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il monitoraggio della continuità aziendale e il sistema di allerta preventiva: backtesting dell'efficienza dei metodi proposti

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Tesi di Laurea Magistrale in Consulenza

Professionale Alle Aziende

Titolo:

Il monitoraggio della continuità aziendale e il

sistema di allerta preventiva: backtesting

dell’efficienza dei metodi proposti

Relatore: Candidato:

Prof. Roberto Verona Diletta Vianello

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INDICE

Introduzione………4

Capitolo Primo: La crisi dell’impresa e l’allerta interna 1.1. Definizione di rischio, di insolvenza e crisi d’impresa………7

1.1.1 Definizione di rischio...7

1.1.2 Definizione di insolvenza...8

1.1.3 Definizione di crisi d’impresa...9

1.2. La procedura di allerta……….10

1.2.1. La legge delega n. 155/2017...10

1.2.2. L’allerta: la genesi...13

1.2.3. L’allerta: iter tecnico...15

1.2.4. L’allerta: i benefici per l’imprenditore...16

1.2.5. L’allerta: criticità...17

1.3. La pianificazione come strumento di prevenzione della crisi…………18

1.3.1. L’importanza della pianificazione...18

1.3.2. La Pianificazione della PMI...20

1.4. Il ruolo del collegio sindacale nella crisi di impresa………..20

1.4.1. Le funzioni di vigilanza del collegio sindacale...22

1.4.2. Soglie ridotte per l’obbligo di nomina del collegio sindacale nelle S.r.l...23

1.4.3. L’Art 2409 C.C. torna applicabile anche alle S.r.l...26

1.4.4. La responsabilità dell’organo di controllo interno...27

1.5. Il ruolo del revisore nella crisi di impresa………..29

1.5.1. La riforma della revisione legale...29

1.5.2. L’attività svolta dal revisore in caso di crisi di impresa...31

Capitolo Secondo: Metodologia di analisi alla luce del Quaderno nr. 71 del ODCEC di Milano “Sistema di allerta interna” 2.1. Premessa……….36

2.2. La proposta operativa dell’ODCEC di Milano………...39

2.2.1 Adeguata verifica (early warning)...41

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2.2.5 Analisi Economico-Finanziaria...54

2.2.6 Analisi qualitativa...58

2.2.7 Valutazione finale...62

2.3. Procedura operativa semplificata………...63

2.4. Lo Z-Score: un valore sintetico di raffronto………..69

2.4.1 Cenni introduttivi...69

2.4.2 Il calcolo numerico...71

2.4.3 Risultati e limiti del modello...75

Capitolo Terzo: Analisi applicativa su campione di imprese fallite 3.1. Approccio applicativo……….78

3.1.1 Il segmento della metodologia di analisi...78

3.1.2 Lo Z-score ai fini della tesi...86

3.2. Applicazione dell’analisi……….87

3.2.1 Esempio esplicativo (modello standard)...87

3.2.2 Campione selezionato e risultati numerici...100

3.3. Grafici degli andamenti………..131

3.3.1. Grafici del segmento di metodologia di analisi selezionato...131

3.3.2. Grafico dell’indice Z-Score...134

3.4. Valutazioni di sintesi……….135

Conclusioni………...138

Appendice……….140

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Introduzione

Nella situazione economica attuale, la crisi di impresa è un argomento molto discusso e di grande rilevanza. In questa tesi cercheremo di analizzarlo in ottica preventiva, ovvero attraverso il monitoraggio della continuità aziendale e la verifica dei sistemi di allerta interna dell’azienda, analizzando quindi la capacità della stessa di riuscire ad individuare situazioni di crisi e, dunque, le possibili azioni da intraprendere al fine di prevenire e curare un contesto di difficoltà. Nel primo capitolo cercheremo di fornire un quadro generale delle situazioni in cui può versare l’impresa e ci focalizzeremo su cosa si intende per crisi di impresa così da introdurre l’istituto di allerta, procedura stragiudiziale, prevista dalla Legge Delega 155/2017, che ha inserito questo strumento, denominato “procedura di allerta”, al quale si potrà ricorrere in presenza di determinati parametri e caratteristiche.

Infine tratteremo il ruolo del collegio sindacale e del revisore, soggetti a cui appartiene la funzione di vigilanza e controllo dell’impresa e, dunque, attori con un ruolo sempre più determinante nella prevenzione della crisi.

Nel secondo capitolo analizzeremo nel dettaglio una proposta operativa per il monitoraggio della continuità aziendale, quella edita nelle linee guida del Quaderno 71 “Sistemi di allerta interna” dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e Esperti Contabili di Milano in due diverse versioni: una ordinaria e una semplificata.

La prima appare più completa in quanto tratta l’argomento in modo complessivo, prendendo in considerazione più punti di vista; mentre la semplificata è circoscritta a poche, ma necessarie fasi.

Tali metodologie si differenziano anche dal punto di vista delle imprese a cui sono destinate, infatti, se l’ordinaria è più funzionale a imprese strutturate, la semplificata è indicata in quelle realtà che hanno contesti aziendali meno articolati quali la piccola e media impresa.

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Successivamente parleremo di un indicatore, lo Z-score, un calcolo matematico che non è di recente applicazione, ma che nella prassi sembra efficace a indicare se un’impresa si trova o meno in stato di crisi.

Dunque attraverso un’analisi teorica, ma concretamente applicabile nella pratica, cercheremo di individuare alcuni metodi che consentono di determinare lo stato dell’impresa e, quindi, intervenire conseguentemente con le modalità e l’istituto di cui abbiamo parlato nel primo capitolo.

Nel terzo ed ultimo capitolo effettueremo un backtesting su un campione di imprese dichiarate fallite con l’obiettivo di dimostrare che tali imprese nel triennio antecedente il fallimento davano già segnali di crisi.

Infatti, applicheremo un segmento selezionato della metodologia di analisi proposta e cercheremo di provare che le imprese versavano già in uno stato di crisi, dunque, se fossero state monitorate e intraprese delle azioni per ripristinare tali condizioni, quale l’istituto di allerta, auspicabilmente avrebbero potuto continuare la propria attività e, quindi, non arrivare a dichiarare il fallimento. In supporto di questa attività operativa abbiamo anche utilizzato un modello Excel, modello che è stato previsto dalla “Guida Operativa” Ipsoa e che mira a individuare con tempestività i segnali di crisi per consentire i necessari interventi utili a prevenirla.

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La crisi dell’impresa e l’allerta interna

1.1. Definizione di rischio, di insolvenza e crisi d’impresa

Per affrontare in maniera appropriata la tematica della crisi di impresa da un punto di vista aziendalistico e giuridico, è necessario, preliminarmente, darne una definizione generale, distinguendola da quello che, invece, è lo stato di insolvenza.

1.1.1 Definizione di rischio

Un accadimento futuro può avere manifestazioni positive o negative, che possono essere statisticamente descritte da una determinata distribuzione di probabilità.1

Il rischio, in generale, è il possibile evento negativo di tale fenomeno aleatorio, ovvero una variabile causale.

In questa tesi il rischio preso in esame è il rischio di insolvenza (default risk), che deve essere considerato come l’evento aleatorio negativo, riferito ad una situazione futura, che si sostanzia in termini aziendalistici nello stato di un soggetto debitore nel momento in cui questi è impossibilitato ad adempiere in modo regolare e tempestivo alle proprie obbligazioni. E più nello specifico vogliamo analizzare come prevenire tale stato.

Il rischio di insolvenza è legato alla probabilità della stessa, infatti non è altro che la misura quantitativa, che sta tra 0 e 1, del rischio di insolvenza aziendale. La probabilità di insolvenza si può essere determinare prendendo un intervallo che di norma è di uno, tre o cinque anni.

