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L’Inattuale incompiuta: Noi filolog

Nel documento Nietzsche e la coscienza storica (pagine 30-35)

Altri elementi significativi che ci consentano di chiarire in che modo va assestandosi nel giovane Nietzsche questo complicato rapporto tra filologia e filosofia si possono recuperare in alcune pagine di appunti risalenti agli anni 1874-1875, tra i quali, fra l’altro, si rintracciano annotazioni su una progettata inattuale dal titolo Noi filologi. Possiamo sintetizzare, seguendo Ugolini, le direttrici fondamentali di questo gruppo di appunti raccolti sotto un’unica ipotesi progettuale, per quanto incompiuta.

«Sono due i binari fondamentali – scrive Ugolini – lungo i quali corre qui la riflessione: da un lato la definizione del filologo classico odierno (la sua formazione, il suo status, le sue aspirazioni), dall’altro una messa a fuoco del concetto di antichità classica. Emerge una prospettiva per cui la distanza che separa i moderni dal mondo antico è del tutto incolmabile sul piano cognitivo. La possibilità che attraverso l’erudizione filologica si possa colmare quella distanza e conseguire una ricostruzione oggettiva del passato è una pura illusione»47.

L’approccio suggerito da Nietzsche consiste, viceversa, nell’idea di partire dalla realtà di oggi e alla luce di questa comprendere l’antichità. Egli scrive in questi appunti:

É solo dall’impulso del presente che si può ricevere l’impulso verso l’antichità classica.

Questa stessa osservazione ritorna nella seconda Inattuale sulla storia, esprimendo le medesime esigenze: nel volgersi indietro bisogna evitare di indulgere in modelli apologetici e letificanti, e scongiurare la tendenza a creare nell’antichità un rifugio idealizzato per tollerare la realtà presente.

Di questo stesso quaderno di appunti: [3= Mp XIII 6b. (U II 8, 239-200). MARZO 1875] sono da analizzare almeno i frammenti 3 [3], 3[52], 3[62].

1871 intitolato «Enciclopedia della filologia classica», in parte nelle cinque conferenza Sull’avvenire

delle nostre scuole del 1872, e in parte nell’incompiuta Inattuale che voleva intitolare Noi filologi.

Nel frammento 3[3] Nietzsche rimarca la natura pedagogica che è parte della storia della disciplina filologica, ciò che a suo avviso sottopone la scienza al giudizio di «un tribunale superiore»: non solo questo tipo di scienza presuppone per lui l’esistenza di una classe addottrinata e specializzata, letteralmente destinata a produrla, ma è esattamente il legame con questo corpo accademico specialistico e a sé stante, che diventa tanto garanzia della sopravvivenza della disciplina, quanto anche fronte problematico di ri-discussione dei suoi presupposti e della sua destinazione. La titolatura di alcune monografie che vanno ad indagare i rapporti tra la filologia e la filosofia nel giovane Nietzsche, sottolineano il senso di questa sovraesposizione nietzscheana della disciplina filologica ad istanze filosofiche, tanto che non è del tutto tracotante, rispetto all’intenzione nietzscheana, parlare di Philologie als Beruf, richiamando la formulazione weberiana che del concetto di “Be-ruf” sottolinea la componente filosofica, vocazionale, quella della ‘chiamata’48 e mantiene un riferimento

alla classe intellettuale e alle sue condizioni di sviluppo, vita, e perduranza, proprio come Nietzsche annota polemicamente nei suoi appunti sulla classe accademica dei filologi.

Da un punto di vista teoretico per noi è particolarmente rilevante l’appunto 3[52]: qui Nietzsche si esprime riguardo alla «posizione del filologo di fronte all’antichità»: una locuzione che ricorda da vicino quella del discorso turgottiano sul piano per una storia universale, raccolta nell’interrogativo: «Cosa è la storia agli occhi di un filosofo?»49.

Ora, parlare di posizione di un filologo di fronte all’antichità non è parlare in maniera astratta e indeterminata, per parafrasare il Marx dell’ Introduzione ai Lineamenti per la

48Cfr. F. Nietzsche, Frammenti Postumi, Inverno-Primavera 1875-Primavera 1876, Vol. V, Adelphi, Milano 2009, p. 23: «3[3] Contro la scienza della filologia non ci sarebbe nulla da dire: ma i filologi sono anche educatori. Qui sta il problema, per cui anche questa scienza ricade sotto un tribunale superiore. – E poi esisterebbe ancora la filologia, se i filologi non fossero una classe di insegnanti?».

