a ritmi meno intensi, ha modificato profondamente la situazione, che oggi può essere riletta in chiave completamente diversa rispetto al passato.

La caratteristica più evidente delle imprese commerciali è che esse non producono un output fisico, perché rispetto alle imprese industriali non trasformano materie prime e non assemblano componenti per ottenere prodotti finiti, ma si occupano esclusivamente delle attività collegate al trasferimento di merci già fabbricate dai magazzini del produttore ai luoghi di acquisto, di utilizzo o di consumo. Proprio il fatto che tali

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imprese si limitano a trasferire i prodotti sul mercato ha portato gli studiosi di economia a sottovalutare per parecchio tempo il ruolo della distribuzione commerciale, ritenendo erroneamente che l’offerta e la domanda di beni fossero categorie contigue e, quindi, economiche naturalmente collegate. In realtà è evidente che i sistemi della produzione e quelli del consumo rispondono a logiche di funzionamento distinte e autonome. I consumatori, infatti, acquistano secondo ritmi che non coincidono con quelli della produzione, possono esprimere una domanda insufficiente o talvolta eccessiva, hanno bisogno di essere adeguatamente informati sulle caratteristiche dell’offerta, sono geograficamente dispersi rispetto ai luoghi di produzione e cosi via.

E’ per tutta questa serie di causali che tra le imprese che fabbricano prodotti e i consumatori che li richiedono si configura come indispensabile la presenza di altri operatori, cioè quelli della distribuzione, i quali si impegnano a conciliare le esigenze e le caratteristiche dell’offerta con quella della domanda, rendendo di fatto commercializzabile una produzione che altrimenti non lo sarebbe. Sono rari i casi in cui si ha un contatto diretto tra produttore e consumatore e in genere questo si verifica per beni molto costosi o fabbricati su indicazioni specifiche dell’acquirente.

Probabilmente il motivo più importante per il quale, in passato, il settore della distribuzione non è stato preso sufficientemente in considerazione dagli economisti dipende dal fatto che, almeno in Italia, fino a trent’anni fa esso era formato, in particolare per quanto riguarda la distribuzione al dettaglio, da un numero straordinariamente elevato di operatori di piccole e piccolissime dimensioni. Questi negozi non erano in grado di influenzare né il comportamento dei consumatori, né tanto meno quello dei produttori, se non in modo marginale.

In decenni più recenti, la distribuzione è stata protagonista di un processo di rapida e intensa evoluzione, in seguito alla quale oggi nel nostro Paese non troviamo più come elemento caratterizzante il negozio dalle ridotte dimensioni ma bensì moderni punti vendita del Grande Dettaglio (supermercati, ipermercati, ecc.).

Nel contesto economico generale questi operatori acquisiscono sempre più una maggior importanza. Infatti, le dimensioni delle imprese a cui appartengono consentono loro di esercitare una duplice influenza: a monte nei confronti dei produttori e a valle dei consumatori, incidendo, da un lato, sulle strategie e sulle politiche commerciali delle imprese industriali e, dall’altro, sui modelli e i comportamenti d’acquisto dei clienti

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finali. Le grandi realtà distributive di oggi presenti in Italia non si limitano difatti a fare da sponda ai prodotti dell’industria, ma condizionano il comportamento delle imprese produttrici, selezionando con attenzione i prodotti fabbricati in funzione del contributo che questi offrono alla loro profittabilità. Alla stessa maniera esse tentano di indirizzare il comportamento dei consumatori attraverso i prezzi e le promozioni (le attività promozionali e le offerte speciali in genere sono interventi sul prezzo finale del bene effettuati dal distributore in piena autonomia dal produttore).

Nella figura sottostante, che riassume il funzionamento del sistema economico complessivo, notiamo come tra la fase di avvio del processo economico, la produzione, e l’arrivo dei beni sul mercato si collochi il livello intermedio della distribuzione, che corrisponde al complesso delle attività svolte dagli operatori impegnati nel trasferimento fisico delle merci sul mercato.

Figura 1: Rappresentazione semplificata del funzionamento del mercato.1

Il trasferimento non consiste solamente in un atto logistico di spostamento dai luoghi di produzione a quelli di consumo, ma presenta implicazioni più complesse. Il far arrivare i prodotti sul mercato, infatti, significa assicurare la loro disponibilità nei tempi, nei

1 Fonte: Sbrana Roberto; Gandolfo Alessandro (2007). “Contemporary retailing. Il governo dell’impresa

commerciale moderna”. G. Giappichelli Editore. Torino. ISBN/EAN 978-88-348-7534-6. Pagina 6.

DISTRIBUZIONE PRODUZIONE

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luoghi, nelle quantità e in assortimenti idonei a soddisfare le esigenze della domanda. Se non fossero presenti le imprese del settore della distribuzione e nessuno svolgesse le loro funzioni, la produzione disponibile, pur compiuta dal punto di vista merceologico e tecnico-produttivo, sarebbe priva di valore economico in quanto non potrebbe essere di alcuna utilità per gli acquirenti. Per completare con successo il ciclo economico, infatti, è necessaria la presenza di operatori in grado di assicurare sia la messa a disposizione della produzione sul mercato e sia il relativo adattamento secondo quantità e qualità funzionali ai ritmi di assorbimento della domanda.

La distribuzione non ha solamente il compito di rendere i prodotti fisicamente disponibili per i consumatori, ma deve farli giungere sul mercato al momento giusto. Alcuni beni, prodotti nel corso dell’anno, sono richiesti però dal mercato esclusivamente in determinati periodi, i cosiddetti prodotti stagionali. In queste circostanze la distribuzione, svolgendo la funzione di magazzinaggio, coordina una produzione costante con una domanda periodica, assicurando la presenza nei punti vendita di una quantità di prodotto adeguata a soddisfare le richieste dei consumatori nel periodo in cui si presenta il picco della domanda.

Inoltre la distribuzione assume il compito di rendere disponibile in uno stesso luogo un mix di prodotti diversi affinché il consumatore possa acquistarli nel modo più aderente alle proprie necessità. Questi, infatti, desiderano approvvigionarsi di ciò di cui hanno bisogno in un numero ridotto di esercizi commerciali e la distribuzione, attraverso lo svolgimento della funzione di formazione degli assortimenti, consente di superare tali difficoltà, rendendo disponibile in punti vendita al dettaglio di vario tipo e dimensione, mix di prodotti adatti a soddisfare il bisogno di varietà e/o di specializzazione richiesto.

