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I vizi procedurali e regime sanzionatorio

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI (pagine 152-163)

LA PROCEDIMENTALIZZAZIONE DEI POTERI DEL DATORE DI LAVORO

III.4 I vizi procedurali e regime sanzionatorio

La violazione della procedura ex art. 4, L. 223, può determinare la lesione di diversi interessi: quello del singolo lavoratore licenziato senza il rispetto delle forme e regole previste per la sua tutela, quello collettivo del sindacato a ricoprire il ruolo di uno dei protagonisti della vicenda del licenziamento collettivo, e quello del datore di lavoro il quale ha egli stesso interesse a rispettare le regole procedurali, in quanto la giurisprudenza si è oramai consolidata su una posizione di interpretazione rigorosa degli adempimenti formali giungendo a sanzionare di antisindacalità ed inefficacia i licenziamenti intimati con violazioni formali, con reintegrazione nel posto di lavoro, ex art. 18, St.Lav., come modificato dalla legge n. 108/90.

La molteplicità degli interessi coinvolti si riflette nell‟articolazione del regime delle invalidità e delle sanzioni.

Ancora prima dell‟entrata in vigore della L. 223, si era avuto modo di affermare principi validi anche nel mutato contesto normativo: era stata, infatti, dichiarata antisindacale la violazione dei diritti di informazione o una procedura di licenziamento per rdp avviata per mezzo di una comunicazione generica e lacunosa, od effettuata in violazione della Dir.

75/129279. Già a livello comunitario, poi, nonostante la Dir. 75/129 non

279 Pret. Maglie 19.4.1984, in FI, 1986, I, 233; Pret. Milano 24.4.1986, in OGL, 1986, 544; Pret.

Roma 11.2.1986, in TM, 1986, 140; Pret. Milano 29.6.1992, in RIDL, 1993, II, 106; Pret. Roma 11.6.1986, in RGL, 1986, II, 452; Pret. Sassari 28.11.1994, in NGL, 1994, 580, che ravvisa un comportamento antisindacale nella semplice violazione della procedura e degli obblighi di correttezza e buona fede; Pret. Milano 20.11.1995, in DL, 1996, 401.

contenesse alcuna disposizione in materia di meccanismi sanzionatori e lasciasse gli Stati Membri titolari di un potere di scelta, la Corte di Giustizia aveva ritenuto che dall‟obbligo di attuazione della direttiva derivasse la necessità di adottare misure atte a garantire la portata e l‟efficacia del diritto comunitario, da un lato introducendo sanzioni analoghe per natura ed importanza a quelle previste per violazioni di diritto interno, dall‟altro lato, spingendo verso uno standard comunitario di valutazione della sanzione, articolato intorno ai canoni di effettività, proporzionalità e dissuasività280. L‟impianto della legge n. 223 si poggia sulla formale distinzione fra tre ipotesi di invalidità: l‟inefficacia per violazione della procedura, l‟inefficacia per inosservanza della forma scritta del licenziamento e l‟annullabilità per violazione dei criteri di scelta (per quest‟ultima, v. infra IV.5).

Nella prima ipotesi l‟inefficacia deriva dal difetto di legittimazione del titolare del potere; la procedura, infatti, è la forma/condizione del legittimo esercizio dell‟unilaterale potere datoriale di ridurre il personale, ovvero “il fondamento specifico del licenziamento”281. Il richiamo all‟inefficacia appare corretto in quanto si tratta del vizio di un elemento esterno al negozio; tuttavia, l‟atto inefficace non sarebbe idoneo ad estinguere il

280 CGCE 8.6.1994, causa C 383/92, cit.

281 Cass.18.12.2001, n. 15993, in OGL, 2002, I, 142; Cass. 19.6.2004, n. 11455, in GCM, 2004, 6.

D‟ANTONA, Commento all’art.5 della legge 223/91, cit.; contra, MAZZIOTTI, Integrazioni salariali, eccedenze di personale e mobilità, cit., 95 e ss., secondo cui, invece, essendo l‟atto di recesso individuale momento terminale e costitutivo di una fattispecie a formazione progressiva quale è la procedura, una violazione di quest‟ultima non comporterebbe la semplice inefficacia,

rapporto di lavoro (che prosegue senza soluzione di continuità), e, dunque, dal punto di vista degli effetti, non vi sarebbe differenza rispetto alla nullità.

