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Nietzsche e la coscienza storica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÁ DI PISA

Corso di studi in Filosofia e Forme del sapere a.a. 2016-2017

Tesi in Storia della filosofia

NIETZSCHE E LA COSCIENZA STORICA

Relatore Correlatore

Prof. Giovanni Paoletti Prof. Giuliano Campioni

Candidata

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INTRODUZIONE 4

I. FILOSOFIA DELLA COSCIENZA STORICA NEL GIOVANE NIETZSCHE

1. Criteri della ricerca 13

1. 1 Il progetto inattuale 17

2. La Nascita della tragedia 20

2.1 Dalla filologia alla filosofia 25

2.2 L’Inattuale incompiuta: Noi filologi 30

3. Sull’ utilità e il danno della storia per la vita 35

3.1 Storia (come coscienza storica) e vita 40

3.2 Teoria della coscienza del tempo 46

3.3 Il tipo dell’uomo storico e il tipo dell’uomo sovrastorico 54

3.4 Storia come scienza 56

3.5 Storia monumentale, storia antiquaria, storia critica:

i tre tipi di relazione storia-vita 58

3.5.1 Coscienza storica monumentale 59

3.5.2 Coscienza storica antiquaria 60

3.5.3 Coscienza storica critica 62

3.6 Sullo studio della storia 65

3.7 Teoria della storiografia 68

3.7.1 Il compito dello storico:

«oggettività» come Erlebniss dello storico e storiografia come opera d’arte 69

3.7.2 Coscienza storica ironica e genealogia della personalità debole 71

II. DALLA METAFISICA DELL’ARTE AL FILOSOFARE STORICO: IL RUOLO DELLE SCIENZE NATURALI

1. Scienze della natura e scienze dello spirito:

Nietzsche tra filologia e biologia cellulare 75

1.1 Cenni di storia della biologia

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2. Nietzsche, Lange e il ritorno a Kant:

le basi neokantiane della filosofia nietzscheana 88

III. DECLINAZIONI DEL METODO STORICO-CRITICO: SCIENZA, FILOSOFIA STORICA, GENEALOGIA

1. Cenni biografici sulla formazione di Paul Rée 105

2. Il volto «réealista» di Nietzsche 114

3. L’origine dei sentimenti morali e Umano, troppo umano:

due «opere sorelle» 122

3.1 Alla ricerca di un metodo:

un embrione di approccio genealogico in Fato e Storia 133

4. Il discorso sul metodo in Umano, troppo umano 136

CONCLUSIONI 146

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INTRODUZIONE

Questa ricerca prende origine da un’ ipotesi sviluppata con Lorenzo M. Calabi sulla natura della filosofia della storia: dopo la restituzione datane da Löwith, in particolare nello scritto su Significato e fine della storia, il sapere filosofico intorno alla storia appare quantomeno problematico. É infatti in questi termini che Calabi ne parla nella sua riflessione su La filosofia della storia come problema. Il testo in questione si dedica anzitutto all’analisi del pensiero di Löwith sul corpo di conoscenze istituito appunto nella forma della ‘Filosofia della storia’, e lo fa ricollocandolo al centro della riflessione tra Heidegger e Rosenzweig. «Quando si tratta della filosofia della storia dopo la restituzione che ne ha fatto Karl Löwith, vale a dire dopo quella che appare una sua dis-soluzione in quanto sapere filosofico, perché sua ri-dis-soluzione in altro, in una visione teologica in veste mondanizzata, secolarizzata, il punto di partenza dell’indagine sembra poter essere addirittura indifferente1». Il punto di partenza non è, in realtà, semplicemente indifferente, ma, piuttosto, «molto problematico»2: ogni rinnovata riflessione sulla storia è una riflessione sul senso della storia: la filosofia della storia si presenta infatti non come sapere costituito attorno ad un oggetto, ma come un sapere che ha costituito il proprio oggetto, deducendolo da un senso che compariva come predicazione attribuita all’oggetto stesso. Una tale predicazione diventava così non significativa come narrazione evenemenziale, ma come fine eventuale: «la fine come il fine, an end insieme as e like a goal, un’Ende insieme come Bestimmung e come Absicht e come Zweck» 3.

1 Cfr. L. M. Calabi, La filosofia della storia come problema. Karl Löwith tra Heidegger e Rosenzweig,

ETS, Pisa 2008, p. 13.

2 Ivi, p. 14. 3 Ibidem.

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Nella storia della filosofia della storia che ci troviamo ad affrontare, in sintesi massima, nel libro testè citato di Calabi, emergono interpretazioni ‘dissidenti’, per così dire, dall’ idea classica di filosofia della storia hegelianamente costituita. Cercando di non restare imbrigliati nell’errore metodologico di riemergere da questo coacervo problematico con un Nietzsche ‘löwithiano’, dimenticando i presupposti nietzscheani di Löwith stesso, in particolare proprio del Löwith di Significato e fine della storia e del Löwith di Fede e sapere, abbiamo, seguendo Calabi, iniziato a frequentare autori che esprimono molto prima di Löwith una ri-composizione del sapere intorno alla storia, non ipotecata alla predicazione di un fine, una destinazione, una meta. É stato questo ad esempio il modello humboldtiano dello studio della storia, criticamente concepito proprio rispetto a quello kantiano, del Saggio sull’inizio congetturale della storia degli uomini o anche dell’ Idea per una storia universale da un punto di vista cosmopolitico. Con Wilhelm von Humboldt la considerazione del ruolo problematico dell’individualità umana, rispetto alla posizione e alla costituzione di un soggetto della storia, riconducibile ad un dominio legale di sviluppo e collocazione nel tempo, diventa centrale. Nello scritto del 1791 Sulle leggi dell’evoluzione delle forze umane Humboldt «si pone dapprima dal punto di vista del filosofo della storia, del philosophische Geschichtsforscher: dal punto di vista non della ricerca storiografica, ma dell’indagine sulla sua stessa possibilità, sulla modalità e sulla legalità della storia. Abbandonata che sia una prospettiva teodicistica, escluso che sia l’intervento di una superiore provvidenza nel governo delle forze che producono e finalizzano la storia, posto che sia, piuttosto, l’azione intenzionale dell’uomo quella che la produce, come immaginarne una filosofia se l’uomo è poi fatto delle forze umane e tali forze sono le forze degli individui?»4. Il

nocciolo della proposta humboldtiana, secondo Calabi, trova posto nelle Considerazioni

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sulle cause motrici della storia universale, del 1818: il titolo è rivelativo della linea humboldtiana di studio della Weltgeschichte: sono le cause motrici della storia a dover essere indagate, in modo tale da scardinare ogni concrezione assiologica del sapere intorno alla storia5: «cause motrici della storia degli uomini, come della storia di “piante naturali” con in più, rispetto alla natura fisica, “l’idea della lingua e l’idea di libertà”»6.

Di più: queste cause motrici devono essere riconducibili, scrive Calabi citando ancora Humbdoldt, a «uno dei seguenti tre oggetti: la natura delle cose, la libertà dell’uomo e il decreto del caso»7. Eppure la critica humboldtiana al difetto di astrattezza delle storie filosofiche, non ha scaturigine da una crisi epocale che sta cercando di venire a capo del disancoramento nichilistico da ogni centro di riferimento pratico e teoretico, per parafrasare il Nietzsche della Gaia scienza. Il suo problema non è ancora, come lo è per Löwith, e per noi, con Calabi, «una crisi del pensiero», una crisi del «pensare criticamente» 8: una crisi della civiltà e, con essa, della coscienza storica.

Assunta dunque la dissoluzione löwithiana della filosofia della storia, che molto deve al Nietzsche anticristiano, critico e genealogista della morale, con Calabi possiamo chiederci se tutte le filosofie della storia abbiano realizzato solo un’operazione di «futurizzazione storicistica» o non piuttosto abbiano contribuito alla «produzione di una coscienza critica, in quanto produzione di una coscienza del presente come storia?»9. É sotto questa ipotesi di ricerca che si è costruito l’approccio al testo; un approccio sicuramente poco ortodosso, che ha reso il lavoro di indagine nei testi prima e nella letteratura secondaria poi, figlio di questa stessa indagine critica sui presupposti della filosofia della storia. Il filo rosso che è in realtà il nodo tematico con cui ci siamo orientati nel mare della produzione nietzscheana, come si può dedurre dal tiolo della 5 Ivi, p. 41. 6 Ibidem. 7 Ivi, p. 42. 8 Ivi, p. 45. 9 Ivi, p.89.

