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Il lavoro in Italia. Le sfide di dipendenti, imprenditori e startupper. Criticità, opportunità e trend futuri. Rome Business School Research Center

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Research Center

Le sfide di dipendenti, imprenditori e startupper.

Criticità, opportunità e trend futuri.

Il lavoro in Italia

A cura di:

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02. L’occupazione in Italia 9

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Il dilemma del precariato 17

Lo spettro del lavoro sommerso e irregolare 22

L’incognita dello smart working e le disparità di genere 25 L’importanza delle competenze e della formazione specializzata 32 Soft, Hard and Life skills: i principali trends per il 2025 33

La formazione specializzata 35

La tecnologia e l’innovazione a favore delle persone diversamente abili e con difficoltà cognitive 36

Formazione professionale e lavoro nelle carceri italiane 37 Le discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ 45

Le chiavi della ripartenza del lavoro: PNRR, Made in Italy, le PMI e l’economia circolare 49

A cura di:

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04. Conclusioni

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La distribuzione territoriale delle Startup 55

Startup: il confronto tra Paesi UE 57

I limiti dell’Italia 59

Il ‘quasi mito’ delle Startup Unicorno 61

L’importanza dell’ecosistema startup 64

I trend delle startup per il 2022-2025 73

Crowdfunding in Italia: tipologie e risultati 74

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Dott. Giacomo Salvanelli

Crime Analyst, Imprenditore ed Esperto di Innovazione

Crime Analyst (BSc, MSc, MSc) e Imprenditore. Dopo aver completato il proprio percorso accademico, a cavallo tra UK e USA, in materia di crime analysis, lavora come Crime Analyst presso la Portsmouth University (UK), pri- ma, e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, poi. A dicembre 2020 fonda Mine Crime, società deep tech (B2B) operante nel settore dei ‘big-data analytics con cui offre soluzioni innovative, in materia di risk analysis, ai reparti di security management di corporate e multinazionali. La società scala velocemente il mercato e, dopo 8 mesi di vita, riceve un pre-seed da parte del Fondo d’Investimento dell’Università Bocconi di Milano, potendo così crescere ancora più velocemente e affacciarsi all’estero. Appassionato d’innovazione e startup, conta di af- facciarsi presto al mondo del business angeling puntando ad effettuare i suoi primi investimenti in società ad alto potenziale di crescita.

Dott. Valerio Mancini

Direttore del Rome Business School Research Center

Professore e Direttore del Centro di Ricerca della Rome Business School; è stato visiting lecturer in Argentina, Colombia, Brasile, Cipro, Siria, Francia e Polonia.

È docente presso l’Istituto Armando Curcio di Roma. Ha lavorato in Italia e all’estero con diverse organizzazioni internazionali (UNODC, UNICRI, MAOC-N e OCSE) e nazionali (MISAP, MASTERY e Comitato Giovani della Commissione Nazionale Italiana dell’UNESCO). Ha pubblicato diversi articoli, reportage e ricerche accademiche;

è stato giornalista estero del quotidiano colombiano “El Espectador” e, dal 2010, è corrispondente per l’Italia del programma radiofonico “UN Analísis”. Autore di “Calcio & Geopolitica” (Mondo Nuovo, 2021).

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Introduzione

01

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01 Introduzione

Le criticità del nostro mercato del lavoro in Italia sono molteplici: innanzitutto, nonostante la crescita dell’oc- cupazione italiana abbia raggiunto nel primo trimestre del 2022 livelli che non si vedevano da prima della pan- demia, sono aumentati fortemente i lavoratori precari con contratti a termine e, nel complesso, la situazione occupazionale è tuttora molto preoccupante. I mi- glioramenti sono infatti lenti soprattutto per i giovani, le donne e le fasce più vulnerabili della società, i cui tassi di occupazione sono inaccettabilmente bassi e lontani dalle medie europee. Inoltre, il sistema italiano è ancora debole nelle sue istituzioni formative e nelle politiche attive: a causa di tali fragilità esso è tuttora poco attrezzato per affrontare le due grandi transizioni previste dal PNRR – digitale ed ecologica – che com- porteranno grandi cambiamenti nel contesto produtti- vo del Paese e nelle competenze richieste ai lavoratori del futuro.

