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Il compito dello storico: «oggettività» come Erlebniss dello storico e storiografia come opera d’arte

Nel documento Nietzsche e la coscienza storica (pagine 69-71)

3. Sull’ utilità e il danno della storia per la vita

3.7 Teoria della storiografia

3.7.1 Il compito dello storico: «oggettività» come Erlebniss dello storico e storiografia come opera d’arte

Se la coscienza storica del presente è il terreno comune di articolazione e innervazione di ogni discorso sul rapporto tra storia e vita, altrettanto importante è soffermarsi a considerare la fenomenologia di questa coscienza, per parafrasare una nota formulazione filosofica. Il risultato cui approderà Nietzsche riguarda la constatazione del carattere interpretante di ogni forma di coscienza, legato anche alla sua imprescindibile natura rammemorante e, dunque, rappresentativa.

La scrittura della storia passa difatti per l’esperienza storica dello specialista. Come era nel caso del filologo, che si rapportava all’antichità, attraverso un filtro esperienziale individuale, così lo storico informa la sua esperienza del passato attraverso categorie attinte alla propria coscienza individuale. L’«oggettività» scientifica in cui la moderna storiografia trova uno dei principali canoni metodologici, non è altro che la risultante di una operazione di com-misurazione di altre epoche rispetto al presente.

Questi ingenui storici chiamano «oggettività» il commisurare le opinioni e le azioni del passato alle opinioni correnti del momento: in queste ultime essi trovano il canone di tutte le verità; il loro lavoro è quello di adattare il passato alla trivialità attuale. Per contro essi dicono «soggettiva» ogni storiografia che non prenda come canoniche quelle opinioni popolari110.

Si annida in questa prassi non solo un errore di metodo, ma il presupposto teoretico errato che si dia una oggettività in senso scientifico, assimilabile al modello naturalistico o delle scienze esatte: l’illusione cioè che storicamente si possa restituire l’essenza empirica delle cose.

E non entrerebbe, perfino nella più alta interpretazione della parola «oggettività», un’illusione? Con questa parola si intende allora uno stato dello storico, in cui egli contempla un avvenimento in tutti i suoi motivi e in tutte le sue conseguenze in modo così puro, che esso non fa nessun effetto sul suo soggetto: si intende quel fenomeno estetico, quel distacco dall’interesse personale con cui il pittore, in un paesaggio in tempesta, fra lampi e tuoni, o sul mare agitato, vede la sua immagine interiore; si intende la completa immersione nelle cose: è tuttavia una superstizione il credere che l’immagine che le cose mostrano in un uomo siffattamente disposto restituisca l’essenza empirica delle cose111.

110 Ivi, p. 50. 111 Ivi, p. 51.

Se l’oggettività dello storico non può teoreticamente avere a che fare con la giustizia storica, perché ogni coscienza giudicante è in fondo una coscienza interpretante, il fenomeno storico scientificamente restituito è immorale, svincolato da canoni etici, è dunque in toto un fenomeno estetico, e lo storico nel suo compito molto più vicino ad un autore drammatico che non uno scienziato.

Pensare la storia oggettivamente a questa maniera è il tranquillo lavoro dell’autore drammatico: in ciò consiste nel pensare tutte le cose in un rapporto reciproco, nell’intessere ciò che è isolato in un tutto, dappertutto con il presupposto che si debba porre nelle cose un’unità di piano, quando non vi è contenuta. Così l’uomo tesse la sua tela sul passato e lo doma, così si manifesta il suo istinto d’arte – ma non il suo istinto di verità, il suo istinto di giustizia. Oggettività e giustizia non hanno niente a che fare tra loro. Si potrebbe pensare una storia che non avesse in sé neppure una goccia della comune verità empirica e che tuttavia potesse al massimo grado accampare diritti al predicato dell’oggettività112.

Se la storia si scrive seguendo un istinto, se la spinta ad interrogare il passato è in realtà rispondente ad un bisogno del presente, solo una personalità superiore e non una debolmente rassegnata alle ristrettezze presenti, solo una forza plastica fortificata dagli impulsi ascendenti e creativi, non ossificanti e analitici, potrà essere sensibile alle spinte simili che emergono dall’interrogazione del passato. Ecco dunque che il mestiere dello storico è totalmente trasvalutato: ricollocato nella dimensione artistica e poietica, svincolato da quella scientifica, sembra precipitato in una interrogazione oracolare del passato:

Solo con la massima forza del presente voi potete interpretare il passato: solo nella più forte tensione delle vostre qualità più nobili indovinerete ciò che del passato è degno di essere conosciuto e preservato ed è grande.(…) Dunque, la storia la scrive colui che è esperto e superiore. Chi non ha vissuto qualcosa in modo più grande e alto di tutti, non sa neppure interpretare niente di grande e alto del passato. Il responso del passato è sempre un responso oracolare: solo come architetti del futuro, come sapienti del presente, voi lo capirete 113.

Questa caratterizzazione estetica della storia è più di un retaggio della metafisica artistica che Nietzsche teorizza nella Nascita della tragedia: essa inizia a svelare i presupposti teoretici che definiscono l’idea di coscienza in Nietzsche stesso. Tale idea è in imprescindibile funzione della dimensione temporale, e dunque storica; inoltre, la sua

112 Ibidem. 113 Ivi, p. 55.

costituzione di forza plastica, che si svolge per rappresentazioni, la assimila ai modi di un continuo processo ermeneutico dei presunti «dati di fatto».

In tali effetti alla storia si contrappone l’arte: e solo quando la storia sopporta di essere trasformata in opera d’arte, cioè di diventare pura creazione d’arte, essa può forse conservare istinti – o perfino suscitarli. Ma una tale storiografia contraddirebbe in pieno il carattere analitico e antiartistico del nostro tempo, anzi verrebbe da questo sentita come una falsificazione 114.

Mentre si enuncia la concezione estetica del fenomeno storico, che lo avvicina allo stimato collega basileese Burchkardt, e lo oppone ad ogni concezione filosofico- storica teleologica di stampo hegeliano, Nietzsche apre un orizzonte ricchissimo di riconsiderazione del dominio classico definitorio della coscienza. Essa è concrezione di impulsi e istinti, ma soprattutto è forza plastica, connessa agli stati fisiologici, di un individuo o di un popolo. Essa è tale perché è il crocevia di istanze simboliche e rappresentative che si snodano a partire da un presente verso il passato, ma – e questo è essenziale – solo in vista di un tempo futuro. In tono schilleriano, e abbiamo in mente lo Schiller delle Lezioni sulla filosofia della storia, non si determina in via preventiva l’epoca prossima: siamo dunque evidentemente fuori da uno schema di filosofia della storia classicamente inteso. Si determina però una apertura futurista, anzi: è esattamente l’esigenza di restituire una dignità culturale, in qualche modo facendola rinascere dal passato, all’umanità futura che anima l’intento inattuale. É esattamente questa apertura al futuro che scatena la lotta di Nietzsche contro il suo tempo.

Nel documento Nietzsche e la coscienza storica (pagine 69-71)