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ricerca, è quello della ‘coscienza storica’: non solo e non tanto nella critica che Nietzsche ne conduce, dai testi giovanili sino a quelli della maturità; una critica che passa per la ridefinizione teoretica del concetto di soggetto, del principio di causalità e che Nietzsche ottiene attraverso la critica anticristiana della morale: anche per Nietzsche vale infatti il canone metodico per cui la critica della religione è il presupposto di ogni critica, parafrasando il Marx dell’Introduzione del 1843 a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel: ecco, dunque, che, in Nietzsche, per costituire una Gaia scienza si arriva, al di là del bene e del male, alle posizioni extramorali dell’Anticristo.

Per poter tessere il filo conduttore della nostra ricerca è stato necessario emanciparsi da molti degli orientamenti bibliografici e scientifici ormai consolidati nella Nietzsche- Forschung: fuor di metafora, è stato necessario emanciparsi dall’idea di un Nietzsche radicalmente antistoricista, dalla idea di un Nietzsche definitivamente schopenhaueriano, schopenhaueriano cioè sino alle viscere più intime della sua concettualizzazione della volontà di potenza (è questa ad esempio un’idea di Colli); è stato necessario emanciparsi dal Nietzsche zarathustriano, à la Lukàcs, profeta dell’eterno ritorno metafisico dell’identico, il pessimista apologeta della dogmatica distruttrice della ragione; è stato necessario emanciparsi dal Nietzsche heideggeriano, dell’estetica del Wille zur Macht e della storia nichilistica del pensiero occidentale. Abbiamo dovuto rinunciare a costruire anche solo una mappatura del concetto di storia in Nietzsche, tanto è ampio il compito e polimorfo il tema: una tale formulazione ci avrebbe spinto ad indagare sugli apporti schopenhaueriani provenienti dalla divaricazione di storia e filosofia ne Il Mondo come volontà e rappresentazione, passando per la modulazione di questi concetti nel Burchkardt delle Lezioni sulla storia universale e delle Lezioni sulla storia d’Europa e, dunque, affrontando le problematiche relative alla critica burchkardtiana della filosofia hegeliana della storia, come anche la

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concezione estetica di storia che sembra particolarmente vicina a quella nietzscheana, per quanto in una peculiare commistione con alcuni dati emersoniani. Il programma di ricerca non sembrava in realtà soddisfacente: in origine l’intento era quello di porsi ad un livello teoretico di ricerca che rendesse conto dell’elaborazione nietzscheana di un nuovo metodo di indagine filosofica, ovvero il filosofare storico, che viene da lui applicato all’indagine del reale e, in particolare, di quei fenomeni della libertà umana, kantianamente intesi, ovvero le azioni degli uomini, che alimentano la complessa formazione della ‘morale’, come insieme di giudizi, e distinzioni, di valore relativi a tali azioni. Come lo stesso Nietzsche dichiara in apertura al primo volume di Umano, troppo umano, nessuna di queste rappresentazioni, ‘realtà’ o ‘moralità’, può più pensarsi separata dalle rappresentazioni che ne restituisce il contemporaneo sapere scientifico e naturalistico intorno a tali ‘fenomeni’: siano essi quelli organici, magari individualizzanti, quanto quelli inorganici. Il Nietzsche della ‘grande separazione’, il Nietzsche liberato con Umano, troppo umano dall’illusione letificante della metafisica schopenhaueriano-wagneriana è il nostro Nietzsche: ma l’analisi sulle condizioni di possibilità di un rinnovato filosofare, entro il limite cronologico degli anni ‘70, appunto, con la tematizzazione della filosofia illuministica dello spirito libero, ci pare presentare significativi segni di continuità anche con alcune zone antecedenti del pensiero nietzscheano, magari messe in ombra da interpretazioni bibliografiche più roboanti e totalizzanti che, come dice bene Montinari, tendono a rendere unilaterale, ossificandolo, un certo aspetto di Nietzsche. Ecco dunque l’esigenza di tornare ad interrogarsi, quasi genealogicamente, sui presupposti e i referenti polemici della seconda considerazione Inattuale: Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Il movimento dall’una all’altro dei testi non può prescindere dall’analisi di alcuni dei frammenti postumi o dei saggi postumi che fanno da intermezzo tra le due pubblicazioni prese qui in esame e che

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testimoniano dello scorrere ctonio di un pensiero antimetafisico e storicista nel Nietzsche pubblicamente wagneriano della Nascita della tragedia. Ci riferiamo con ciò non solo ai frammenti postumi, di cui qui si presentano piccole sezioni, non certo solo per ragioni di spazio, ma anche di dominio intellettuale di un materiale che, per quanto conciso, più che in altri autori, si presenta straordinariamente denso, al limite dell’oracolare, ma anche a brevi saggi come Fato e storia, Su verità e menzogna in senso extramorale, al frammento Sul concetto di organico a partire da Kant, allo scritto su La filosofia nell’epoca tragica dei Greci, sino agli appunti autobiografici di letture, incontri reali e spirituali: così è ad esempio cruciale tenere conto della lettura di Schopenhauer e di quella di Lange, che vanno a collocarsi come poli antipodici nella formazione intellettuale del giovane Nietzsche. La ricognizione in questi importanti materiali di lettura, ci permette di orientarci più agevolmente nel lavoro di analisi, secondo appunto un approccio genealogico, che vuole individuare in Nietzsche e nel corpo delle sue opere nodi sensibili agli occhi del ‘filosofo della storia’, ad un approccio di ricerca che prediliga in sostanza le tematiche e metodologie storiche. Una volta emancipatici, criticamente, dalla dogmatica del Nietzsche antistoricista, possiamo sezionare ad esempio nella seconda Considerazione Inattuale nuclei tematici che, enunciati e magari essenziali teoreticamente, sembrano comunque passare in secondo piano, ma che poi ritorneranno attivi proprio in Umano, troppo umano: è questo il caso ad esempio delle categorie di oblio, di inattualità o di malattia storica. Tale è il compito del primo capitolo.

Nel secondo capitolo, quasi un intermezzo fra i due momenti più propriamente dedicati agli scritti pubblicati di Nietzsche, cerchiamo di fare il punto sull’ importanza che lo studio delle moderne scienze ha rivestito per Nietzsche. Prendendo le mosse dal dibattito ottocentesco sulla natura di organico e inorganico, sull’interrogativo della

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emergenza della coscienza tra l’uno e l’altro, nonché sulla rivoluzione paradigmatica rappresentata dall’avvento della teoria darwiniana sull’origine delle specie, ci concentriamo sulla lettura nietzscheana di F. A. Lange, la cui Storia del materialismo è il principale veicolo di queste problematiche per Nietzsche, nonché il punto di partenza per una puntuale ricerca di nuovi canoni del pensiero e nuovi strumenti di esplorazione dei ‘fenomeni’ umani, troppo umani. É infatti primariamente attraverso la torsione fisiologista che Lange restituisce del kantismo, che Nietzsche è pronto a saldare la dimensione spirituale con quella più propriamente fisica e a realizzare quello che definirà il progetto di «disantropomorfizzazione della natura» e «naturalizzazione dell’uomo»10. In ultimo, ci occupiamo della tematizzazione del nuovo metodo

filosofico: il filosofare storico. Concependo la genealogia come un equivalente maturo di questa giovanile teorizzazione presente in Umano, troppo umano, esaminiamo il debito intellettuale che Nietzsche ha contratto con Rée, almeno dal punto di vista tematico, nella redazione di quest’opera. Il raccordo finale avverrà, brevemente nelle conclusioni, con la citazione del paragrafo 12, nella seconda dissertazione, della Genealogia della Morale. Essa infatti resta la continuazione più matura, lucida e approfondita dello studio dei fenomeni morali iniziato con Umano, troppo umano. A nostro avviso filosofare storico, scienza (naturale e filologica) e genealogia sono tutte declinazioni dell’inedito metodo filosofico di indagine della realtà. Da questo riconoscimento dello statuto di storicità di tutto il reale, non solo si opera sotto un’ ipotesi di ricomposizione genealogica dell’astratta rappresentazione morale nel concreto bisogno, nella pulsione, nell’istinto, che diventano le unità semiotiche, i quanta

10 Essenziali a tal proposito sono le monografie di C. Rosciglione sul tema della «Vernaturlichung des

Menschen»: cfr. C. Rosciglione, Homo natura: autoregolazione e caos nel pensiero di Nietzsche, ETS, Pisa 2005 e Id., Mente, corporeità e mondo naturale da Nietzsche a Damasio, Ed. Unicopli, Milano 2010.