Il soggetto deputato alla sua determinazione, che sarà anche il soggetto chiave dei prossimi paragrafi, è il sindaco o il revisore della società, il quale dovrà valutare, nei limiti delle proprie funzioni, se c’è o meno la possibilità che l’impresa diventi insolvente.

1Definizione proposta dalla Commitee of sponsoring organizations of treadway commission (CoSo) nel report – Internal Control Integreted framework

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La probabilità d’insolvenza può essere calcolata attraverso un approccio statistico-matematico con modelli e programmi creati appositamente; infatti attualmente esistono diversi software per l’analisi di merito creditizio, che

consentono di valutare la PD anche multi-periodale2. Oppure si può calcolare

attraverso un approccio più soggettivo. Infine, l’approccio più corretto, che è anche quello suggerito dalle regole di vigilanza prudenziale bancaria, dalla recente regolamentazione dell’UE in materia e conforme al nuovo principio IFRS9 è quello misto, ovvero si utilizzano prima tecniche statistiche e solo successivamente ci sarà un giudizio professionale correttivo e integrativo del sindaco o revisore.

1.1.2 Definizione di Insolvenza

Il termine insolvenza denota lo stato di un soggetto debitore, che sovraindebitato, non è più in grado di soddisfare regolarmente e tempestivamente le proprie obbligazioni. Una puntuale definizione tedesca conferisce al termine di insolvenza una duplice accezione: l’incapacità di pagare (Zahlungsunfàhigkeit) se riferito alla persona del debitore e il sovra indebitamento (Uberschuldung) se riferito al patrimonio. Secondo la nostra definizione legislativa, ai sensi dell’Art 5 della L.F. (Regio Decreto n. 267/42): “ lo stato di insolvenza si manifesta con

l’inadempimento, ed altri fattori esterni, i quali dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”; ovvero si tratta

di un’impossibilità irreversibile e manifesta che porta a non garantire il mantenimento della Continuità Aziendale. Infatti lo stato di insolvenza che si manifesta in un’impresa, in genere, è antecedente all’interruzione della continuità aziendale. In tal senso, la segnalazione di un aumento del rischio di impresa e, quindi, la prevenzione dello stato di insolvenza, rientra tra i compiti assegnati dal Codice Civile agli organi di controllo della Governance a salvaguardia della continuità aziendale prevista dall’Art 2423bis c.c. e disciplinato dal principio di Revisione ISA Italia 750.

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E’ proprio in relazione a questo concetto che si può andare a definire ora lo stato di crisi di impresa, che sarà poi oggetto, fulcro dei prossimi paragrafi e sul quale si sostanzia la nostra analisi.

1.1.3 Definizione di Crisi di Impresa

In virtù della nostra futura focalizzazione sulla crisi di impresa, sembra opportuno ora darne due differenti definizioni, una economico-finanziaria ed una sul piano giuridico:

a) Definizione economico-finanziaria

Lo stato di crisi di impresa può essere considerato come un venire meno delle circostanze che portano in senso dinamico un equilibrio economico e finanziario a valere nel tempo; cioè l’impresa non riesce a generare in modo continuativo un adeguato flusso di cassa operativo. La sua capacità di generare liquidità dovrebbe essere tale da permettere di adempiere ai debiti contratti in modo regolare, ovvero riuscire a coprire tutte le uscite di cassa, che non hanno natura straordinaria, quindi si possono far coincidere soprattutto con impegni contrattuali con enti finanziari (es. banche) oppure erariali (per imposte, tasse, ecc.).

Una puntuale definizione aziendalistica della crisi di impresa ci viene inoltre fornita da A. Quagli: “…la crisi è descritta come un processo che trae origine da

fattori che possono essere molteplici e che si aggravano più o meno gradualmente per poi, all’atto finale, sfociare in insolvenza. Tale accento sulla involuzione progressiva è giusto e doveroso. Tuttavia, proprio l’idea fortemente radicata negli aziendalisti della dinamica gestionale, tende forse a scoraggiare delimitazioni puntuali del fenomeno in parola”3.

b) Definizione Giuridica

Il legislatore, in realtà, non ha mai definito cosa intende per “crisi”. E questa è una questione rilevante perché, oltre ad essere il presupposto per attivare le

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procedure volte a scongiurare il fallimento, spesso vengono affidati incarichi giudiziali a periti ed esperti volti a determinare il momento nel quale si verifica l’inizio della crisi di impresa.

Purtroppo nella prassi succede sovente che il momento di inizio della crisi di impresa coincida con la grave insolvenza. La nostra tesi ha proprio lo scopo di capire quando e come determinare tale stato di crisi al fine di poter azionare nel modo più produttivo possibile strumenti extragiudiziali che permettano di evitare il fallimento dell’impresa e, quindi, tutte le conseguenze annesse sia all’impresa che all’imprenditore.

Infatti, qualora non venga identificata la fase della “crisi di impresa” nel momento in cui questa è già presente, ma solo in un momento successivo, quando in realtà si sta già parlando di “stato di insolvenza”, vengono vanificati gli istituti pre-fallimentari, che mirano a risanare l’impresa salvaguardandone la continuità aziendale prima che inizino aggressioni al patrimonio da parte dei creditori insoddisfatti con un’eventuale conseguente liquidazione dell’impresa.

1.2. La procedura di Allerta

Con la Legge Delega n. 155/2017 vogliamo introdurre alcune novità sostanziali riguardanti la materia fallimentare. Una di queste è la “procedura di allerta”, che qualunque sia il modo con il quale sarà declinata, dovrà essere azionata nello stesso momento in cui entra in crisi l’impresa.

1.2.1 La legge Delega n. 155/2017

La Commissione Rordorf4 ha elaborato un primo disegno di Legge Delega

rubricato con il n. 3671: “Delega al Governo per la riforma delle discipline delle crisi di impresa dell’insolvenza”. Tale disegno è stato presentato dal Governo in

4La commissione Rordof, istituita il 28/1/2015 con decreto del ministero della giustizia e insediata il

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Parlamento nel marzo 2016 e, nel corso del suo iter parlamentare, è stato modificato e nuovamente rubricato al n. 3671bis-A.

L'Assemblea della Camera lo ha approvato il 1° febbraio 2017, poi è passato al Senato che ha approvato definitivamente il DdL. n. 2681 l’11 ottobre 2017. Infine è stata pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale n. 254 del 30 ottobre 2017, la Legge Delega 19 ottobre 2017, n. 155, recante “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza”.

Al Governo sono stati concessi dodici mesi per adottare uno o più decreti legislativi, dando così corso alla riforma organica delle procedure concorsuali previste.

La Legge Delega mira a predisporre alcuni strumenti da utilizzare nel momento in cui vi è sentore di una crisi di impresa, cercando così di superare tale condizione di difficoltà, dunque evitare che l’impresa diventi insolvente e abbia come unica soluzione possibile l’istanza di fallimento.

Quanto legislativamente previsto è stato influenzato anche dalla normativa

europea, in particolare dalla Raccomandazione 2014/135/UE5 della Commissione

Europea del 12 Marzo 2014 e il Regolamento 2015/8486 del 20 Maggio 2015.

Inoltre ha avuto delle influenze anche dalla linee guida internazionali, con i modelli elaborati in materia di insolvenza dalla commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciali internazionale UNCITRAL.

Questa legge delega ha sicuramente il vantaggio dalla sua di affrontare alcuni temi tra i più dibattuti di questi anni riguardo alla crisi di impresa; di contro però appare anomalo che si inserisca in un contesto che ancora è disciplinato da una legge del 1942 (Regio decreto 19/03/1942 n267, la Legge fallimentare), mentre gli altri stati dell’Unione Europea sono regolate da legislazioni più aggiornate sull’insolvenza in chiave con quello che è la situazione del mercato e le esigenze degli investitori nazionali e internazionali.