In realtà, è un‟espressa disposizione legislativa a prevedere che il licenziamento inefficace, per ragioni diverse dalla mancanza di forma, deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla sua intimazione282. Se la qualificazione dell‟invalidità avviene sulla base della disciplina concretamente applicabile e se il regime in questione, almeno sul piano degli effetti, è quello dell‟annullabilità, bisogna optare per un duplice significato dell‟inefficacia: annullabilità sui generis (violazione della procedura sindacale) e nullità (mancanza della forma).

Che la mancanza della forma sia configurabile quale vizio del singolo atto di recesso, dunque sanzionabile con nullità ex art. 1325, c.c., è oramai pacifico. La L. 223 è stata, da questo punto di vista, elaborata nella consapevolezza di un‟elaborazione giurisprudenziale secondo la quale al termine inefficacia va attribuito il significato di nullità283.

Ora, la sanzione, in tutte e tre le ipotesi considerate, è, comunque, la reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18, St. Lav. La tutela reale è, però, riservata dall‟art. 18, comma 1, St. Lav., ai licenziamenti individuali intimati dai datori con più di 60 dipendenti o con più di 15 nell‟unità

ma la radicale inesistenza del licenziamento, irriconoscibile quale atto tipico, se mancano alcuni elementi della fattispecie.

282 Art.5, comma 3, L. 223.

283 Art. 5, comma 3, secondo periodo , L. 223, esclude la necessità dell‟impugnazione entro un termine decadenziale; Cass. 18.10.1982, n. 5394, in GI, 1983, I, 869, secondo cui l‟espressione

“inefficacia” utilizzata dall‟art. 2, L. 604/66, deve essere intesa come nullità dal momento che non

produttiva o nel territorio comunale, mentre la disciplina dei licenziamenti collettivi presenta requisiti numerici diversi: appare preferibile l‟opzione secondo cui sia sufficiente il requisito numerico richiesto dalla legge n. 223, in quanto il rinvio all‟art. 18 riguarda proprio il recesso di cui all‟art. 4, comma 9, L. 223, ovvero, il licenziamento collettivo284.

L‟unicità della sanzione potrebbe indurre a ritenere che la differenza tra le tipologie di invalidità abbia scarso rilievo pratico. La forza della distinzione tra gli effetti della carenza di legittimazione ad esercitare il potere e gli effetti dell‟invalidità del singolo atto di recesso emerge, invece, dal dato normativo. L‟art. 17, L. 223, contiene un particolare regime della reintegrazione ex art. 18, St. Lav, che consente al datore di neutralizzare gli effetti delle eventuali reintegrazioni sui posti di lavoro soppressi: nel caso in cui il completamento regolare della procedura abbia già legittimato il datore a ridurre il personale, ma il mancato rispetto della forma scritta abbia reso inefficace l‟atto (o l‟inosservanza dei criteri abbia falsato la scelta), il datore, infatti, “può procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro di un numero di lavoratori pari a quelli reintegrati senza dover esperire una nuova procedura”, dandone previa comunicazione alle r.s.a. La norma si riferisce ai licenziamenti intimati ex art. 4, comma 9, ed ex art. 24, L. 223, dove la

ha senso parlare di inefficacia in merito ad un negozio per il quale la forma sia richiesta a soli fini probatori.

284 VALLEBONA, I licenziamenti collettivi per riduzione di personale, cit., 435; Trib. Milano 4.10.1997, in OGL, 1997, 805, in presenza di un licenziamento, inefficace od invalido, per cessazione dell‟attività aziendale, si esclude sia la possibilità della reintegrazione sia la esperibilità del procedimento ex art. 28, St. Lav., riconoscendo il diritto solo al risarcimento del danno.