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energetici del vivente11. Sul filo conduttore del corpo, molto schopenhaueriano, ma

altrettanto langeano, Nietzsche costruisce filologicamente un metodo di esegesi di un testo, che è il fenomeno ‘natura’, il fenomeno ‘mondo’, e la loro rappresentazione, il quale si fonda sulla critica delle posizioni sostanzialistiche e sulla predilezione delle relazioni.

Lavorando all’ipotesi che la storia naturale della morale sia una storia congetturale e, dunque, una peculiare forma di storia filosofica della morale, abbiamo potuto riportare le istanze critiche afferenti allo studio del fenomeno morale alla sua genealogizzazione, e maturare la tesi per cui tali istanze critiche non fanno altro che rispondere alle esigenze di una coscienza storica ipertrofica, malata della stessa malattia inattuale e, perciò stesso, più che attuale; una coscienza storica malata di inattualità e che, per parafrasare lo stesso Nietzsche, si è raccolta nello sforzo di agire contro il proprio tempo e, magari, a favore di un tempo avvenire.

Ma cosa è ‘coscienza’ e cosa ‘coscienza storica’ in Nietzsche e per Nietzsche? Confortati dallo studio del Miegge, possiamo considerare la coscienza storica come un coacervo di istanze psicologiche, morali, che cercano collocazione nella dimensione del tempo, essendone diaframma non solo esistenziale e psicologico, ma anche etico e pratico. Nella sezione del suo scritto titolata Tempo storico e coscienza storica, Miegge procede alla definizione del concetto di coscienza storica, passando per una serie di studi sul tema; chiamando in causa Ricoeur, egli scrive:

Riproponendo le categorie analitiche “spazio di esperienza” e “orizzonte di aspettativa”, Ricouer sottolinea (come già aveva fatto Koselleck) lo sbilanciamento tra queste due componenti della coscienza storica e pone in guardia contro gli slittamenti delle aspettative nell’utopia che tolgono valore agli attuali assetti dell’esperienza.

11 Sulla visione fenomenalista, dinamica, energetista del mondo che passa per lo studio nietzscheano di

Boscovich, innanzitutto, e che può essere accostata agli studi di E. Mach, sono imprescindibili le monografie di P. Gori, nell’ambito delle quali è approfondito il legame esistente tra la teoria della conoscenza e le ripercussioni etiche delle nuove acquisizioni gnoseologiche. Cfr. P. Gori, La visione

dinamica del mondo. Nietzsche e la filosofia naturale di Boscovich, Il Mulino, Napoli 2007 e Id., Il meccanismo metafisico. Scienza, filosofia e storia in Nietzsche e Mach, Il mulino, Napoli 2009.

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Ma lo “spazio d’esperienza” è anche quello che accoglie, in forme variabili, ciò che è stato esperito dai predecessori, di cui siamo eredi. La coscienza storica, dunque, non è soltanto orientata al futuro ma anche inevitabilmente segnata dal passato (…). Quella dipendenza non è però sottomissione a un destino: viene invece elaborata nel “dialogo” con la tradizione.

Il presente storico, infine, è il luogo dove i progetti e le attese del futuro si intrecciano con le eredità e le memorie del passato. Questo intreccio però non è semplicemente psicologico ed esistenziale, bensì

pratico ed etico 12 .

É questa anche per noi, nelle parole di Miegge, l’ipotesi definitoria iniziale sotto la quale abbiamo cercato di tematizzare e svolgere il concetto nietzscheano di coscienza storica.

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CAPITOLO PRIMO

FILOSOFIA DELLA COSCIENZA STORICA NEL GIOVANE NIETZSCHE 1.Criteri della ricerca

Il primo capitolo di questa ricerca, come detto in Introduzione, si concentrerà sulla seconda delle Inattuali pubblicate da Nietzsche, Sulla utilità e il danno della storia per la vita. Iniziare la ricerca dal Nietzsche inattuale corrisponde ad una precisa scelta, come dire, strategica: per ragioni di metodo, e per evitare di prestare il fianco ad interpretazioni tracotanti del testo, preferiamo tenere una linea sobria di esposizione che si affidi letteralmente all’ordine cronologico di pubblicazione dei testi. La connotazione della sobrietà riguarda il metodo di esposizione che disciplina questa ricerca, un metodo che, esponendo, si propone di esibirsi nel proprio assetto interpretante. Ogni esposizione si suppone come interpretazione o, equivalentemente, si dispone ad essere critica ovvero interpretante. La connotazione, la colorazione interpretante si pre-suppone già nella operazione di isolamento dei nuclei tematici: non si tratta solo di darsi una direttrice e una identità di ricerca, si tratta piuttosto di trascegliere e prediligere alcuni momenti in questo caso del pensiero nietzscheano, che si rivelano più densi di altri e che si prestano, ciò che è peculiare e quasi identificativo per Nietzsche, ad una re-significazione sia nel merito della sola economia specifica del corpo dei testi nietzscheani sia ad una re-interpretazione nella storia della bibliografia sull’autore.

A questo proposito bisogna ammettere le difficoltà incontrate nel reperimento di letteratura secondaria sul tema, essendo il nostro approccio quello della filosofia della storia e la nostra scommessa teorica quella sulla commensurabilità del corpo nietzscheano alle istanze della filosofia della storia, per come descritta, con toni hegeliani, da Lorenzo M. Calabi, in alcuni dei suoi più recenti testi. La nostra domanda è: può da questa operazione risultare qualcosa di apprezzabile? Sono, dentro la metafora

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matematica, queste due grandezze, il pensiero nietzscheano come corpo unitario e polimorfo e un organon, per quanto ben determinato, filosofico-storico commensurabili? Banalmente: è questa operazione dotata di senso?

Privilegiando un approccio del genere, non sono pochi i risultati ottenuti. Naturalmente per noi assume un peso significativo la seconda inattuale sulla storia, che è uno dei primi ed acclarati momenti in cui Nietzsche si esprime su temi sensibili per la nostra ricerca. Abbiamo detto che il presupposto metodico è innanzitutto uno: la esigenza di un approccio sobrio, che ne faccia la bontà, che si muova tenendo presente la cronologia dei testi pubblicati e della maturazione delle idee. Questo ci consente di sondare, letteralmente, i cambiamenti di segno di molti nuclei tematici che sono ben facilmente isolabili già a questa altezza della produzione nietzscheana, ovvero quella giovanile. A partire dunque dai primi anni Settanta del XIX secolo, per la precisione dagli anni della stesura e pubblicazione de La Nascita della tragedia e della seconda Inattuale, dunque a partire dal lasso di tempo compreso tra il 1872 e il 1874 per quel che riguarda in particolare la nostra ricerca, teniamo in conto questi testi ed i correlativi frammenti postumi, che testimoniano in maniera più distesa dei lavori realmente pubblicati. Anzi, richiamando una stessa considerazione nietzscheana, in merito alla pubblicazione di Al di là del bene e del male (1886) rispetto allo Zarathustra (1884), anche nel caso del rapporto tra testi pubblicati e frammenti postumi si può dire che sia stata scritta la parafrasi prima del testo.

Un secondo, importante canone della nostra ricerca, che permette quantomeno di indicare se non una meta, un ritmo di navigazione nella selva degli scritti, postumi e non, nietzscheani, riguarda l’utilizzo dei frammenti postumi: la bontà della ricerca prevede che si tenga conto evidentemente della cronologia di pubblicazione degli stessi, che li si utilizzi nell’interpretazione o, per meglio dire, nella decifrazione dei correlativi

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testi e che non li si adoperi come aggiuntivi e sovravalutativi, ma come integrativi del testo scientemente pubblicato dall’autore. Questa non è solo una questione di metodo, è una questione di onestà intellettuale. In sostanza lo stesso criterio che viene adottato nella lettura e correlazione dei testi l’uno rispetto all’altro è adottato nella correlazione dei frammenti postumi tra loro e rispetto ai testi, assieme alla primaria distinzione tra testi pubblicati e non.