1.2 La Grande Distribuzione Organizzata oggi

La Grande Distribuzione Organizzata oggi è l’evoluzione del supermercato singolo, che a sua volta costituisce lo sviluppo del negozio tradizionale. È composta da grandi strutture o grandi gruppi (in alcuni casi multinazionali) con molte strutture distribuite su tutto il territorio nazionale, internazionale o, a volte, mondiale. Nel gergo tecnico si

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distingue tra strutture della Grande Distribuzione (GD) e quelle della Distribuzione Organizzata (DO). Le strutture della GD vedono grosse strutture centrali gestite da un unico soggetto proprietario, che gestiscono punti di vendita quasi sempre diretti. Gli attori più importanti sul mercato italiano sono sicuramente Carrefour, Auchan, Coop, Conad ed Esselunga. Le seconde, ovvero le DO, vedono invece piccoli soggetti aggregarsi secondo la logica de “l’unione fa la forza”: attraverso infatti l’adesione ai gruppi d’acquisto i piccoli e medi dettaglianti possono ottenere agevolazioni economiche in termini di approvvigionamento, derivanti dal maggior potere contrattuale nei confronti dell’industria da parte delle centrali. Inoltre vi sono anche vantaggi conseguibili dallo sfruttamento del marchio e dall’ottenimento di supporto in termini di know-how e coordinamento strategico. Nel nostro Paese i gruppi più importanti sono Interdis, Selex, Sisa e Despar. Recentemente la GD ha però radicalmente cambiato le sue strategie di crescita, tanto da pareggiare e, solo ultimamente, scavalcare la posizione di dominanza della DO. Un aspetto determinante che ha causato il “cambio di leadership” è proprio da individuare nelle caratteristiche strutturali dei due operatori. Infatti, la struttura a rete classica della DO ha rivelato alcuni punti deboli riconducibili alle relazioni negoziali con i fornitori. Spesso difatti nella DO si verificano casi di “sovrapposizione negoziale” a causa della crescita dimensionale (e di conseguenza contrattuale ed economica) di singoli membri appartenenti allo stesso gruppo che non tardano a reclamare maggiore indipendenza dalla centrale, anche per le problematiche di carattere strategico e di governance. I rapporti di fornitura e le condizioni economiche che si riescono a ottenere infatti rappresentano una voce di assoluta centralità nel risultato economico di un’impresa commerciale.

Inoltre non va sottovalutata l’eterogeneità dei formati di vendita che spesso va a caratterizzare la DO e che penalizza la capacità di controllo e di coordinamento unitario da parte della centrale.

In generale, in Italia la GDO soffre una notevole debolezza delle catene nazionali che si trovano soverchiate dalla potenza dei colossi esteri, in particolar modo nei settori discount e ipermercati, rispettivamente dominati da gruppi tedeschi e francesi. Ne consegue anche una totale assenza di gruppi italiani nei mercati esteri, mentre in Germania e Francia dominano le proprie catene nazionali. Nessun gruppo italiano ha una diffusione capillare in tutto il Paese, ad eccezione delle cooperative di consumatori (Coop) e di dettaglianti (Conad). Oltre a Esselunga, attiva solo nel settore dei

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supermercati, tra i gruppi nazionali si fanno notare anche Iper, Bennet e Panorama. Da notare che questi ultimi due si riforniscono dalla stessa centrale di acquisto intermedia e si presentano in maniera estremamente simile, ma sono finora diffusi capillarmente solo in aree limitate e diverse del Paese, senza mai farsi concorrenza; un’eventuale loro fusione, similmente a quanto accaduto nello sviluppo delle catene d’oltralpe, farebbe di questo gruppo il maggiore in Italia, anche davanti a Coop, ma è una realtà abbastanza lontana dal concretizzarsi. A integrare le due tipologie distributive vi sono, inoltre, le cooperative di consumatori e quelle di dettaglianti. Le prime vedono nel principale attore Coop Italia, mentre le seconde Conad, entrambe con sede a Bologna. Di norma i sistemi cooperativi sono comunque inseriti all’interno dei gruppi della Grande Distribuzione.

1.3 Le formule distributive

L’esperienza di questi ultimi anni ha messo in evidenza su tutto il territorio italiano una accelerata “restituzione al mercato” di quote crescenti di funzioni commerciali. Le origini di tale accelerazione sono spiegate da almeno tre fattori.

Un primo fattore si riferisce al sostanziale ritardo, rispetto ai Paesi europei, per quanto riguarda lo sviluppo di modelli innovativi sul sistema distributivo; a livello nazionale, più del 70% dell’organizzazione tipologica e territoriale risale agli anni ‘50 e ‘60. Il secondo fattore riguarda il processo di globalizzazione dei mercati, e i conseguenti stimoli a una maggior integrazione di know how e di valore aggiunto all’interno del circuito produzione-distribuzione.

L’ultimo fattore è da aggiungere alla grande modifica nei comportamenti e nelle scelte di maggior concentrazione da parte delle famiglie.

La combinazione di questi fattori ha favorito la creazione di forti concentrazioni finanziarie fra i gruppi di catene distributive italiane ed estere, che operano a livello multinazionale, e che considerano prioritario l’investimento sul nostro territorio. Questa linea di evoluzione si manifesta chiaramente nella dinamica delle forme distributive di

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grandi dimensioni rispetto a quelle del commercio tradizionale. Tale processo presenta funzioni di ricambio che possono definirsi “fisiologiche”; dove l’innovazione interagisce come catalizzatore di opportunità di mercato e funzioni di sovrapposizione che presentano in molti casi elementi pesantemente destrutturanti. La chiusura di molti piccoli e medi esercizi commerciali è, in gran parte, la naturale conseguenza di una rapida sostituzione di politiche capital intensive rispetto alle politiche di tipo labour intensive, operate dalle Pubbliche Amministrazioni (Regione e Comuni).

Vediamo adesso alcune delle principali tipologie d’imprese di commercio al dettaglio, con particolare riferimento alla realtà del nostro Paese:

 Negozio tradizionale: esercizio commerciale dalle dimensioni ridotte (inferiore ai 200 mq) a gestione tipicamente familiare, che può essere di due tipi: non specializzato, in cui si vende merce di varia natura, o specializzato, che si distingue per il fatto di offrire combinazioni prodotto/prezzo/servizio rivolte a soddisfare le esigenze di uno specifico segmento di acquirenti. In entrambe le tipologie il negozio tradizionale si presenta come un operatore che gestisce la propria attività su piccola scala, secondo criteri spesso superati, senza tener conto dei cambiamenti del mercato e delle nuove esigenze espresse dai consumatori.

 Minimercato (o Superette): punto vendita del settore grocery che ha una superficie compresa tra 200 e 400 mq e che è organizzatocon libero servizio e pagamento all'uscita. Può essere considerato una forma intermedia fra la distribuzione di tipo tradizionale, svolta in locali di dimensioni ridotte, con assortimenti limitati, e quella di tipo moderno, che punta su superfici di vendita più ampie e assortimenti despecializzati.

 Discount: punto vendita al dettaglio a libero servizio di prodotti di largo consumo con una superficie quasi sempre inferiore ai 1000 mq, ad assortimento ristretto e ambientazione spartana. Un luogo in cui è possibile trovare merce a prezzi più bassi rispetto ad analoghi prodotti venduti in altri negozi.

 Supermercato: esercizio al dettaglio operante in campo alimentare, organizzato prevalentemente a libero servizio e con pagamento all’uscita, che dispone di una di una superficie di vendita compresa tra 400 mq e i 2.500 mq e di una vasto assortimento di prodotti di largo consumo in massima parte preconfezionati

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nonché, eventualmente, di alcuni articoli non alimentari di uso domestico corrente.

 Ipermercato: esercizio al dettaglio con superficie di vendita superiore ai 2.500 mq, suddiviso in reparti (alimentare e non alimentare), ciascuno dei quali aventi, rispettivamente, le caratteristiche di supermercato e di grande magazzino.