In tale contesto, la pandemia globale ha causato un tipo di crisi economica che non abbiamo mai vissu- to prima ed ha esplicitamente mostrato che abbiamo bisogno di apportare ampi cambiamenti sistemici al nostro sistema socioeconomico, spostandoci neces- sariamente verso un’economia più resiliente, giusta, in- clusiva, innovativa, creativa e sostenibile, che sia adatti al meglio alle sfide e alle opportunità del futuro. La chi- usura parziale dei sistemi economici a livello mondi- ale, combinata con l’aumento globale della domanda

di materie prime, le restrizioni in materia di esportazi- oni e di mobilità e le misure di distanziamento fisico, hanno determinato interruzioni massicce delle catene globali del valore, costringendo in tempi brevissimi i governi a fare affidamento sulle proprie risorse materi- ali e intellettuali per rispondere prontamente a questa nuova ed inattesa sfida.

Lo shock iniziale della crisi pandemica è stato avver- tito in ampie aree già dell’economia, in quanto la pau- ra del contagio e le rigide restrizioni ai contatti sociali hanno fortemente rallentato l’attività economica nei Paesi dell’OCSE (OECD, Employment outlook 2021).

La natura profondamente settoriale della crisi e le divergenze nelle tutele offerte dai vari tipi di impiego fanno sì che il peso della crisi in termini di perdite di posti di lavoro e riduzione dell’orario lavorativo gravi maggiormente solo su alcuni. I segni della crisi sono particolarmente visibili per coloro che hanno un a pro- fessione scarsamente retribuita, spesso con contratti a tempo determinato e un basso livello di istruzione, nonché per i giovani: infatti, le ore lavorate dai sud- detti gruppi sono diminuite in modo sproporzionato e la riduzione dell’occupazione ha costituito il margine più importante di aggiustamento. Altri gruppi, invece, sono stati in grado di adattarsi meglio alla situazione mediante una riduzione dell’orario di lavoro e il telelav- oro. Le aziende, dal canto loro, stanno procedendo a ristrutturazioni che accelerano le mega-tendenze già

esistenti, quali l’automazione e la digitalizzazione. Tutti questi elementi incideranno sull’intensità e sull’entità della ripresa economica.

Guardando allo scenario italiano, la suddetta crisi ha esplicitamente mostrato che abbiamo bisogno di ap- portare ampi cambiamenti sistemici e di lungo peri- odo, che possano ridurre in tempi relativamente bre- vi il precariato, il lavoro sommerso e le differenze di genere, senza tralasciare le esigenze delle fasce più vulnerabili della popolazione (in particolare disabili e detenuti). Partendo da questo presupposto di fondo, va ricordato che gli imprenditori e la propensione im- prenditoriale made in Italy sono il fondamento di una ripartenza sostenibile e, da sempre, il motore di tras- formazione dell’economia italiana.

Percorrendo quindi la strada segnata dalle leggi attuali e, in particolare dal PNRR, approvato il 13 luglio 2021, si intende far emergere quali sono le criticità e le op- portunità del programma, con particolare attenzione alle politiche attive e ai temi della digitalizzazione, della rivoluzione verde e della formazione, oltre alle recenti modalità di lavoro, come lo smart working. Oggi più che mai è necessaria un’azione in cui tutti si sentano coinvolti e possano partecipare: i cittadini, le imprese e le istituzioni, affinché la preziosa occasione che ci viene data possa essere a favore di ciascuno, anche e soprattutto delle generazioni future.

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NOTE

1 Rapporto GEM Italia 2019-2020.

Pertanto, comprendere le caratteristiche predominanti dell’attività imprenditoriale è infatti diventato ancora più impellente, specialmente a seguito della grave cri- si sociale ed economica determinata dal Covid19 che ha colpito l’economia globale e, in particolare, quella italiana1.

In tale contesto, all’interno della ricerca si sottolinea come le competenze siano sempre più essenziali per la competitività e l’occupabilità: le modifiche strutturali come la globalizzazione e il progresso tecnologico, in- fatti, richiedono skills sempre più elevate e sempre più pertinenti alle richieste del mercato del lavoro, al fine di garantire la crescita della produttività e la disponibilità di posti di lavoro di qualità e accessibili a tutti.