5Raccomandazione con il duplice obiettivo di: incoraggiare gli Stati membri a istituire un quadro

giuridico omogeneo che consenta la ristrutturazione efficace delle imprese in difficoltà finanziaria e di dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti, promuovendo l’imprenditoria, gli investimenti e l’occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno.

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È doveroso precisare che la legge fallimentare ha subito più modifiche, dettate da diversi interventi nel corso degli anni (es. riforma Vietti), ma mai siamo riusciti con questi aggiustamenti a giungere ad un’unica disciplina organica e al passo con il tempo. Infatti si legge un grosso divario tra quelle che sono le disposizioni rimaste invariate e le modifiche operate negli anni.

Questa legge delega ha una portata decisamente rilevante, possiamo addirittura dire che si parla di una riforma organica.

La riforma in pillole:

 mira a sostituire il termine “fallimento”, che troppo spesso è stato concepito

in senso dispregiativo, con il termine “liquidazione giudiziale”;

 ha come obiettivo quello di permettere di svolgere una procedura unitaria per

la trattazione dell’insolvenza delle società del gruppo;

 vuole incentivare tutti gli strumenti di composizione stragiudiziale della crisi

già disciplinati;

 vuole assecondare, guardando sempre più ad un’ottica di continuità aziendale,

che è pregnante in tutta le legge delega, sempre di più il concordato con continuità piuttosto che il concordato liquidatorio;

 cerca di restringere il campo di applicazione della liquidazione coatta

amministrativa;

 ma la novità più grande, che appare sostanziale, è la previsione di un nuovo

istituto, “la procedura di allerta”.

Se osserviamo la riforma da un punto di vista strategico, si pensa che questa miri a due macro-obiettivi, che possono definirsi appunto “obiettivi strategici”, come

si sostiene nel volume a cura della Professoressa Lucia Calvosa7:

1) Efficienza e celerità delle procedure concorsuali.

Una efficace e immediata gestione della crisi di impresa ha effetti positivi sul tasso di nascita e crescita delle imprese, sulla capacità di riuscire ad ottenere investimenti esteri, sulla erogazione e costo del credito. Infatti, il fatto che ancora oggi le nostre procedure concorsuali abbiano una lunga durata,

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rappresenta un elemento di debolezza del nostro sistema, soprattutto se messo a confronto con le prassi di paesi più virtuosi e avanzati, presenti nella stessa Comunità Europea. Se vogliamo parlare in termini più precisi, basti pensare

che in Italia la procedura fallimentare dura in media 7 anni8.

Il legislatore nel corso degli anni ha operato nella prospettiva di migliorare tale “modus operandi” , ma ancora resta molto da fare e si pensa che la legge 155/2017 sia da vedere proprio in quest’ottica.

2) Continuità aziendale e conservazione delle imprese.

Questo tra i due obiettivi è quello che più ci interessa, che è strettamente collegato al tema della crisi di impresa; infatti è la stessa legge che prevede che la continuità aziendale debba essere assicurata con priorità, in modo diretto o indiretto, “anche tramite un diverso imprenditore, riservando la

liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un’idonea soluzione alternativa”9 e per la conservazione delle imprese. Pur senza tralasciare la

tutela dei creditori, anzi per meglio soddisfarli, si tende a recuperare l’impresa in crisi nella prospettiva di salvaguardare tutti gli interessi coinvolti; quindi si può dire che la continuità aziendale più che vederla come obiettivo finale da perseguire, la si possa considerare un mezzo per arrivare alla tutela e soddisfacimento dei creditori.

1.2.2 L’Allerta: la Genesi

Possiamo dire che il filo conduttore di tutta la Legge Delega è proprio la condizione del mercato, infatti emerge un quadro allarmante che denota la difficoltà delle imprese, che in Italia sono per lo più di piccole-medie dimensioni, di non riuscire da sole a prevenire e curare situazioni inziali di crisi. Questo è dettato da fattori anche “storici” come il capitalismo familiare, personalismo autoreferenziale dell’imprenditore, debolezza degli assetti della governance, assenza di monitoraggio e pianificazione. Nella prassi più volte è emerso che

8 con picchi che raggiungono i 20 anni in alcuni tribunali 9Art 2 L. 155/2017

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aziende che hanno ricorso a procedure concorsuali fossero già in crisi anni prima ed è per questo che la legge delega mira a introdurre tale nuovo istituto.

In realtà la suddetta procedura era già stata prevista nel 2004 nella bozza della

commissione Trevisanato10, ma la proposta non fu realizzata perché vinsero

coloro che ritenevano che i meccanismi di aggiustamento del mercato avrebbero prevalso e non ci sarebbe stato bisogno di un’allerta che prevenisse situazioni di insolvenza. Ad oggi è pacifico che la quasi totalità delle procedure concorsuali intervengano nei casi in cui l’impresa non abbia più alcuna attività aziendale in corso, con il conseguente insoddisfacimento dei creditori, che vedono pagarsi una scarsa percentuale del proprio credito e, se sono chirografari, hanno ancora meno probabilità di essere anche solo parzialmente soddisfatti.

Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno si consideri che i crediti dell’Erario e degli Enti previdenziali attualmente insinuati nei fallimenti, che rappresentano quasi il 40% del totale, ammontano a livello nazionale a 161

miliardi di euro e il soddisfacimento medio risulta di 1,64%11.

La chiave di volta per capire per quale motivo esista una situazione di questo tipo è data proprio dalla tardiva emersione dell’insolvenza.

Noi infatti cercheremo di analizzare alcuni bilanci per individuare se, negli anni antecedenti a quelli della dichiarazione di fallimento, fossero già presenti indicatori che avrebbero potuto evidenziare la sussistenza di una situazione critica e, quindi, con lo strumento attualmente previsto si possa evitare tale epilogo.

Riguardo alla procedura di allerta sembra doveroso rinviare a quello che è la disciplina di origine, ovvero l’istituto di allerta della crisi di impresa è un istituto che ha matrice francese; infatti in Francia le misure di prevenzione (come anche le procedure di allerta) hanno sempre una funzione primaria rispetto alle procedure concorsuali che assumono un ruolo residuale e si ricorre a queste proprio per evitare il dissesto vero e proprio.

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1.2.3 L’Allerta: Iter tecnico

Come già detto sopra il sistema delle procedure di allerta della legge delega è ispirato alle procedures d’allerte francesi. In Francia la segnalazione delle situazioni di crisi da parte dei soci o dei revisori contabili o rappresentanti dei lavoratori o creditori pubblici sono fatte direttamente al Tribunal de commerce, che tra l’altro può anche provvedere d’ufficio quando viene a conoscenza di situazioni di difficoltà tali da veder compromessa la continuità aziendale oppure anomalie come il non deposito del bilancio.

Il nostro legislatore, invece, all’art 4 della L.d. 155/2017 titolato: “procedure di allerta e di composizione assistita dalla crisi” ha previsto:

l’istituzione presso le camere di commercio di un organismo per la composizione assistita della crisi d’impresa, il quale avrebbe il dovere, in caso di crisi di

impresa, di nominare un collegio formato da tre esperti12 , che hanno il compito

di trovare una soluzione alla crisi e, quindi, di portare il debitore e i creditori ad un accordo.

La procedura dovrebbe essere attivata su istanza dal debitore stesso oppure dagli amministratori a seguito di segnalazioni dell’organo di controllo o del revisore che, nell’ambito delle proprie funzioni, deve individuare sintomi e anomalie che fanno presagire una situazione di difficoltà. Qualora gli amministratori siano inerti sarà compito dell’organo di controllo o del revisore informare l’organismo di composizione della crisi.