 Centro commerciale: complesso edilizio omogeneo nel quale si concentrano numerose attività commerciali quali insegne GDO, negozi specializzati, cinema, ristoranti, banche e servizi. Il centro commerciale è solitamente gestito da una società a cui le diverse imprese commerciali, che mantengono una propria autonomia, hanno dato in gestione le strutture e le politiche commerciali e promozionali comuni.

1.4 Il discount

1.4.1 Elementi distintivi

I discount, letteralmente “sconto”, sono in grado di mantenere prezzi particolarmente bassi mediante l’adozione di nuove forme organizzative e di nuove politiche commerciali, basate su un diverso rapporto con i produttori e con i consumatori, come per esempio:

 Minor assortimento.

 Vendita di marchi commerciali meno conosciuti.

 Abbattimento dei costi del personale, dell’allestimento e delle quote di guadagno percentuale.

 Ottimizzazione dei sistemi di distribuzione e di approvvigionamento. I sistemi di discount storicamente si caratterizzavano per due tipologie di negozi:

 Hard discount.  Soft discount.

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Le differenze fra le due tipologie sono legate al numero di referenze, alla superficie dei punti vendita e alla presenza o meno di prodotti di marca. L’hard discount non ha prodotti di marca e generalmente ha dimensioni più contenute, mentre il soft discount, che rappresenta l’evoluzione storica del primo, ha superfici più grandi, diffusi prodotti di marca industriale e almeno 1500 referenze. Il soft discount si caratterizza anche per la possibile presenza di servizi al banco. La distinzione comunque è sempre meno netta, poiché le metrature variano molto, la marca è sempre più diffusa nell’assortimento ed aumenta sempre di più il livello di servizio.

Il discount è una tipologia di esercizio commerciale, presente sostanzialmente nel settore grocery, cioè dei beni di largo consumo, di solito di dimensioni medie, che grazie a una diversa impostazione dei rapporti con i consumatori e con i fornitori riesce ad attuare una politica dei prezzi decisamente conveniente, a prescindere da qualsiasi considerazione sulla qualità dei prodotti commercializzati. Lo sviluppo di questa formula commerciale, alla luce della teoria del ciclo della vendita al dettaglio, che dichiara la costante propensione del consumatore a ridurre il consumo di servizi commerciali per aumentare il consumo di merce, trova una solida base nella crescente domanda di convenienza da parte di una considerevole quota di consumatori, relativamente indifferenti alle formule distributive, vecchie o nuove che siano, che basano le loro politiche, anziché sulla concorrenza di prezzo, sull’innovazione di prodotto (trading-up). Le politiche commerciali dei discount non sono particolarmente innovative per la distribuzione commerciale poiché non prestano servizi aggiuntivi alla clientela, non diventano nuovi poli di attrazione e non utilizzano né sviluppano nuove tecnologie. Non hanno una politica di vendita aggressiva, che caratterizza di solito l’ingresso sul mercato di nuove forme di distribuzione, ma si basano sull’offerta stabile di consistenti livelli di convenienza per i consumatori. Ogni cosa in un discount è organizzata in modo da ottenere la massima riduzione dei costi. Vediamo adesso quali sono le caratteristiche che configurano il format discount:

 L’area di vendita può variare tra i 150 e i 1000 mq, con punte anche fino ai 2000 mq.

 L’assortimento è in prevalenza composto da generi non deperibili, però prevede in ogni caso anche la presenza di prodotti alimentari deperibili, selezionati in base alla loro deperibilità e alla rotazione cui sono soggetti, prodotti per l’igiene della casa e della persona, abbigliamento, articoli domestici e utensili vari.

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 I margini di ricarico applicati sono estremamente ridotti. Il fine è quello di incentivare il consumatore ad acquistare, in modo tale da poter realizzare elevati volumi di vendita.

 L’ubicazione sul territorio è varia ma è possibile individuare tre categorie: insediamento urbano in quartiere, anello periferico dei medi e grandi centri urbani, punti nodali di aree policentriche.

 L’esposizione dei prodotti avviene su elementi basici, quali scaffali, pedane, pallet e resta nella confezione originale. In questo modo il prodotto subisce il minor numero di manipolazioni possibili.

 Il libero servizio (che è un sistema di acquisto in cui il cliente, da solo, sceglie e prende il prodotto senza assistenza del personale addetto alle vendite portando, poi, le merci all’uscita e pagandole alla barriera delle casse) è integrale, con l’unica variante che i discount possono decidere in modo autonomo se prezzare o no le singole confezioni.

La caratteristica vera e propria che accomuna tutti questi punti vendita è il tentativo di standardizzare totalmente sia i meccanismi di gestione e di servizio globale sia l’offerta. Il discount non solo è caratterizzato da prezzi permanentemente scontati, da un’offerta diversificata e da una diversa organizzazione, ma mette al centro del sistema il prodotto e la sua relazione con il consumatore. La frequenza di consumo, e di conseguenza l’alta rotazione dei prodotti, determinano la selezione dell’offerta. E se l’unico scopo è mettere al centro il prodotto ne consegue che tutto il resto, presente negli altri sistemi distributivi, viene ridotto all’essenziale.

Più che una tipologia di dettaglio, il discount rappresenta quindi una filosofia di gestione del punto vendita e dell’impresa commerciale, il cui obiettivo principale è quello di praticare i prezzi più bassi possibili.

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1.4.2 Nascita e sviluppo del discount

Il sistema distributivo del discount è nato in Germania subito dopo la seconda guerra mondiale. La Germania era uscita dal conflitto con una situazione economica fortemente compromessa. In questo paese, privo come tutti di struttura distributiva moderna, si è affermato un sistema distributivo semplice ed essenziale che, interessato più al prezzo che alla forma, ha contribuito alla nascita dei primi discount. Il sistema del discount si è poi evoluto e, nel corso degli anni ‘70 e ‘80, si è indirizzato verso strutture di produzione moderne ed efficienti. Oggi il discount in Germania vede, in posizione di leadership, grandi aziende come Lidl e Aldi affiancate da altri operatori (Plus, Rewe). La quota del discount sul totale delle vendite alimentari tedesche è pari circa al 40/45%. Il mercato cui si rivolge questa formula commerciale è assolutamente trasversale.

Le prime realizzazioni di unità di vendita discount in Italia risalgono alla prima metà degli anni ’70, quando la distribuzione del nostro Paese era all’inizio della fase di modernizzazione. A sviluppare questa nuova forma distributiva sono state le principali unioni volontarie italiane di quel periodo.

