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L’ambito d’applicazione e i requisiti soggettivi

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI (pagine 63-71)

L’INDIVIDUAZIONE DELLA FATTISPECIE LEGALE

II.1 La nozione di licenziamento collettivo ex art. 24

II.1.2 L’ambito d’applicazione e i requisiti soggettivi

La legge n. 223 distingue il licenziamento per rdp dal collocamento in mobilità (artt. 4 e 5). L‟art. 24 individua l‟ambito d‟applicazione della fattispecie del licenziamento per rdp nelle imprese che occupino più di 15 dipendenti. La disciplina tanto dei licenziamenti quanto della Cigs e del collocamento in mobilità, è stata estesa, dall‟art. 8, comma 2, L. 236/1993 ai soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro100. Un‟ulteriore estensione è stata realizzata dall‟art. 6, comma 17-bis, L. 236/1993, per i lavoratori autoferrotranvieri, il cui rapporto è disciplinato dal R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, licenziati da imprese dichiarate fallite o poste in liquidazione.

L‟art. 24, comma 4, contiene una tassativa elencazione delle fattispecie escluse: fine lavoro nelle costruzioni edili, scadenza dei rapporti di lavoro a termine ed attività stagionali o saltuarie. A tali fattispecie non si potranno applicare le disposizioni della L. 223 né quelle dell‟accordo interconfederale del 1965; i licenziamenti sono infatti da considerare individuali, con conseguente applicazione della L. 604/1966 e dell‟art. 18, L. 300/1970.

100 La norma si muove nella direzione di un avvicinamento delle discipline dei soci lavoratori e dei lavoratori dipendenti, attuando l‟equiparazione in un settore specifico. Rispetto a tale equiparazione, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt.3, 41, 45, 46, Cost., in quanto il parziale avvicinamento delle discipline sarebbe ragionevolmente dettato dalle note comuni alle due posizioni lavorative.

In merito alla prima ipotesi di esclusione, la ragione dell‟eccezione consiste nel fisiologico andamento ciclico dell‟attività edilizia caratterizzata dal succedersi di lavori che richiedono diverse specializzazioni e che comportano l‟affiancamento ad un nucleo stabile di dipendenti di lavoratori necessari all‟espletamento di singole fasi di lavoro. La giurisprudenza si è allora assestata, sin da subito, su posizioni che affermano l‟applicabilità della disciplina dei licenziamenti individuali101solamente, però, ai dipendenti assunti per una commessa determinata e che abbiano ultimato le lavorazioni inerenti la loro specializzazione. Ecco allora configurato un nesso obiettivo tra la persona del lavoratore da licenziare e il motivo di recesso, per cui ci si trova di fronte ad un‟ipotesi di licenziamento per g.m.o. con conseguente onere a carico dell‟impresa di dimostrare di non poter utilizzare tali lavoratori in altri cantieri102. La Cassazione precisa che, per “fine lavoro nelle costruzioni edili” si deve intendere non la sola cessazione dell‟attività d‟impresa o il compimento dell‟opera, ma soprattutto l‟esaurimento di una fase dei lavori in relazione all‟esecuzione dei quali i lavoratori erano stati assunti per le loro peculiari professionalità, il che comporta il venir meno dell‟utilità dell‟apporto degli stessi103.

101 Cass. 8.8.1989, n. 3647, in Foro it. Rep., voce Lavoro (rapporto), 1989, 1954, c. 1780.

102 Cass. 22.6.2000, n. 8506, in GCM, 2000, 1377; Cass. 18.5.1989, n. 2364; Cass. 1.2.2000, n.

1117, in MGL, 2000, 383, secondo cui il licenziamento di lavoratori edili per chiusura del cantiere cui sono addetti può essere ritenuto legittimo per ragioni organizzative soltanto quando il datore di lavoro sia in grado di provare di non poter utilmente impiegare tali dipendenti in altre attività;

infatti la chiusura di un cantiere non configura di per sé un giustificato motivo di licenziamento.

