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La Direttiva 98/59/CEE

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI (pagine 28-44)

La Direttiva del 20.7.1998 n. 59 racchiude la disciplina vigente, costituendo un vero e proprio testo unico della regolamentazione comunitaria dei licenziamenti collettivi. Si parte dalla definizione della fattispecie di licenziamento collettivo per arrivare all‟inclusione/esclusione di determinate fattispecie o tipologie di lavoratori, passando attraverso l‟informazione e consultazione degli stessi e la notifica all‟autorità pubblica competente42.

La natura collettiva del licenziamento effettuato da “un datore di lavoro” si fonda su due requisiti: uno di natura eziologica, consistente nella riconduzione dell‟atto di recesso ad uno o più motivi non inerenti la persona del lavoratore, l‟altro di natura numerico-temporale composto da tre elementi fra loro intrecciati: il numero dei lavoratori interessati, la manodopera occupata nella struttura produttiva d‟appartenenza e l‟arco temporale nel quale effettuare i licenziamenti43. Il requisito qualitativo attiene alle ragioni del recesso e la sua formulazione in termini negativi risponde alla volontà legislativa di delimitazione del campo d‟applicazione:

42 BLAINPAIN, COLUCCI, Il diritto comunitario del lavoro e il suo impatto sull’ordinamento giuridico italiano, Padova, Cedam, 2000, 427 e ss. Il fondamento della direttiva è da rinvenire nell‟art. 94 CE, il quale, prendendo spunto dalle differenti modalità e procedure e dalle differenti misure di attenuazione delle conseguenze che i licenziamenti collettivi possono produrre sulla posizione dei lavoratori, afferma, ancora una volta, la necessità di riavvicinamento di leggi, regolamenti e regole amministrative degli Stati Membri, che interessino in maniera diretta la creazione di un mercato comune.

43 Art. 1, Dir. 98/59, v. infra.

restano infatti esclusi quei licenziamenti che trovano causa immediata e diretta in particolari condizioni soggettive o comportamenti dei lavoratori, quali ad esempio violazioni disciplinari o sopravvenuta incapacità a prestare l‟attività lavorativa. Dall‟altro lato, la coincidenza del motivo non personale con la causa legittimante l‟estinzione del rapporto consente la riconduzione di tutti quei recessi che implicano la comparazione e selezione tra i vari profili professionali dei dipendenti da licenziare: tuttavia, si precisa che

“l‟applicazione di criteri di scelta basati sulla persona del lavoratore, come le condizioni familiari o l‟anzianità, non inficia la natura collettiva dell‟estinzione del rapporto”, in quanto il conflitto fra interesse datoriale al ridimensionamento della manodopera occupata e interesse dei lavoratori al mantenimento del posto di lavoro viene risolto in favore del primo. O meglio, l‟individuazione, volutamente ampia, delle ragioni integranti il motivo del licenziamento chiarisce come qualsiasi decisione economico-organizzativa dell‟impresa legittimi, una volta rispettati gli oneri procedurali, l‟adozione di atti di risoluzione di rapporti di lavoro44.

Ecco allora emergere la posizione radicale di chi stenta a trovare nella direttiva in esame la nozione di licenziamento collettivo45, o di chi afferma la possibilità di raggiungere conclusioni diverse se solo si pervenga ad una definizione positiva dei licenziamenti collettivi in grado di delimitarne il

44 GAROFALO, CHIECO, Licenziamenti collettivi e diritto europeo,in AA.VV., I licenziamenti per riduzione di personale in Europa, cit.

45 VENEZIANI, Stato e autonomia collettiva, Bari, Cacucci, 1992.

campo d‟applicazione, escludendo ad esempio i licenziamenti non giustificati da una riduzione dell‟attività produttiva. Comincia, allora, a farsi largo una certa discrepanza fra norme comunitarie ed interne, se solo si pensi al difficile tentativo di individuare una piena compatibilità fra i motivi del licenziamento appena definiti e la “riduzione o trasformazione di attività o di lavoro”, di cui parla la L. 223 (v. infra II.2).