Ci sono, infine, vere e proprie tendenze che hanno ac- celerato il loro normale processo di sviluppo a causa della pandemia. Una di queste è il Great Resignation, ovvero il fenomeno delle dimissioni di massa. Tra i lavoratori, infatti, è emerso un generalizzato desider- io di riappropriarsi del tempo da dedicare a sé stessi e alla famiglia, allo sport, di elevare la propria qualità della vita e, soprattutto, di guardare al lavoro in mani- era diversa per difendere l’agognato work-life balance, il perfetto equilibrio tra vita lavorativa e tempo libe- ro. Con la fine del mito della carriera a tutti i costi e la rivendicazione del diritto alla flessibilità lavorativa, ad esser messa in discussione è anche la classe di- rigente che per attrarre talenti e valorizzare il capitale umano deve oggi fare i conti con una nuova idea di

“leader”. A tal proposito, secondo una recente ricerca di Mc McKinsey & Company, multinazionale di consu- lenza strategica, il 40% dei lavoratori a livello mondiale desidera cambiare la propria posizione nel prossimo futuro. Tra i datori di lavoro il 53% ha dichiarato di avere un turnover volontario rispetto agli anni precedenti e il 64% di questi si aspetta che il problema peggiori in futuro. Anche in Italia, il fenomeno delle “Grandi dimis- sioni” è in piena espansione. Nel primo trimestre del 2022 (dati ISTAT) già 307 mila persone si sono conge- date da un contratto a tempo indeterminato. Il caso simbolo in questo senso è il Veneto, dove, in media, chi si è dimesso ha trovato un nuovo posto di lavoro in una settimana. Inoltre, un terzo dei dirigenti accetta anche il “downgrading” pur di cambiare professione.

Come sostiene quindi il Professore emerito di soci- ologia presso l’Università La Sapienza di Roma, Do- menico De Masi, la soluzione potrebbe essere quella di “ridurre drasticamente l’orario di lavoro per evitare che la disoccupazione cresca”. Per il sociologo, infatti, è possibile immaginare un mondo del lavoro che lasci spazio ai giovani: “oggi ci sono padri che lavorano dieci ore al giorno e figli che restano a digiuno. La Germania, ad esempio, di pari passo con l’introduzione di nuovi macchinari ha ridotto l’orario di lavoro. Un tedesco in media lavora 1400 ore all’anno, un italiano 1800 ore.

40 ore a settimana. Se anche noi riducessimo l’orario di lavoro avremmo 6 milioni di posti in più”2.

Per quanto riguarda poi la tematica di genere, in Ita-

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zazione e l’aumento dell’aspettativa di vita possono essere sfruttate per favorire la riduzione del gender gap, fino alla sua chiusura, incentivando l’empower- ment femminile in modo da permettere alle donne di coltivare la loro professione senza dover rinunciare alla famiglia ed arrivare ad un reale job sharing.

Ma per capire meglio i trend del futuro del lavoro in Italia, dobbiamo soffermarci sul settore che più di tutti ha saputo sfruttare e reinventarsi durante la pandem- ia e che, per forza di cose, ha accelerato esponenzial- mente, nel momento di crisi, il processo evolutivo in corso, ovvero, il settore dei servizi alle imprese. Ques- to, ad oggi, costituisce la stragrande maggioranza delle startup innovative operanti in Italia, per un valore complessivo di 14.077 società (dati 2021). Le princi- pali sotto-categorie d’attività sono quelle riguardanti la produzione di software e quelle relative alla cosiddetta R&D (ricerca e sviluppo), circostanza che contribuisce a far sì che sempre più startup vogliano inserirsi e ag- gredire una fetta di questo mercato, il quale, seppure tendente verso una saturazione, sembra mettere in luce un trend crescente in materia di ‘pure value’.

Nel complesso, pertanto, la presente ricerca ha l’obi- ettivo di analizzare le principali tendenze emergenti, le principali sfide e le opportunità per le imprese e per i lavoratori italiani che, giorno dopo giorno, emergono e resistono all’interno del contesto post-pandemico che ci troviamo ad affrontare.

lia, con il PNRR sono stati stanziati circa 40 miliardi di euro, volti a sostenere l’occupazione femminile ma, nonostante gli ingenti finanziamenti previsti dal Piano, la precarietà occupazionale e la discontinuità con tut- ta probabilità continueranno a colpire soprattutto le donne. Dal punto di vista delle disuguaglianze di ge- nere, infatti, è ancora molta la strada da percorrere. Il reddito è diseguale, l’accesso al lavoro è molto diverso e ciò rende alcune aree del Paese di fatto immobili. Se solamente poco più del 20% delle donne lavora, sig- nifica che le politiche di genere attuate finora ad ora per quelle zone sono state altamente insufficienti, sia a livello statale che regionale.

Bisogna quindi soprattutto puntare su un maggiore sostegno all’imprenditorialità femminile, a una mag- giore rappresentanza femminile in ambito politico, dare spazio alle donne nei vertici dei business, colmare il divario delle assunzioni nelle nuove professioni emer- genti e sviluppare una strategia da parte delle aziende mirata all’inclusione e supportata da piani d’azione specifici che mettano al centro le donne, valorizzan- done la professionalità e garantendone la parità di trat- tamento sia nella carriera che nell’ambito salariale.