congiuntiva “e” deve essere interpretata, per evitare dubbi di costituzionalità, nel senso di rendere applicabile la disposizione tanto ai casi di messa in mobilità quanto ai licenziamenti collettivi veri e propri. Il cuore della disposizione sta nell‟inciso “senza dover esperire una nuova procedura”, che ne circoscrive l‟operatività ai casi in cui il datore abbia già, correttamente ed interamente, percorso il sentiero procedurale. In altre parole, la norma non si applica a seguito di una pronuncia di invalidità derivante da violazioni procedurali o formali285: infatti, questa facoltà sarebbe priva di senso se la reintegrazione fosse dovuta per violazione della procedura, altrimenti sarebbe segnata la sorte anche dei nuovi licenziamenti che si innestano nella procedura già esperita (ovviamente, per quanto la sanzione della reintegrazione incide in termini reali sul ridimensionamento, la procedura può essere ripetuta e completata, ma non è detto che la decisione finale sarà identica)286. Nella norma si può leggere

285 D‟ANTONA, Commento all’art. 5 della legge 223/91, cit., 930.

286 VALLEBONA, I licenziamenti collettivi per riduzione di personale, cit., 436, secondo il quale la salvezza della corretta procedura sindacale consegue all‟autonomia della successiva fase di individuazione dei licenziandi e di intimazione dei recessi, affidata all‟unilaterale iniziativa datoriale; dunque, gli errori commessi in questa fase non pregiudicano la precedente che può costituire valido presupposto anche per l‟intimazione dei nuovi licenziamenti, in luogo di quelli viziati per difetto di forma o di selezione o di comunicazione ex art. 4, comma 9; VALLAURI, Problemi applicativi dell’art. 17della l. n. 223/1991, in RIDL, 2000, II. Se si accoglie la soluzione per cui il ricorso all‟art. 17 è legittimo anche prima del passaggio in giudicato della sentenza di reintegra (e dunque la sostituzione è ammissibile anche prima che la reintegra sia definitiva, come invece sembra richiedere la norma), nel caso in cui la collocazione in mobilità diventi definitiva per rigetto dell‟impugnativa si configurano due circostanze contrastanti con la ratio di procedimentalizzazione dei poteri datoriali: l‟espulsione di un numero di dipendenti superiore a quello concordato in sede sindacale e la violazione dei criteri di scelta stabiliti nell‟accordo. La soluzione potrebbe, allora, essere rinvenuta nella possibilità di configurare la misura prevista dall‟art. 17 come un‟ipotesi di estromissione provvisoria dal rapporto di lavoro, la cui trasformazione in sostituzione definitiva vera e propria si realizza col passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento dell‟impugnazione del licenziamento: una sostituzione, quindi condizionata che, da un lato, consente di evitare vicende giudiziarie tortuose ed incerte, dall‟altro

l‟interpretazione autentica della regola, desumibile dal coordinamento degli artt. 4 e 5, L. 223, per cui, fino a quando rimangono invariate le condizioni soggettive ed oggettive, la procedura può aver corso e possono essere fatte le necessarie correzioni287.

La legge, poi, non prevede la sanzione in esame per l‟ipotesi di licenziamenti collettivi intimati in carenza dei presupposti sostanziali, ovvero l‟effettiva e definitiva riduzione o trasformazione di attività o di lavoro e il nesso di causalità tra la scelta economica e le posizioni lavorative soppresse288: si è oramai consolidata una concezione acausale della giustificatezza del licenziamento collettivo, per cui la mancanza effettiva di una riorganizzazione, di per sé insindacabile, può avere conseguenze solo se ridonda in un vizio della procedura, il cui rispetto attesta l‟impossibilità di reimpiegare diversamente i lavoratori289.

Da una prima analisi del quadro sanzionatorio emerge la configurabilità di due categorie di vizi, quelli derivanti da violazione di requisiti di legge e i vizi di diritto comune: tra questi ultimi, si pensi, ad esempio, all‟irregolarità della comunicazione, allo svolgimento della trattativa in violazione dei

lato, fa emergere la carenza di un automatismo legislativo, a garanzia della situazione dei lavoratori potenzialmente destinatari del disegno di rdp, la cui tutela è demandata alla mera iniziativa dei singoli.