Quanto al requisito numerico-temporale, il legislatore comunitario offre la possibilità di scelta fra due opzioni correlate ad un arco temporale di riferimento. Sono collettivi i licenziamenti che riguardano: per un periodo di 30 giorni, almeno 10 licenziamenti negli stabilimenti che occupano abitualmente da 20 a 100 dipendenti; in alternativa, almeno il 10% dei lavoratori licenziati negli stabilimenti che occupano abitualmente da 100 a 300 dipendenti; per un periodo di 90 giorni, almeno 20 licenziamenti senza tener conto del numero dei lavoratori abitualmente occupati negli stabilimenti interessati. Emerge un dato: all‟allungamento del periodo temporale corrisponde una tendenziale diminuzione del numero dei licenziamenti necessari ai fini della configurabilità della fattispecie in esame, tanto da arrivare all‟esclusione dal campo d‟applicazione della direttiva dei licenziamenti effettuati da stabilimenti con meno di 20 dipendenti abitualmente occupati.

Ai fini del calcolo del numero dei licenziamenti previsti vengono assimilati ai licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro che si siano verificate

per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché il numero di rapporti di lavoro estinti sia almeno 546. Si tratta di un ulteriore criterio di calcolo consistente nell‟inclusione di tutte le cessazioni diverse dai licenziamenti, tuttavia rientranti nella sfera di interessi economico-organizzativi del datore di lavoro (si pensi, ad esempio, alle dimissioni incentivate). La condizione essenziale del numero minimo dei licenziamenti pone, però, l‟interrogativo del significato da attribuire al termine

“licenziamenti”. Una prima soluzione interpreta il termine in senso lato ipotizzando che, una volta soddisfatti i su elencati requisiti, sia possibile applicare la normativa comunitaria. Tale orientamento, che si poggia dunque su un implicito abbassamento dei limiti quantitativi, è contraddetto da una seconda soluzione che interpreta in maniera restrittiva l‟equiparazione in esame: solo in presenza di 5 “licenziamenti” in senso proprio è possibile verificare che sia effettivamente in atto una crisi aziendale tale da giustificare le procedure di consultazione sindacale e la predisposizione delle previste misure sociali47. Il raggiungimento della soglia numerica diviene, allora, per il datore di lavoro, oggetto di un‟attenta valutazione della programmazione dell‟eccedenza di personale.

Un‟altra questione interpretativa concerne la nozione di “stabilimento”, il quale assume il ruolo di unità organizzativo-produttiva di riferimento per il calcolo sia del numero degli esuberi, sia della manodopera stabilmente

46 Art. 1, lett. B, Dir. 98/59.

occupata. La Corte di Giustizia privilegia un approccio legato alla fisicità del luogo di svolgimento della prestazione, definendo lo stabilimento

“l‟unità alla quale i lavoratori colpiti da licenziamento sono addetti per lo svolgimento dei loro compiti”48. Si tratta di un ulteriore motivo di discrepanza con la normativa nazionale, la quale utilizza, a fronte del concetto comunitario di stabilimento, quello di impresa, con conseguente ampliamento del campo d‟applicazione (v. infra II.1).

L‟ambito d‟applicazione della direttiva trova ulteriori limitazioni in virtù delle tassative fattispecie di esclusione49, individuate all‟art. 1, comma 2.

Sono esclusi, innanzitutto, i licenziamenti collettivi effettuati nel quadro dei contratti di lavoro a tempo determinato o per un compito determinato, a meno che tali licenziamenti non avvengano prima della scadenza del termine (o dell‟espletamento del compito). La condizione della scadenza del termine è fondamentale ai fini dell‟integrazione dell‟ipotesi di cessazione per mutuo consenso del rapporto negoziale; in mancanza, ci si trova di fronte ad un atto unilaterale di recesso che giustifica l‟applicazione della disciplina della direttiva. Non rientrano nell‟ambito d‟applicazione della normativa altresì, i licenziamenti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli enti di diritto pubblico. L‟inapplicabilità della

