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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI

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Academic year: 2022

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI

FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA D’IMPRESA

TESI DI LAUREA IN

DIRITTO DEL LAVORO

LICENZIAMENTI COLLETTIVI PER RIDUZIONE DI PERSONALE

RELATORE:

Ch.mo Prof. Mario Giovanni GAROFALO

LAUREANDO:

Francesco Paolo COLABELLO

ANNO ACCADEMICO 2008/2009

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INDICE

INTRODUZIONE. Pag. 1

CAPITOLO I

LICENZIAMENTI COLLETTIVI: QUADRO NORMATIVO

I.1 Il contributo della contrattazione collettiva interconfederale. Pag. 3 I.2 La lacuna normativa generata dalla legge 604/1966. Pag. 10

I.3 Gli interventi normativi comunitari: le Dir. 75/129/CEE e 92/56/CEE. Pag. 17

I.3.1 La Direttiva 98/59/CEE. Pag. 23

I.4 L‟attuazione delle direttive comunitarie: la legge n. 223/199. Pag.

33

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CAPITOLO II

L’INDIVIDUAZIONE DELLA FATTISPECIE LEGALE

II.1 La nozione di licenziamento collettivo ex art.24. Pag. 39

II.1.1 Le cause integrabili: riduzione di personale, riduzione/trasformazione/cessazione d‟attività. Pag. 41

II.1.2 L‟ambito d‟applicazione e i requisiti soggettivi. Pag. 58

II.1.3 I requisiti oggettivi: l‟ambito geografico e l‟elemento numerico- temporale. Pag. 66

II.2 L‟autonomia della fattispecie: licenziamento collettivo e licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo. Pag. 78 II.3 La nozione ex art. 4: il collocamento in mobilità dei lavoratori eccedenti. Cenni. Pag. 87

II.3.1 Il rapporto fra le due nozioni: l‟ipotesi interpretativa della unicità o duplicità della fattispecie. Pag. 91

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CAPITOLO III

LA PROCEDIMENTALIZZAZIONE DEI POTERI DEL DATORE DI LAVORO

III.1 I soggetti della procedura. Pag. 99

III.2 Gli obblighi procedurali a carico del datore di lavoro. Pag. 109 III.2.1 segue: a) la comunicazione di apertura; Pag. 117

III.2.2 segue: b) l‟esame congiunto e la fase amministrativa: la funzione gestionale della contrattazione collettiva; Pag. 128

III.2.3 segue: c) il recesso e le comunicazioni finali. Pag. 140 III.3 I vizi procedurali e il regime sanzionatorio. Pag. 147

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CAPITOLO IV

I CRITERI DI SCELTA

IV.1 Comunicazione delle modalità d‟applicazione dei criteri di scelta. Pag. 158

IV.2 La disciplina normativa e l‟ambito applicativo. Pag. 163

IV.3 L‟analisi dei criteri di scelta e il rapporto fra criteri legali e convenzionali: profili problematici. Pag. 178

IV.4 L‟introduzione del controllo di ragionevolezza da parte della Corte Costituzionale. Pag. 190

IV.4.1 Il ruolo della contrattazione collettiva nella determinazione dei criteri di scelta: funzioni, contenuto e limiti. Pag. 197

IV.5 Il regime sanzionatorio. Pag. 209

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro intende ricostruire i tratti salienti della disciplina legislativa in materia di eccedenze di personale attraverso un‟accurata analisi della legge n. 223 del 1991 che, dopo oltre quarant‟anni di astensionismo legislativo, contraddistinto dalla vana ricerca di un punto di equilibrio tra tutti gli interessi coinvolti dal licenziamento collettivo, è intervenuta attraverso la formulazione di una nozione di licenziamento collettivo e la stesura di una procedura da attuare in tutti i casi di riduzione di personale.

Oggi più che mai, la crisi finanziaria americana prima e la crisi economica mondiale poi, hanno fatto emergere in maniera consistente il fenomeno della precarietà del lavoro e la modernità e complessità del valore occupazionale con la conseguente necessità di una maggiore tutela, sociale ed individuale, dei lavoratori licenziati; attualmente in Italia, sia le grandi aziende che le piccole/medie imprese (Alitalia, Natuzzi, Fiat, Motorola …), hanno attraversato o attraversano ancora uno stato di forte crisi economica che l‟attuale governo ha deciso di fronteggiare potenziando gli ammortizzatori sociali, apportando modifiche alla disciplina dei contratti a termine ed introducendo, nella disciplina in esame, incentivi ed agevolazioni per le assunzioni dei lavoratori in mobilità.

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La prospettiva è, dunque, quella di garantire una, seppur difficile, coesistenza tra le discipline relative alle riduzioni del personale e alla flessibilità del lavoro, e di contestualizzare una disciplina importante sia per il sistema economico, sia per i soggetti interessati dalla riduzione di personale.

In quest‟ottica il presente lavoro parte dall‟acquisita stabilità ed autonomia giuridica della nozione/fattispecie dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, per compiere, poi, un esame degli aspetti maggiormente innovativi della normativa. Il percorso che si è voluto affrontare si propone, nello specifico, l‟obiettivo di analizzare i contesti aziendali all‟interno dei quali possono verificarsi vicende di riduzione del personale, concentrandosi, da un lato, sulle ragioni determinanti i licenziamenti, dall‟altro lato, su tutte le questione relative alla tutela dei lavoratori ed al loro coinvolgimento nella procedura che porta all‟attuazione delle scelte decisionali dell‟impresa.

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CAPITOLO PRIMO

LICENZIAMENTI COLLETTIVI: QUADRO NORMATIVO

I.1 Il contributo della contrattazione collettiva interconfederale

L‟intervento legislativo del 1991 ha introdotto un‟analitica regolamentazione legale in materia di licenziamento collettivo, fattispecie, fino ad allora, contemplata dal legislatore ai meri fini di una sua esclusione dall‟ambito di applicazione della normativa sul licenziamento individuale.

Proprio per tale motivo, già nel sistema previgente si era proceduto ad un‟ampia elaborazione della nozione di licenziamento collettivo. Si trattava, dunque, di una nozione di natura contrattuale contenuta negli accordi interconfederali risalenti all‟immediato secondo dopoguerra e precisata in sede giurisprudenziale.

Il primo di tali accordi è stato stipulato il 7 agosto 1947 e riguardava esclusivamente i licenziamenti effettuati nell‟industria; l‟accordo, siglato tra rappresentanti della Confederazione dell‟industria e quelli della CGIL, poneva per la prima volta una separazione normativa tra licenziamento per riduzione di personale1 e licenziamento individuale. La disciplina del licenziamento individuale si articolava in una serie di fasi non ancora

1 D‟ora in avanti rdp per riduzione di personale.

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regolate nel dettaglio; un ruolo decisivo veniva riconosciuto, in particolare, alla Commissione interna, chiamata a decidere sull‟opportunità del provvedimento di licenziamento, e ad un collegio arbitrale il cui intervento, finalizzato all‟esperimento di un tentativo di conciliazione, era eventuale in quanto subordinato alla mancata prestazione del consenso da parte della Commissione all‟adozione dell‟atto di recesso2.

Il procedimento conciliativo rappresentava un momento essenziale della disciplina del licenziamento per rdp, tanto da doversi esperire a due livelli diversi: in prima istanza tra Commissione interna e direzione dell‟impresa, in seconda istanza, in ipotesi di mancato accordo, tra Associazioni Provinciali degli industriali e Camera Provinciale del Lavoro.

L‟accordo cessava, però, di avere efficacia il 31.12.1948 per disdetta dell‟organizzazione datoriale; la lacuna normativa creatasi ha portato all‟emanazione della legge n. 264 del 1949, nella quale si riconosceva ai lavoratori licenziati per rdp il diritto di precedenza nelle assunzioni effettuate dalla stessa azienda entro un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro3.