Un maggior coinvolgimento delle donne nel mondo business, attuato riducendo le barriere che ne ostacol- ano l’ingresso o il reinserimento nel mercato del lavoro, porterebbe ad una crescita esponenziale del Pil a livel- lo mondiale fino al 35% (FMI). Con le giuste politiche, le opportunità offerte dalla digitalizzazione, la globaliz-

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L’occupazione in Italia

02

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Secondo l’ISTAT (2022) il tasso di occupazione si attesta a marzo 2022 al 59,9% (record dall’inizio delle serie storiche dell’ISTAT). Il calo del numero di persone in cerca di lavoro (-2,3%, pari a -48mila unità rispetto a febbraio) si osserva per le donne e nelle classi d’età centrali. Confrontando il primo trimestre 2022 con quello precedente si registra un aumento del livello di occupazione pari allo 0,6%, per un totale di 133mila occupati in più. La crescita dell’occupazione registrata nel confronto trime- strale si associa alla diminuzione sia delle persone in cerca di lavoro (-6,0%, pari a -136mila unità) sia degli inattivi (-0,4%, pari a -54mila unità). L’aumento è trasversale per genere, età e posizione professionale: l’unica variazione negativa si registra per i lavoratori tra i 35 e i 49 anni per effetto della componente demografica. Il tasso di occupazione, in aumento di 2,3 punti percentuali, sale infatti per tutte le classi di età. Rispetto ad aprile 2021, diminuisce il numero di persone in cerca di lavoro (-17,0%, pari a -428mila unità) e il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (-4,0%, pari a -540mila)3.

02 L’occupazione in Italia

Figura 1. Occupati, Gennaio 2017 - Aprile 2022 Valori assoluti in milioni, dati destagionalizzati Fonte: Dati Istat (2022)

NOTE

3 https://www.istat.it/it/files//2022/05/CS_Occupati-e-disoccupati_MARZO_2022.pdf

Media mobile a tre mesi

Occupati (milioni di unità)

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Il tasso di disoccupazione è all’8,3%, tornando ai livelli del 2010, e il tasso di inattività, al 34,5%, scende ai livelli pre-pan- demici. A marzo 2022 il tasso di disoccupazione sale però al 24,5% tra i giovani (+0,3 punti). La diminuzione del numero di persone in cerca di lavoro (-2,3%, pari a -48mila unità rispetto a febbraio) si osserva per le donne e nelle classi d’età centrali.

Figura 2. Tasso di disoccupazione, Gennaio 2017 - Aprile 2022 Valori percentuali, dati destagionalizzati

Fonte: Dati Istat (2022)

Il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni diminuisce (-0,6%, pari a -72mila unità) per gli uomini, le donne e per tutte le classi di età. Rispetto a marzo 2021, diminuisce il numero di persone in cerca di lavoro (-16,6%, pari a -412mila unità) e il nu- mero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (-5,5%, pari a -747mila).

Media mobile a tre mesi

Tasso di disoccupazione

Figura 3. Inattivi 16-64 anni, Gennaio 2017 - Aprile 2022 Valori assoluti in milioni, dati destagionalizzati

Fonte: Dati Istat (2022)

Media mobile a tre mesi

Inattivi

(milioni di unità)

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Su base annua, per entrambi i generi aumenta l’occupazione (+2,6 punti per gli uomini e +2,0 per le donne) e diminuiscono disoccupazione (-1,9 e -1,7 punti) e inattività (-1,3 e -1,1 punti).

Variazioni congiunturali Variazioni tendenziali

Valori assoluti (migliaia di unità )

apr22

mar22 apr22

mar22 feb -apr22

nov21 -gen22 feb -apr22

nov21 -gen22 apr22

apr21 apr22

apr21 (assolute ) (percentuali ) (assolute ) (percentuali ) (assolute ) (percentuali ) MASCHI

Occupati 13.312 +31 +0,2 +103 +0,8 +380 +2,9

Disoccupati 1.060 -39 -3,5 -82 -7,1 -255 -19,4

Inattivi 15-64anni 4.728 +13 +0,3 -61 -1,3 -265 -5,3

FEMMINE

Occupati 9.709 -43 -0,4 +38 +0,4 +289 +3,1

Disoccupati 1.034 +22 +2,2 -25 -2,3 -172 -14,3

Inattivi 15-64anni 8.169 +20 +0,3 -32 -0,4 -275 -3,3

TOTALE

Occupati 23.021 -12 -0,1 +141 +0,6 +670 +3,0

Disoccupati 2.094 -17 -0,8 -107 -4,8 -428 -17,0

Inattivi 15-64anni 12.897 +34 +0,3 -93 -0,7 -540 -4,0

Tabella 1. Popolazione per genere e condizione professionale Aprile 2022 dati destagionalizzati