Lo sviluppo di queste formule negli anni successivi avverrà piuttosto nella direzione di un ulteriore avvicinamento al supermercato che non al senso di una più rigorosa definizione di discount. La crescita notevole dei consumi negli anni ’80 e la tradizionale preferenza dei consumatori per i prodotti freschi e per quelli di marca contribuiscono a determinare questa evoluzione. Venne, infatti, progressivamente introdotto un maggiore numero di prodotti freschi negli assortimenti dei discount e si ampliò in misura molto limitata la quota delle marche commerciali, con un posizionamento più vicino alle marche industriali. Dall’altro canto i supermercati in fase di espansione, specialmente quelli delle catene nazionali più dinamiche (Coop, Esselunga e GS) hanno sviluppato una concorrenza più agguerrita sui prezzi ed hanno indotto spesso il discount a dimenticare la regola del “prezzo basso tutti i giorni” e a orientarsi verso una politica di continue offerte promozionali. Nel corso degli anni ’80 la situazione italiana sembrava aver dato ragione agli osservatori ed esperti che ritenevano lo sviluppo di questa forma distributiva, in un sistema economico più moderno, non avrebbe avuto molto futuro. Questo perché, secondo alcune tesi, i discount non consentivano la concentrazione degli acquisti in un’unica visita, oppure, secondo altre teorie, solo le maggiori superfici

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possono assicurare grandi volumi complessivi a elevato potere contrattuale degli acquirenti e quindi consentire la realizzazione dei bassi costi di gestione. Il discount grocery di piccole dimensioni, pur non consentendo un’elevata integrazione degli acquisti, ha tuttavia conquistato stabilmente negli anni ’80, una quota di mercato decisamente significativa. La realtà è quindi che il discount è una formula moderna, la quale richiede per il proprio sviluppo, nella realtà europea, un adeguato livello di modernizzazione delle strutture demografiche e sociali e dell’offerta distributiva. Tale livello inizia a realizzarsi in Italia solo agli inizi degli anni ’90, ed è proprio allora che ricompare il discount favorito anche dal manifestarsi di una grave recessione economica. All’inizio degli anni ’90 è difficile individuare una significativa presenza del discount nel panorama italiano. La situazione economica italiana si modifica profondamente, e cambia, di conseguenza, il comportamento di consumo e d’acquisto dei consumatori. Il Paese affronta una crisi recessiva molto pesante, aggravata da una situazione sociale e demografica non favorevole allo sviluppo dei consumi, i quali così come gli altri principali indicatori macroeconomici, hanno infatti manifestato tassi di crescita via via inferiori nei primi anni del decennio. Il primo ingresso significativo del discount in Italia fu quello di Lidl, che sbarcò nella nostra penisola nel 1992. Negli anni immediatamente successivi sono sorti in Italia moltissimi discount (nel 1996 si contavano ben 69 insegne) che hanno di fatto inflazionato e dato una cattiva immagine alla formula distributiva. Verso la fine del secolo scorso il numero degli operatori in Italia si è fortemente ridimensionato e oggi operano solo alcune grosse aziende.

La situazione più favorevole in Italia è nata quindi, nei primi anni ‘90, da una congiuntura economica negativa che, a fronte di una stasi prima e di una riduzione dei livelli di consumo poi, ha favorito tra i consumatori l’esigenza della ricerca della convenienza economica di prezzo. Lo sviluppo degli hard discount si inserisce in questo scenario e rappresenta forse più di altre cose il mutamento dei consumatori italiani, la nuova propensione non tanto o non solo alla riduzione o alla rinuncia ai beni superflui, ma al ridimensionamento, o alla rinuncia, dei servizi a essi collegati non essenziali per l’attività di acquisto e di consumo.

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1.4.3 L’evoluzione dei discount

In Italia, il sistema discount, inizialmente non fu un format di successo. Le cause erano la forte tradizione di piccoli supermercati e mercati rionali e la mancata produzione di grandi formati dei prodotti. Oggi invece la formula del discount pare aver trovato il proprio assetto definitivo con alcune caratteristiche standard che identificano i discounter.

Nel corso degli anni i discount sono andati incontro a un’evoluzione che li ha permesso di entrare stabilmente nel sistema distributivo e addirittura di influenzarlo. Si è passati infatti da una prima fase incentrata unicamente sulla politica del prezzo ribassato, con costi contenuti di gestione, con convenienza ed estrema essenzialità dell’offerta, tipica dell’hard discount, a una seconda fase più matura e stabile dell’impresa volta all’affermazione. Questo secondo stadio coniuga le caratteristiche del primo a una crescita di tipo qualitativo dell’offerta di beni e servizi, a una maggior qualificazione dell’arredo e dell’ambientazione del punto vendita. L’hard discount si è quindi gradualmente trasformato in soft discount, pur mantenendo inalterata la filosofia di fondo, per andare incontro alle esigenze dei consumatori e limitare la concorrenza di altri format distributivi in grado di offrire una componente di servizio più ricca. Oggigiorno i discount tendono ad avvicinarsi sempre più ad altre forme presenti sul mercato, quali le superette o il supermercato.

E’ importante ricordare che le imprese appartenenti al settore della distribuzione operano in un ambiente dinamico e altamente competitivo e perciò devono adattarsi costantemente a esso e possibilmente cercare di anticiparne il cambiamento. In caso contrario rischierebbero di avviarsi verso una fase di inevitabile declino.

1.4.4 Il panorama dei discount italiani

In Italia, i discount, come precedentemente affermato, hanno avuto un lungo percorso di consolidamento nel panorama distributivo. Il leader del segmento, almeno per quanto riguarda il numero di punti vendita, è Eurospin, mentre l’azienda da tutti assunta a

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riferimento del segmento è comunque Lidl Italia. Lidl Italia ha un minor numero di punti vendita rispetto al concorrente Eurospin (sono infatti 500 i punti vendita di Lidl contro gli 800 di Eurospin, che peraltro è agevolata nella sua espansione dal fatto di operare con il franchising), ma di fatto ha una indiscussa leadership sul mercato in termini di qualità ed omogeneità dei punti vendita ed in termini di apportatore di novità. Sono da citare anche Penny Market (azienda del gruppo Rewe), In’s Mercato (azienda del Gruppo PAM), Dico (Coop Italia), LD (Lombardini Discount del gruppo Lombardini), DPIU’ (del gruppo Selex), MD (MD Discount del gruppo Podini) insegna leader nel Centro-Sud e Prix Quality, azienda leader nel Triveneto. Questi sono i principali player del mercato cui si affiancano diversi altre aziende di piccole dimensioni, come la campana Gruppo Alvi, le siciliane Sicilia Discount e Fortè. In Italia non sono presenti alcune catene molto diffuse all’estero, come Aldi e Dia (Carrefour), che aveva aperto a inizio anni novanta alcuni negozi in Italia. Nonostante rimanga una data riconoscibilità del discount rispetto alle altre formule distributive, in Italia si stanno progressivamente perdendo quelle caratteristiche di spartanità dell’arredamento e standardizzazione dell’offerta.

1.4.5 Le diverse tipologie di discount

Come ogni sistema, anche il discount porta con sé una notevole complessità di classificazione. Se l’elemento comune che distingue il discount è la capacità di praticare sconti più o meno rilevanti sugli articolo venduti rispetto agli esercizi commerciali concorrenti, i fattori di competitività sui quali si basano i diversi discount non sono sempre gli stessi. A tale proposito sono state individuate tre tipologie di discount:

 Discount di qualità.  Discount di servizio.  Discount di efficienza.

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21 Figura 2: Le tipologie di discount.2

Il discount di qualità è caratterizzato da prezzi più contenuti che dipendono dal livello qualitativo inferiore degli articoli venduti, come avviene in particolar modo negli hard discount. In questo caso si tratta di un discount di nome, ma non di fatto, perché gli sconti praticati non sono reali, poiché riguardano prodotti di fascia di mercato inferiore. Il discount di servizio riguarda in prevalenza la vendita di prodotti non alimentari a elevato coefficiente di servizio e segnatamente gli elettrodomestici. Il prezzo più basso è giustificato dall’eliminazione di molti servizi al cliente, rispetto a quelli offerti dai tradizionali negozi specializzati. Anche in questo caso siamo di fronte, almeno in parte, a un discount fittizio, in quanto la riduzione del prezzo avviene in seguito alla consistente diminuzione del servizio commerciale al cliente, il che consente al gestore dei punti vendita di limitare le spese e praticare prezzi inferiori.