47 Corte di Giustizia CEE, sent. 12.2.1985, n. 284/83, in FI, 1986, II.

48 Corte di Giustizia CEE, sent. 12.2.1985 284/83, cit.

49 La tassatività dell‟elenco è stata confermata dalla Corte di Giustizia che ha condannato il Belgio per aver escluso i licenziamenti degli addetti alle riparazioni delle barche nonché dei lavoratori portuali e dell‟edilizia (CGCE 28.3.1985, causa C-215/83), e la Repubblica Italiana per aver violato gli obblighi comunitari a seguito dell‟esclusione dell‟agricoltura e del commercio

direttiva è manifestazione della ritenuta estraneità della materia delle eccedenze di personale nelle PP.AA.50, con conseguente perplessità a sottoporre al meccanismo di procedimentalizzazione previsto l‟attività di ridimensionamento degli organici da parte di enti portatori di interessi generali, intangibili dalle regole di concorrenza. Infine, la disposizione fa riferimento ai licenziamenti degli equipaggi di navi marittime, esclusione giustificata dal grado di specialità proprio del rapporto nautico.

Una volta inquadrata la fattispecie, il secondo aspetto fondamentale consiste nella procedimentalizzazione della libertà datoriale di procedere a modifiche del livello occupazionale, ferma restando l‟insindacabilità nel merito della scelta di procedere a licenziamento per rdp. L‟art. 2 pone, infatti, obblighi di informazione gravanti sul datore di lavoro e prevede un meccanismo di consultazioni sindacali, mentre l‟art. 3 disciplina l‟intervento delle autorità pubbliche competenti. Obiettivo della direttiva è realizzare un procedimento di informazione/consultazione fra le parti finalizzato al raggiungimento di un accordo, il cui oggetto consiste nell‟esaminare le possibilità di eliminare o ridurre i licenziamenti collettivi, nonché di attenuarne le conseguenze mediante la predisposizione di misure di accompagnamento intese a facilitare la riqualificazione e riconversione dei lavoratori licenziati51. Il datore di lavoro che abbia previsto un piano di

dall‟ambito d‟applicazione della disciplina di riferimento per i licenziamenti collettivi, che allora era quella pattizia (CGCE 8.6.192, causa C-91/81).

50 D‟ora in avanti PP. AA. per pubbliche amministrazioni.

51 Art. 2, comma 2.

licenziamenti, ovvero che intenda realmente procedere al licenziamento per rdp, deve fornire preventivamente le informazioni relative alla volontà e alle modalità dell‟esercizio del potere di recesso; ovvero, deve comunicare per iscritto: i motivi del licenziamento, il numero dei lavoratori che intende licenziare e il numero di quelli normalmente occupati, il periodo in cui verranno effettuati i licenziamenti, i criteri di scelta, ove siano determinati, per legge o prassi nazionali, dallo stesso imprenditore, il calcolo di eventuali indennità di licenziamento diverse da quelle previste dalle legislazioni nazionali e le misure previste nei confronti dei lavoratori eccedenti.

Tale procedura presuppone, innanzitutto, l‟esistenza di rappresentanti dei lavoratori, in grado di condurre efficacemente la trattativa in vista del raggiungimento di un accordo. L‟individuazione di tali soggetti è rimandata alle normative interne agli Stati Membri, col rischio che tale rinvio si trasformi in una designazione discrezionale del datore stesso, e conseguente frustrazione dell‟obiettivo di informazione/consultazione fra le parti52. La Corte di Giustizia è allora intervenuta affermando che la norma in questione non opera un rinvio tout court al diritto o alla prassi in vigore negli Stati

52 GAROFALO, CHIECO, Licenziamenti collettivi e diritto europeo,in AA.VV., I licenziamenti per riduzione di personale in Europa, cit.

Membri, ma si limita a rimettere a questi ultimi il compito di determinare le modalità di designazione di idonei rappresentanti dei lavoratori53 .