103 Cass. 26.9.1998, n. 9657, in RIDL, 1997, II, 407; Cass. 6.2.2008, n. 2782, in GCM, 2000, 1377, secondo le quali l‟esclusione dalla disciplina opera anche nel caso di esaurimento di una singola fase di lavoro che abbia richiesto specifiche professionalità, non utilizzabili successivamente; non

L‟ipotesi in questione richiede il concorso di due requisiti: uno soggettivo, nel senso che l‟impresa deve essere considerata edile, ed uno oggettivo riguardante sia l‟ultimazione della commessa o del cantiere, sia l‟esaurirsi graduale di una singola fase intermedia, in relazione alle maestranze impiegate in quella determinata fase.

La seconda esclusione riguarda le scadenza dei rapporti di lavoro a termine, previsione che trova corrispondenza nell‟art. 1, comma 2, Dir. 98/59, la quale, però, non fa operare l‟esclusione quando i rapporti di lavoro a tempo determinato siano ancora in corso al momento dell‟intimazione del licenziamento. Per rapporti di lavoro a termine devono intendersi tutti quei rapporti cui sia annesso un termine, compresi il periodo di prova e il contratto di inserimento104. Una prima interpretazione ammette come la norma comunitaria lascerebbe spazio per ritenere i contratti a termine esclusi tout court dall‟applicazione della L. 223; così argomentando, tuttavia, si evidenzia l‟anomalia di un recesso di lavoro a tempo determinato con preavviso, essendo quest‟ultimo un istituto tipico dei contratti a tempo indeterminato105. Una seconda interpretazione sostiene l‟applicabilità della disciplina quando tali contratti siano ancora in corso di svolgimento. Svariati dati normativi contenuti nella L. 223 a sostegno di

opera, invece, quando la fase lavorativa non sia ultimata, ma sia in corso di graduale esaurimento, atteso che, in tal caso, si rende necessaria una scelta fra lavoratori da licenziare e lavoratori da adibire all‟ultimazione dei lavori, scelta che deve seguire le regole di cui agli artt. 4 e 5, L. 223.

104 NAPOLETANO, I licenziamenti collettivi: la fattispecie, in RCDL, 1994, 250.

tale seconda opinione: in primo luogo, il mancato richiamo dell‟art. 24 all‟art. 4, comma 4 (che esclude l‟applicabilità dello stesso art. 4 ai contratti in questione); il limite temporale di 120 giorni compatibile con la durata dei contratti a termine, che può essere maggiore; infine la previsione dell‟art.

16 che, escludendo i lavoratori in possesso di tali contratti dal diritto a percepire l‟indennità di mobilità, implicitamente ne riconosce la licenziabilità.

L‟ultima esclusione riguarda le attività stagionali o saltuarie. Il punto cruciale attiene l‟identificazione o meno di tali attività con l‟ipotesi di termine prevista dalla L. 230/1962; la giurisprudenza esclude una tale assimilazione sostenendo come la norma trovi applicazione anche ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato106. Il datore di lavoro ha l‟onere di provare che, dopo il licenziamento del personale assunto per un determinato periodo di tempo, è cessata ogni lavorazione, compresa quella strumentale all‟esercizio dell‟attività principale107.

Sono altresì esclusi dal campo d‟applicazione i licenziamenti dei dipendenti delle società di somministrazione a tempo indeterminato108, ricondotti alla

105 MAZZIOTTI, Riduzione di personale e messa in mobilità, in FERRARO, MAZZIOTTI, SANTONI, Integrazioni salariali, eccedenze di personale e mercato del lavoro, Napoli, Jovene, 1992, 103.

106 Tribunale di Napoli 24.1.1994, in NGL, 1994, 781; Tribunale di Milano 20.11.2003, in GL, 2004, n. 7, 27, sostiene un‟interpretazione restrittiva di tali attività non facendovi rientrare la prevedibilità, sin dall‟inizio, del naturale esaurimento delle esigenze datoriali (ad una certa data, al verificarsi di un dato evento o al raggiungimento di un certo risultato).