Il discount di efficienza invece è presente sia nel settore alimentare sia in quello non e riesce a contenere i prezzi grazie alla maggior efficienza con cui gestiscono il processo distributivo. La particolare cura degli assortimenti, la gestione oculata delle scorte e altre politiche di gestione volte a contenere i costi e aumentare il tasso di rotazione del magazzino consentono di praticare margini di ricarico inferiori. Qui ci troviamo di fronte a un autentico discount, in cui il cliente paga prezzi più bassi senza l’obbligo di accettare compromessi sul livello qualitativo del prodotto offerto o su quello del servizio commerciale ottenuto. Anche in questo caso la profondità dell’assortimento,

2 Fonte: Sbrana Roberto; Gandolfo Alessandro (2007). “Contemporary retailing. Il governo dell’impresa

commerciale moderna”. G. Giappichelli Editore. Torino. ISBN/EAN 978-88-348-7534-6. Pagina 172.

Tipologie di discount Discount di servizio Discount di servizio Discount di servizio

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che rappresenta una delle più importanti componenti del servizio al cliente, è limitata. Uno degli elementi fondamentali su cui è basato il discount di efficienza è proprio la concentrazione dell’assortimento su poche varianti di prodotto, a scapito dunque della profondità e del servizio al cliente.

1.5 La formula contrattuale del franchising

In questo paragrafo viene illustrata brevemente la formula contrattuale del franchising. Questa scelta è dovuta al fatto che, come vedremo più avanti nel caso pratico, l’azienda oggetto del mio progetto sarà un punto vendita in franchising di una nota catena di discount.

Molte catene della GDO, siano esse della Grande Distribuzione o della Distribuzione Organizzata, hanno una rete di vendita composta sia da esercizi a gestione “diretta”, cioè in proprietà, che da esercizi a gestione “indiretta”, cioè associati alla catena mediante un contratto di affiliazione commerciale (o di franchising).

Il Franchising è una formula distributiva nella quale il titolare di un marchio, il franchisor (o affiliante), ne concede lo sfruttamento a un negoziante al dettaglio, il franchisee (o affiliato). Di norma il contratto prevede che in cambio del pagamento di un compenso da parte del negoziante, l'azienda concede l'uso del proprio marchio, la vendita dei propri prodotti e più in generale di tutta l'assistenza in chiave di aiuto alla vendita (pubblicità, promozioni, ecc.). Il dettagliante però non può inserire nel proprio assortimento prodotti di altre marche. Questa tipologia di contratto consente ai gruppi della GDO di allargare la propria rete di rete di vendita, estendendo o rafforzando la propria presenza territoriale, senza sopportare il costo e il rischio dell’apertura di un nuovo punto vendita o dell’acquisizione di un negozio già esistente. Aprire un’attività in franchising, offre anche all’affiliato differenti vantaggi quali: la riduzione del rischio di fallimento, in quanto un franchisor ha provato e testato il business concept sul mercato e gran parte dei difetti sono già stati risolti riducendo così al minimo i rischi per il franchisee; lo sfruttamento dei benefici derivanti dalle economie di scala, visto che tutti i franchisee insieme possono comprare a condizioni

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migliori ed ad un minor costo rispetto ad un business individuale; il supporto di promozione e pubblicità da parte della casa madre; un know-how già sperimentato da apprendere, aumentando considerevolmente le probabilità di avere successo, un sistema di business collaudato e prodotti/servizi già testati sul mercato; l’assistenza nella gestione manageriale ed amministrativa, con corsi di aggiornamento e formazione. Il sistema franchising tutela la cultura d’impresa e l’etica commerciale creando un circolo virtuoso tra le due parti, il franchisee e il franchisor, che si traduce in un rapporto tra partner. Bisogna però specificare che tale formula presenta anche degli svantaggi. Infatti capita spesso che gli affiliati si trovino in una posizione di notevole debolezza nei confronti dell’affiliante, cosa che di fatto trasforma una relazione di tipo collaborativo in un rapporto di dominanza e subordinazione. Questo di conseguenza finisce per produrre insoddisfazione e tensioni negli affiliati, che possono anche determinare la fine della collaborazione. Inoltre, i franchisee si trovano spesso a dover effettuare investimenti strutturali che rispondano agli standard richiesti dal franchisor, richiedendo sforzi finanziari non sempre giustificati dalle prospettive di redditività. Nonostante ciò i vantaggi del sistema del franchising superano gli aspetti negativi, poiché tale formula riesce a far convivere l’organizzazione aziendale delle grandi imprese franchisor e la flessibilità delle microimprese franchisee, peculiarità che la rende particolarmente adatta ad affrontare i momenti di crisi dell’economia. L’alleanza fra il singolo imprenditore commerciale e impresa organizzata rappresenta una combinazione vincente sia per lo sviluppo, sia per la resistenza ai momenti di difficoltà.

1.6 L’andamento del mercato della GDO

L’analisi del settore distributivo, così come si è sviluppato degli ultimi anni in Italia, non può non tener conto dei cambiamenti dei consumi alimentari delle famiglie e di come, quindi, le catene della distribuzione hanno dovuto e saputo interpretare tali cambiamenti. Nel periodo 2011-2015, anni caratterizzati da deboli consumi, la Grande Distribuzione Organizzata, nel complesso è cresciuta poco, nonostante il vero e proprio boom messo a segno dai discount. Lo ha rivelato una ricerca a cura dell’Area Studi di

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Mediobanca3, che ha analizzato i maggiori otto gruppi italiani e internazionali della grande distribuzione alimentare (sono stati esclusi dalla ricerca i maggiori gruppi composti da associazioni di dettaglianti). Stando ai dati diffusi dal report, tra il 2011 e il 2015 il giro d’affari del settore è cresciuto solo del 4,5%, soprattutto a causa del calo dei consumi registrato in Italia durante gli anni più difficili della crisi. Ad approfittare della situazione di disagio delle famiglie italiane sono state le catene discount e qualche operatore della grande distribuzione. Escludendo l’aggregato della Coop, Esselunga si è confermata la prima GDO in Italia, mentre sorprendenti sono state la performance dei discount. Negli ultimi 5 anni le vendite di Lidl Italia ed Eurospin sono incrementate del 43% circa, a fronte del +4,5% registrato nello stesso periodo dall’aggregato dei maggiori operatori della grande distribuzione italiana.

Più in generale, nel 2015 le vendite nella grande distribuzione sono cresciute del 2,6% arrivando a 60,7 miliardi di euro. La crescita ha interessato tutti i canali di distribuzione (+4,5% per i supermercati, +0,6% per le superette e +1,1% per i discount) ad eccezione degli ipermercati, che hanno perso l’1,1%.

Per quanto riguarda la situazione degli anni più recenti l’andamento del settore della Grande Distribuzione Organizzata ha registrato un leggero miglioramento.