Nella procedura un ruolo di rilievo è assegnato all‟autorità pubblica competente, la cui individuazione è, ancora una volta, di competenza dei singoli stati. Tale autorità è, in primo luogo, destinataria di almeno una copia della comunicazione con la quale il datore di lavoro manifesta ai rappresentanti dei lavoratori il suo progetto di licenziamento; nella fase successiva alla consultazione, poi, è destinataria di un‟ulteriore informativa contenente, da un lato, elementi standard, dai motivi del licenziamento ai tempi della sua esecuzione, e dall‟altro lato, informazioni utili a conoscere il progetto di licenziamento ma anche l‟andamento delle consultazioni e il loro esito. All‟autorità pubblica competente è altresì devoluto il compito di ricercare delle soluzioni ai problemi posti dai licenziamenti collettivi ed è per questo motivo che l‟art. 4.1 della direttiva collega alla notificazione del progetto di licenziamento la decorrenza di un termine legale, ordinatorio ma non inferiore a 30 giorni, durante il quale i licenziamenti collettivi non avranno effetto, in virtù quindi di un meccanismo di sospensione. La formula ampia con cui il legislatore individua il contenuto del raggio d‟azione del soggetto pubblico è a conferma della ratio della procedura, che è quella di configurare la fase amministrativa al pari di quella sindacale,

53 CGCE 8.6.1994, causa 383/92, Commissione v. Regno Unito, chiarisce come l‟obiettivo sia evitare l‟aleatorietà della costituzione di rappresentanze dei lavoratori e garantire effettività alla procedimentalizzazione del potere di recesso datoriale.

quale segmento della procedimentalizzazione. I pubblici poteri, dunque, non si limitano a svolger un ruolo di intermediazione tra le parti coinvolte e di registrazione notarile dei risultati della consultazione, ma hanno un ruolo attivo nella misurazione degli impatti dei licenziamenti collettivi e nell‟adozione delle misure necessarie per un pronto reimpiego dei lavoratori licenziati54. L‟art. 4 non vincola il datore di lavoro ad atti preventivi di autorizzazione dell‟autorità pubblica o a prestazioni indennitarie a favore dei lavoratori; inoltre non pone obblighi né condizioni all‟autorità pubblica, in merito all‟adozione di provvedimenti in materia di sicurezza sociale o di politica dell‟impiego connessi al progetto di licenziamento, limitandosi a prevedere che gli Stati Membri possano rendere più incisivo il ruolo dei pubblici poteri, applicando od introducendo disposizioni legislative, regolamentari od amministrative più favorevoli ai lavoratori, o consentendo l‟applicazione di disposizioni contrattuali più favorevoli ai lavoratori55. La direttiva, infine, all‟art. 6 demanda sempre agli Stati Membri il compito di provvedere affinché i rappresentanti dei lavoratori e/o i singoli dipendenti dispongano di procedure amministrative e/o giurisdizionali per far rispettare gli obblighi previsti dalla medesima direttiva; infatti la disciplina comunitaria non prevede sanzioni diverse da quelle applicabili a

54 GRANATA, Le direttive comunitarie in materia di licenziamenti collettivi e l’ordinamento italiano, in I licenziamenti collettivi, cit.

55 ARRIGO, Il diritto del lavoro dell’Unione Europea, Giuffrè, Milano, 2001.

seguito di procedure d‟infrazione nei confronti degli stati che non rispettino gli obblighi derivanti dalla loro appartenenza alla Comunità56.

La consapevolezza di quanto importante sia la procedura di informazione/consultazione tra le parti interessate da vicende modificative della realtà di un‟impresa, era, tuttavia, già emersa in una precedente direttiva comunitaria, la Direttiva 77/187, oramai trasfusa nella Direttiva 2001/23/CEE, la cui attuazione in Italia è avvenuta con l‟art. 47 della legge del 29.12.1990 n. 428 (come modificato dal d.lgs. n. 18 del 2001). La Dir.

n. 77, in termini generali, assicura il mantenimento dei diritti dei lavoratori coinvolti nel trasferimento di imprese conseguente a cessione contrattuale o a fusione, prevedendo un‟obbligatoria procedura di informazione e consultazione a carico sia del cedente sia del cessionario, tenuti a comunicare in tempo utile ai rappresentanti dei lavoratori i motivi e le conseguenze economiche, giuridiche e sociali del trasferimento, nonché le eventuali misure di sostegno che rappresentano, appunto, l‟oggetto esplicito delle prescritte consultazioni57.