49Ci riferiamo alla parafrasi di Calabi della locuzione turgottiana riguardante il concetto di filosofia della

storia, cfr. L. Calabi, op. cit., p. 19. A sua volta Calabi fa riferimento a R. Finzi (a cura di), Turgot. Le

critica dell’economia politica del ‘57, di uno specialista che, si è costituito un oggetto ideale e metafisico di studio come un singolo, isolato Robinson. In merito alla critica espressa sulla tendenza apologetica di certa parte della comunità scientifico-filologica, che punta ad alterare aspetti del mondo antico incompatibili con i modelli di serenità veicolati da un certo classicismo, come quello winckelmaniano, Nietzsche biasima tanto il movimento che spinge a scotomizzare aspetti dell’antichità «urtanti», quanto il movimento che, analogamente, spinge a «rintracciare nell’antichità ciò che è tenuto in gran conto nella nostra epoca». É molto importante notare come, entrando nel merito della prassi storiografica di definizione della antichità, Nietzsche riscontri una componente, quasi una dinamica ermeneutica di proiezione di elementi della modernità, che definisce degradata: quello che per noi è essenziale però a questo livello è la struttura del discorso o meglio gli snodi di articolazione del discorso: si dice «la nostra epoca», «modernità», «antichità», «filologia», intesa come disciplina storica di studio della antichità. É ben definito il quadro storico-epocale di posizione del discorso, ovvero di posizionamento di quella figura di filologo: per parafrasare Löwith, dalla “vetta della modernità”50 (storicamente ben circoscritta perché Nietzsche usa il termine

‘epoca’), questo sguardo, storico, si rivolge, e con pretesa di scientificità, verso l’antichità considerata classica51.

50 Cfr. K. Löwith, Jacob Burchkardt. L’uomo nel mezzo della storia, Laterza, Bari-Milano 2004, p. V.

Parlando dei presupposti burchkardtiani dello studio della storia, scrive Löwith: «Questa libera valutazione [della vita] si raggiunge da “un punto archimedeo”che si trova al di fuori dei puri eventi e il punto di partenza per una storia vista da questa prospettiva è l’uomo che soffre e che agisce “com’è, come è sempre stato e sempre sarà”» .

51 Cfr. F. Nietzsche, Frammenti postumi, Inverno-Primavera 1875-Primavera 1876, cit., p. 40: «3[52] La

posizione del filologo di fronte all’antichità è di colui che vuol scusare, oppure di chi è ispirato dall’intenzione di rintracciare nell’antichità ciò che è tenuto in gran conto dalla nostra epoca. Il punto di partenza giusto è quello inverso, consiste cioè nel prendere le mosse dalla comprensione della follia moderna e nel guardare indietro – molte cose urtanti dell’antichità si presentano allora sotto la luce di una profonda necessità.

Ci si deve rendere conto che noi ci comportiamo in modo del tutto assurdo quando difendiamo e discolpiamo l’antichità: che cosa mai siamo noi!».

Le stesse questioni si fanno teoreticamente più cariche, più dense nell’appunto 3[62], sempre appartenente allo stesso quaderno e allo stesso momento della vita e del pensiero di Nietzsche: un momento giovanile, certo, alle soglie dell’apertura definita da una parte di letteratura “illuministica”, ma ancora all’ombra della “metafisica dell’arte” teorizzata nella Nascita, e, quindi, ancora pregna di categorie schopenhaueriane e wagneriane.

Questo appunto sembra assumere toni diltheyani: Nietzsche tratteggia una vera e propria ‘fenomenologia della coscienza filologica’, come coscienza storica del presente in funzione della sua posizione rispetto alla antichità, e lo fa partendo dal valore della esperienza vissuta; «Erlebniss» è non a caso il termine utilizzato da Nietzsche nel testo in tedesco. Nella esposizione di questo movimento, però si incappa in una antinomia: la antinomia della filologia, «Die Antinomie» nel testo tedesco, come Nietzsche osserva in toni kantiani. In cosa consiste questa intima contraddizione? É nelle condizioni di possibilità di questa esperienza moderna della antichità attraverso il sapere filologico? Analizziamo i termini in questione: «Se la filologia è scienza riguardante l’antichità – dice Nietzsche – (…) il suo materiale è destinato ad esaurirsi». Ma quello che è eternamente alimentabile, da un punto di vista esperienziale, è l’«accomodamento (die Accomodation) di ogni epoca (jeder Zeit) all’antichità»: considerato che «l’esperienza vissuta» è il presupposto irrinunciabile, anzi, più propriamente, «incondizionato» (die unbedingte Voraussetzung), di ogni filologo, nel movimento di ap-prensione e com- prensione oggettuale dell’antichità, e che quell’accomodamento (ovvero il «misurarsi rispetto a quest’ultima», quindi è in gioco una questione di identificazione), consta in sostanza di quella esperienza, dove sta il paradosso? Nel cercare di spiegare in base ad un concetto anacronistico di antichità, ottenuto cioè dalla sussunzione di quanto è antico a categorie storicamente posteriori come quelle moderne, ciò che è moderno. Di più:

l’esperienza moderna non è in grado, come si riferiva nell’aforisma 3[52], di essere assimilata a quella del mondo antico, il divario tra i due momenti è incolmabile. «Essere uomo» in questo caso per Nietzsche non è una astrazione indeterminata: certo, il concetto afferisce a tutta una economia patetica, di determinazioni etiche e affezioni psicologiche, emotive, che spesso anche nel pensiero tardo vanno a confluire nella caratterizzazione filosofico-antropologica dell’uomo moderno. Ma l’umanità in questione è un’umanità già del tutto inattuale: solo chi matura il proprio impulso verso l’antichità dalle proprie esperienze vissute, e dal presente, come è assodato che debba essere, ma senza che questo impulso sia professionale, legato cioè agli interessi di una classe intellettuale di specialisti, «filistei della cultura», questo impulso potrà essere autentico, non solo in senso scientifico ma anche in senso sapienziale. Sembra che siamo ancora alle soglie di un pensiero aristotelico, che parla della necessità di essere liberi dal lavoro per poter pensare, e pensare liberamente; ma sembra anche di essere vicini alla opposizione della seconda Inattuale tra arte e vita e saggezza52.

Leggiamo dunque il testo:

3[62] La filologia, in quanto scienza riguardante l’antichità, non ha naturalmente una durata eterna, e il

suo materiale è destinato a esaurirsi. Inesauribile è invece l’accomodamento di ogni epoca all’antichità., il misurarsi rispetto a quest’ultima. Se al filologo si propone il compito di intendere meglio la sua epoca mediante l’antichità, tale compito risulta eterno. – Ecco l’antinomia della filologia: in realtà si è sempre compresa l’antichità partendo dal presente – e ora si dovrà comprendere il presente partendo

dall’antichità? O meglio: si è spiegata l’antichità in base alle esperienze vissute, e in base all’antichità

così ottenuta si sono stimate e valutate le esperienze vissute. In tal modo l’esperienza è senza dubbio il presupposto incondizionato per un filologo. Ma ciò significa anzitutto essere uomo, e soltanto in seguito si sarà fecondi come filologi. Di qui segue che gli uomini anziani sono adatti a essere filologi se nell’epoca più ricca di esperienze della loro vita non sono stati filologi.

Ma in generale è solo dalla conoscenza del presente che si può ricevere l’impulso verso l’antichità

classica. Senza questa conoscenza – donde mai potrebbe giungere questo impulso? Se si guarda a come

siano pochi i filologi al di fuori di coloro che vivono della filologia, si può giudicare quale sia in sostanza questo impulso verso l’antichità: quasi non esiste.

Il compito deve essere posto così: sottrarre alla filologia il suo generale influsso educativo.

Mezzo: limitazione della classe dei filologi; rimane dubbia l’opportunità di mettere la gioventù in contatto

con essa. Critica del filologo53.

52 Cfr. F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi, Milano 1974, pp. XI-XV. 53 Cfr. F. Nietzsche, Frammenti postumi, Inverno-Primavera 1875–Primavera 1876, vol. V., cit., pp. 43-

In pochi schizzi è abbozzata una fenomenologia, dicevamo, della coscienza storica del filologo, contando sulla mediazione della sua Er-lebniss. Il dato interessante è che è il presente, inteso come orizzonte storico-epocale, l’unico punto focale che possa dare prospettiva allo studio della antichità. Per mondare la prassi filologica di comprensione della antichità dai suoi paradossi, dalla sua mechanè antinomica è necessario secondo Nietzsche svincolarla dal suo «influsso educativo», ovverosia svincolarla da quelle interpretazioni moralizzate, come si notava nell’appunto precedente, che recidono quei tratti del mondo antico urtanti e incomprensibili ad una sensibilità moderna. Il mezzo per tramite del quale Nietzsche perseguirà questo compito è una critica della figura del filologo; il suo obiettivo di divaricazione ed in-attualizzazione della modernità rispetto all’antichità, per promuovere appunto un riavvicinamento meno parossistico tra le due, è tale da mirare a:

3[68] (…) provocare una completa inimicizia fra la nostra attuale «cultura» e l’antichità. Chi vuol servire

la prima deve odiare la seconda54.

Un’ultima considerazione meritano questi appunti. Non è casuale qui la ricorrenza di un indagare filosofico che preluda alla più ampia operazione di critica della figura del filologo e che inizia ad attuarla puntando alla ricostruzione della «genesi» del filologo. Questo a testimonianza del fatto che, per quanto si possa anche fruttuosamente tracciare la fisionomia di un Nietzsche antistoricista, schopenhaueriano, è innegabile che, soprattutto da un certo momento in poi della sua vita, emerga e si consolidi un fronte storico di esperienza filosofica del reale.

Nel documento Nietzsche e la coscienza storica (pagine 30-35)