Nel 2016, infatti, i consumatori dei nove principali mercati dell'Europa occidentale (Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Austria e Portogallo) hanno speso 4,3 miliardi di euro in più per i prodotti di largo consumo nella distribuzione moderna, con un incremento del +0,9% rispetto al 2015, in Italia lo 0,8%. Il 61% dell'incremento del mercato alimentare nell'Europa occidentale è da ricondurre ai dolci, agli snack, alle bevande alcoliche e al cibo fresco. In particolare ha giocato un ruolo importante la crescita degli alimenti freschi confezionati, avvenuta spesso a scapito del prodotto fresco sfuso, che rappresentano sempre più un comparto strategico per i retailer, sia in termini di attrazione della clientela sia in termini d'immagine.

Per quanto riguarda il 2017, anno che ha beneficiato di fattori stagionali eccezionali, dovrebbe chiudersi con uno strappo, a valore, del 2% e, a volume, dell’1,6%. La tendenza che il mondo della GDO sta consolidando è ovviamente in linea con quelle

3 Ricerca di Area Studi Mediobanca: I maggiori gruppi italiani (2011-2015) e internazionali (2014-2015)

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che sono le richieste dei consumatori, e questo conferma il momento positivo del sistema GDO e dei consumi in generale.

Più nel dettaglio nel secondo trimestre del 2017, infatti, la crescita a valore della GDO italiana ha raggiunto il +4,0% grazie all’aumento dei volumi di vendita (+3,1%) e all’incremento dei prezzi al consumo del Fast Moving Consumer Goods (+0,9%).4 L’Italia ha registrato la migliore performance tra quelle delle principali economie europee, Francia (+3.2%), Regno Unito (+2,9%), Spagna (+2,9%) e Germania (+2,3%). L’incremento delle vendite italiane, come quello della maggior parte dei Paesi occidentali, è stato influenzato da fattori stagionali, dal miglioramento delle condizioni economiche generali, dalla crescita dell’occupazione, dall’aumento della fiducia dei consumatori, dal contenimento dell’inflazione e anche da un rinnovato interesse per il comparto alimentare e per i prodotti salutistici. L’aumento dei prezzi resta in linea con quello del primo trimestre 2017: le famiglie hanno risposto all’inflazione effettuando più acquisti di prodotti a marca del distributore in punti vendita discount e presso gli specialisti drug (negozi dedicati al cura casa e cura persona). I dati emergono dal Growth Reporter di Nielsen5, che prende in esame l’andamento delle vendite dei beni di largo consumo nella GDO di 21 mercati europei. Dall’aggiornamento di questa ricerca emerge che anche nel terzo trimestre del 2017 l'importo pagato dagli europei per l'acquisto di beni di largo consumo, come il cibo e i prodotti per la cura della persona e della casa, è salito del +2,5%, raggiungendo il livello più alto negli ultimi quattro anni. In particolare sta giocando un ruolo chiave il fatto che i consumatori sempre più spesso compiono scelte salutistiche e identitarie, e la qualità della spesa diventa sinonimo di benessere. Nel terzo trimestre quindi, in Italia i prezzi sono solo in lieve aumento, +0,6%, mentre i volumi aumentano del +2,6%, per un incremento totale a valore del +3,1%.

Gli ultimi dati evidenziano invece come il buon momento della distribuzione moderna è terminato assieme al terzo trimestre. Adesso si alternano settimane positive ad altre negative. Il mese di Ottobre si è chiuso con una crescita delle vendite dello 0,30%, a conferma della ritrovata salute della GDO, anche se Agosto e Settembre, terminati

4 I Fast Moving Consumer Goods sono i beni di largo consumo.

5 Il Nielsen Growth Reporter mette a confronto le dinamiche di mercato complessive (valore e volumi)

nel settore dei beni di largo consumo in Europa. Si basa sulle misurazioni delle vendite condotte da Nielsen in 21 mercati europei e copre il grocery di ipermercati, supermercati, discount e piccole superfici. Ciò è reso possibile dal cestino particolarmente ampio delle categorie di prodotto rilevate per Paese e canale.

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rispettivamente con una crescita delle vendite dello 0,63% e dello 0,70%, sono stati decisamente più brillanti.

Per quanto riguarda il mese di Novembre, questo appare sempre più incerto. Secondo i dati raccolti da Nielsen, infatti, dopo un’iniziale incremento delle vendite dello 0,30% e un successivo decremento dello 0,47%, il bilancio mensile si è assestato su un -0,48%. Il 2017 ha comunque tutte le carte in regola per far finalmente registrare un progresso del fatturato a parità di rete. A un mese e mezzo dal 31 dicembre il rialzo è infatti ancora dello 0,50%. Questo viene confermato anche dalle previsioni dell’istituto di ricerche di mercato e analisi per le aziende del largo consumo IRI6, che ha elaborato il preconsuntivo 2017 sui mercati LCC (Largo Consumo Confezionato) e le previsioni per il 2018. Vediamo le tabelle sottostanti:

Figura 3: Vendite a volume (valori a prezzi costanti), var. %.7

6 IRI è un leader mondiale nelle informazioni di mercato per il Largo Consumo, il Retail e lo Shopper.

7 Fonte: IRI. Previsioni di Vendita a Volume Totale Largo Consumo Confezionato. Ipermercati,

Supermercati, Libero Servizio Piccolo, Drugstore, Discount. Previsioni IRI edizione 23 Ottobre 2017. Ipotesi clima estivo 2018 nella norma.

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27 Figura 4: Vendite a valore, var. %.8

Per il 2017 quindi, come anche già affermato in precedenza, sono attesi volumi in crescita del +1,6% e una lievitazione dei fatturati pari al +2,0%. Per quanto concerne il 2018, le attese sono buone, anche se i risultati saranno probabilmente più modesti rispetto alla chiusura del 2017. Infatti difficilmente si potrà riproporre un clima altrettanto favorevole ai consumi stagionali e questo attenuerà probabilmente un po’ la crescita. Per quel che riguarda i fattori di fondo, essi beneficeranno della continuazione di una congiuntura complessivamente positiva. Il bilancio atteso è quindi per un andamento delle vendite a volume pari al +0,7% mentre l’andamento previsto per la spesa è pari al +1,1%, per un valore di circa 65,5 miliardi di , grazie ad un ulteriore spunto dei prezzi stimato in circa mezzo punto. Sempre per l’anno prossimo gli operatori prevedono un consolidamento del trend attuale della rete commerciale, che confermerà la stabilità dei format supermercati e superstore e la contrazione di ipermercati e superette, mentre proseguirà la crescita del canale specialistico del discount a discapito dei piccoli negozi tradizionali. Una previsione questa che conferma i recenti dati sull’andamento positivo dei punti vendita low cost del settore in Italia che, con una nascita di circa 60-90 punti vendita all’anno, oggi sono quasi 5.000 (l’IRI ne ha contati 4.792 fino al 30 giugno 2017).

8 Fonte: IRI. Previsioni di Vendita a Valore Totale Largo Consumo Confezionato. Ipermercati +

Supermercati + Libero Servizio Piccolo + Drugstore + Discount. Previsioni IRI edizione 23 Ottobre 2017. Ipotesi clima estivo 2018 nella norma.