56 CGCE, sent.8.6.1994 causa 383/92 ,Commissione v. Regno Unito. La povertà del sistema sanzionatorio comunitario è confermata dalla circostanza che il giudice comunitario ha solo la possibilità di chiedere che venga garantito un principio di parità nei confronti delle “violazioni nazionali di natura e di importanza simile”, e che sia applicata una sanzione “effettiva, proporzionata e dissuasiva”.

57 SANTONI, Il dialogo tra ordinamento comunitario e nazionale di lavoro: legislazione, in GDLRI, 1992. L‟art. 47, legge n. 428 pone tale obbligo a seguito del trasferimento di un‟azienda in cui siano occupati più di 15 dipendenti, individuando come controparte le rispettive rsu, ovvero le rispettive rappresentanze sindacali del cedente e del cessionario che hanno stipulato il contratto collettivo nelle imprese interessate dal trasferimento (in mancanza, i sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi); SANTORO PASSARELLI, Trasferimento d’azienda e rapporto di lavoro, Giappichelli, 2007, 39, secondo il quale l‟informativa dovuta ai sindacati riguarda anche i motivi del trasferimento, il che potrebbe indurre a ritenere che l‟atto di trasferimento sia, in qualche misura, sindacabile da parte del giudice; in realtà, tale previsione è

I.4 L’attuazione delle direttive comunitarie: legge n. 223/1991

Con l‟approvazione della legge del 23.7.1991 n. 223 in tema di governo del mercato del lavoro il nostro legislatore ha voluto colmare, come più volte sottolineato, l‟evidente lacuna del sistema legale italiano in materia di licenziamenti collettivi. Anticipiamo alcuni punti focali dell‟intervento normativo.

L‟effetto primario ottenuto dalla legge in questione consiste nel superamento delle passate ambiguità concettuali e regolamentari e nella definitiva comunitarizzazione della fattispecie giuridica dei fenomeni di licenziamento per rdp; oggi, la nozione di licenziamento collettivo per rdp non è più un fragile elemento di ricostruzione interpretativa funzionale al controllo ex post sulla giustificazione del licenziamento, ma diventa, ex art.

24, legge n. 223, una fattispecie legale tipica, calibrata sulla Dir. 98/59, che trova definitiva attuazione con l‟intervento normativo in esame. Il primo obiettivo raggiunto, allora, è stato quello di garantire la certezza del diritto,

esclusivamente finalizzata alla consultazione e non anche a fondare un potere di controllo sindacale sui motivi del trasferimento. La norma, pertanto, non legittima i rappresentanti dei lavoratori a sindacare le scelte dell‟imprenditore, e neppure ad impedire la conclusione del negozio di trasferimento in caso di dissenso, ma obbliga alienante ed acquirente, ex art. 1345, c.c., ad informare con correttezza e buona fede le rispettive r.s.a. sui motivi, non a caso circoscritti, per l‟obbligo d‟informativa, a quelli che comportano conseguenze per i lavoratori.

ottenuto attraverso una previsione della definizione legale di licenziamento collettivo58.

La legge però non si limita a soddisfare l‟esigenza di definizione delle istanze regolative, ma va oltre, inserendo la disciplina del licenziamento per rdp al centro di un complesso sistema di gestione delle eccedenze di personale. La nuova disciplina, come si comprende, dipende allora anche da variabili esterne al tradizionale circuito legislativo: si pensi alla riconsiderazione complessiva del trattamento di mobilità quale ulteriore effetto pubblicistico del licenziamento collettivo, o, ancora, al riconoscimento in capo al sindacato di diritti di informazione e negoziazione da esercitare nell‟ambito della procedura che precede i licenziamenti. La legge in esame si può definire contemporanea proprio in virtù dell‟azione combinata di più forze e di una pluralità di interessi, destinati a bilanciarsi all‟interno di un equilibrio dinamico59. L‟elemento maggiormente innovativo consiste nell‟aver portato sul piano dinamico del confronto tra le parti sociali coinvolte dalla rdp l‟individuazione di un punto di sintesi fra la dimensione collettiva della scelta imprenditoriale di riassetto organizzativo e la dimensione individuale del rapporto che lega il singolo dipendente al proprio datore di lavoro. Ecco emergere un altro effetto