287 D‟ANTONA, I licenziamenti per riduzione di personale, cit., 323.

288 Cass. 5.5.1995, n. 4874, in FI, 1995, I, 2107.

289 Cass. 27.5.1997, n. 4685, in DL, 1997, 171; Cass. 27.6.2001, n. 461, in RIDL, 2001, II, 144;

Cass. 11.5.2000, n. 302, in FI, 2000, I, 2156; Cass. 19.4.2003, n. 6385, in RIDL, 2003, II, 886, secondo cui l‟unico limite all‟insindacabilità delle ragioni è l‟apprezzamento dell‟eventuale ricorrenza di una frode alla legge; Cass. 27.2.2003, n. 3015, in MGL, 2003, 347; in segno contrario, Cass. 7.12.1999, n. 13691, in FI, 2000, 842, per cui il licenziamento collettivo è soggetto ad un controllo identico a quello proprio del licenziamento per g.m.o.

principi di buona fede e correttezza o all‟esistenza di contrasti d‟interesse ex art. 1394, c.c290. Si capisce, invece, come il superamento dei limiti di tempo previsti per la procedura non comporti alcun vizio: si parla, allora, di derogabilità dei termini che, come detto, sono previsti nell‟interesse del datore (si pensi alla conclusione dell‟accordo sindacale, possibile fino ad un attimo prima dell‟avvenuta efficacia dei licenziamenti291) (v. infra).

In merito alla rilevanza dei vizi, costituisce, oramai, ius receptum che le violazioni della procedura hanno effetti lesivi di diritti sia individuali che collettivi. Si pone, allora, la questione di chi possa far valere i vizi. Il potere di impugnazione è espressamente riservato dalla legge al singolo lavoratore292 il quale deve impugnare il licenziamento entro 60 giorni dalla comunicazione: si tratta di un‟impugnazione necessaria a pena di decadenza, ad eccezione dell‟ipotesi di mancanza della forma scritta.

Da un punto di vista strettamente processuale bisogna distinguere: se l‟azione è di accertamento della nullità del licenziamento per difetto della forma scritta, si applica la disciplina della corrispondente azione di nullità del licenziamento individuale. Se, invece, l‟azione è di annullamento del licenziamento inefficace od annullabile, la questione è se la pluralità di lavoratori coinvolti determini un litisconsorzio necessario tra lavoratori

290 Pret. Torino 3.5.1994, in Gpiem., 1995, 90.

291 Cass. 3.3.2001, n. 3125, in MGL, 2001, 508; Pret. Torino 5.1.1993, cit.

292 Art. 5, comma 3, L. 223; Trib. Milano 18.9.1999, in D&L, 2000, 135; Cass. 13.6.2000, n. 419, in LG, 2001, 247; Pret. Milano 28.7.1998, in D&L, 1998, 944; Corte Cost. 27.7.1995, n. 413, in D&L, 1995, 837; Cass. 19.2.2000, n. 1923, in GC, 2001, I, 1337, per cui l’intervento del sindacato nella procedura è comunque finalizzato alla tutela dei lavoratori coinvolti dalla rdp.

licenziati e quelli rimasti in servizio: sembra che il litisconsorzio necessario sia da escludere in quanto il rapporto intercorre esclusivamente tra datore e lavoratore, la cui domanda può essere accolta senza che ciò modifichi la situazione sostanziale degli altri interessati (l‟unica differenza sarebbe, allora, tra dipendenti che accettano il licenziamento e dipendenti che promuovono l‟impugnazione). Ciò può essere vero rispetto ad invalidità che incidono sulle fondamenta del licenziamento; qualche dubbio sorge in merito all‟interesse del lavoratore, potenzialmente in conflitto con quello di altri dipendenti, a non essere scelto fra coloro che saranno licenziati, anche in sostituzione del lavoratore erroneamente scelto, ex art. 17, L. 223293. L‟azione di impugnazione può essere esercitata con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche

293 Si è parlato di un possibile accostamento all’azione demolitoria nei concorsi pubblici: la teoria non convince perché, se, da un lato, è vero che l’accoglimento di tali azioni non modifica la situazione giuridica dei colleghi non licenziati, dall’altro lato, con l’azione ex art. 5, comma 3, L.