Inoltre anche alcuni creditori pubblici qualificati, che si possono riassumere in Inps, Agenzia dell’Entrate e Agenti della riscossione, hanno l’obbligo di informare con una segnalazione l’organismo di composizione assistita della crisi in caso di importanti inadempienze, pena non riconoscere i privilegi concessigli sui propri crediti.

Non è stata prevista la possibilità di segnalare la crisi da parte del rappresentante dei lavoratori e dei soci, a differenza della Francia; ma si crede che nei casi più

12Uno designato dal presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale; uno dalla

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gravi si possa giungere ad una comunicazione diretta al Pubblico Ministero, in questo caso però saranno decisive le norme finali del decreto legislativo.

L’organismo di composizione della crisi a questo punto dovrebbe procedere a convocare il debitore in via informale e del tutto riservata in modo da verificare la sua situazione economica, patrimoniale e finanziaria e sarà compito del collegio dei tre esperti verificare il raggiungimento di una soluzione tra debitore e creditore.

Qualora non si giungesse ad una soluzione, l’organismo della composizione della crisi dovrà inviare la comunicazione al pubblico ministero presso il tribunale competente.

Il termine nel quale deve essere raggiunto un accordo è di 6 mesi, che si può estendere a 9 mesi in caso di atteggiamento collaborativo, compresa la fase antecedente alla convocazione da parte dell’organismo.

1.2.4 L’Allerta: I benefici per l’imprenditore

Nella legge delega sono state previste delle misure premiali per l’imprenditore che ricorre a questo istituto e, quindi, riesce ad individuare e far emergere una situazione di crisi non ancora sfociata in insolvenza.

Tali misure possono essere sia di natura patrimoniale che personale.

Riguardo a queste ultime il legislatore ha previsto la non punibilità per il reato di bancarotta semplice, come ad esempio per aggravamento del dissesto, e per tutti gli altri reati previsti dalla legge fallimentare come bancarotta fraudolenta per distrazione, bancarotta preferenziale, falso in bilancio, che abbiamo portato ad aggravare il dissesto causando però un “danno di speciale tenuità”.

Esempi di questo tipo possono essere: un amministratore che ha sottratto modeste somme di denaro o beni strumentali che non sono di ingente valore oppure che abbia avuto comportamenti scorretti in un momento precedente al dissesto, ma che risultano punibili secondo la giurisprudenza nel caso in cui si arrivi ad aprire una procedura concorsuale.

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Inoltre, come ulteriore riduzione del rischio penale, anche se non è presente la “speciale tenuità” del danno scatta un sconto della pena in misura superiore ad un terzo.

Infine è prevista come beneficio la riduzione degli interessi e delle sanzioni per debiti fiscali e il legislatore delegato potrebbe anche prevedere, in realtà, una eliminazione di tutte le sanzioni fiscali.

1.2.5 L’Allerta: Criticità

La legge parla di una procedura “non giudiziale” e “confidenziale”.

Il fatto che sia “non giudiziale” si discosta da quella che è la procedura di origine francese, la quale è affidata tradizionalmente all’autorità giudiziaria. Mentre la seconda caratteristica, “confidenziale”, si distacca completamente da quello che sono le proposte che furono inserite nei precedenti progetti, che prevedevano la creazione di una banca dati su segnali di crisi; inoltre tale riservatezza comporta che i creditori siano privi di qualunque ruolo e, quindi, vengano a conoscenza dello stato dell’impresa debitrice solo in un secondo momento, che potrebbe essere anche relativamente lontano da quando è emerso lo stato di crisi.

La giustificazione di queste due opzioni sembra che sia riconducibile al debitore; infatti l’intento del legislatore è quello che il debitore non abbia remore ad avvalersi di tale istituto e, dunque, si crede che la non giudizialità e la riservatezza possano rappresentare una sorta di ‘garanzie’ per l’imprenditore stesso. Invero occorre anche dire che sono sorte molte critiche e molti dubbi riguardo la possibile introduzione in Italia di questo istituto, in quanto appare che l’emersione anticipata della crisi e il diffondersi della notizia, anche se si parla di “confidenzialità” e “riservatezza”, quando ancora la crisi non è una crisi conclamata, porti le banche ad essere più prudenti e, quindi, più restie nella concessione del credito in un momento in cui, invece, l’impresa in questione ne avrebbe maggiormente bisogno.

A questo si aggiunge un modo di operare frequente dell’imprenditore, che va letto più da un punto di vista psicologico, sociale e culturale; infatti la maggior parte delle nostre imprese è caratterizzata da un imprenditore che, oltre ad essere

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proprietario del capitale, gestisce l’impresa stessa. Spesso questi, legato profondamente alla propria impresa, ricorre a soluzioni prefallimentari solo quando la situazione diventa palesemente compromessa perché ha una percezione distorta di quello che è la realtà aziendale oppure non vuole prendere coscienza di ciò, comportamento umanamente comprensibile, ma che non può essere razionalmente giustificato.

Questi dubbi potranno essere risolti solo quando l’istituto sarà effettivamente applicabile e applicato. Ma va detto che è innegabile l’importanza della prospettiva su cui si fonda tale strumento, ovvero la gestione precoce della crisi e, qualunque sia il risultato, occorre continuare a lavorare in questa ottica; infatti dobbiamo essere consapevoli che la legge da sola non può bastare, specie laddove, come detto sopra, si debba fronteggiare resistenze di natura culturale e sociale che nel nostro caso si annidano sì nell’imprenditore, ma talvolta anche nello stesso ceto professionale. Questo deve indurre a riflettere forti della convinzione che: “sono i comportamenti a creare le norme e non certo le norme

a creare i comportamenti”13.

1.3. La pianificazione come strumento di prevenzione della crisi

1.3.1 L’importanza della Pianificazione.

Nello scenario attuale sembra opportuno dare rilevanza a quella che è la pianificazione aziendale, che non necessariamente è collegata alla crisi di impresa, ma che spesso diventa prodromo di questa; infatti una buona programmazione può diventare un metodo efficace per scongiurare situazioni di crisi o, se non altro, dar modo agli organi di controllo di individuare le criticità e prendere le giuste precauzioni.

Negli ultimi anni la liquidità e i suoi andamenti sono diventati i fattori principali della crisi di impresa e la dipendenza della PMI italiana, maggiore rispetto agli

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altri paesi europei, dal credito bancario ha aumentato gli effetti della crisi di liquidità. Infatti, per quanto tutte le attività, le operazioni, che vengono intraprese dall’azienda, siano di vitale importanza, vanno ricondotte necessariamente alla “cassa” perché è da lì che transitano.

È in questa ottica che dobbiamo guardare anche alle novità introdotte, come ad esempio l’obbligo di redazione del Rendiconto Finanziario che è stato previsto dal D.lgs. 159/201514 perché, alla luce di questo contesto di difficoltà, può costituire uno strumento utile per la governance, per i terzi e per coloro che dovranno controllare, monitorare la situazione aziendale affinché abbiano informazioni sufficienti, chiare e corrette per poter esprimere il loro giudizio professionale.

Si tratta, infatti, di uno strumento per verificare in anticipo la disponibilità delle risorse monetarie con cui fronteggiare le uscite, attraverso le previsioni di entrate e uscite ed il calcolo delle risorse finanziarie derivate dalle attività che sono state programmate. Per arrivare a redigere un Rendiconto Finanziario però è necessario partire da lontano, così anche per capirne il contenuto.