Con accordo del 21 aprile 1950, successivamente recepito nel D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1019, si assisteva ad una prima netta delimitazione del potere imprenditoriale di recesso; comincia a parlarsi di

2 La Commissione aveva tre settimane di tempo per trovare un accordo con l„azienda, altrimenti la trattativa era demandata all„esame delle organizzazioni sindacali territoriali.

3 Art. 15, comma 6, L. 223.

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procedimentalizzazione degli obblighi datoriali, in quanto si delineava un procedimento nel quale la direzione dell‟impresa era tenuta ad indicare nel provvedimento di licenziamento comunicato alla propria Associazione territoriale i motivi, la data d‟attuazione e l‟entità numerica dei lavoratori destinatari del provvedimento stesso. Due le novità; innanzitutto, emergeva un obbligo in capo all‟imprenditore di consultazione delle OO. SS.4 interessate e di esperimento del tentativo della conciliazione, in caso di mancato accordo fra le parti. Tuttavia, era forte l‟influenza dell‟art. 41 Cost., che permette di ricondurre il potere di organizzazione dell‟impresa alla libera iniziativa economica, ivi riconosciuta e tutelata; in tal modo l‟imprenditore era considerato esonerato dall‟obbligo di giustificazione della propria scelta, e dunque non era obbligato ad esporre alla controparte, nell‟ambito di una consultazione sindacale, i motivi determinanti il licenziamento per rdp5. La Corte Costituzionale sottolinea la meritevolezza di tutela del diritto del datore di lavoro di procedere ai licenziamenti collettivi, tanto da considerarlo prevalente all‟interesse dei singoli dipendenti alla conservazione del posto di lavoro6. Secondo elemento di novità consiste nell‟aver individuato nella riduzione o trasformazione di attività o di lavoro il carattere costitutivo della fattispecie di riduzione del

4 D‟ora in avanti OO. SS per organizzazioni sindacali.

5 GHERA, Diritto del lavoro, Cacucci, Bari, 2006, 710.

6 Corte Costituzionale, 8.2.1966, n. 8, in GU, 12.2.1966, n. 38.

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numero del personale, anche se mancava una espressa definizione positiva di licenziamento collettivo.

Ecco allora che l‟Accordo del 5 maggio 1965, ultimo in materia e sostanzialmente riproduttivo dei contenuti dell‟accordo precedente, detta una definizione di licenziamento collettivo funzionale all‟assetto normativo dell‟epoca ma, proprio per tale caratteristica, finalizzata a costituire una

“via di fuga” dalla disciplina del licenziamento individuale.7 L‟accordo identificava il licenziamento per rdp sulla base del criterio meramente qualitativo della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro; un requisito causale, dunque, seppur accompagnato da un criterio numerico aperto.8

Il requisito di cui all‟art. 1 dell‟Accordo del 1965 aveva dato luogo ad un dibattito che, partendo dal dato testuale della disgiuntiva “o” (“riduzione o trasformazione“), era giunto a ritenere non indispensabile un ridimensionamento materiale della struttura aziendale o una riduzione della produzione, reputando sufficiente una effettiva e non transuente riduzione di lavoro9. Volontà del legislatore era quella di tracciare una linea di demarcazione tra licenziamento individuale e licenziamento per rdp, individuando i caratteri costitutivi di quest‟ultimo. A fronte di tale

7 GALANTINO, I licenziamenti collettivi, Giuffrè, Milano, 1984, p. 171.

8 CARINCI, Diritto del lavoro Vol. III, Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito, estinzione e tutela dei diritti, UTET, 2006.

9 GALANTINO, I licenziamenti collettivi, cit.; VENTURA, Licenziamenti. I licenziamenti collettivi, voce Enc. giur. Treccani, XIX, 11; GENOVIVA, I licenziamenti, Collana di dottrina e

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definizione normativa, infatti la giurisprudenza ha dato un significativo contributo all‟individuazione della fattispecie, ravvisandola in presenza di:

una pluralità di licenziamenti, una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, un nesso di causalità fra la insindacabile scelta economica datoriale e la soppressione di un certo tipo e numero di posti di lavoro e il rispetto delle procedure sindacali10.

Il riferito nesso di causalità escludeva che il rapporto di congruità dovesse sussistere fra la scelta economico-organizzativa del datore di lavoro e l‟individuazione dei singoli lavoratori da licenziare, poiché tale individuazione diretta è caratteristica precipua dei licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo11; la netta distinzione ha fatto nascere la convinzione che si potesse parlare di autosufficienza della disciplina prevista per il licenziamento per rdp e, in particolar modo, di autonomia del sistema di tutele previste nell„uno e nell„altro caso12.

L‟esito finale della procedura era comunque rappresentato dall‟individuazione concreta dei lavoratori da licenziare, ovvero dall‟applicazione di criteri di scelta tipici del licenziamento collettivo. Il

giurisprudenza di diritto del lavoro diretta da G. GIUGNI, Torino, Utet, 1988, 211; Cass.

16.1.1975, n. 172, in RGL, 1975, II, 79.

10 Cass. 27.2.1979, n. 1270, in RGL, 1979, II, 27; Cass. 13.2.1982, n. 922, in RGL, 1982, II, 64;

Cass. 2.9.1986, n. 5384, in RIDL, 1987, II, 593.

11 VALLEBONA, Il licenziamento collettivo per riduzione di personale, in MGL, 1992, 429;

Cass. 87.11.1998 n. 11251, in RCDL, 1999, 82; Cass. 26.4.1996 n. 3896, in MGL, 1996, 603;

Cass. 27.5.1997 n. 4685, in RCDL, 1997, 769.

12 Corte Cost. 8.2.1966, n. 8, cit. La Corte Costituzionale confermava la distinzione tra le due fattispecie ritenendo che il D.P.R. 1019/60 avesse garantito applicabilità generale all‟accordo esclusivamente con riferimento ai profili e alle disposizioni di carattere sostanziale riguardanti i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, e non anche alle previsioni procedurali le quali

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vero elemento di novità consisteva, infatti, nell‟obbligo dell‟imprenditore di tener conto di una serie di criteri oggettivi in concorso fra loro13: esigenze tecnico-produttive, anzianità e carichi di famiglia.

La disposizione, in un primo momento, era stata interpretata nel senso che tali criteri dovessero essere osservati rispettando l‟ ordine di priorità rigorosamente stabilito, assegnando quindi, a priori, una prevalenza al criterio economico su quelli c.d. sociali. Tuttavia in giurisprudenza si era consolidato un diverso orientamento, divenuto maggioritario, che esonerava il datore dal rispetto di tale rigida sequenza, all‟interno quindi di una valutazione globale e complessiva dei criteri di scelta14. Laddove ci si era, invece, pronunciati in termini di rigoroso rispetto dell‟ordine di priorità, le conseguenze pratiche non si discostavano, comunque, molto dall‟orientamento prevalente; infatti, anche all‟interno della posizione minoritaria, al datore di lavoro era riconosciuta la possibilità di dare prevalenza al criterio delle esigenze tecnico-produttive, purché fosse data la prova in concreto dell‟esistenza di fattori obiettivi giustificativi della scelta di tale criterio, oltre che dell‟assenza di intenti elusivi o ragioni discriminatorie. La scelta datoriale non era quindi sottratta al sindacato

conservavano la loro efficacia contrattuale.

13 Art. 2, ultimo comma, Accordo 1965.

14 Cass. 13.2.1990 n. 1039, in MGL, 1990, 44; Cass. 14.3.1992 n. 3167, in MFI, 1992; Cass.

6.7.1990, n. 7105, in RGL, 1990, II, 440.

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giudiziale di giustificazione della preminenza assegnata al criterio economico15.