223, il ricorrente non può ottenere dal giudice la risoluzione di un altro rapporto, né può individuare il dipendente da licenziare in sostituzione; Pret. Ravenna 14.1.1993, in FI, 1993, I, 2029, per cui l’eventuale pronuncia giudiziale, non comportando l’obbligo datoriale di emettere un nuovo provvedimento di licenziamento, non è costituiva nei confronti dei dipendenti diversi dal ricorrente; DEL PUNTA, I criteri di scelta dei lavoratori nei licenziamenti collettivi e nella cassa integrazione guadagni, cit., secondo il quale è da esaminare l’esperibilità di un intervento volontario nella causa: nella fattispecie in oggetto, il diritto fatto valere dall’interveniente è, formalmente, verso la parte contrapposta, ma la vera relazione di incompatibilità è tra la posizione dell’originario attore verso il datore e quella del terzo, sempre verso il datore; le posizioni in reale conflitto sono quelle dei due lavoratori e si rivolgono verso il medesimo petitum del non-licenziamento. Al di là della casistica, nulla in giurisprudenza, è difficile che il lavoratore si sobbarchi le spese e i rischi di un giudizio che, eventualmente, si concluderà col licenziamento;

molto più probabile una contestazione a posteriori, dopo che il secondo lavoratore è stato licenziato in luogo del primo: l’interessato potrà impugnare il licenziamento con i mezzi ordinari, configurandosi un’opposizione di terzo, e, chiaramente, l’azienda convenuta che abbia interesse ad utilizzare direttamente la pronuncia per futuri licenziamenti, ricaverà benefici tangibili qualora proceda a chiamare in causa i contro interessati.; VALLAURI, Problemi applicativi dell’art. 17 della l. 223/91, cit., sottolinea l’opportunità della chiamata in causa di tutti i dipendenti interessati da parte della stessa impresa costituitasi in giudizio, la quale potrebbe opporre nei loro confronti la pronuncia sfavorevole; percorribile appare la strada anche della chiamata da parte del giudice, il

attraverso l‟intervento delle OO. SS.; il lavoratore che voglia ottenere la dichiarazione di inefficacia/annullamento del licenziamento, intimatogli sull‟assunto del mancato rispetto dell‟iter procedurale, deve indicare nell‟atto introduttivo del giudizio le specifiche omissioni od irregolarità addebitate al datore (non potendo farne valere, nel corso del giudizio, di diverse od ulteriori rispetto a quelle originariamente denunziate)294. Si pone il problema di “che cosa” il singolo lavoratore debba allegare e provare in giudizio per ottenere la tutela richiesta, e cioè l‟annullamento del provvedimento espulsivo. Secondo un orientamento giurisprudenziale tradizionale, deve provare il nocumento derivatogli dalla violazione della procedura, quindi, dovendo dimostrare l‟effettività del pregiudizio, deve provare che l‟organizzazione sindacale non abbia potuto in concreto svolgere il proprio ruolo all‟interno della procedura295; la pesantezza di tale onere probatorio ha, però, spinto a ritenere sufficiente la prova dell‟esistenza del vizio procedurale e della sua rilevanza296.

Qualora la domanda venga accolta, il conseguente annullamento del licenziamento espone l‟impresa agli effetti di cui all‟art. 18, St. Lav.:

risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità, pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento fino a quella di effettivo

quale potrebbe cosi valutare comparativamente le varie situazioni giuridiche.

294 AMOROSO, DI CERBO, MARESCA, Diritto del lavoro vol. 2, cit.., 1590.

295 Cass. 5.4.2000, n. 4228, in Foro it., 2000, I, 2842; Cass. 13.11.2000, n. 14679, in MGL, 2001, 265, per cui spetta al lavoratore non solo provare l‟incompletezza/insufficienza delle informazioni, ma anche l‟idoneità in concreto ad eludere l‟esercizio dei poteri di controllo preventivo in capo alle OO. SS.

reintegro, pagamento dei contributi previdenziali e assicurativi, salvo l‟aliunde perceptum, e reintegrazione del lavoratore297.