Il primo passo da fare è quello di predisporre un Business Plan che riguardi il progetto imprenditoriale, le linee strategiche, gli obiettivi e la pianificazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’attività che un’impresa ha intenzione di intraprendere adattandole, chiaramente, alla sua realtà sia da un punto di vista dimensionale che da un punto di vista di settore/mercato.

Il Business Plan infatti è un documento strutturato, se fatto secondo certi parametri, avente sia una funzione interna per l’impresa, perché costituisce le linee guida da seguire, sia una funzione esterna perché è attraverso di questo che vengono convinti i terzi, come i finanziatori, sulla credibilità dell’azienda.

Una sorta di Business Plan, ma più in generale di pianificazione, crediamo sia opportuno per qualsivoglia impresa, anche di piccole dimensioni, in modo tale che diventi consapevole delle sue operazioni, attività e possa gestire al meglio qualsiasi situazione si trovi a fronteggiare.

14Il contenuto è disciplinato al nuovo Art 2425-ter C.c.

sono esentate da tale obbligo: le imprese che redigono il bilancio in forma abbreviata e le imprese che fanno parte della nuova categoria delle micro-imprese.

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Questo è di aiuto anche a coloro che opereranno un’attività di controllo e monitoraggio sull’impresa, ovvero collegio sindacale e revisore, data anche l’attuale situazione che vede tali soggetti sempre più caricati di responsabilità e con regole da applicare più rigide e stringenti. A tal proposito ci concentreremo sul loro ruolo nel prossimo paragrafo, attribuendo soprattutto importanza alle loro funzioni e le novità in materia in caso di crisi di impresa.

1.3.2 La Pianificazione della PMI.

La pianificazione è un argomento di difficile trattazione nel caso di piccola e media impresa, che a noi appare anche quella più pericolosa, soprattutto dal lato dei professionisti che si trovano a prendere decisioni ed esprimere giudizi spesso con scarse informazioni.

Usualmente queste imprese non posseggono una struttura organizzativa tale da riuscire a pianificare le loro attività, sia per le risorse finanziarie che per le risorse umane; infatti per le prime il problema nella PMI è che, non disponendo spesso di appropriate risorse, gli aspetti quotidiani prendono il sopravvento a discapito della programmazione, del controllo e della valutazione delle attività. Per le risorse umane il problema si pone perché spesso il personale non ha funzioni ben formalizzate, cioè non sono ben esplicite e articolate e, infine, per il legame imprescindibile con la figura dell’imprenditore che frequentemente si sovrappone anche al ruolo di amministratore e che, quindi, esercita un forte personalismo autoreferenziale.

1.4. Il Ruolo del collegio sindacale nella Crisi di Impresa

In questo contesto acquista sempre più importanza il ruolo del Collegio sindacale e del Revisore legale dei conti che nell’espletamento delle loro funzioni e dei loro compiti vengono caricati di maggiori responsabilità. Infatti, se prima si

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ora si richiede anche un approccio di tipo previsionale16 (forward-looking), al fine di verificare la pianificazione e il controllo dell’impresa e salvaguardare la sua capacità di generare “flusso di cassa”.

Tutto ciò dovrà essere fatto tenendo conto dei ruoli, delle funzioni, dei compiti e delle responsabilità di ciascun soggetto detto sopra in virtù di quanto previsto dalla legge e dai principi professionali di riferimento.

Questo approccio operativo pare l’unico in grado di monitorare in modo adeguato l’insorgenza di situazioni di crisi, dove c’è uno squilibrio economico-finanziario prolungato che può a sua volta generare incertezza sul presupposto della continuità aziendale (going concern).

Il collegio sindacale è formato dai soli soggetti esistenti al vertice dei sistemi di vigilanza e controllo dell’impresa riconosciuti dalla legge. Per questo motivo devono disporre di metodologie che permettono di espletare questa attività, che risulta sempre più complessa e impegnativa, orientata all’analisi andamentale e prospettica della dinamica aziendale. Ovviamente questi controlli devono essere operati in modo adeguato alle caratteristiche e dimensioni dell’impresa.

Il revisore legale, invece, non conosce necessariamente i fatti di gestione al momento in cui sono posti in essere, ma ne viene a conoscenza soltanto dopo che gli amministratori, sotto la vigilanza dei sindaci, hanno dato effettivamente corso. Infatti uno dei principi fondamentali della disciplina della revisione legale è quello dell’indipendenza, ovvero all’Art 10 del D.lgs. 39/2010: “il revisore e la

società di revisione che effettuano al revisione legale dei conti di una società devono essere indipendenti da questa e non devono in alcun modo essere coinvolti nel suo processo decisionale”.

È altrettanto vero che l’organo ammnistrativo, sotto la vigilanza del collegio sindacale, deve predisporre i documenti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati da garantire la loro conoscenza in modo tempestivo e, quindi, da mettere l’organo di controllo esterno nella condizione di poter svolgere il proprio ruolo e le proprie funzioni correttamente.

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1.4.1 Le funzioni di vigilanza del Collegio Sindacale

Il Collegio Sindacale è incaricato ex lege di esercitare le funzioni di vigilanza indicate dall’Art 2403 c.c. che, tra le altre cose, richiede all’organo di controllo, quindi al collegio stesso, di verificare l’adeguatezza degli assetti amministrativi e contabili. Questo sistema di vigilanza è particolarmente utile per rilevare tempestivamente i segnali che possono far emergere dubbi importanti sulla capacità dell’impresa di riuscire o meno a svolgere la propria attività nella prospettiva, che deve essere sempre presente, di continuità aziendale.

È per questo motivo che le norme di comportamento del collegio sindacale hanno dedicato un importante focus proprio sull’attività che questi deve svolgere nel caso di crisi di impresa, con un approfondimento in particolare sulla necessità, per quanto possibile, di prevenirla e farla emergere17.

A tal proposito appare molto importante lo scambio di informazioni che è auspicabile ci sai tra il Collegio Sindacale e il Revisore o la Società di revisione legale dei conti, quando queste cariche non coincidano. Infatti a quest’ultimo i Sindaci potranno chiedere un giudizio sulla continuità aziendale (ISA 570, che approfondiremo successivamente in tema di revisione legale di conti) che rientra tra le specificità del revisore stesso. Dunque i sindaci potranno avere informazioni di questo tipo e utilizzarle al fine di svolgere al meglio la propria funzione, ovvero potranno definire il sistema di controllo interno e gli assetti amministrativi, organizzativi e contabili non idonei e, quindi, che non consentono di intercettare i segnali che ci permettano di capire che l’impresa non è più capace di svolgere la propria attività aziendale.

A questo punto il collegio sindacale potrà rivolgersi al consiglio di

amministrazione chiedendo chiarimenti e informazioni in merito18 e potrà

richiedere che vengano presi degli opportuni provvedimenti per garantire la continuità aziendale, nel caso in cui le risposte ricevute dagli amministratori non siano tali da togliere ogni dubbio sulla continuità.

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I provvedimenti a cui ci riferiamo riguardano soprattutto quelle misure volte a ripristinare l’equilibrio economico dell’impresa (esempio. L’impresa è troppo indebitata, il sindaco raccomanda agli amministratori di trovare una soluzione per ridurre l’indebitamento). Dunque i sindaci dovranno vigilare sull’adozione effettiva di tale provvedimento e, nel caso in cui lo ritengano opportuno, richiedere l’applicazione di uno degli istituti di composizione negoziale della crisi.

Qualora gli amministratori non applichino gli opportuni provvedimenti, al collegio sindacale non resta che convocare l’assemblea, ai sensi dell’Art 2406 c.c., previa comunicazione all’organo amministrativo, e comunicare ai soci la presenza di uno stato di crisi e l’inerzia da parte degli amministratori nonostante siano stati sollecitati dal collegio stesso.