La nozione interconfederale veniva ripresa nei successivi interventi legislativi, dove la rdp viene sempre più considerata un corpo autosufficiente di norme sostanziali e strumentali, tanto da poter, ancora oggi, riconoscere spazi residuali di applicabilità alla disciplina pattizia (si pensi alle imprese, operanti nel settore industriale che non abbiano i requisiti numerici oggi richiesti ed alle quali non sia neppure applicabile la disciplina normativa della CIGS).

15 FRANCO, Le modalità d’applicazione dei criteri di scelta nei licenziamenti collettivi prima e dopo la L. 223/1991, commento a Cass.15.7.1995, n. 7708, in RIDL, 1996, II, 424. Come detto, si tratta di una posizione minoritaria, comunque coerente con la finalità dell‟Accordo di dare prevalenza alla tutela delle esigenze dell‟impresa e coerente col carattere di libertà, costituzionalmente riconosciuto, dell‟iniziativa economica privata; CONTE, Questioni in tema di licenziamento collettivo, commento a Cass. 4.2.1998 n. 1150, in RIDL, 1999, II, secondo il quale il prevalente criterio economico consentiva una comparazione tra licenziandi soltanto nell‟ambito dei reparti interessati dalla rdp, ogni volta in cui ciò fosse funzionale a fronteggiare la crisi, sussistendo un rapporto fra le cause della stessa e l‟ambito di selezione del personale in esubero.

.

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I.2 La lacuna normativa generata dalla legge 604/1966

La nozione di licenziamento collettivo offerta dagli accordi interconfederali si potrebbe dunque definire quali-quantitativa, caratterizzata dalla previsione di una procedura di consultazione sindacale: la giurisprudenza dell‟epoca affermava che il criterio discretivo tra le due forme di licenziamento previste negli accordi, non fosse da ricercare nel numero dei lavoratori licenziati, bensì nel motivo obiettivamente considerato, ovvero, indipendentemente dalla persona del lavoratore16; nel licenziamento individuale il motivo concerne la persona del lavoratore licenziato ed un inadempimento degli obblighi contrattuali a lui imputabile17 (v. infra II.2).

In virtù di tale netta distinzione ed in mancanza di un‟apposita normativa in materia, si era posto sin da subito il problema della carenza di tutela dei lavoratori licenziati per rdp. Infatti, dopo aver individuato nel momento procedurale un elemento costituente la disciplina del licenziamento collettivo, la normativa vigente nulla diceva in merito alle conseguenze di un eventuale esito negativo della procedura conciliativa. Interrogativo aggravato dall‟efficacia limitata dell‟Accordo del 1965 ai soli stabilimenti industriali che normalmente occupavano più di dieci lavoratori, la cui disciplina, per di più, si limitava a garantire un mero confronto tra impresa e organismi locali dei sindacati stipulanti, prima che si procedesse ai

16 Trib. Napoli 10.6.1957, in Foro it., 1958, I.

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licenziamenti, lasciando a dottrina e giurisprudenza il compito di tracciare una tutela sostanziale dei lavoratori (già di tutta evidenza era quella procedurale).

La questione dell‟esito negativo della procedura conciliativa veniva, allora, risolta attraverso due diversi orientamenti. Un primo sosteneva la possibilità di conversione del provvedimento di licenziamento per rdp in individuale, ciò comportando, da un lato, l‟impugnabilità del provvedimento stesso, dall‟altro lato, la possibilità per l‟imprenditore di veder comunque realizzato il proprio interesse che aveva originariamente determinato la scelta di procedere al licenziamento per rdp18. Un secondo orientamento faceva riferimento alla tutela apprestata in alcune norme dell‟Accordo del 196519, basandosi sulla convinzione che un esito negativo fosse comunque una eventualità strutturale alla norma sindacale, e non il frutto di una sua violazione.

Ben diverso il caso di inosservanza delle norme sindacali, durante lo svolgimento della trattativa. Per una parte della dottrina, il licenziamento

17 MENGONI, Deformazioni giurisprudenziali della disciplina collettiva dei licenziamenti dell’industria, in RDC, 1957, II, 211.

18 ARANGUREN, Concorso fra procedure e procedimento in sede giurisdizionale, in I licenziamenti collettivi per riduzione di personale/ relazioni di BRANCA, Milano, Giuffrè, 1973, 432.

19 GHEZZI, ROMAGNOLI, Il rapporto del lavoro, Bologna, Zanichelli, 1995, 360. La disciplina interconfederale consta di norme sostanziali e strumentali: i licenziamenti per rdp devono essere motivati come tali (art. 5); i provvedimenti esecutivi del progetto di rdp si intendono sospesi per tutta la durata degli incontri in sede sindacale ovvero finché ha senso l‟aspettativa delle parti di giungere ad un accordo (art. 2, comma 2); in caso di nuove assunzioni entro un anno nelle mansioni e nelle specialità proprie dei lavoratori già licenziati, questi ultimi hanno diritto di essere riassunti con criteri obiettivi diversi rispetto a quelli in base ai quali furono eseguiti i licenziamenti (art. 5); non sono poi configurabili come licenziamenti collettivi, benché possano essere di massa,

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per rdp, intimato senza l‟osservanza della suddetta procedura, era da considerarsi inefficace e quindi inidoneo a determinare l‟estinzione del rapporto di lavoro: ci si muoveva nella direzione di una ferma distinzione, anche per quel che riguarda la disciplina applicabile alle due fattispecie20. Tuttavia, c‟era anche chi, su posizioni più caute, non parlava di conversione, bensì di un licenziamento per rdp da considerarsi individuale plurimo. Soluzione interessante non solo perché permetteva l‟impugnazione del provvedimento secondo le norme interconfederali, così garantendo un‟estensione della disciplina pattizia dei licenziamenti individuali a tutte le ipotesi in cui il mancato accordo fra le parti producesse un vuoto di tutela dei lavoratori; ma anche perché cominciava a delineare una qualificazione di licenziamento collettivo fondata sulla concreta applicazione di una disciplina autonoma.

Tuttavia, tale linea divisoria, così netta dal punto di vista normativo- concettuale, si rivelava poi molto mobile quando si trattava di applicare la disciplina. La posizione di voluto astensionismo che, in materia, il legislatore aveva tenuto di fronte alla complessità del fenomeno e alla difficoltà di apprestare un‟idonea tutela a tutti gli interessi coinvolti, non poteva più essere conservata. Ecco, allora, giusto un anno dopo l‟entrata in

né le estinzioni di rapporti di lavoro per scadenza del termine, né l‟estinzione derivante da fine lavoro nelle costruzioni edili e nelle industrie stagionali e saltuarie.

20 LATTANZI, Sui rapporti tra licenziamenti collettivi per rdp e licenziamenti individuali, in Giur.it, 1971, I, 255, il quale spiega che il tentativo di conciliazione, seppure coerente con la struttura dell‟accordo interconfederale, poteva condurre ad un esito negativo e quindi alla realizzazione dei licenziamenti.

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vigore dell‟ultimo Accordo, l‟emanazione della L. 604/1966. Un intervento chiarificatore in quanto pone, in maniera netta, il principio della necessaria giustificazione causale dei licenziamenti individuali, una sorta di cristallizzazione formale della motivazione a favore del lavoratore, per garantirgli una chiara conoscenza del thema decidendum ai fini dell‟eventuale giudizio d‟impugnazione21.

Molto più importante, ai fini della nostra indagine, è la scelta legislativa di stravolgere il precedente sistema fondato sulla distinzione tra licenziamento individuale-soggettivo e licenziamento collettivo-oggettivo; veniva infatti introdotta una nozione di licenziamento individuale alla cui base porre una motivazione tanto di tipo soggettivo (giusta causa/giustificato motivo soggettivo), quanto di tipo oggettivo22.