Il proposito è quello di isolare, nel rispetto di questi criteri che ci siamo assegnati, i nuclei tematici più importanti per noi e di sottoporli ad analisi. In questo lavoro di ricongiungimento e di tessitura del filo rosso che ci pare di poter rintracciare da parte a parte del pensiero nietzscheano, ovverosia dal momento giovanile a quello più maturo, sarà importante nel lavoro riconoscere le affinità e le riproposizioni di nuclei tematici giovanili in momenti cruciali della maturità, come se questi nuclei tematici venissero ripresi e trasvalutati tardivamente. Tale è per noi il movimento che si può rilevare più frequentemente da parte a parte nei testi considerati. É questo il percorso che facciamo partendo dalla inattuale sulla storia e arrivando alla Genealogia della morale. Sotto alcuni aspetti, possiamo definire la nostra stessa ottica come genealogica: abbiamo contezza della natura interpretativa del nostro discorso su Nietzsche, ma lo riteniamo rispettoso delle sue intenzioni più originarie e significativo delle stesse, come una genealogia tra le genealogie. Isolare un tratto nella rete di relazioni che va dal testo non pubblicato al contemporaneo pubblicato o da un testo all’altro, che ci fa seguire lo sviluppo dell’embrione frammentario nel testo, significa tracciare una sorta di lignaggio del testo. Muoversi in questo modo è lecito, perché spesso Nietzsche utilizza frammenti e appunti giovanili come materiale di scrittura per testi tardi, maturi o pubblicati molto più in là della loro iniziale stesura. Questo fenomeno, ad esempio, nella prassi nietzscheana di scrittura, o per meglio dire di

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informazione e stilizzazione dei propri pensieri – nel senso nietzscheano della parola ‘stile’– diventa sistematico al momento della revisione di tutte le prefazioni dei testi pubblicati alla fine degli anni Ottanta e alle soglie della scrittura di quella grande autobiografia che sarà Ecce Homo, come anche nella aggiunta a Zarathustra di un quarto libro, per un pubblico di pochi eletti, e alla Gaia scienza di un quinto libro che richiama esplicitamente nel finale lo scenario di apertura, nonché la teoria centrale dello Zarathustra, quella dell’eterno ritorno e della sua annunciazione. Questo è anche il caso ad esempio del primo volume di aforismi di Umano, troppo Umano e della Genealogia della morale: come mettono in evidenza nella sezione Notizie e note Colli e Montinari, Nietzsche annota di aver distrutto molto del materiale preparatorio della Genealogia e di aver fatto confluire parte di quello relativo alla stesura di Umano, troppo umano I e II nel testo del 1887.

Il banco di prova immediato di questi movimenti interni al pensiero nietzscheano è Ecce Homo. In questa singolare autobiografia, in cui il Nietzsche strenuamente antiromantico, per richiamare la postfazione al testo di Roberto Calasso13, sembra concedersi ad uno dei vizi più comuni del romanticismo ottocentesco, ovverosia quello di confessarsi, facendo di se stesso innanzitutto uno spettatore, procurando in scrittura una ostensione teatrale del proprio Ego ipsissim-um14, Nietzsche torna su ognuna delle opere pubblicate. Ecce Homo, la cui stesura finale fu redatta nel 1888 sull’orlo della follia, poco prima del tracollo torinese, è un saggio di pensiero genealogico. Il titolo

13 «Non è il tono imperativo a sorprendere, ma la pretesa di poter presentare se stesso in modo univoco e

anche la maniera brusca, come se quelle parole fossero dette nella stretta di una necessità, nella imminenza di qualcosa di immenso, oscuramente accennato come la più «grave esigenza» che l’umanità abbia conosciuto».Cfr. R. Calasso, Monologo Fatale in F. Nietzsche, Ecce Homo. Come si diventa ciò

che si è, Adelphi, Milano 2005, pp. 154.

14 Nietzsche declina al neutro il pronome dimostrativo, giocando sulla distanza assunta psicologicamente

da se stesso, nello sguardo retrospettivo adottato negli scritti posteriori. Egli evidenzia in questo modo la dimensione oggettuale della propria interiorità: nella scrittura di sé egli diventa s-oggetto a se stesso. Cfr. F. Nietzsche, Umano, troppo umano I, Adelphi, Milano 2010, p. 3: «I miei scritti parlano solo dei miei superamenti: dentro ci sono «io», con tutto ciò che mi fu nemico, ego ipsissimus, anzi addirittura, se è consentita un’espressione più superba, ego ipsissimum».

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completo è: Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è. Il motto pindarico accompagna Nietzsche sin da giovane15, viene riutilizzato con connotazione emersoniana16 e rappresenta l’inconfondibile chiosa di un pensiero che si rivolge a guardare da un certo presente, all’indietro, re-interpretandolo secondo le esigenze più attuali; e, nel caso di Nietzsche, in quel momento la priorità era impedire di essere scambiato dai posteri per ciò che non era. Con Ecce Homo assistiamo ad una genealogia della filosofia nietzscheana, ad un caso particolare ed esemplare di applicazione del pensiero genealogico: Nietzsche genealogizza la storia della sua vita, espone in che modo è diventato ciò che è e, non a caso, in questo saggio di scrittura monologante, in cui si fa prassi dell’arte di scrivere per sé, è ormai in ostensione il corpo reale di Nietzsche, ovvero le sue opere.

1. 1 Il progetto inattuale

La Considerazione Inattuale qui presa in esame è la seconda di una progettata serie mai portata a termine di dodici Considerazioni Inattuali, tra le quali fra l’altro spicca l’abbozzo di una Inattuale che sarebbe stata titolata Noi filologi.

Il programma inattuale travalica gli orizzonti tematici tracciati dalla Inattuale che prenderemo in considerazione più analiticamente. Parafrasando il Colli, che parlava di «un’azione-Nietzsche»17, potremmo più ampiamente rappresentarci questo piano come

15 Cfr. G. Ugolini, Guida alla lettura della «Nascita della Tragedia» di Nietzsche, Laterza, Roma-Bari

2007, p. 30: «Di qui le numerose riflessioni sul suo percorso autobiografico, sulle oscillazioni e le circostanze casuali attraverso cui «si diviene ciò che si è» (un motto che il giovane Nietzsche già usava e che diventò importante per la sua produzione matura)» .

16 Pensiamo con questo al Nietzsche degli inediti del 1862, scritti per gli associati della «Germania»,

Libertà della volontà e Fato, Fato e storia, ma anche al Nietzsche ‘illuminista’ di Umano, troppo Umano,

che si confronta attivamente con lo statunitense Ralph Waldo Emerson.Cfr. AA.VV., Nietzsche e

l’America, ETS, Pisa 2005, in particolare il saggio di B. Zavatta, La passione della grandezza in Nietzsche lettore di Emerson.

17 Cfr. G. Campioni, Sulla strada di Nietzsche, ETS, Pisa 1993, pp.15-16. Nel testo l’autore documenta le

riflessioni di Mazzino Montinari in merito:

«Quello di Colli vuole essere un confronto diretto attento al complesso movimento e percorso del suo pensiero [di Nietzsche]. Per Colli il testo di Nietzsche, nella sua unità e totalità, nella sua integralità, è

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quello dell’ “azione inattuale” di Nietzsche. Si tratta infatti di un progetto molto ampio e radicale di rinascita culturale che inizia a prendere forma già nel Nietzsche di Pforta, come si può desumere dagli appunti giovanili, pubblicati postumi, risalenti alla fine del 1869 e ai primissimi anni settanta. Quello che nelle annotazioni postume di questi anni, tra i vari tentativi autobiografici18, gli abbozzi di drammi, gli appunti di letture e sugli studi classici ha le sembianze iniziali di un vago istinto, quasi adolescenziale, di opposizione alla tradizione19, e che avviene, come forse è fisiologico per il figlio di un pastore protestante, sul terreno della religione dei padri, si consolida lentamente nel tempo e si istituzionalizza in una sua propria fisionomia filosofica, ovverosia critica. Potremmo parlare a riguardo di un vero e proprio “istinto” inattuale e inattualizzante, qualcosa di analogo al thaumàzein aristotelico e che, a nostro parere, va a costituire la scaturigine del suo filosofare, la cifra più originaria di un Nietzsche che si approssima a realizzare la sua identità filosofica per le strade della filologia.