1.4.2 Soglie ridotte per l’obbligo di nomina del Collegio Sindacale nelle S.r.l.

Per capire meglio la modifica che vuole apportare la legge delega sulla crisi di impresa, sembra opportuno un breve excursus su chi è obbligato alla nomina dell’organo di controllo e in quale forma.

a) L’organo di controllo o revisore nelle S.r.l. (Art 2477 C.c.):

 sindaco unico:

- nomina facoltativa dell’organo di controllo o revisore

- nomina obbligatoria nel caso di redazione del bilancio consolidato, controllo società obbligata alla revisione o superamento di due dei tre limiti previsti all’Art 2435bis c.c.

 Collegio sindacale:

solo su opzione contenuta in statuto nelle ipotesi sopra indicate e in alternativa al revisore

 Revisore legale dei conti:

l’organo di controllo svolge entrambi gli incarichi, salvo diversa clausola statutaria

b) Il collegio sindaca delle Spa (Art 2397 c.c.):

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non è previsto

 Collegio sindacale:

in tutti i casi in cui la legge prevede l’obbligatorietà dell’organo di controllo

 Revisione legale dei conti:

revisore esterno a meno che lo statuto assegni tale funzione al collegio sindacale.

Risulta applicabile alle S.r.l. il comma 2 dell’art 2397 c.c., secondo cui almeno un sindaco effettivo e un supplente devono essere iscritti all’albo dei revisori legali dei conti. Quindi, il sindaco unico della S.r.l. deve essere scelto tra i revisori legali iscritti poiché svolgerà sia la funzione di organo di controllo interno che esterno.

Ora, riguardo alla legge delega di riforma della crisi di impresa (legge delega 155/2017), si osserva che questa ha ridotto le soglie necessarie per l’obbligo di nomina del sindaco, ovvero del revisore nelle S.r.l.

Le novità non interessano le società per azioni in quanto sono in ogni caso obbligate alla nomina del collegio sindacale.

Questa legge, se vogliamo fare un raffronto con quello che è la disciplina vigente, impone l’obbligo di nomina quando la società per due esercizi consecutivi supera un totale dell’attivo dello stato patrimoniale o dei ricavi delle

vendite o delle prestazioni di 2 milioni oppure i 10 dipendenti19.

I tre parametri sono tra loro alternativi, il che significa che basta superarne uno dei tre affinché gli obblighi risultino applicabili.

Tale previsione determina sicuramente un aumento dei costi della società per le attività di controllo interno e il numero di soggetti interessati da questa modifica normativa, che interverrà direttamente sul Codice civile.

Infatti la normativa vigente prevede che, per l’obbligo di nomina, il totale dell’attivo debba superare i 4,4 milioni, mentre i ricavi 8 milioni; cioè rispettivamente più del doppio e del quadruplo di quello che la legge delega si è prefissata. Mentre per i dipendenti si passa da 50 a 10, ovvero un quinto di quello che ad oggi è previsto.

(25)

Inoltre, fino a quando la riforma non sarà attuata, è necessario il superamento di

due limiti su tre20. Ora, come detto, una volta che la riforma verrà approvata sarà

sufficiente che la società superi solo uno dei limiti su tre affinché sia obbligata alla nomina del sindaco/revisore.

Inoltre il legislatore si è preoccupato di vigilare sull’effettiva applicazione delle suddette disposizioni ed è intervenuto dicendo che, nel caso di mancata nomina, può rivolgersi al tribunale per sollevarla anche il conservatore del registro delle imprese e prevede che termini l’obbligo di nomina quando, per tre esercizi consecutivi, non vengono superati i requisiti dimensionali.

Per quanto riguarda le modalità operative la nomina deve essere effettuata dalla assemblea che approva il bilancio in cui viene superato uno dei tre limiti entro trenta giorni21.

In caso di omissione la nomina potrà essere effettuata dal tribunale su richiesta di ogni soggetto interessato, anche su segnalazione del conservatore del registro delle imprese.

Infine sembra opportuno aggiungere che, in base alla legge delega, il legislatore delegato sarebbe legittimato a prevedere ulteriori criteri di nomina obbligatoria, vista le genericità dell’indicazione che è contenuta nella norma: “estensione dei

casi”.

Tali disposizioni troveranno dunque effettiva applicazione solo dopo che il governo emanerà uno o più D.lgs. di attuazione e, secondo quanto previsto dalla legge delega stessa, dovrà avvenire entro 12 mesi di tempo dalla sua entrata in vigore.

Questo nuovo adempimento, secondo una stima realizzata dalla CGIA22, costerà

alle piccole imprese complessivamente almeno mezzo miliardo di euro l’anno.

1.4.3 L’Art 2409 C.c. torna applicabile anche alle S.r.l.

20Art 2477 co. 1 lettera c C.c.

21Ad esempio: se il bilancio viene approvato il 15/04, la nomina dell’organo di controllo deve avvenire

entro il 15/05.

(26)

La riforma della crisi di impresa e dell’insolvenza riconosce al collegio sindacale di S.r.l. la legittimazione ad adottare i provvedimenti di cui all’Art 2409 c.c., ovvero la denuncia al tribunale se c’è il fondato sospetto che gli amministratori

abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione23.

Tuttavia per comprendere la portata di tale novità, in attesa dei decreti delegati per far diventare tutto ciò applicabile, occorre fare un riferimento a quella che è stata la situazione fino ad oggi.

Il D.lgs. 6/2003, la riforma del diritto societario, ha riformulato, nell’Art 2477 del c.c., la disciplina del controllo legale nelle società a responsabilità limitata, e per farlo ha abrogato l’ultimo comma del precedente Art 2488, il quale prevedeva la possibilità di applicare l’Art 2409 “anche” in assenza del collegio sindacale. Tale Articolo disciplina la materia delle S.p.a. e la sua applicabilità fino ad allora era stata estesa anche alle S.r.l.

Da quel momento si sono aperte due linee di pensiero: mentre da una parte c’era

la Corte di Appello di Roma24 che dichiarava sempre inapplicabile l’Art 2409

C.c. alle S.r.l.; dall’altra vi era la Corte di Appello di Napoli25, la quale faceva

leva sulla locuzione “anche” dell’Art 2488 C.c. distinguendo i casi in cui le S.r.l., superati i limiti dimensionali, dovevano per legge nominare l’organo di controllo e i casi in cui, invece, lo nominavano per volontà dei Soci; in questa ottica per i primi era prevista l’applicabilità di tale normativa, mentre ai secondi non spettava.

Nel 2010 la Cassazione26 ha confermato l’impostazione della Corte di Appello di

Roma, e nega l’applicabilità dell’Art 2409 c.c. nelle S.r.l.

In realtà, però dal 2010, si osservano in concreto comportamenti che si discostano da quanto previsto dalla Cassazione; infatti fin dal 2010 stesso il

Tribunale di Milano 27 dichiara l’applicabilità dell’Art 2409 alla suddetta

fattispecie, facendo leva sul riferimento generale alle norme in materia di Spa

23Art 14 lettera f) L. 155/2017 24Decreto 13/04/2005

(27)

dell’Art 2477 c.c. co. 5 in caso di nomina obbligatoria dell’organo di controllo.

Nello stesso senso si pronuncia anche il Tribunale di Trieste28. In questo quadro

così confuso pare opportuno un chiarimento che diventi a titolo definitivo.

In tale senso vuole operare la legge delega 155 che, all’Art 14 lettera f) della stessa, prevede espressamente: “… applicabilità delle disposizione dell’Art 2409

alle società a responsabilità limitata, anche prive di organo di controllo”.