Diversa sorte tocca all‟istituto del licenziamento collettivo, per il quale l‟unica “norma” di riferimento restava l‟ultimo accordo interconfederale;

infatti, stabiliva l‟art. 11, comma 2 legge n. 604 (come modificato dall‟art.

2, comma 2, L. 108/1990), che “la materia del licenziamento collettivo per rdp è esclusa dalle disposizioni della presente legge”. Si tratta di un vero vuoto di regolamentazione determinato da una norma, tuttora in vigore, che riconosce implicitamente la categoria dei licenziamenti collettivi, senza

21 SALOMONE, Licenziamenti collettivi: gli obblighi di forma nella comunicazione del recesso al lavoratore e il controllo sulla giustificatezza dei motivi, commento a Cass. 6.7.2000, n. 9045, in RIDL, 2001, II, 573, il quale chiarisce che si tratta della stessa finalità oggi perseguita tramite la certa e trasparente comunicazione effettuata all‟Ufficio del lavoro e alle OO. SS.

22 VERGARI, Licenziamento per riduzione di personale e licenziamento per motivi oggettivi: due nozioni da riunificare, in LD, 1991, n. 1, 57.

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però stabilirne in alcun modo una definizione23. Dottrina e giurisprudenza hanno cercato in varie maniere di colmare tale vuoto. C‟è chi aveva sostenuto, schierandosi a favore di un‟interpretazione letterale dell‟art. 11, comma 2, la sussistenza giuridica di una fattispecie di recesso ontologicamente autonoma: il licenziamento assumeva natura collettiva quando il provvedimento di risoluzione del rapporto, oltre a riguardare una pluralità di lavoratori, fosse causato da una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro e fosse, altresì, preceduto dalle procedure di consultazione sindacale24. Si tratta di una tesi che guardava con favore alla disciplina interconfederale del licenziamento per rdp, in quanto dettata da una scelta di politica del diritto tesa, da una lato, a restringere il campo d‟azione della tutela nei confronti del licenziamento individuale tout court, ma dall‟altro lato, pronta ad allargare lo spazio d‟azione della tutela nei confronti dei licenziamenti illegittimi.

Un secondo orientamento cercava di attrarre i licenziamenti collettivi nella zona d‟ombra delineata dalla stessa legge n. 604; quest‟ultima infatti, all‟art. 3, fonda il licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo

23 Cass. 17.5.1985 n. 3034, in RGL, 1986, II, 61.

24 Cass. 5.5.1995, n. 4874, con commento di GALEONE, Il licenziamento collettivo prima e dopo la L. 223/1991, in RIDL, 1996, II, 639, è collettivo il licenziamento che si ricollega ad un‟effettiva e non transuente riduzione dell‟attività d‟impresa, che comporti una mera riduzione dell‟elemento del personale, ogniqualvolta l‟azienda possa effettivamente attuare il suo ridimensionamento senza dover necessariamente modificare, trasformare o sopprimere le sue strutture organizzative e materiali; Cass. 8.7.1982 n. 4050, in NGL, 1983, 2; Cass. 14.12.1982 n. 6897, in Mass. Foro it., 1982; Cass. 8.3.1988 n. 2215, in Mass. Foro it., 1988, individuavano, tutte, quale connotato essenziale del licenziamento collettivo per rdp l‟insindacabilità della scelta imprenditoriale, l‟espletamento delle procedure sindacali come elemento costitutivo della fattispecie, e, sotto il profilo degli effetti, la sola risarcibilità dei danni derivanti dalla violazione dei criteri di scelta.

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oggettivo25 sull‟organizzazione del lavoro. Di conseguenza, pur avendo in comune con il licenziamento per rdp l‟irrilevanza delle qualità proprie del singolo lavoratore, il recesso subiva un‟individualizzazione in relazione ad uno o più dipendenti, la cui attività lavorativa fosse immediatamente investita dalle ragioni produttive od organizzative determinanti la soppressione dei posti cui essi erano addetti. Dal combinato disposto dell‟art. 3 con l‟art. 11, comma 2, emerge, in caso di licenziamento per g.m.o., la configurabilità del licenziamento per rdp come fattispecie di recesso dell‟imprenditore, o meglio, come terza ipotesi di giustificato motivo26. Prima conseguenza di tale orientamento era la sottoponibiltà del provvedimento al controllo giudiziale27; laddove, ciò che l‟art. 11, comma 2, intendeva salvaguardare con la sua accezione negativa era l‟insindacabilità della scelta datoriale, restando, invece, in ogni caso soggetta a controllo giudiziale l‟adeguatezza in concreto del singolo licenziamento al programma di ridimensionamento insindacabilmente deciso dall‟imprenditore28. Il secondo effetto riguardava il licenziamento dichiarato illegittimo per insussistenza dei presupposti sostanziali e delle procedure di consultazione sindacale, in relazione al quale non opererebbe la riserva di cui all‟art. 11, comma 2, bensì riacquistava pieno vigore la

25 D‟ora in avanti g.m.o. per giustificato motivo oggettivo.

26 Cass. 27.2.1979, n. 1270, in RGL, 1979, II.

27 Corte Cost. 28.1.1985, ord. n. 191, in FI, 1986, I; Trib. Milano 25.5.1994, in OGL, 1994, n. 3, 629; Cass. 17.6.1997 n. 5419, in Rep. Foro it., 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1626.

28 PERA, Relazione, in Aidlass, I licenziamenti nell’interesse dell’impresa, 252.

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disciplina sui licenziamenti individuali29. Di tutta evidenza era la volontà di espandere la disciplina di cui alla L. 604 sulla base di una possibile diversa qualificazione degli stessi fatti giuridici, una qualificazione razionale e giustificata dalla diversità delle fattispecie e degli interessi in gioco;

diversità che consente, sul piano processuale, di stabilire procedure differenziate in relazione alle varie situazioni sostanziali dedotte in giudizio.

E proprio sul piano delle tutele si muoveva un terzo orientamento che parla di un‟implicita abrogazione dell‟art. 11, comma 2, da parte dell‟art. 18 dello Statuto dei Lavoratori: la differenza fra i due tipi di recesso perderebbe rilevanza in concreto a seguito della generale applicabilità riconosciuta al regime di stabilità reale, così come garantito nello Statuto30.

Da quanto esposto si comprendono i successivi numerosi interventi legislativi a protezione dei rischi connessi all‟intimazione di un licenziamento per rdp: dalla normativa in materia di intervento straordinario della Cassa integrazione guadagni31 (v. infra II.3) alla predisposizione di un più ampio sistema di ammortizzatori sociali fino a tentativi di supporto economico dello stato alle imprese, ai fini della salvaguardia tanto dei livelli occupazionali, quanto del reddito dei lavoratori.

29 Cass. 5.5.1984, n. 4874.

30 BALLESTRERO, I licenziamenti, 1975, cit.; Pret. di Taranto 29.7.1976, in RGL, 1977, II.

31 D‟ora in avanti Cig per Cassa integrazione guadagni.

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I.3 Gli interventi normativi comunitari: le Dir. 75/129/CEE e 92/56/CEE

Il vuoto di regolamentazione lasciato dall‟art. 11, comma 2, L. 604, aveva posto problemi di compatibilità con la normativa comunitaria, la quale, in merito al sistema di garanzie dei diritti dei lavoratori eventualmente coinvolti in una crisi di impresa, si era sin da subito attivata intensamente ai fini di una definizione uniforme, in ambito europeo, della nozione di licenziamento collettivo per rdp. L‟obiettivo prioritario perseguito a livello comunitario era la conformazione, o quanto meno il riavvicinamento della legislazione dei vari Stati Membri mediante l‟individuazione di tutele uniformi, ferma restando la possibilità, per i singoli Stati Membri, di introdurre discipline nazionali più favorevoli32.