Questo ‘istinto inattuale’, che ci apprestiamo a tematizzare con riguardo allo scritto Sull’utilità e il danno della storia per la vita, è poliforme, nel senso che riguarda molte delle manifestazioni culturali del pensiero non solo tedesco ma, in senso lato, Occidentale: e con ‘Occidentale’ intendiamo riferirci all’orizzonte europeo politico e

capace di un’azione diretta, riflette l’unità primordiale della volontà: dell’individuo Nietzsche inteso come entelecheia. Così scrive Montinari a proposito:

secondo Giorgio Nietzsche è un’apparizione unitaria. Dioniso-Scienza-Eterno ritorno-Volontà di potenza, non sono altro che risposte a uno stesso problema, risposte che nascono dalla “volontà” come fenomeno primitivo (Vita 1, 19 settembre 1963). La stessa vicinanza filosofica tra Nietzsche e Colli, affermata da Montinari all’inizio, viene messa progressivamente in crisi dalla nuova interpretazione – antimetafisica – che avanza con la lettura delle carte di Nietzsche (in particolare i Sorrentiner Papiere).

Giorgio e Nietzsche – scrive Montinari, citato da Campioni – sono simili, anzi Giorgio è forse al di qua di Nietzsche e più verso Schopenhauer. (…) Già la teoria della conoscenza di Nietzsche si allontana molto dalla «classicità» di Giorgio e Schopenhauer. (…) Io ammiro la coerenza di Giorgio, la sua chiarezza – ma sento che manca qualcosa, che qualcosa è rifiutato da lui, che Nietzsche non rifiuta. (Vita 1, 20 settembre 1963)».

18 Cfr. F. Nietzsche, La mia vita. Scritti autobiografici 1856-1869, Adelphi, Milano 1977.

19 Cfr. G. Campioni, Nietzsche. La morale dell’eroe, ETS, Pisa 2009, ove si dà nota dell’attrazione

giovanile di Nietzsche per figure titaniche, eroi di «primitiva e selvaggia grandezza, caratterizzati da metafore che esprimono il loro vigore animale e, già, dal termine ‘sovraumano’». É significativa questa indicazione dello stesso Nietzsche, risalente al 24 agosto 1859, in cui registra le sue impressioni dopo la rilettura dei Masnadieri: «Ieri ho riletto I masnadieri; ogni volta ne traggo una curiosa impressione. I personaggi mi appaiono quasi sovraumani, sembra di assistere ad una lotta di titani contro la religione e la virtù, e tuttavia in questa lotta l’onnipotenza celeste conquista una vittoria infinitamente tragica». Cfr. F. Nietzsche, La mia vita. Scritti autobiografici 1856-1869, cit., p. 65.

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culturale, storico, della Germania bismarckiana che fa il ‘presente’ di Nietzsche, e per quel che concerne il mondo scientifico, si trova alle prese con la rivoluzione darwiniana, in relazione alla quale tutto il mondo delle scienze dello spirito cerca di riorganizzarsi20. L’esordio della azione inattuale avviene per Nietzsche con l’opera David Strauss. L’uomo di fede e lo scrittore, in cui si scaglia contro il tipo del «filisteo culturale», fino allo scritto su Richard Wagner a Bayreuth, passando per l’Inattuale su Schopenhauer come educatore, quasi il protrettico di un entusiasta neofita della filosofia schopenhaueriana21.

Ascoltiamo la rappresentazione della storia delle Inattuali che Nietzsche riporta in Ecce Homo:

Le quattro Inattuali sono una guerra da capo a fondo. Esse stanno a provare che non avevo la “testa fra le nuvole”, che mi piace sguainare la spada – e forse anche che ho il polso pericolosamente sciolto. Il primo attacco (1873) fu per la cultura tedesca, che già allora guardavo dall’alto con inesorabile disprezzo. Senza senso, senza sostanza, senza scopo: nient’altro che “opinione pubblica”. Non c’è equivoco più maligno del credere che il grande successo bellico dei Tedeschi provi qualcosa in favore della loro cultura – e magari la sua vittoria sulla Francia… La seconda Inattuale (1874) mette in luce quanto c’è di pericoloso, di corrosivo e venefico per la vita nel nostro modo di praticare la scienza –: la vita malata a causa di questo ingranaggio e meccanismo disumanizzato, a causa della “impersonalità del lavoratore”, di questa falsa economia della «divisione del lavoro». Si perde lo scopo, ossia la civiltà e il mezzo, cioè la pratica scientifica moderna, viene barbarizzato… In questa dissertazione il “senso storico” di cui va fiero questo secolo, fu riconosciuto per la prima volta come malattia, come segno tipico della rovina.

Nella terza e quarta Inattuale, invece, come accenno a una superiore concezione della civiltà, alla restaurazione del concetto di «civiltà», vengono presentate di fronte due immagini del più duro egoismo, di autodisciplina, tipi inattuali par excellence, pieni di disprezzo sovrano per tutto ciò che intorno a loro si chiamava «Impero», «cultura», «cristianesimo», «Bismarck», «successo» – Schopenhauer e Wagner,

ovvero, in una parola sola, Nietzsche22

La definizione del concetto di inattualità è essenziale nel nostro lavoro. Quello ‘Inattuale’, ‘Un-zeit-gemassig’, dicevamo, è molto più che un progetto editoriale o una

20 Cfr. G. Ugolini, op.cit., p. 35: «Nelle cinque conferenze l’attacco al sistema educativo tedesco, dai

ginnasi alle università, riguardava anche e soprattutto la visione ingannevole e moralista dell’antichità che vi veniva propagata attraverso modelli pedagogici giudicati deteriori. A ciò si accompagnava la concezione stessa della scienza in generale quale si era andata determinando nell’epoca bismarckiana in Germania (eccessiva specializzazione e postulato della funzionalità pratica e sociale dell’impresa scientifica)».

21 Nell’introduzione al testo Colli ebbe a notare: «Questo non è un libro distensivo, non si rivolge a coloro

che leggono per riposarsi. E neppure a chi legge per estendere le sue cognizioni. É uno scritto destinato a chi ha ancora qualcosa da decidere, sulla sua vita e sul suo atteggiamento di fronte alla cultura (…). Se nelle parole di Nietzsche, e, attraverso lui, di Schopenhauer noi cerchiamo la filosofia, la sua voce è ben diversa da quella che abbiamo inteso nelle scuole». Cfr. F. Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Adelphi, Milano 1985, p. XI.

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trovata stilistica; inattuale è la formula, la sintesi filosofica della posizione di Nietzsche rispetto al suo tempo; o meglio: è la posizione filosofico-storica di Nietzsche rispetto al suo tempo. Sono coessenziali a questo concetto la storicità e la temporalità, la determinazione epocale della sua definizione: “Inattuale” è una categoria filosofica, un filosofema nietzscheano alla stessa stregua della teoria dell’eterno ritorno dell’identico, il quale per parte propria, ne è un correlato fisiologico. Per Nietzsche la teoria dell’eterno ritorno è difatti non solo la più scientifica di tutte le ipotesi, ma anche un pensiero selettivo sotto un profilo filosofico-antropologico: quella che sperimenta l’idea di rivivere la propria esistenza eternamente ed identicamente ritornante senza soccombere è un’umanità superiore. Peraltro, egli non si riserva di dimostrare scientificamente l’ipotesi, per quanto essa maturi da studi scientifici accurati23. Come

spesso dirà nei suoi testi maturi, anche il valore di un’ipotesi può agire moralmente: si pensi all’eventualità religiosa dell’inferno e a come questa abbia cambiato la storia dell’umanità.

2. La Nascita della tragedia

Anche Nietzsche accoglie da Goethe, fra i tanti, la definizione di un Ottocento barbarico. La barbarie di cui Nietzsche parla è la barbarie dell’uomo scisso di Schiller e della coscienza infelice di Hegel, e se ne trova un saggio particolarmente chiaro nelle poche righe tormentate di una lettera dello stesso Nietzsche in occasione del paventato incendio al museo del Louvre:

Noi tutti, con tutto il nostro passato, siamo colpevolidi questi orrori, (…) perciò dobbiamo guardarci bene dall’imputare con orgogliosa presunzione il crimine di una lotta contro la cultura solo a quegli infelici. So che cosa significa la lotta contro la cultura. Quando seppi dell’incendio di Parigi, fui per alcuni giorni completamente distrutto dai dubbi e sopraffatto dalle lacrime: tutta l’esistenza scientifica, filosofica e artistica mi apparve una assurdità, interi periodi dell’arte; mi attaccai con la più seria convinzione al

23 Cfr. P. d’Iorio, La Linea e il circolo: cosmologia e filosofia dell’eterno ritorno in Nietzsche, Pantograf,

Genova 1995 ed A. Orsucci, Dalla biologia cellulare alle scienza dello spirito. Aspetti del dibattito

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valore metafisico dell’arte, che non può esistere solo per i miseri uomini, ma deve adempiere missioni più elevate24.