A seguito della riforma del diritto societario, la riforma del 2003, l’istituto del controllo giudiziale previsto dall’Art 2409 C.c. assume, secondo i più, un significato soprattutto endo-societario, ovvero funzionale alla tutela degli interessi interni.

Nel momento in cui si reintroduce in modo estensivo l’applicabilità dell’Art 2409 all’interno di una riforma del diritto fallimentare, quindi di portata assai superiore rispetto alla mera riattivazione del suddetto istituto, si può interpretare la volontà del legislatore come intenzione di voler far assumere all’Art 2409 importanza anche per il controllo di quelli che sono gli interessi extra-sociali, ovvero gli interessi particolari di una società insolvente, che comprendono anche quelli di ordine pubblico.

In virtù di ciò, infatti, dobbiamo precisare che, se la legge mira a trovare una soluzione precoce e tempestiva per risolvere lo stato di crisi, addirittura, prevedendo la possibilità di denuncia al tribunale, vuole anche trovare sistemi utilizzabili ad evitarne il manifestarsi.

In tal senso si può collegare ora quanto detto a quello che è veramente la novità fondamentale della legge, l’istituto d’allerta, e in particolare con l’obbligo dei creditori istituzionali di informare l’organo di controllo degli inadempimenti di importo rilevante e il correlato dovere di attivarsi da parte dell’organo stesso.

1.4.4 La responsabilità dell’organo di controllo interno

La legge delega 155/2017 tratta anche la responsabilità del collegio sindacale, soprattutto con riferimento a quelle che saranno le nuove competenze dello stesso in tema di crisi aziendale.

28Decreto 21/01/2011

(28)

A tal proposito si deve precisare che questo intervento non riguarda l’intero Art 2407 c.c., che disciplina la responsabilità dei sindaci dividendola in due parti, quella diretta e quella concorrente29.

La responsabilità di tipo esclusivo è personale e diretta; riguarda tutte quelle circostanze nelle quali un sindaco viola uno dei propri doveri, con particolare riferimento all’obbligo di verità sulle attestazione e di segreto di fatti e documenti di cui viene a conoscenza durante il suo incarico.

Mentre la responsabilità di tipo indiretto, ovvero concorrente, Art 2407 2 co. è quella solidale con gli amministratori, quindi in essa sono ricomprese tutte le violazioni al dovere di vigilanza sugli atti compiuti dall’organo gestorio, ovvero i sindaci saranno chiamati a rispondere ogniqualvolta le azioni degli amministratori compromettano l’integrità del patrimonio sociale.

Ed è proprio per tutelare la conservazione del patrimonio sociale e la continuità aziendale che la Legge 155 interviene anche in materia di responsabilità dei sindaci, dando loro ulteriori obblighi e poteri in modo da intervenire quando la crisi di impresa è ancora in uno stato embrionale e da attivare così le opportune contromisure.

Infatti l’Art 4 L. delega 155/2017 lettera c) prevede che i sindaci debbano informare tempestivamente gli amministratori di eventuali “fondati indizi di crisi” in modo che questi possano prendere le opportune decisioni. Tale indizi però è doveroso premettere che saranno previsti dai decreti attuativi, quindi ancora in corso di formazione, ma si baseranno su indici finanziari di cui alla lettera h) dello stesso articolo.

Inoltre il collegio sindacale avrà l’obbligo di attivare la procedura di allerta presso gli organismi di cui all’Articolo 4 lettera b) nel caso in cui gli amministratori siano inerti.

Sul tema è prevista infine, sempre all’Art 4 lettera e), anche una disposizione di tipo premiale; ovvero nel caso in cui l’operato dei sindaci sia stato “virtuoso”, questi non sono responsabili solidalmente con gli amministratori in caso di fatti o omissioni successive alla segnalazione all’organismo di cui alla lettera b).

(29)

1.5. Il ruolo del Revisore nella Crisi di Impresa

1.5.1 La riforma della Revisione legale

Alla luce di quanto abbiamo finora detto, sembra opportuno fare un passo indietro e soffermarci per un momento su quella che è stata la riforma della revisione legale nel corso degli ultimi anni perché, nonostante sia avvenuta in momento antecedente a quello che è la riforma della legge fallimentare, accennarla ci permette di capire meglio la figura del revisore legale, come organo di controllo esterno, e, quindi, la sua funzione nella la crisi di impresa.

A seguito di modifiche di matrice Europea, in Italia è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 17 luglio 2016 il D.lgs. 135/2016 in materia di attuazione della Direttiva 2014/56/UE, che modifica la direttiva 2006/43/CE concernente la revisione legale dei conti annuali e consolidati.

Tale decreto, in vigore dal 5/08/2016, ha apportato alcune modifiche al precedente D.lgs. 27/01/2010 n.39.

La riforma UE e, quindi, poi anche quella nazionale è una delle risposte che il legislatore comunitario ha fornito per la gestione della crisi finanziaria degli ultimi anni. Quindi l’obiettivo è stato quello di voler rendere il revisore una figura più indipendente e più pronta, attraverso regole di comportamento più omogenee all’interno dell’UE, ad affrontare quella che è la situazione contingente del mercato.

Il problema da un punto di vista di disciplina interna è che il legislatore non ha creato un corpus omogeneo di norme, ma è andato ad aggiungere l’ultimo provvedimento normativo a quelli già esistenti, quindi occorre una capacità di analisi e coordinamento per capire la materia e riuscire ad applicarla.

In particolare le principali novità del nuovo decreto riguardano sinteticamente: 1) La trattazione dei “Principi di Revisione Internazionali” e di 2Responsabili

chiave della Revisione” utilizzate in particolare per l’applicazione delle regole di indipendenza.

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2) I soggetti che sono autorizzati a svolgere la Revisione Legale e adempimenti da assolvere per la formazione continua; infatti viene previsto il tirocinio di tre anni e sono descritte in modo più preciso le modalità, ovvero la possibilità almeno una volta l’anno di sostenere l’esame di abilitazione alla professione e le regole relative alla formazione e i soggetti che sono obbligati a svolgerla. 3) Adempimenti in materia di tenuta del Registro dei revisori legali e delle

società di revisione: viene richiesto che il revisore legale iscritto al registro fornisca l’indirizzo di posta elettronica certificata e, eventualmente, l’indicazione della rete di appartenenza. Inoltre sono state previste due sezioni distinte del medesimo registro, ovvero la sezione A e B rispettivamente per coloro che svolgono incarichi di revisione e per coloro, invece, che non hanno assunto incarichi di revisione per tre anni consecutivi.

4) Le modalità di svolgimento, più stringenti, dell’incarico di Revisione:

- il testo legislativo contiene la locuzione “Scetticismo professionale”, che prima era presente solo nei principi di revisione di riferimento, e come applicare lo stesso in relazione alle stime al fair value, delle riduzioni di valore delle attività, degli accantonamenti, dei flussi di cassa futuri e alla verifica del presupposto della continuità aziendale;

- regole specifiche in materia di riservatezza e segreto professionale, che continua a essere valide anche a seguito dell’incarico;

- regole maggiormente dettagliate riguardanti l’indipendenza e l’obiettività, caratteristiche che devono permanere non solo durante il periodo di competenza del bilancio, ma anche nel periodo in cui, terminato l’esercizio, il Revisore completa la sua attività con riferimento a quel bilancio;

- nuovi articoli in materia di preparazione della revisione legale e valutazione dei rischi per l’indipendenza, di organizzazione interna e di organizzazione del lavoro;

- minime modifiche riguardo la relazione di revisione.

5) Disposizioni speciali per gli EIP e gli Enti sottoposti a regime intermedio. 6) Modalità di svolgimento del controllo qualità per i soggetti iscritti nel

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7) Disposizioni in materia di vigilanza, sanzioni amministrative e penali più stringenti.