58 LIEBMAN, La mobilità nel lavoro nella L. 223/1991: tendenze della prassi applicativa, in RIDL, 1999, I, 125.

59 DEL PUNTA, La legge 223/1991 e i licenziamenti collettivi: un primo bilancio teorico, cit., secondo il quale la filosofia che ispira tutta la riforma è incentrata a favorire uno sviluppo dinamico del sistema economico e produttivo ed un riequilibrio finanziario del sistema previdenziale, puntando su un‟accentuata flessibilizzazione del fattore lavoro.

primario della L. 223: la garanzia di una giusta tutela del reddito dei lavoratori e di un circuito privilegiato (indennità di mobilità e ricollocamento incentivato) per quanti siano soggetti al provvedimento di licenziamento, al quale, ora, si dovrebbe ricorrere solo nei casi in cui la ripresa dell‟attività sia incerta, se non impossibile: la legge lascia il datore libero di ricorrere immediatamente al licenziamento per rdp, salvo prevedere un inasprimento degli oneri economici.

Cominciano ad intravedersi le differenze fra la vecchia disciplina contrattuale e la nuova disciplina legislativa.

La prima differenza attiene alla sequenza licenziamento-procedura-mobilità; infatti, nonostante la prospettiva dell‟intervento legislativo sia quella di un‟estensione del trattamento di mobilità, questa non viene concepita quale elemento essenziale della disciplina del licenziamento per rdp. Voluntas legis è stata, infatti, quella di eliminare il ricorso alla Cassa integrazioni, o meglio, eliminare l‟equifunzionalità tra intervento straordinario della Cig e licenziamento collettivo che si era delineata nel previgente sistema normativo, sistema che puntava proprio sull‟intervento straordinario quale misura idonea a stabilizzare le eccedenze di personale, con un costo nullo per l‟impresa. La riforma operata dalla L. 223 contrasta l‟uso della Cassa integrazione guadagni come anticamera del licenziamento collettivo, sia creando una netta linea di demarcazione tra le eccedenze transitorie-contingenti e quelle definitivo-struttrali, sia attraverso una serie

di disposizioni che prevedono il diritto al rientro dei lavoratori in Cig (art.

4, comma 13), una rigida delimitazione della durata delle varie ipotesi di intervento (art. 1), o ancora la penalizzazione dell‟impresa che apre la mobilità al termine del periodo di Cig (art. 5). Si esclude l‟intervento della Cassa integrazione quando l‟eccedenza di personale si dimostri, sin dall‟inizio, senza alternative: la Cassa integrazione cessa di essere “un altro modo di licenziare”60.

Un altro aspetto della legge di cui si è universalmente sottolineata la centralità è l‟aver confermato l‟importanza della tecnica di procedimentalizzazione dei poteri del datore, sia mediante la prevalenza di previsioni di natura procedimentale, sia mediante una forte attenzione sugli effetti delle violazioni delle regole procedurali e formali, oltre che dei criteri di scelta. Una procedimentalizzazione, dunque, che aspira ad una duratura effettività mediante una fitta rete di regole comportamentali in

Un altro aspetto della legge di cui si è universalmente sottolineata la centralità è l‟aver confermato l‟importanza della tecnica di procedimentalizzazione dei poteri del datore, sia mediante la prevalenza di previsioni di natura procedimentale, sia mediante una forte attenzione sugli effetti delle violazioni delle regole procedurali e formali, oltre che dei criteri di scelta. Una procedimentalizzazione, dunque, che aspira ad una duratura effettività mediante una fitta rete di regole comportamentali in

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI (pagine 28-44)