L’interrogativo nietzscheano sulla barbarie, altrimenti posto, riguarda la misura in cui tutto quanto è ‘cultura’ possa riversarsi nel dominio di ciò che è ‘morale’ ed incidervi significativamente, positivamente. Ora, l’intera Genealogia della morale potrebbe essere considerata una risposta a questo interrogativo, affatto essenziale nella filosofia nietzscheana, giovanile e non.

La prima voce che, per Nietzsche, dà espressione a questo senso di distacco critico dal proprio presente è quella schopenhaueriana. Nelle testimonianze epistolari l’incontro di Nietzsche e Schopenhauer è memorabile, come del resto lo sarà quasi contemporaneamente quello con F. A. Lange. Siamo nel 1865 e, quasi per un singolare richiamo elettivo, Nietzsche racconta di aver acquistato, contro le sue abitudini poco frettolose nella scelta di un libro, la prima edizione de Il Mondo come Volontà e rappresentazione25. É dalla lettura di questo testo che il pathos dell’inattualità trova una violenta carica espressiva; ma, prima ancora delle categorie filosofiche, questo stato innanzitutto esistenziale di inattualità cresce e si rinvigorisce sul terreno del mondo filologico e non soltanto ponendosi criticamente rispetto a questioni di tipo tecnico, metodologico o contenutistico: il giovane Nietzsche si ri-conosce in uno schopenhaueriano distacco critico dall’interezza del mondo accademico, e dal suo stile. Prima ancora che con le dodici Inattuali progettate, è dunque con la Nascita della tragedia che Nietzsche ingaggia la lotta inattuale. La Nascita della tragedia è concepita

24 Citato in M. Martelli, Nietzsche “inattuale”, Quattroventi, Urbino 1988, p.133. La lettera in questione è

a Carl von Gersdorff, Basilea, 21 giugno 1871.

25 In realtà, come svela poi D. Fazio, fu un suo collega d’università a suggerirgli la lettura di

Schopenhauer: «Ketterhausen, infatti, ha potuto dimostrare che la sua conoscenza de Il mondo come

volontà e rappresentazione risale almeno al periodo di Bonn e che il demone che gli aveva fatto

acquistare il volume, di cui Nietzsche parla nello Sguardo retrospettivo, è, in realtà, un comune mortale con tanto di nome e cognome. Si tratta del professor Carl Schaarschmidt, che all’università di Bonn insegnava Storia universale della filosofia, le cui lezioni Nietzsche aveva frequentato nel semestre estivo 1865». Questa trasvalutazione artistica e quasi mitologica dell’evento nelle memorie posteriori di Nietzsche trova la sua dignità nell’ottica e cifra stilistica di Ecce Homo. Cfr. D. Fazio, Nietzsche e il

criticismo. Elementi kantiani e neokantiani e critica della dialettica hegeliana nella formazione filosofica del giovane Nietzsche, Quattroventi, Urbino 1991, p. 40.

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nei primi due anni di permanenza a Basilea, quando Nietzsche è ordinario della cattedra di filologia classica per merito del suo mentore e maestro, O. F. Ritschl. La gestazione dell’opera si può ricondurre ad un arco che va dall’aprile del 1869 al gennaio del 1872, periodo in cui «Nietzsche dedica gran parte delle sue energie alla riflessione sull’origine, sulla natura e sulla decadenza della tragedia greca»26. Quando la Nascita

della Tragedia fu pubblicata Nietzsche aveva da poco compiuto ventotto anni e da due ricopriva la cattedra di filologia classica all’Università di Basilea e «in virtù dei suoi lavori filologici si era guadagnato una discreta fama di filologo, apprezzato e stimato dai colleghi dell’ateneo svizzero a partire da Jacob Burchkardt»27. Per quanto la

polemica sull’arte tragica innescata con la pubblicazione della Nascita abbia, sotto molti aspetti e a lungo, intaccato la validità e credibilità scientifica dei suoi lavori, il Nietzsche filologo ha contribuito significativamente ad ampliare il campo delle conoscenze filologiche: è stato ormai dimostrato dalla letteratura sul tema che i suoi lavori hanno piena dignità e diritto scientifico d’essere considerati parte della storia della disciplina28.

Come osserva Ugolini, non possiamo ben dire cosa Nietzsche si aspettasse di ottenere con la pubblicazione della Nascita della tragedia. Nel tentativo di autocritica che appose al testo, in luogo della premessa a Wagner, del 1886, Nietzsche ebbe a osservare del suo libro che:

Detto ancora una volta, oggi è per me un libro impossibile, – io affermo che è scritto male, pesante, penoso, ossessionato dalle immagini e intricato d’immagini, sentimentale, qua e là sdolcinato sino all’effeminato, diseguale nel ritmo, senza volontà di pulizia logica, molto convinto e perciò dispensantesi dal dimostrare, diffidente persino contro la convenienza del dimostrare, come “musica” per coloro che sono battezzati nella musica, che sono uniti dall’inizio delle cose in vista di rare esperienze artistiche [Kunst-Erfahrungen, mette in evidenza Brusotti], in comune, come segno di riconoscimento per consanguinei in artibus 29.

26 Cfr. G. Ugolini, op.cit., p. 3. 27 Ibidem.

28 Ivi, p. 32.

29 Cfr. M. Brusotti (a cura di), Friedrich Nietzsche. Tentativo di autocritica (1886 – 1887), Il nuovo

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Nel tentativo di autocritica Nietzsche avrebbe inquadrato il fuoco che dava prospettiva all’intera architettura di tematiche della Nascita: la scissione tra arte e scienza, il fenomeno per cui, ad una certa soglia di intensità, i rispettivi canoni conoscitivi della realtà si convertano gli uni in quelli dell’altra. Questa rete concettuale dà senso e forma al vortice di quaestiones, nel vero senso latino del termine, affrontate dal giovane filologo. Indiscutibile è sul Nietzsche di questo periodo l’influenza e l’incidenza del pensiero schopenhaueriano e del pensiero, nonché della figura, di un Wagner ancora feuerbachiano, il cui focolare a Tribschen, nutrito dalla presenza di Cosima, è molto frequentato da Nietzsche soprattutto negli anni a Basilea.

Quel che è certo è che Nietzsche aveva concepito la Nascita della tragedia come un plateale attacco alla «filologia classica dell’epoca, ovvero ai metodi che la caratterizzavano (metodo storico, studio asettico delle fonti, mito dell’oggettività, nessuna valutazione di tipo estetico o filosofico, ecc.)»30. La strategia espositiva è rivelatoria di questa posizione, come dire, ideologica, rispondente alla esigenza di rendere vitale il testo e la sua veracità: nella Nascita, come anche in ognuna delle sue pubblicazioni successive fino all’adozione esplicita dello stile aforistico, Nietzsche omette di citare le fonti, identificare le citazioni in quanto tali, con scarsi rimandi a piè di pagina, espone le proprie tesi sull’antichità classica in maniera apodittica, trascurando di mettere in luce i dibattiti che riguardano questioni controverse e sostanzialmente ancora aperte e discusse. Nietzsche esibisce argomentazioni in forma di intuizioni ed adotta un habitus espositivo e argomentativo, nel metodo, nei toni e nelle categorie utilizzate, schopenhaueriano31, come del resto dichiara programmaticamente all’inizio della Nascita:

Avremo acquistato molto per la scienza estetica, quando saremo giunti non soltanto alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità

30 Cfr. G. Ugolini, op. cit., p. 28. 31 Ivi, pp.27-28.

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dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente32.