107 Pretura di Napoli 24.4.1998; Cass. 1.1.2000 n. 1117, in MGL, 2000.

108 Art. 22,comma 4, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

materia del licenziamento per g.m.o.109, e i licenziamenti operati dagli enti pubblici non economici110.

Rientrano invece nella disciplina dell‟art. 24: le imprese che gestiscono servizi di pulizia in appalto, purché ricorrano i requisiti dimensionali; gli enti pubblici economici assimilati, per le attività che esercitano, ad ogni altro imprenditore (vedi infra), e le imprese sottoposte, per quanto riguarda i rapporti di lavoro, ad una disciplina in parte pubblicistica (come le imprese esattoriali)111; le imprese di navigazione, sia marittima che aerea, e le imprese artigiane, purché abbiano almeno 16 dipendenti.

Nell‟individuazione dell‟ambito d‟applicazione così realizzata, tuttavia, la normativa nazionale si discostava notevolmente dalle disposizioni comunitarie, le quali, opportunamente parlano di datori di lavoro e non, come, fino al 2004, faceva l‟art. 24, di imprese. Il dato normativo rendeva difficilmente ipotizzabile un‟applicazione estensiva della fattispecie del licenziamento per rdp al di fuori di una qualsivoglia realtà imprenditoriale;

eppure, la disciplina in esame non è mai stata pensata incompatibile con le caratteristiche aziendali di un datore non imprenditore, organizzazioni di tendenza comprese. Infatti essa non comporta né limitazione della riservatezza aziendale, né un controllo sull‟opportunità delle scelte

109 FERRANTE, Integrazioni alla disciplina dei licenziamenti collettivi, in NLCC, 2004, riv. n. 3, pag. 449-457.

110 Art. 33, D. Lgs. n. 165/2001.

111 Cass. 1613/1988.

datoriali112. La scelta legislativa si poneva in controtendenza non solo rispetto all‟evoluzione normativa del licenziamento individuale che aveva eliminato la distinzione tra imprenditori e non, ma anche in relazione alle indicazioni provenienti dall‟Accordo del 1965 che operava un generico riferimento ai “datori di lavoro”. La distinzione introdotta dalla L. 223, non ricollegabile alla natura dei recessi, è sembrata allora rappresentare una svista cui è andato incontro il legislatore nel tentativo di assicurare omogeneità tra l‟area del mercato del lavoro in cui si colloca l‟art. 24 e quella rientrante nel campo d‟applicazione della Cigs113.

Ecco, allora, la Commissione Europea iniziare, ex art. 226 TCE, un‟azione nei confronti dell‟ordinamento italiano, il quale, individuando all‟art. 2082 c. c., lo scopo di lucro quale elemento costituente la nozione di imprenditore, avrebbe creato un‟esenzione ope legis per tutti i datori di lavoro che, nell‟ambito della loro attività, non perseguano tale scopo, pur occupando centinaia di persone o godendo di grande rilevanza economica:

ad esempio, le associazioni sindacali, le fondazioni, i partiti politici, le organizzazioni non governative. La Commissione riteneva come la Dir.

98/59, pur non contenendo la definizione della nozione di datore di lavoro, trovasse applicazione nei confronti di tutti i datori, anche quelli che non

112Il dubbio d‟incompatibilità al massimo si poneva per le organizzazioni di tendenza sottratte all‟applicazione dell‟art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, e quindi alla reintegrazione nel posto di lavoro, invece prevista nella rdp. L‟esclusione si giustifica per l‟esigenza aziendale che non sia ripristinato nel suo posto di lavoro il prestatore che abbia tenuto comportamenti non pienamente omogenei con l‟ideologia dell‟organizzazione di tendenza; ma non dovrebbe operare quando alla