8) Aspetti internazionali che riguardano la cooperazione e il riconoscimento dei revisori negli altri paesi.

1.5.2 L’Attività svolta dal Revisore in caso di Crisi di impresa

Con riferimento ai Principi di Revisione Internazionali, riguardo alla materia oggetto della tesi, acquistano particolare importanza il principio ISA (Italia) 570: Continuità aziendale e il principio ISA (Italia) 260: Comunicazione con i responsabili della attività di governance.

Il revisore, ai fini dell’espressione di un giudizio sul bilancio, deve verificare tra l’altro la conformità dell’impresa, oggetto di revisione, al requisito della continuità aziendale (going concern). Tale requisito è contenuto nel principio di revisione ISA 570, come suddetto, e prevede alcuni indicatori di tipo finanziario, gestionale e altri indicatori che servono, verificati dal revisore, per determinare se l’impresa sia in grado o meno di svolgere la propria attività e far fronte alla proprie obbligazioni, ovvero ai fini della perdita del presupposto della “continuità aziendale”.

Gli indicatori finanziari comprendono:

- situazioni di deficit patrimoniale o di capitale circolante netto negativo

- prestiti a scadenza fissa o prossimi alla scadenza per i quali non ci siano prospettive verosimili di rinnovo o di rimborso; oppure eccessiva dipendenza da prestiti a breve termine per finanziare attività a lungo termine

- indizi di cessazione del sostegno finanziario da parte dei creditori - bilanci storici o prospettici che mostrano flussi di cassa negativi - principali indici economico-finanziari negativi

- consistenti perdite operative o significative perdite di valore delle attività utilizzate per generare i flussi di cassa

- difficoltà nel pagamento di dividendi arretrati o discontinuità nella distribuzione di dividendi

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- incapacità di pagare i debiti alla scadenza

- incapacità di rispettare le clausole contrattuali dei prestiti

- cambiamento delle forme di pagamento concesse dai fornitori, dalla condizione ‘a credito’ alla condizione ‘pagamento alla consegna’

- incapacità per ottenere finanziamenti per lo sviluppo di nuovi prodotti ovvero per altri investimenti necessari

Gli indicatori gestionali comprendono:

- intenzione della direzione di liquidare l’impresa o di cessare le attività

- perdita di membri della direzione con responsabilità strategiche senza una loro sostituzione

- perdita di mercati fondamentali di clienti chiave, di contratti di distribuzione, di concessioni o di fornitori importanti

- difficoltà con il personale

- scarsità nell’approvvigionamento di forniture importanti - comparsa di concorrenti di grande successo

Gli altri indicatori comprendono:

- capitale ridotto al di sotto del minimo legale o non conformità ad altre norme di legge

- procedimenti legali o regolamenti in corso che, in caso di soccombenza, possono comportare richieste di risarcimento cui l’impresa probabilmente non è in grado di far fronte

- modifiche di leggi o regolamenti o delle politiche governative che si presume possano influenzare negativamente l’impresa

- eventi catastrofici contro i quali non è stata stipulata una polizza assicurativa ovvero contro i quali è stata stipulata una polizza assicurativa con massimali insufficienti

(33)

utilizzo da parte della direzione del presupposto della continuità aziendale nella redazione del bilancio”. Questo significa che il revisore presti particolare

attenzione a “elementi probativi relativi a eventi e circostanze che possano far

sorgere dei dubbi sulla capacità dell’impresa di continuare ad operare come un’entità di funzionamento”.

Qualora il revisore ravvisi elementi che possano compromettere la continuità aziendale, è lo stesso ISA 570 che raccomanda la comunicazione di quanto appreso ai responsabili della governance della società.

Nel caso in cui siano presenti uno o più di questi indicatori, infatti il revisore dovrà chiedere, ai fini dell’espressione del proprio giudizio, le misure e le azioni che la direzione intende applicare sia sul momento che in prospettiva.

I termini e le modalità di comunicazione richieste dall’ISA 570 sono disciplinate espressamente dall’ISA 260.

Questo principio dispone che tale comunicazione avvenga ‘tempestivamente’, ovvero ai fini della tempistica il revisore deve considerare “la rilevanza e la

natura degli aspetti da comunicare e l’azione che si prevede sarà intrapresa dai responsabili dell’attività di governance” nonché “eventuali obblighi legali di comunicare alcuni aspetti entro specifici termini temporali”.

A tal proposito però occorre rilevare che il coinvolgimento del revisore, nell’individuare gli indicatori che possano far pensare ad una continuità aziendale compromessa, non possa avvenire con la tempestività che si intende ai fini dell’individuazione della crisi aziendale in senso preventivo; se il legislatore volesse che l’attività di revisione avvenisse in queste tempistiche, dovrebbe riformulare le norme in materia di revisione e prevedere un’attività del professionista in ottica più di tipo previsionale che a consuntivo.

Infatti, il revisore potrà rilevare fatti idonei a far emergere una situazione di crisi non quando si verificano, ma solo quando in concreto ne possa venire a conoscenza, tenuto conto della reale natura e dei limiti dell’attività di revisione legale alla luce della normativa di riferimento, quindi del suo essere prima di tutto “organo di controllo esterno”, che implica osservare, verificare e monitorare l’impresa in un secondo momento rispetto a quando i fatti di gestione vengono

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compiuti, sotto la vigilanza dei sindaci, da parte degli amministratori e, talvolta, con le sole informazioni che vengono fornite, che, non di rado, possano essere parziali e/o insufficienti.

Del resto, occorre precisare che, anche qualora il revisore venga a conoscenza di una compromessa continuità aziendale ancora non rivelatasi, sarà suo dovere informare l’organo di controllo interno, il collegio sindacale, ma è quest’ultimo che avrà il compito insieme all’organo gestorio di procedere con le opportune attivazioni.

(35)
(36)

Metodologia di analisi alla luce del Quaderno nr. 71 del ODCEC

di Milano “Sistema di allerta interna”

2.1. Premessa

È di recente pubblicazione il Quaderno n. 71 dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e Esperti Contabili di Milano intitolato “Sistemi di allerta interna”. In questo sono proposte una serie di linee guida rivolte a sindaci e revisori su uno degli aspetti più delicati affrontati dal diritto della crisi di impresa: l’individuazione tempestiva dell’emersione della crisi e del venir meno della continuità aziendale.

Il quaderno propone quindi ai professionisti deputati a svolgere compiti di vigilanza e controllo un sistema organico a supporto dell’attività di monitoraggio e diagnosi precoce della crisi, inteso quale insieme dei principi di comportamento professionale, metodologie orientate alle best practices, strumenti e procedure operative.

Noi, tra i metodi proposti finalizzati alla salvaguardia della continuità aziendale, abbiamo scelto, come metodologia di analisi, esattamente questa, che ad oggi ci sembra la più attendibile e completa, benché per quanto ci riguarda applicabile solo in parte perché il professionista, in qualità di consulente esterno, non avrà tutti i dati necessari per elaborare l’analisi integralmente.

Prima di addentrarci nelle specificità di quanto accennato, pare opportuno fare una breve introduzione su quelle che sono le situazioni in cui un’azienda può versare e le relative misure da prendere, quindi capire quando è possibile applicare l’analisi.

Infatti, se nel primo capitolo abbiamo trattato la crisi di impresa in senso definitorio, ora vogliamo darne una prospettiva di carattere evolutivo, cioè delineare i tratti essenziali della crisi fotografandone i diversi stadi dello sviluppo.

(37)

Come esemplificazione, proponiamo una tabella riassuntiva, che è la stessa prevista dal Quaderno 71, in modo da avere una sintesi dei diversi stadi che

l’impresa si può trovare a fronteggiare.30

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