L’obiettivo polemico era dunque la filologia contemporanea, ma non solo: il giovane docente, venuto da Pforta ed educato in modo militaresco e monacale a disciplinare la giornata e gli studi, incentrati sul mondo dell’antichità e della classicità33, come prima detto, non espone solo obiezioni di carattere contenutistico o di metodo; ciò di cui Ugolini del resto ci avvisa con estrema puntualità, glissando sulla vaghezza del giovane Nietzsche in preda ai suoi furori inattuali, per così dire. Con Ugolini stesso, possiamo avere un sunto della redazione iniziale della Nascita, e seguirne la storia, prendendone le misure dalle diverse redazioni del solo titolo: «la prima edizione del libro – dice Ugolini – uscì all’inizio del gennaio 1872 col titolo completo La nascita della tragedia dallo spirito della musica, pubblicata dall’editore Ernst Wilhelm Fritzsch di Lipsia (…). A distanza di due anni Nietzsche licenziò una seconda edizione con lievi correzioni del testo, stampata in 750 esemplari dallo stesso Fritzsch, ma che non venne messa in vendita a causa del fallimento della casa editrice. Questa edizione poté uscire solo nel 1878 per conto di un altro editore, Ernst Schmeitzner, che aveva rilevato il magazzino di Fritsch. La terza edizione, pubblicata di nuovo presso Fritzsch nel 1886, senza variazioni del testo, con una modifica nel frontespizio e, soprattutto, con un nuovo titolo Nascita della tragedia ovvero grecità e pessimismo e con premesso il Tentativo di un autocritica a sostituzione della Premessa a Richard Wagner»34. Nello spazio di questa modifica non c’è evidentemente solo quello di una distanza temporale: la rinascita della tragedia dallo spirito della musica afferisce ad un progetto di rinascita culturale che deve incidere sulla vita, ovvero (e questa è un’equivalenza peculiarmente nietzscheana)

32 Cfr. F. Nietzsche, La Nascita della tragedia, Adelphi, Milano 1977, p.21.

33 I sei anni di Pforta sono decisivi nella formazione di Nietzsche. La rigorosa divisione della giornata,

l’organizzazione quasi militare, i piani di studio impegnativi hanno una dieta disciplinante, che ha imbrigliato i suoi impulsi caotici e la sua sete faustiana di sapere, quella che più tardi definirà una vera coazione alla conoscenza. Cfr. G. Ugolini, op. cit., pp. 30-31.

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sullo spirito della cultura tedesca contemporanea; la forza rivitalizzante, creatrice e nutrice di miti e illusioni che aiutino a tollerare il peso tragico dell’esistenza o la sua sola cognizione, è la musica wagneriana. Dunque, per quanto con la pubblicazione della Nascita della tragedia, si abbiano di mira ambienti accademici e strumenti di indagine filologici, siamo dinanzi ad un’opera dal respiro molto più vasto che travalica i confini delle micrologie scientifiche: la natura di questo scritto scalza il piano del discorso strettamente teorico e punta dritto alla esigenza di una dieta, di una prescrizione pratica mirante al raccordo tra cultura e vita. Persino la scelta dell’immagine di copertina è significativa a riguardo:

Il contenuto della illustrazione rappresentava il tema del Prometeo liberato – ricorda Ugolini. Vi si vede Prometeo che solleva le braccia, alle quali sono ancora appese le catene appena spezzate, e con un piede schiaccia l’aquila colpita da Eracle. Il volto è teso in una espressione che lascia trapelare ostinazione e voglia di lottare. Il valore simbolico degli elementi di questa illustrazione lo si ricava dalla digressione ottenuta nel capitolo nono della Nascita, nel quale Nietzsche presenta una interpretazione ‘dionisiaca’ del mito prometeico, nel senso che la figura di Prometeo è concepita quale maschera di Dioniso, come campione dell’empietà (il furto del fuoco) e artista titanico. Entro questo schema l’avvoltoio sta a simboleggiare il terrore dell’esistenza, mentre il gesto dell’eroe che spezza le catene corrisponde al piacere creativo dell’artista, e la liberazione di Prometeo è rapportata simbolicamente alla forza erculea della musica35.

Con la pubblicazione della Nascita siamo dunque chiaramente già entro la posizione inattuale: ciò riguarda la filologia e la concezione filosofica che deve accompagnare tale disciplina per conferirle un’unità di piano superiore a quella strettamente afferente i suoi metodi.

2.1 Dalla filologia alla filosofia

Parlando di filologia e Nietzsche, è necessario gettare uno sguardo alla figura intellettuale di Friedrich Ritschl, il maestro che Nietzsche scelse di seguire a Lipsia e la cui influenza fu, stando al Montinari36, essenziale nella vita di Niezsche almeno quanto quella di Wagner. F. Ritschl apparteneva «con tutta la sua natura alla tendenza storica,

35 Ivi, p.21.

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alla considerazione storica delle cose umane»37, come scriveva a Nietzsche il 14

febbraio 1872 in una lettera in risposta all’invio della Nascita della tragedia. Agli inizi dell’attività accademica nel delineare lo scopo della filologia, Ritschl, utilizzando le lezioni di Schelling sugli studi universitari, affermava che la filologia appartiene alle scienze storiche e “alla scienza dello spirito” di contro alla “scienza della natura”: essa «ha per oggetto la vita spirituale, la vita culturale della antichità classica. [E che] Potremmo definire la filologia come storia della civiltà greco-romana». Come evidenzia Montinari, nella contesa tra i «filologi della parola» (Wortphilologen) e i «filologi delle cose» (Sachphilologen), attuale negli anni della sua giovinezza, Ritschl aveva preso posizione contro l’unilateralità rigorista del suo maestro Gottfried Hermann – il quale vedeva nella «lingua» l’oggetto esclusivo della filologia –, senza tuttavia nascondersi le manchevolezze di metodo dei «filologi delle cose» (August Boeck, Friedrich Gottlieb Welcker, Karl ottfried Mueller). La filologia secondo il programma di Ritschl, doveva «abbracciare le singole manifestazioni della letteratura come una catena continua di naturali processi di sviluppo intellettuale, condizionati necessariamente dalla somma delle formazioni politiche, religiose, artistiche, scientifiche e pratiche nella loro totalità, variamente colorati dalle influenze locali e temporali della vita esterna (F. Ritschl, Opuscula philologica, 1879, pp. 151 sg.)»38.

Nella storia del giovane scolaro maturato a Pforta la scelta per la disciplina filologica si inserisce quasi come una zona franca di assestamento in cui egli, insoddisfatto della Facoltà di teologia di Bonn, scelta per volere materno, avverte l’esigenza di contenersi, ammaestrarsi, disciplinarsi altrimenti, ovvero esercitando quel rigore scientifico e quella pulizia che solo lo studio di una disciplina scientifica potevano offrirgli. «L’apprendimento del metodo storico-critico nella lettura dei testi, – come osserva

37 La lettera in questione è citata in M. Montinari, op. cit., p. 53. 38 Ibidem.

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Montinari –, una conoscenza diretta e assai vasta degli autori più importanti dell’antichità greca e latina, il perfezionamento assiduo dello stile, per il quale Nietzsche prende a modello Sallustio, sono da situare in questi sei anni [ovvero gli anni di Pforta]. Nello stesso periodo – aggiunge non a caso Montinari- si delinea anche il distacco dalla religione dei padri»39. Questo fondo inquieto è dominato dunque con la durezza metodologica della filologia che, a ben vedere, permea non solo i ritmi mentali di studio, ma si nutre di una prassi quotidiana che agisce disciplinando spiritualmente il giovane allievo. Eppure, per quanto essenziale, dopo Pforta e arrivando a Bonn40, questo a Nietzsche non basta: le sue considerazioni posteriori sulla scelta per la filologia hanno toni più disincantati; addirittura egli giudica questo tipo di approdo come una rinuncia, una consapevole rassegnazione41.

É così che i toni restano incerti nella prolusione per l’insediamento nella cattedra di Basilea, in cui il giovane professore medita sulla destinazione e la vocazione della professione di filologo. In Omero e la filologia classica troviamo dunque una composta dichiarazione di intenti, programmatica, che riguarda il ruolo, la vocazione e, appunto, la destinazione della professione di filologo. Ciò che la rende diversa da una semplice professione, volendo inquadrare il concetto in termini weberiani, sarà il respiro filosofico. Esso le darà unità e identità, nonché moralità: ricongiungerà la mechanè del metodo, la sua necessaria asprezza, con un obiettivo pedagogico, che assumerà non a caso e proprio per queste ragioni, toni dichiaratamente inattuali.