Ad eccezione dello specifico atto di recesso individuale, la legge nulla dice sulla natura delle invalidità che colpiscono i singoli atti in cui si articola la procedura; infatti, al di là della valenza antisindacale, la violazione dei singoli momenti procedurali, isolatamente considerati, assume rilievo solo nel momento in cui si intima il licenziamento ad un certo numero di lavoratori. Emerge, allora, fortemente la posizione di chi, come detto, guarda alla procedura come ad una fattispecie a formazione progressiva la cui integrazione determina una condizione di legittimo esercizio del potere

296 Cass. 9.9.2003, n. 12196, in MGL, 2003, 844, riferita, tuttavia, al caso specifico di mancanza assoluta di allegazione delle motivazioni.

297 Pret. Milano 14.1.1995, con commento di SCARPELLI, Problemi applicativi della disciplina dei licenziamenti collettivi: criterio di computo dei dipendenti e reintegrazione nei confronti dell’impresa fallita, in RIDL, 1995, 585, qualora la declaratoria di illegittimità sia pronunciata nei confronti di un‟impresa dichiarata fallita, le pronunce restitutorie possibili sono quelle compatibili con la limitata competenza del giudice del lavoro, ovvero, l‟ordine di reintegrazione, ma non la pronuncia di condanna al pagamento di somme a titolo di risarcimento (liquidato dal tribunale fallimentare ed equivalente alle mensilità decorse dal licenziamento al momento in cui la reintegrazione è divenuta impossibile, cioè al momento del fallimento); SANTORO PASSARELLI, Trasferimento d’azienda e rapporto di lavoro, cit., 50, l‟accertata condotta antisindacale comporta la rimozione degli effetti del negozio di trasferimento tra alienante ed acquirente che non hanno adempiuto agli obblighi di informazione/consultazione. La legge non condiziona la conclusione del negozio di trasferimento al consenso sindacale, quindi, l‟inadempienza agli obblighi non produce l‟invalidità del negozio traslativo, ma la sospensione dell‟efficacia degli atti concernenti i rapporti di lavoro posti in essere dalle parti cedente e cessionario in esecuzione del negozio fino a quando vengono adempiuti quegli obblighi (Cass.

4.1.2000, n. 23, in NGL, 2000, 218); Cass. 29.3.1996, n. 2906, in RIDL, 1996, II, 873 e Cass.

4.2.1998, n. 1150, in RIDL, 1999, II, 193, una piccola questione attiene alla possibilità per il giudice, al momento della liquidazione del danno da licenziamento illegittimo, di tener conto dell‟indennità di disoccupazione percepita in seguito a tale licenziamento. La giurisprudenza, ritenendo che il vantaggio costituito dalla percezione dell‟indennità di disoccupazione sia conseguenza immediata e diretta del licenziamento illegittimo, afferma che se ne deve tener conto nella liquidazione del danno, a nulla rilevando la diversità soggettiva tra colui che è tenuto al suddetto risarcimento (il datore) e colui che deve erogare l‟indennità di disoccupazione (l‟Inps);

Cass. 3.2.1998, n. 1039, in GC, 1998, I, 645, secondo cui, qualora risulti allegato e provato l’aliunde perceptum, il giudice, anche d‟ufficio ed anche in appello, può tenerne conto al fine di ridurre al limite legale delle cinque mensilità l‟ammontare del risarcimento, trattandosi di eccezione in senso lato.

di recesso: i singoli adempimenti richiesti al datore, prima dell‟intimazione dei licenziamenti, rappresentano un onere in senso tecnico, per cui ci si sposta dal versante della validità/invalidità della procedura per giungere ad un giudizio sussuntivo che verifichi l‟avveramento dell‟insieme di fatti ed atti prescritti.

Tuttavia, la legge, nel disciplinare le varie fasi della procedura, utilizza importanti elementi in chiave teleologica (si pensi ai contenuti della comunicazione di apertura che, oltre ad essere esistenti, devono essere idonei a gettare le basi della successiva fase di trattative)298. Il dilemma tra

Tuttavia, la legge, nel disciplinare le varie fasi della procedura, utilizza importanti elementi in chiave teleologica (si pensi ai contenuti della comunicazione di apertura che, oltre ad essere esistenti, devono essere idonei a gettare le basi della successiva fase di trattative)298. Il dilemma tra

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