Si è posto innanzitutto un problema di natura giuridica in merito allo strumento normativo adottato, ovvero la direttiva, la quale impone, in termini di efficacia, l‟emanazione di specifici provvedimenti attuativi da parte dei vari legislatori nazionali. Tale ulteriore produzione normativa non sempre, però, è stata ritenuta indispensabile prospettandosi, in linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale33 sul rapporto fra gli ordinamenti comunitario ed interno, ed a seguito della reiterata inadempienza agli obblighi comunitari, un‟efficacia diretta quantomeno delle disposizioni

32 SANTONI, Il dialogo tra ordinamento comunitario e nazionale del lavoro: legislazione, in GDLRI, 1992.

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immediatamente attributive di diritti ai lavoratori. L‟obiettivo è stato rendere vincolanti le tutele comunitarie apprestate nelle situazioni di crisi dell‟impresa34.

La seconda questione ha riguardato la legittimazione dell‟intervento comunitario; essa è individuata nell‟art. 100 (ora 94) del Trattato TCE, il quale afferma che la necessità di armonizzazione legislativa, regolamentare ed amministrativa fra gli Stati Membri nasce dall‟esigenza di assicurare un regolare funzionamento del mercato comune35. Il richiamo alle esigenze di mercato ha proprio l‟obiettivo di regolare la concorrenza fra imprese, giustificando l‟attività normativa in tale materia.

La Comunità Europea, nell‟ipotesi di licenziamento per rdp, si è allora mossa nella direzione di garantire agli interessi, sia pubblici che individuali e collettivi dei lavoratori, un coinvolgimento nel processo di regolazione della decisione datoriale, al fine di governare la situazione di crisi e di realizzare un dialogo sociale fra le parti volto a pervenire a situazioni di compromesso del conflitto, anche e soprattutto attraverso una funzione di controllo sull‟esercizio del potere gestionale dell‟imprenditore. Finalità che oggi trova espresso e solido fondamento nei nuovi artt. 136 (già 117) e 137 (già 118) TCE; il raggiungimento di un‟adeguata protezione sociale dei

33 Corte Cost. 27.12.1973, n. 183, in Giust. Cost. 1973, I, 2401; Corte Cost. 23.4.1984 n. 113, in Giurisprudenza Cost. 1985, I, 694; Corte Cost. 11.7.1989, n. 389, in Giurisprudenza Cost. 1985, I, 1757.

34 GAROFALO, CHIECO, Licenziamenti collettivi e diritto europeo, in DLRI, 2001, pp.67 e ss.

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lavoratori e il consolidamento del dialogo sociale assurgono ad obiettivi della Comunità, tanto da consentirle interventi in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del rapporto di lavoro e rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro.

La prima direttiva emanata in materia di licenziamento collettivo per rdp è la n. 129 del 17.2.1975 la quale dichiara in maniera esplicita lo scopo, sotteso alla normativa comunitaria, di riavvicinamento della legislazione degli Stati Membri e di rafforzamento della tutela dei lavoratori. Nel preambolo alla direttiva si sottolinea come il coinvolgimento del rapporto di lavoro subordinato e la realizzazione di effetti socialmente benefici passa proprio attraverso l‟eliminazione di quelle differenze normative potenzialmente in grado di ripercuotersi nella competizione fra imprese:

l‟obiettivo primario ha dunque natura economica. La definizione di licenziamento collettivo contenuta nella direttiva risente del modello legale allora previsto nell‟ordinamento tedesco; dall‟art. 1, n. 1 , Dir. 75/129, infatti, emerge come la fattispecie sia imperniata su requisiti sia qualitativi, con riferimento ad “uno o più motivi non inerenti la persona del prestatore di lavoro”, sia quantitativo-temporali. Primo punto focale è allora la natura economico-produttiva o tecnico-organizzativa della causa del

35 Caso Azko del 1973, si sottolinea come le differenze normative, in particolar modo per quel che riguardava i costi dei licenziamenti, provocavano una forte distorsione del regolare funzionamento del mercato comune.

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licenziamento; secondo punto, l‟individuazione del numero dei lavoratori coinvolti dal licenziamento per rdp, prestabilito dalla stessa direttiva con riguardo a determinati periodi di tempo36.

La chiarezza della definizione, aggiunta alle finalità di riavvicinamento normativo proprie dell‟intervento comunitario, ha spinto la Corte di Giustizia37 su posizioni molto rigide in merito ad eventuali deroghe alla definizione stessa ed alla determinazione della conseguente riduzione del campo d‟applicazione della direttiva. Emblematica è stata la sentenza Cgce che “condannava” l‟ordinamento del Regno Unito, il quale limitava il raggio d‟azione della normativa esclusivamente ai “licenziamenti per motivi economici”38. Tale posizione di chiusura si trasformava in vera e propria intransigenza nei confronti dell‟ordinamento italiano, caratterizzato, nella materia in esame, dalla lacuna legislativa lasciata dalla L. 604. La prima pronunzia è del 8.6.1982, in causa 91/8139, con la quale si dichiarava l‟inadempienza dello Stato italiano agli obblighi derivanti dal trattato CE per non aver adottato le disposizioni necessarie a conformarsi alla direttiva.

La difesa del nostro governo era ruotata attorno alla circostanza che l‟ordinamento italiano poteva ben motivare il suo mancato adeguamento, in

36 GRANATA, Le direttive comunitarie in materia di licenziamenti collettivi e l’ordinamento italiano, in I Licenziamenti Collettivi, QDLRI, 1997, n. 19, 159.

37 D‟ora in avanti Cgce per Corte di Giustizia della Comunità europea.

38 CGE, sent. 8.6.1994 383/92, Commissione v. Regno Unito, la Corte spiega come la scelta operata nel sistema inglese implicasse, da un lato, l‟inclusione di casi di cessazione/riduzione dell‟attività di impresa e di casi di diminuzione della domanda per un lavoro di tipo particolare, e dall‟altro lato, l‟esclusione del caso in cui i lavoratori venissero licenziati in seguito ad una ristrutturazione dell‟impresa indipendente dal livello di attività di questa.

39 CGCE 8.6.1982 , causa 91/81, Commissione v. Repubblica italiana, in RaccCG, 1982, 2133.

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virtù dell‟assetto di relazioni industriali allora vigente in grado di perseguire, seppure con strumenti parzialmente diversi, gli obiettivi di risoluzione dei medesimi problemi economico-sociali dei lavoratori e di tutela degli stessi contro la disoccupazione (Lettera del Governo, 23.11.1979)40. Conseguenza di tale posizione era stata la mancata conformazione alla sentenza della Corte di Giustizia, con successiva ulteriore condanna dello Stato italiano, per inadempienza agli obblighi imposti dall‟art. 171 del Trattato CE (versione consolidata Maastricht)41. La disciplina comunitaria introdotta nel 1975 subisce delle modifiche a seguito dell‟emanazione, dopo l‟entrata in vigore della L. 223/1991, di una nuova direttiva in materia, la Direttiva CEE n. 56 del 24.6.1992. Il preambolo alla direttiva stessa spiega come l‟ulteriore intervento comunitario sia stato dettato dalla duplice necessità di equiparare ai licenziamenti le altre forme di cessazione del rapporto di lavoro ad iniziativa datoriale, e di sviluppare l‟informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori: la Commissione sottolinea come la direttiva intenda disciplinare non tanto le situazioni di licenziamento nel senso giuridico del termine, quanto le situazioni di soppressione del posto di lavoro. Ciò ha implicato un allargamento delle maglie della definizione di licenziamento collettivo, fino a ricomprendervi tutte le ipotesi di risoluzione

40 FOGLIA, Obblighi comunitari e licenziamenti collettivi, in Dir. Lav., 1982, II, 385, il quale esprime la convinzione che il nostro ordinamento fosse, già all‟epoca, tra i più evoluti in materia.