39 Cfr. M. Montinari, op. cit., pp.35-36.

40 «A Bonn, dunque, Nietzsche non trasse molto profitto dalle lezioni universitarie; solo l’incontro col

rigoroso metodo critico e storico del filologo Friedrich Ritschl doveva indicargli …il modo di uscire dalla sua confusione interiore. Egli si era iscritto come studente di teologia e di filologia per non deludere le aspettative della madre, la quale si attendeva che il figlio sarebbe diventato pastore protestante. Ma fu proprio a Bonn che Nietzsche, aiutato dalla Vita di Gesù di David Friedrich Strauss e in generale dallo studio storico del cristianesimo, decise di chiarire senza riguardi per nessuno la sua posizione e di abbandonare la facoltà teologica». Cfr. M. Montinari, op. cit., p.49.

41 «Quando mi volgo a considerare come sono passato dall’arte alla filosofia, dalla filosofia alla scienza, e

in quest’ambito a interessi sempre più ristretti: la cosa ha quasi l’aria di una consapevole rinuncia». Come scriverà in un frammento degli inizi del 1868.

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Ma ripartiamo dal testo:

Anche a un filologo – scrive Nietzsche nella prolusione – ben si addice di racchiudere il fine delle sue aspirazioni e la via che deve portarvi nella breve formula di una confessione di fede; e lo farò invertendo a questo modo una frase di Seneca:

philosophia facta est quae philologia fuit.

Con ciò si vuole dire che ogni attività filologica dev’essere racchiusa e circondata da una concezione filosofica del mondo, in cui ogni elemento singolo e isolato si volatilizza come qualcosa di riprovevole, finché rimane solo il tutto, quel che è unitario,. E lasciatemi così sperare che, con queste mie opinioni, io non sarò uno straniero tra voi (…)42.

Ora, con la Nascita della tragedia Nietzsche aveva già dimostrato, semplicemente esponendone un saggio, che il raccordo tra filologia e filosofia è già in sé una scelta radicalmente inattuale. E proprio sotto la guida di Ritschl, mentre Nietzsche si occupava delle sue prime pubblicazioni filologiche, nella frequentazione di tali argomenti, egli aveva prediletto quelli spiccatamente filosofici43: per esempio, Diogene Laerzio e la tradizione dossografica o il pensiero di Democrito. «La filologia – nota Ugolini – diviene così in molti casi una via d’accesso verso la filosofia, e il rapporto tra la professione di filologo classico e la costruzione di un’identità filosofica si configura come un processo tutt’altro che lineare». Una delle critiche più gravi mosse in questo frangente da Nietzsche alla filologia è quella riguardante il suo lato «decadente, epigonico», per citare Ugolini. Nietzsche ne biasima la tendenza a perdere un contatto vitale con l’oggetto dei propri studi, ovvero l’antichità classica, accompagnato dall’ esigenza di scotomizzare, lasciar cadere tutti quegli aspetti della antichità, letterari o semplicemente culturali, che non erano commisurabili ad un certo modello precostituito di serenità e compostezza.

Le medesime tematiche riappaiono nella prolusione su Omero e la filologia classica. Qui la trattazione della questione omerica appare quasi collaterale alla più essenziale

42 Cfr. F. Nietzsche, Appunti filosofici 1867- 1869.Omero e la filologia classica, Adelphi, Milano 1993,

p. 246.

(29)

riflessione filosofica sulla filologia: essa è concepita da Nietzsche come un «centauro» in cui convivono scienza e arte. La conseguenza implicita di questa assunzione è però una, principalmente: la filologia decade dallo scranno di prima disciplina, scientificamente autosufficiente, entro il cui orizzonte la positività della azione conoscitiva si realizza moralmente e può diventare prassi: la filologia viene riqualificata come pratica di una «lettura lenta»44, come mezzo per lo studio di discipline e problematiche filosofiche attinenti l’antichità. Questa ri-funzionalizzazione e gerarchizzazione dei rapporti tra filologia e filosofia, che rimarrà tale fino alle posizioni più mature di Nietzsche, cerca di definire una filologia che sia «comprensione generale, a livello anche, e soprattutto, estetico e filosofico, del mondo classico, nel solco di studiosi quali Creuzer, Welcker, K. O. Mueller, Bachofen, Burchkardt»45. L’operazione

così compiuta non è fine a se stessa: in questo giovanissimo Nietzsche si esprime già chiaramente la priorità di delineare una strategia pedagogica che porti alla ricognizione del piano etico (ovvero filosofico) al piano pratico, del piano teorico al piano della prassi. In secondo luogo la permeabilità a tematiche filosofiche permette di trascegliere e veicolare precisi temi filologici, cui la coscienza attuale possa essere più sensibile e ricettiva, evitando che, come considera Ugolini, restino fini a se stessi come puro esercizio di dissezionamento storico46.

44 Cfr. G. Campioni, Leggere Nietzsche: alle origini dell’edizione Colli-Montinari, ETS, Pisa 1992,

pp.162-163. «Nietzsche non rinnegherà mai la difficile arte del leggere bene che il mestiere di filologo gli ha dato pur avvertendo, fin dall’inizio, i pericoli della chiusura esclusiva entro il lavoro polveroso dello specialista. Montinari ricorda l’elogio della filologia nella prefazione del 1886 ad Aurora (ma il tema ritorna più volte specialmente nell’ultimo periodo): “…essa insegna a leggere bene cioè a leggere lentamente, in profondità, guardandosi avanti e indietro, non senza secondi fini lasciando porte aperte, con dita e occhi delicati”».

45 Cfr. G. Ugolini, op. cit., p. 32.

46 É chiaro che al fondo di tale prospettiva agisse l’influsso delle teorie di Schopenhauer, assimilate ed

elaborate in una chiave personale, e imprescindibili per quella concezione artistica che Nietzsche andava definendo e che nella Nascita della tragedia chiamerà «metafisica dell’arte». Accanto a Schopenhauer c’è naturalmente il wagnerismo che non significava soltanto l’apprezzamento della musica e delle teorie di Richard Wagner, ma anche la critica radicale ai modelli educativi predominanti, rispetto ai quali il musicista si presentava come una forza eversiva. Nietzsche sviluppò su quest’ultimo terreno tutta una serie di considerazioni che trovarono vari sbocchi: in parte nel corso accademico del semestre estivo del

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2.2 L’Inattuale incompiuta: Noi filologi

Altri elementi significativi che ci consentano di chiarire in che modo va assestandosi nel giovane Nietzsche questo complicato rapporto tra filologia e filosofia si possono recuperare in alcune pagine di appunti risalenti agli anni 1874-1875, tra i quali, fra l’altro, si rintracciano annotazioni su una progettata inattuale dal titolo Noi filologi. Possiamo sintetizzare, seguendo Ugolini, le direttrici fondamentali di questo gruppo di appunti raccolti sotto un’unica ipotesi progettuale, per quanto incompiuta.

«Sono due i binari fondamentali – scrive Ugolini – lungo i quali corre qui la riflessione: da un lato la definizione del filologo classico odierno (la sua formazione, il suo status, le sue aspirazioni), dall’altro una messa a fuoco del concetto di antichità classica. Emerge una prospettiva per cui la distanza che separa i moderni dal mondo antico è del tutto incolmabile sul piano cognitivo. La possibilità che attraverso l’erudizione filologica si possa colmare quella distanza e conseguire una ricostruzione oggettiva del passato è una pura illusione»47.

L’approccio suggerito da Nietzsche consiste, viceversa, nell’idea di partire dalla realtà di oggi e alla luce di questa comprendere l’antichità. Egli scrive in questi appunti:

É solo dall’impulso del presente che si può ricevere l’impulso verso l’antichità classica.

Questa stessa osservazione ritorna nella seconda Inattuale sulla storia, esprimendo le medesime esigenze: nel volgersi indietro bisogna evitare di indulgere in modelli apologetici e letificanti, e scongiurare la tendenza a creare nell’antichità un rifugio idealizzato per tollerare la realtà presente.

Di questo stesso quaderno di appunti: [3= Mp XIII 6b. (U II 8, 239-200). MARZO 1875] sono da analizzare almeno i frammenti 3 [3], 3[52], 3[62].

1871 intitolato «Enciclopedia della filologia classica», in parte nelle cinque conferenza Sull’avvenire

delle nostre scuole del 1872, e in parte nell’incompiuta Inattuale che voleva intitolare Noi filologi.

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