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SECONDO CAPITOLO

RIFLESSIONE SUL TEMA DEL CONTROLLO DI GESTIONE

NELL’AMBITO DEL SETTORE DELLA GDO

2.1 Il Controllo di gestione

La capacità di un’azienda di realizzare un attento e costante monitoraggio della propria forza competitiva poggia su un articolato sistema di controllo di gestione in grado di produrre le informazioni necessarie in maniera tempestiva e capillare. L’esigenza di un efficiente sistema di controllo di gestione è preponderante in tutte le realtà produttive che intendono conservare e incrementare la propria redditività ed essere durature nel tempo. E’ fondamentale programmare le fasi in cui si articola l’attività d’impresa in modo da ottenere il massimo risultato da un impiego ottimale del tempo e delle altre risorse a disposizione, cercando al contempo di prevenire e attenuare l’impatto di circostanze sfavorevoli che sfuggono al diretto controllo del management. Ciò può essere realizzato appunto attraverso l’adozione dei metodi, dei sistemi e delle tecniche di pianificazione e controllo strumenti che sono ormai patrimonio consolidato nella cultura delle grandi aziende, ma che si stanno affermando anche tra le piccole medie imprese (PMI). Tale attività si rivolge sia all’interno sia all’esterno dell’azienda, contemperando la funzione di coordinamento dei comportamenti individuali verso gli obiettivi prefissati con l’esigenza di assicurare il necessario grado di coerenza con l’ambiente esterno, e in particolare, con le aspettative dei diversi portatori di interesse. In un'azienda il controllo di gestione viene definito come il sistema teso a guidare la gestione verso il conseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di pianificazione operativa, rilevando, attraverso la misurazione di appositi indicatori, lo scostamento tra obiettivi pianificati e risultati conseguiti e informando di tali scostamenti gli organi responsabili, affinché possano decidere e attuare le opportune azioni correttive.

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29 Il controllo di gestione è quindi:

 Uno strumento in grado di fornire alla direzione dell’impresa informazioni utili per comprendere meglio la situazione aziendale al fine di decidere in maniera più efficace.

 Un processo di raccolta, analisi e diffusione di informazioni utili per dirigere un’impresa.

 Il feedback sull’andamento dell’azienda poiché individua le funzioni e i reparti che hanno contribuito al raggiungimento degli obiettivi, previene situazioni difficili e consente di intervenire con correzioni gestionali per migliorare l'utilizzo delle risorse.

 L’attività di guida e orientamento della gestione, in grado di assicurare che le risorse economiche e i fattori produttivi a disposizione dell’azienda siano impiegati in modo efficace ed efficiente coerentemente agli obiettivi prestabiliti.

Il controllo di gestione è, dunque, uno strumento di government, di monitoraggio e di valutazione, che risponde a esigenze informative interne e che, non essendo obbligatorio per legge, è organizzato e utilizzato da ogni impresa nel modo più appropriato rispetto alla tipologia di attività svolta, allo stile direzionale del management.

I sistemi di controllo di gestione sono caratterizzati da tre elementi centrali:

 Centri di responsabilità ovvero le differenti tipologie di unità organizzative cui sono assegnate le responsabilità per i risultati economico-finanziari raggiunti all’interno dell’azienda.

 Il processo nel quale si articola l’operatività del sistema di controllo, in altri termini le fasi attuative di esso, che comprendono l’individuazione preventiva degli obiettivi annuali in linea con quelli di lungo termine, la preparazione del budget, la sua articolazione, negoziazione e revisione, la verifica dei risultati intermedi e finali, l’apprezzamento del feedback e la messa in atto delle iniziative che ne conseguono.

 La struttura tecnico-contabile di supporto, che si sostanzia in strumenti di rilevazione delle prestazioni e in modelli di reporting e analisi che nel loro complesso costituiscono la contabilità direzionale. Vi rientrano il budget, gli

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indicatori di performance, la contabilità analitica, gli schemi di presentazione dei risultati raggiunti, l’analisi degli scostamenti e i meccanismi formali che legano i risultati raggiunti a sanzioni individuali positive o negative.

Un buon sistema di controllo che sia considerato un vero strumento di guida per lo svolgimento della gestione, deve permettere la verifica costante e continua delle caratteristiche di efficacia9 ed efficienza10 della gestione, caratteristiche queste che esprimono insieme il concetto di economicità, ovvero la capacità dell’azienda di perdurare nel tempo massimizzando l’utilità delle risorse impiegate.

2.2 Contabilità analitica e Analisi di marginalità

In questo paragrafo viene proposta una breve panoramica su due strumenti, la contabilità analitica e l’analisi di marginalità, che hanno rivestito un ruolo importante nel lavoro oggetto di questo elaborato.

La contabilità analitica è un elemento della struttura tecnico contabile del controllo di gestione, realizzato al fine di individuare costi e ricavi inerenti ad un particolare oggetto di riferimento come, a titolo esemplificativo, un prodotto, un impianto, un processo, una funzione o una divisione. Introdotta sin dagli albori degli studi sul controllo dei risultati, è stata da subito impiegata per monitorare l’andamento dei costi e per apportare importanti informazioni a sostegno della pianificazione e della programmazione.

9 L’EFFICACIA del Controllo di Gestione è misurata sul livello di ottenimento dei risultati conseguiti,

mettendoli a confronto con gli obiettivi prefissati

10

L’EFFICIENZA del Controllo di Gestione è monitorata, internamente, con la verifica del rapporto tra la quantità fisica delle risorse e dei fattori produttivi impiegati con i volumi di produzione del prodotto/servizio; la stessa può anche essere intesa, esternamente, quando viene determinata attraverso il controllo dei prezzi unitari di acquisto o reperimento del prodotto/servizio.

Se ne deduce che si può rilevare l’efficienza nell’impiego delle risorse e l’efficienza di prezzo nell’acquisto delle risorse.

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Le informazioni prodotte sono esclusivamente per l’interno, cioè hanno la sola funzione di supportare il management aziendale nei processi decisionali e di controllo. Gli scopi di quest’analisi possono essere diversi:

 Calcoli di convenienza economica.  Definizione di risultati parziali.  Calcolo del costo di prodotto.  Calcolo del break-even point.

 Analisi dei costi analisi dei costi, ricavi e risultati per prodotti o centri di costo e proiezione nel lungo periodo per prendere decisioni strategiche.

 Giudizi di efficienza e produttività.

La contabilità analitica si affianca a quella generale tipica di ogni impresa, seppur con delle indicative differenze: non è obbligatoria, rileva solo operazioni avvenute all’interno dell’azienda, ha destinatari principalmente (se non esclusivamente) interni e infine richiede un livello di tempestività molto più elevato rispetto alla contabilità generale, anche se questa dovesse andare leggermente a scapito della precisione delle informazioni.