41 Corte di Giustizia CEE, sent. 6.11.1985, in causa 131/84, in Foro it., 1986, IV.

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del rapporto che: abbiano la causa nell‟eccedenza di personale, siano di iniziativa del datore di lavoro, siano legate ad una o più ragioni non inerenti la persona del prestatore di lavoro e comportino un minimo di cinque licenziamenti, compresi i prepensionamenti, nonché i licenziamenti causati da cessazione dell‟attività dello stabilimento risultante da una decisione giudiziaria e quelli avvenuti in gruppi di imprese e multinazionali.

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I.3.1 La Direttiva 98/59/CEE

La Direttiva del 20.7.1998 n. 59 racchiude la disciplina vigente, costituendo un vero e proprio testo unico della regolamentazione comunitaria dei licenziamenti collettivi. Si parte dalla definizione della fattispecie di licenziamento collettivo per arrivare all‟inclusione/esclusione di determinate fattispecie o tipologie di lavoratori, passando attraverso l‟informazione e consultazione degli stessi e la notifica all‟autorità pubblica competente42.

La natura collettiva del licenziamento effettuato da “un datore di lavoro” si fonda su due requisiti: uno di natura eziologica, consistente nella riconduzione dell‟atto di recesso ad uno o più motivi non inerenti la persona del lavoratore, l‟altro di natura numerico-temporale composto da tre elementi fra loro intrecciati: il numero dei lavoratori interessati, la manodopera occupata nella struttura produttiva d‟appartenenza e l‟arco temporale nel quale effettuare i licenziamenti43. Il requisito qualitativo attiene alle ragioni del recesso e la sua formulazione in termini negativi risponde alla volontà legislativa di delimitazione del campo d‟applicazione:

42 BLAINPAIN, COLUCCI, Il diritto comunitario del lavoro e il suo impatto sull’ordinamento giuridico italiano, Padova, Cedam, 2000, 427 e ss. Il fondamento della direttiva è da rinvenire nell‟art. 94 CE, il quale, prendendo spunto dalle differenti modalità e procedure e dalle differenti misure di attenuazione delle conseguenze che i licenziamenti collettivi possono produrre sulla posizione dei lavoratori, afferma, ancora una volta, la necessità di riavvicinamento di leggi, regolamenti e regole amministrative degli Stati Membri, che interessino in maniera diretta la creazione di un mercato comune.

43 Art. 1, Dir. 98/59, v. infra.

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restano infatti esclusi quei licenziamenti che trovano causa immediata e diretta in particolari condizioni soggettive o comportamenti dei lavoratori, quali ad esempio violazioni disciplinari o sopravvenuta incapacità a prestare l‟attività lavorativa. Dall‟altro lato, la coincidenza del motivo non personale con la causa legittimante l‟estinzione del rapporto consente la riconduzione di tutti quei recessi che implicano la comparazione e selezione tra i vari profili professionali dei dipendenti da licenziare: tuttavia, si precisa che

“l‟applicazione di criteri di scelta basati sulla persona del lavoratore, come le condizioni familiari o l‟anzianità, non inficia la natura collettiva dell‟estinzione del rapporto”, in quanto il conflitto fra interesse datoriale al ridimensionamento della manodopera occupata e interesse dei lavoratori al mantenimento del posto di lavoro viene risolto in favore del primo. O meglio, l‟individuazione, volutamente ampia, delle ragioni integranti il motivo del licenziamento chiarisce come qualsiasi decisione economico- organizzativa dell‟impresa legittimi, una volta rispettati gli oneri procedurali, l‟adozione di atti di risoluzione di rapporti di lavoro44.

Ecco allora emergere la posizione radicale di chi stenta a trovare nella direttiva in esame la nozione di licenziamento collettivo45, o di chi afferma la possibilità di raggiungere conclusioni diverse se solo si pervenga ad una definizione positiva dei licenziamenti collettivi in grado di delimitarne il

44 GAROFALO, CHIECO, Licenziamenti collettivi e diritto europeo,in AA.VV., I licenziamenti per riduzione di personale in Europa, cit.

45 VENEZIANI, Stato e autonomia collettiva, Bari, Cacucci, 1992.

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campo d‟applicazione, escludendo ad esempio i licenziamenti non giustificati da una riduzione dell‟attività produttiva. Comincia, allora, a farsi largo una certa discrepanza fra norme comunitarie ed interne, se solo si pensi al difficile tentativo di individuare una piena compatibilità fra i motivi del licenziamento appena definiti e la “riduzione o trasformazione di attività o di lavoro”, di cui parla la L. 223 (v. infra II.2).

Quanto al requisito numerico-temporale, il legislatore comunitario offre la possibilità di scelta fra due opzioni correlate ad un arco temporale di riferimento. Sono collettivi i licenziamenti che riguardano: per un periodo di 30 giorni, almeno 10 licenziamenti negli stabilimenti che occupano abitualmente da 20 a 100 dipendenti; in alternativa, almeno il 10% dei lavoratori licenziati negli stabilimenti che occupano abitualmente da 100 a 300 dipendenti; per un periodo di 90 giorni, almeno 20 licenziamenti senza tener conto del numero dei lavoratori abitualmente occupati negli stabilimenti interessati. Emerge un dato: all‟allungamento del periodo temporale corrisponde una tendenziale diminuzione del numero dei licenziamenti necessari ai fini della configurabilità della fattispecie in esame, tanto da arrivare all‟esclusione dal campo d‟applicazione della direttiva dei licenziamenti effettuati da stabilimenti con meno di 20 dipendenti abitualmente occupati.

Ai fini del calcolo del numero dei licenziamenti previsti vengono assimilati ai licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro che si siano verificate

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per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché il numero di rapporti di lavoro estinti sia almeno 546. Si tratta di un ulteriore criterio di calcolo consistente nell‟inclusione di tutte le cessazioni diverse dai licenziamenti, tuttavia rientranti nella sfera di interessi economico- organizzativi del datore di lavoro (si pensi, ad esempio, alle dimissioni incentivate). La condizione essenziale del numero minimo dei licenziamenti pone, però, l‟interrogativo del significato da attribuire al termine

“licenziamenti”. Una prima soluzione interpreta il termine in senso lato ipotizzando che, una volta soddisfatti i su elencati requisiti, sia possibile applicare la normativa comunitaria. Tale orientamento, che si poggia dunque su un implicito abbassamento dei limiti quantitativi, è contraddetto da una seconda soluzione che interpreta in maniera restrittiva l‟equiparazione in esame: solo in presenza di 5 “licenziamenti” in senso proprio è possibile verificare che sia effettivamente in atto una crisi aziendale tale da giustificare le procedure di consultazione sindacale e la predisposizione delle previste misure sociali47. Il raggiungimento della soglia numerica diviene, allora, per il datore di lavoro, oggetto di un‟attenta valutazione della programmazione dell‟eccedenza di personale.

Un‟altra questione interpretativa concerne la nozione di “stabilimento”, il quale assume il ruolo di unità organizzativo-produttiva di riferimento per il calcolo sia del numero degli esuberi, sia della manodopera stabilmente

46 Art. 1, lett. B, Dir. 98/59.

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occupata. La Corte di Giustizia privilegia un approccio legato alla fisicità del luogo di svolgimento della prestazione, definendo lo stabilimento

“l‟unità alla quale i lavoratori colpiti da licenziamento sono addetti per lo svolgimento dei loro compiti”48. Si tratta di un ulteriore motivo di discrepanza con la normativa nazionale, la quale utilizza, a fronte del concetto comunitario di stabilimento, quello di impresa, con conseguente ampliamento del campo d‟applicazione (v. infra II.1).

L‟ambito d‟applicazione della direttiva trova ulteriori limitazioni in virtù delle tassative fattispecie di esclusione49, individuate all‟art. 1, comma 2.