perseguano lo scopo di lucro. La Corte di Giustizia ha, allora, con sentenza 16.10.2003, causa n. 32/02114, sostenuto l‟applicabilità delle disposizioni in tema di licenziamenti collettivi a tutti i datori di lavoro. Secondo la Corte, infatti, la scelta di utilizzare nella Dir. 98/59 un termine cosi generico quale quello di “datore di lavoro” fa presumere che il legislatore comunitario abbia voluto sancire un obbligo indifferenziato; tuttavia l‟art. 2, comma 4, della stessa direttiva utilizza il termine “impresa” in riferimento agli obblighi di informazione e consultazione delle rappresentanze dei lavoratori, organismi che trovano naturale collocazione nell‟impresa, ma che possono essere assenti in strutture organizzative no profit115. La sentenza, essendo meramente dichiarativa dell‟infrazione dello stato italiano, non pareva, tuttavia, sufficiente, di per sé, ad adeguare l‟ordinamento italiano a quello comunitario, richiedendo un intervento additivo del legislatore nazionale116.

Il nostro legislatore, allora, utilizzando la delega ex art. 20 legge del 3.3.2003, n. 14 (Legge comunitaria per il 2002), ha provveduto, con d. lgs.

base del licenziamento vi sia una ragione obiettiva indipendente dal comportamento del prestatore, come avviene nel licenziamento per rdp.

113 PATERNò, Sulla nozione di licenziamento per riduzione di personale, in ADL, 1995.

114 In RIDL, 2004, n. 2, 229.

115 FERRARA, La nozione di datore di lavoro e la disciplina dei licenziamenti collettivi: la Corte di Giustizia condanna la Repubblica italiana (commento Cgce 16.10.2003, n. 32/02), in RIDL, 2004, n. 2, pag. 229. L‟autore rileva come il legislatore comunitario ha elaborato una definizione di impresa non coincidente con quella accolta nell‟ordinamento italiano: “le imprese pubbliche o private che esercitano un‟attività economica e che perseguano uno scopo di lucro”; tale definizione ampia dovrebbe prevalere su quella offerta dall‟art. 2082, c. c., eppure, nella direttiva n.

2002/74/CEE, in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, è lo stesso legislatore comunitario a far salve le nozioni di datore di lavoro e lavoratore, così come definite negli ordinamenti nazionali.

8 aprile 2004, n. 110, ad integrare l‟art. 24 L. 223, inserendovi tre commi aggiuntivi e manipolandone il comma 2. Ora la disciplina si applica anche ai privati datori di lavoro non imprenditori; i dipendenti di questi ultimi vengono iscritti nelle liste di mobilità, ex art. 6, L. 223, ma senza diritto all‟indennità corrisposta dall‟INPS. Rimangono, tuttavia, applicabili ai soli imprenditori le disposizioni che regolano gli obblighi contributivi a carico dei soggetti in crisi (art. 5, commi 4 e 5), così come non sono previsti sgravi per le imprese che assumono lavoratori licenziati da datori non imprenditori117. Inoltre l‟art. 24, commi 3 e quater, stabilisce che, nel caso in cui il giudice rilevi l‟illegittimità del licenziamento, ai datori di lavoro non imprenditori, “che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, d‟istruzione ovvero di religione o di culto”, non trovi applicazione la tutela reale ex art. 18, St. Lav., bensì quella obbligatoria contenuta nella L. 604/66118.

116 CENTRONE, Le procedure di licenziamento devono essere estese dallo stato italiano anche ai datori di lavoro non imprenditori (Corte di Giustizia 16.4.2003, n. 32), in DL, 2003, pag. 325-333.

117 Art. 8, commi 2-4, L. 223.

118 FERRANTE, Integrazioni alla disciplina dei licenziamenti collettivi, in NLCC, 2004, riv. n. 3, pag. 449-457. Tale esclusione ricalca alla lettera l‟art. 4, comma 1, seconda parte, L. 108/90, in materia di licenziamenti individuali, dove la giustificazione di tale esclusione è da rinvenire nella salomonica voluntas legis diretta a mediare fra l‟orientamento che attribuisce rilievo nelle organizzazioni di tendenza anche alla sfera personale, e quello, opposto, che vorrebbe assoggettare tali datori a parametri di valutazione identici a quelli stabiliti per le imprese.

II.1.3 I requisiti oggettivi: l’ambito geografico e l’elemento

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