Quando un’impresa implementa un sistema di contabilità analitica tempestivo e funzionante, potrebbe procedere nello svolgimento della cosiddetta analisi di marginalità, in altre parole un confronto tra i costi e i ricavi di un prodotto o area. Il Margine di Contribuzione è quindi un risultato economico lordo che esprime la capacità dell’azienda di dare copertura ai costi fissi dopo aver coperto quelli variabili e di generare quindi risultati economici positivi. Diversi sono i vantaggi che si potrebbero ottenere dall’usufruire da tale strumento. Innanzitutto permetterebbe di individuare quali produzioni o aree aziendali spingono l’impresa e quali invece sono in perdita, e di conseguenza quali devono essere potenziate e quali ridimensionate o eliminate. Permette anche di capire quali sono i clienti che fruttano il maggior utile e quali invece contribuiscono in maniera limitata ai ricavi. A livello più generale, consente a un’impresa di capire in che modo sono correlati i prezzi di vendita con le marginalità di prodotto, cioè capire in che modo le variazioni dei prezzi fanno variare i margini dei vari prodotti o aree o clienti.

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2.3 Il Controllo di gestione nella GDO

2.3.1 Il ritardo nell’adozione degli strumenti del controllo di gestione nella GDO

Le imprese di servizi, e in particolare quella della grande distribuzione, hanno a lungo tardato nel fare propri i principi e le tecniche del controllo di gestione, spesso limitandosi a predisporre una strumentazione modesta se messa a confronto con quella adottata nel comparto industriale.

Le ragioni sono molteplici. E’ senza dubbio corretto affermare che siano mancati gli stimoli a una seria implementazione del controllo, poiché si tratta di settori che in passato non avevano conosciuto momenti di particolare difficoltà. Certamente, però, a tale deficit di cultura aziendale ha contribuito anche il fatto che i sistemi di controllo sviluppatosi negli anni precedenti non sono stati pensati né tantomeno implementati. In sostanza, nelle aziende di servizi, il livello di diffusione e di affinamento del controllo di gestione non ha mai raggiunto livelli di sofisticazione particolarmente elevati per una serie di ragioni storiche che possono così sintetizzarsi:

 Il grado di complessità del processo gestionale delle imprese di servizi è minore rispetto a quello delle aziende di natura industriale, in quanto la fase di trasformazione economica è assai meno articolata.

 La dimensione delle aziende di servizi è normalmente ridotta e, anche nel raro caso di entità più consistenti, esse hanno normalmente un’elevata focalizzazione, configurandosi spesso come imprese mono-business.

 I sistemi di controllo, nati e pensati per le imprese industriali, sono di fatto inadatti a quelle di servizi e spesso la loro adozione non porta a risultati soddisfacenti.

I primi due ordini di considerazioni sono a oggi venuti meno. In merito al grado di complessità ci si è accorti da tempo che seppure, entro certi limiti, non esiste una fase di trasformazione tecnica dei prodotti/servizi, questo non significa che da ciò derivi una maggior semplicità nei processi di gestione. Inoltre si deve rilevare come ormai tutte le

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imprese abbiano un forte orientamento al servizio e che proprio a questo venga riconosciuto una rilevante criticità.

Per quel che riguarda la focalizzazione, l’unica osservazione da fare è che con ogni probabilità il management delle imprese di servizi ha forse avuto la capacità di guardare più lontano di quello di altri settori, se è vero che ormai vi sia una sempre maggiore e generalizzata tendenza a dedicarsi ad attività nelle quali l’impresa abbia risorse e competenze adeguate e quindi, innanzitutto, a concentrarsi in un unico settore o, comunque, in settori in cui le proprie capacità rappresentano una fattore critico di successo.

L’ultimo punto, inerente alla vocazione industriale dei sistemi di controllo, è quello che merita una maggior attenzione. Infatti, la mancanza di riferimenti coerenti con l’approccio gestionale e con le caratteristiche strutturali del terziario ha comportato uno scarso interesse e una limitata cultura del controllo, la cui carenza però inizia oggi ad essere avvertita come una grave lacuna gestionale, almeno in quelle attività di servizi, come per la grande distribuzione, che hanno vissuto i maggiori livelli di crescita e di concentrazione. In settori di questo tipo è cresciuta, dunque, l’esigenza di elaborare un approccio originale che consenta di avere a disposizione sistemi decisionali e di controllo efficaci, che non siano, quindi, semplicemente un trasferimento degli strumenti di controllo industriale alle imprese di servizi.

2.3.2 Le caratteristiche generali del sistema di controllo

La sempre maggior complessità del contesto competitivo in cui operano le imprese di grande distribuzione richiede agli strumenti di controllo direzionale la capacità di fornire al management una visione del tutto diversa da quella che fino a non molto tempo fa consentiva di condurre con successo le imprese.

I nuovi sistemi di controllo devono prestare attenzione a nuove variabili: ai business più che ai prodotti, ai processi anziché alle funzioni, alla capacità di innovare e sviluppare competenze più che alla specializzazione, alla qualità e al livello di servizio più che ai volumi. Si può pertanto dire che la focalizzazione dei sistemi di controllo si sposta dalla

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gestione corrente alla competitività: se è fondamentale sapere come stia maturando il risultato della gestione corrente, non meno importante risulta essere la conoscenza di come evolva la propria posizione competitiva, giacché è quest’ultima la base su cui poggia la capacità dell’impresa di ottenere soddisfacenti risultati nel tempo. Secondo quest’approccio il controllo di gestione da un profilo, se vogliamo tipicamente operativo, si evolve in controllo più ampio, definibile direzionale e strategico. Come già precedentemente affermato, per controllo di gestione, infatti, secondo una definizione largamente diffusa in ambito aziendale e accademico, s’intende un sistema direzionale con cui i manager ai vari livelli si accertano che la gestione aziendale si stia svolgendo in condizioni di efficienza e di efficacia tali da permettere il raggiungimento degli obiettivi di fondo sulla gestione stessa, stabiliti in sede di pianificazione strategica. In quest’ottica, dunque, è indispensabile che i sistemi di controllo direzionale spostino la loro attenzione dalla redditività di breve termine al valore dell’impresa, cioè ai risultati di medio lungo periodo, e quindi inseriscano nei loro sistemi di misura e di monitoraggio le variabili tipiche del governo strategico: i business, i processi-chiave, l’innovazione e l’apprendimento, la soddisfazione del cliente.

Il monitoraggio e il controllo di queste variabili chiave, che risultano tanto più numerose quanto crescente è il grado di complessità delle imprese, è oggi reso possibile dai moderni sistemi informativi e soprattutto dal loro elevato grado di integrazione. L’aumento della complessità richiede alle imprese di dotarsi di strumenti e procedure che consentano di ottimizzare il processo decisionale complessivo. I tradizionali modelli di controllo, sorti nelle e per le imprese industriali, consentono di evidenziare solo una parte, e per lo più molto piccola, della performance aziendale, in altri termini si corre il rischio di non cogliere la dimensione ed il peso di ciò che non si vede. E’ quindi necessario pensare un sistema di controllo che consenta al management di cogliere le variabili chiave in profondità, occorre cioè che in sede di definizione degli obiettivi sia in fase di misurazione dei risultati si tengano in considerazione tutte le componenti della performance complessiva dell’impresa. La priorità assoluta di ogni impresa è la soddisfazione del cliente, che orienta ormai i processi decisionali di ogni impresa, dalla definizione delle strategie alle scelte operative. Occorrerà pertanto disporre di informazioni che consentano all’azienda di monitorare i risultati economico-finanziari valutando nel contempo il grado di soddisfazione dei propri clienti, l’efficacia e l’efficienza dei processi più rilevanti e la propria capacità di innovare e di apprendere.

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