Sono esclusi, innanzitutto, i licenziamenti collettivi effettuati nel quadro dei contratti di lavoro a tempo determinato o per un compito determinato, a meno che tali licenziamenti non avvengano prima della scadenza del termine (o dell‟espletamento del compito). La condizione della scadenza del termine è fondamentale ai fini dell‟integrazione dell‟ipotesi di cessazione per mutuo consenso del rapporto negoziale; in mancanza, ci si trova di fronte ad un atto unilaterale di recesso che giustifica l‟applicazione della disciplina della direttiva. Non rientrano nell‟ambito d‟applicazione della normativa altresì, i licenziamenti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli enti di diritto pubblico. L‟inapplicabilità della

47 Corte di Giustizia CEE, sent. 12.2.1985, n. 284/83, in FI, 1986, II.

48 Corte di Giustizia CEE, sent. 12.2.1985 284/83, cit.

49 La tassatività dell‟elenco è stata confermata dalla Corte di Giustizia che ha condannato il Belgio per aver escluso i licenziamenti degli addetti alle riparazioni delle barche nonché dei lavoratori portuali e dell‟edilizia (CGCE 28.3.1985, causa C-215/83), e la Repubblica Italiana per aver violato gli obblighi comunitari a seguito dell‟esclusione dell‟agricoltura e del commercio

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direttiva è manifestazione della ritenuta estraneità della materia delle eccedenze di personale nelle PP.AA.50, con conseguente perplessità a sottoporre al meccanismo di procedimentalizzazione previsto l‟attività di ridimensionamento degli organici da parte di enti portatori di interessi generali, intangibili dalle regole di concorrenza. Infine, la disposizione fa riferimento ai licenziamenti degli equipaggi di navi marittime, esclusione giustificata dal grado di specialità proprio del rapporto nautico.

Una volta inquadrata la fattispecie, il secondo aspetto fondamentale consiste nella procedimentalizzazione della libertà datoriale di procedere a modifiche del livello occupazionale, ferma restando l‟insindacabilità nel merito della scelta di procedere a licenziamento per rdp. L‟art. 2 pone, infatti, obblighi di informazione gravanti sul datore di lavoro e prevede un meccanismo di consultazioni sindacali, mentre l‟art. 3 disciplina l‟intervento delle autorità pubbliche competenti. Obiettivo della direttiva è realizzare un procedimento di informazione/consultazione fra le parti finalizzato al raggiungimento di un accordo, il cui oggetto consiste nell‟esaminare le possibilità di eliminare o ridurre i licenziamenti collettivi, nonché di attenuarne le conseguenze mediante la predisposizione di misure di accompagnamento intese a facilitare la riqualificazione e riconversione dei lavoratori licenziati51. Il datore di lavoro che abbia previsto un piano di

dall‟ambito d‟applicazione della disciplina di riferimento per i licenziamenti collettivi, che allora era quella pattizia (CGCE 8.6.192, causa C-91/81).

50 D‟ora in avanti PP. AA. per pubbliche amministrazioni.

51 Art. 2, comma 2.

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licenziamenti, ovvero che intenda realmente procedere al licenziamento per rdp, deve fornire preventivamente le informazioni relative alla volontà e alle modalità dell‟esercizio del potere di recesso; ovvero, deve comunicare per iscritto: i motivi del licenziamento, il numero dei lavoratori che intende licenziare e il numero di quelli normalmente occupati, il periodo in cui verranno effettuati i licenziamenti, i criteri di scelta, ove siano determinati, per legge o prassi nazionali, dallo stesso imprenditore, il calcolo di eventuali indennità di licenziamento diverse da quelle previste dalle legislazioni nazionali e le misure previste nei confronti dei lavoratori eccedenti.

Tale procedura presuppone, innanzitutto, l‟esistenza di rappresentanti dei lavoratori, in grado di condurre efficacemente la trattativa in vista del raggiungimento di un accordo. L‟individuazione di tali soggetti è rimandata alle normative interne agli Stati Membri, col rischio che tale rinvio si trasformi in una designazione discrezionale del datore stesso, e conseguente frustrazione dell‟obiettivo di informazione/consultazione fra le parti52. La Corte di Giustizia è allora intervenuta affermando che la norma in questione non opera un rinvio tout court al diritto o alla prassi in vigore negli Stati

52 GAROFALO, CHIECO, Licenziamenti collettivi e diritto europeo,in AA.VV., I licenziamenti per riduzione di personale in Europa, cit.

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Membri, ma si limita a rimettere a questi ultimi il compito di determinare le modalità di designazione di idonei rappresentanti dei lavoratori53 .

Nella procedura un ruolo di rilievo è assegnato all‟autorità pubblica competente, la cui individuazione è, ancora una volta, di competenza dei singoli stati. Tale autorità è, in primo luogo, destinataria di almeno una copia della comunicazione con la quale il datore di lavoro manifesta ai rappresentanti dei lavoratori il suo progetto di licenziamento; nella fase successiva alla consultazione, poi, è destinataria di un‟ulteriore informativa contenente, da un lato, elementi standard, dai motivi del licenziamento ai tempi della sua esecuzione, e dall‟altro lato, informazioni utili a conoscere il progetto di licenziamento ma anche l‟andamento delle consultazioni e il loro esito. All‟autorità pubblica competente è altresì devoluto il compito di ricercare delle soluzioni ai problemi posti dai licenziamenti collettivi ed è per questo motivo che l‟art. 4.1 della direttiva collega alla notificazione del progetto di licenziamento la decorrenza di un termine legale, ordinatorio ma non inferiore a 30 giorni, durante il quale i licenziamenti collettivi non avranno effetto, in virtù quindi di un meccanismo di sospensione. La formula ampia con cui il legislatore individua il contenuto del raggio d‟azione del soggetto pubblico è a conferma della ratio della procedura, che è quella di configurare la fase amministrativa al pari di quella sindacale,

53 CGCE 8.6.1994, causa 383/92, Commissione v. Regno Unito, chiarisce come l‟obiettivo sia evitare l‟aleatorietà della costituzione di rappresentanze dei lavoratori e garantire effettività alla procedimentalizzazione del potere di recesso datoriale.

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quale segmento della procedimentalizzazione. I pubblici poteri, dunque, non si limitano a svolger un ruolo di intermediazione tra le parti coinvolte e di registrazione notarile dei risultati della consultazione, ma hanno un ruolo attivo nella misurazione degli impatti dei licenziamenti collettivi e nell‟adozione delle misure necessarie per un pronto reimpiego dei lavoratori licenziati54. L‟art. 4 non vincola il datore di lavoro ad atti preventivi di autorizzazione dell‟autorità pubblica o a prestazioni indennitarie a favore dei lavoratori; inoltre non pone obblighi né condizioni all‟autorità pubblica, in merito all‟adozione di provvedimenti in materia di sicurezza sociale o di politica dell‟impiego connessi al progetto di licenziamento, limitandosi a prevedere che gli Stati Membri possano rendere più incisivo il ruolo dei pubblici poteri, applicando od introducendo disposizioni legislative, regolamentari od amministrative più favorevoli ai lavoratori, o consentendo l‟applicazione di disposizioni contrattuali più favorevoli ai lavoratori55. La direttiva, infine, all‟art. 6 demanda sempre agli Stati Membri il compito di provvedere affinché i rappresentanti dei lavoratori e/o i singoli dipendenti dispongano di procedure amministrative e/o giurisdizionali per far rispettare gli obblighi previsti dalla medesima direttiva; infatti la disciplina comunitaria non prevede sanzioni diverse da quelle applicabili a

54 GRANATA, Le direttive comunitarie in materia di licenziamenti collettivi e l’ordinamento italiano, in I licenziamenti collettivi, cit.

55 ARRIGO, Il diritto del lavoro dell’Unione Europea, Giuffrè, Milano, 2001.

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seguito di procedure d‟infrazione nei confronti degli stati che non rispettino gli obblighi derivanti dalla loro appartenenza alla Comunità56.

La consapevolezza di quanto importante sia la procedura di informazione/consultazione tra le parti interessate da vicende modificative della realtà di un‟impresa, era, tuttavia, già emersa in una precedente direttiva comunitaria, la Direttiva 77/187, oramai trasfusa nella Direttiva 2001/23/CEE, la cui attuazione in Italia è avvenuta con l‟art. 47 della legge del 29.12.1990 n. 428 (come modificato dal d.lgs. n. 18 del 2001). La Dir.

n. 77, in termini generali, assicura il mantenimento dei diritti dei lavoratori coinvolti nel trasferimento di imprese conseguente a cessione contrattuale o a fusione, prevedendo un‟obbligatoria procedura di informazione e consultazione a carico sia del cedente sia del cessionario, tenuti a comunicare in tempo utile ai rappresentanti dei lavoratori i motivi e le conseguenze economiche, giuridiche e sociali del trasferimento, nonché le eventuali misure di sostegno che rappresentano, appunto, l‟oggetto esplicito delle prescritte consultazioni57.

56 CGCE, sent.8.6.1994 causa 383/92 ,Commissione v. Regno Unito. La povertà del sistema sanzionatorio comunitario è confermata dalla circostanza che il giudice comunitario ha solo la possibilità di chiedere che venga garantito un principio di parità nei confronti delle “violazioni nazionali di natura e di importanza simile”, e che sia applicata una sanzione “effettiva, proporzionata e dissuasiva”.

57 SANTONI, Il dialogo tra ordinamento comunitario e nazionale di lavoro: legislazione, in GDLRI, 1992. L‟art. 47, legge n. 428 pone tale obbligo a seguito del trasferimento di un‟azienda in cui siano occupati più di 15 dipendenti, individuando come controparte le rispettive rsu, ovvero le rispettive rappresentanze sindacali del cedente e del cessionario che hanno stipulato il contratto collettivo nelle imprese interessate dal trasferimento (in mancanza, i sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi); SANTORO PASSARELLI, Trasferimento d’azienda e rapporto di lavoro, Giappichelli, 2007, 39, secondo il quale l‟informativa dovuta ai sindacati riguarda anche i motivi del trasferimento, il che potrebbe indurre a ritenere che l‟atto di trasferimento sia, in qualche misura, sindacabile da parte del giudice; in realtà, tale previsione è

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I.4 L’attuazione delle direttive comunitarie: legge n. 223/1991

Con l‟approvazione della legge del 23.7.1991 n. 223 in tema di governo del mercato del lavoro il nostro legislatore ha voluto colmare, come più volte sottolineato, l‟evidente lacuna del sistema legale italiano in materia di licenziamenti collettivi. Anticipiamo alcuni punti focali dell‟intervento normativo.

L‟effetto primario ottenuto dalla legge in questione consiste nel superamento delle passate ambiguità concettuali e regolamentari e nella definitiva comunitarizzazione della fattispecie giuridica dei fenomeni di licenziamento per rdp; oggi, la nozione di licenziamento collettivo per rdp non è più un fragile elemento di ricostruzione interpretativa funzionale al controllo ex post sulla giustificazione del licenziamento, ma diventa, ex art.

24, legge n. 223, una fattispecie legale tipica, calibrata sulla Dir. 98/59, che trova definitiva attuazione con l‟intervento normativo in esame. Il primo obiettivo raggiunto, allora, è stato quello di garantire la certezza del diritto,

esclusivamente finalizzata alla consultazione e non anche a fondare un potere di controllo sindacale sui motivi del trasferimento. La norma, pertanto, non legittima i rappresentanti dei lavoratori a sindacare le scelte dell‟imprenditore, e neppure ad impedire la conclusione del negozio di trasferimento in caso di dissenso, ma obbliga alienante ed acquirente, ex art. 1345, c.c., ad informare con correttezza e buona fede le rispettive r.s.a. sui motivi, non a caso circoscritti, per l‟obbligo d‟informativa, a quelli che comportano conseguenze per i lavoratori.

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ottenuto attraverso una previsione della definizione legale di licenziamento collettivo58.

La legge però non si limita a soddisfare l‟esigenza di definizione delle istanze regolative, ma va oltre, inserendo la disciplina del licenziamento per rdp al centro di un complesso sistema di gestione delle eccedenze di personale. La nuova disciplina, come si comprende, dipende allora anche da variabili esterne al tradizionale circuito legislativo: si pensi alla riconsiderazione complessiva del trattamento di mobilità quale ulteriore effetto pubblicistico del licenziamento collettivo, o, ancora, al riconoscimento in capo al sindacato di diritti di informazione e negoziazione da esercitare nell‟ambito della procedura che precede i licenziamenti. La legge in esame si può definire contemporanea proprio in virtù dell‟azione combinata di più forze e di una pluralità di interessi, destinati a bilanciarsi all‟interno di un equilibrio dinamico59. L‟elemento maggiormente innovativo consiste nell‟aver portato sul piano dinamico del confronto tra le parti sociali coinvolte dalla rdp l‟individuazione di un punto di sintesi fra la dimensione collettiva della scelta imprenditoriale di riassetto organizzativo e la dimensione individuale del rapporto che lega il singolo dipendente al proprio datore di lavoro. Ecco emergere un altro effetto

58 LIEBMAN, La mobilità nel lavoro nella L. 223/1991: tendenze della prassi applicativa, in RIDL, 1999, I, 125.

59 DEL PUNTA, La legge 223/1991 e i licenziamenti collettivi: un primo bilancio teorico, cit., secondo il quale la filosofia che ispira tutta la riforma è incentrata a favorire uno sviluppo dinamico del sistema economico e produttivo ed un riequilibrio finanziario del sistema previdenziale, puntando su un‟accentuata flessibilizzazione del fattore lavoro.

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primario della L. 223: la garanzia di una giusta tutela del reddito dei lavoratori e di un circuito privilegiato (indennità di mobilità e ricollocamento incentivato) per quanti siano soggetti al provvedimento di licenziamento, al quale, ora, si dovrebbe ricorrere solo nei casi in cui la ripresa dell‟attività sia incerta, se non impossibile: la legge lascia il datore libero di ricorrere immediatamente al licenziamento per rdp, salvo prevedere un inasprimento degli oneri economici.

Cominciano ad intravedersi le differenze fra la vecchia disciplina contrattuale e la nuova disciplina legislativa.

La prima differenza attiene alla sequenza licenziamento-procedura- mobilità; infatti, nonostante la prospettiva dell‟intervento legislativo sia quella di un‟estensione del trattamento di mobilità, questa non viene concepita quale elemento essenziale della disciplina del licenziamento per rdp. Voluntas legis è stata, infatti, quella di eliminare il ricorso alla Cassa integrazioni, o meglio, eliminare l‟equifunzionalità tra intervento straordinario della Cig e licenziamento collettivo che si era delineata nel previgente sistema normativo, sistema che puntava proprio sull‟intervento straordinario quale misura idonea a stabilizzare le eccedenze di personale, con un costo nullo per l‟impresa. La riforma operata dalla L. 223 contrasta l‟uso della Cassa integrazione guadagni come anticamera del licenziamento collettivo, sia creando una netta linea di demarcazione tra le eccedenze transitorie-contingenti e quelle definitivo-struttrali, sia attraverso una serie

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somiglianza: la rielaborazione deve contenere tutti i principali concetti espressi nel testo di partenza e utilizzare quanto più possibile le forme verbali del testo originario.

C) un anello di cellule che dà origine a nuovi tessuti in senso centrifugo D) un anello di cellule che dà origine a nuovi tessuti in senso centripeto E) un anello di cellule che