Fonte: Dati Istat (2022)

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Valori percentuali

Variazioni congiunturali Variazioni tendenziali (punti percentuali)

apr22

mar22 feb -apr22

nov21 -gen22 apr22 apr21 MASCHI

Tasso di occupazione 15-64anni 69,0 +0,2 +0,7 +2,6

Tasso di disoccupazione 7,4 -0,3 -0,6 -1,9

Tasso di inattività 15-64anni 25,4 +0,1 -0,3 -1,3

FEMMINE

Tasso di occupazione 15-64anni 50,8 -0,2 +0,3 +2,0

Tasso di disoccupazione 9,6 +0,2 -0,2 -1,7

Tasso di inattività15-64 anni 43,7 +0,1 -0,1 -1,1

TOTALE

Tasso di occupazione 15-64anni 59,9 0,0 +0,5 +2,3

Tasso di disoccupazione 8,4 -0,1 -0,4 -1,8

Tasso di inattività 15-64anni 34,6 +0,1 -0,2 -1,2

Tabella 2. Tassi di occupazione ,disoccupazione e inattività per genere Aprile 2022 dati destagionalizzati

Fonte: Dati Istat (2022)

Nell’arco dei dodici mesi l’occupazione risulta in crescita grazie ai dipendenti permanenti (+2,1%) e soprattutto a termine (+12,6%); l’aumento, seppur lieve, si registra anche per gli autonomi (+0,2%).

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Tabella 3. Occupati per posizione professionale e carattere dell’occupazione Aprile 2022 dati destagionalizzati

Fonte: Dati Istat (2022)

Su base annua (aprile 2021-aprile 2022 – dati ISTAT), l’aumento del tasso di occupazione e la diminuzione di quelli di inattività e di disoccupazione caratterizzano tutti i sottogruppi per età.

Valori assoluti (migliaia di unità )

Variazioni congiunturali Variazioni tendenziali

apr22

mar22 apr22

mar22 feb -apr22

nov21 -gen22 feb -apr22

nov21 -gen22 apr22

apr21 apr22

apr21 (assolute ) (percentuali ) (assolute ) (percentuali ) (assolute ) (percentuali )

OCCUPATI 23.021 -12 -0,1 +141 +0,6 +670 +3,0

Dipendenti 18.077 +5 0,0 +120 +0,7 +658 +3,8

-permanenti 14.911 -4 0,0 +23 +0,2 +304 +2,1

-a termine 3.166 +9 +0,3 +97 +3,2 +354 +12,6

Indipendenti 4.944 -17 -0,3 +21 +0,4 +11 +0,2

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Valori assoluti (migliaia di unità)

Variazioni congiunturali Variazioni tendenziali

apr22

mar22 apr22

mar22 feb -apr22

nov21 -gen22 feb -apr22

nov21 -gen22 apr22

apr21 apr22

apr21 (assolute ) (percentuali ) (assolute ) (percentuali ) (assolute ) (percentuali ) 15-24 ANNI

Occupati 1.120 +14 +1,3 +25 +2,3 +169 +17,8

Disoccupati 349 -22 -6,0 -31 -8,0 -108 -23,7

Inattivi 4.318 +9 +0,2 +11 +0,2 -41 -0,9

25-34 ANNI

Occupati 4.118 +13 +0,3 +75 +1,9 +280 +7,3

Disoccupati 522 -15 -2,9 -42 -7,1 -171 -24,7

Inattivi 1.556 +2 +0,1 -35 -2,2 -188 -10,8

35-49 ANNI

Occupati 8.847 -75 -0,8 +3 0,0 -32 -0,4

Disoccupati 721 +34 +5,0 -29 -3,9 -86 -10,6

Inattivi 2.289 +17 +0,8 -49 -2,1 -195 -7,9

50 ANNI E PIÙ

Occupati 8.937 +36 +0,4 +38 +0,4 +253 +2,9

Disoccupati 503 -14 -2,7 -6 -1,1 -63 -11,1

Inattivi 17.935 -2 0,0 +42 +0,2 +51 +0,3

Inattivi 50-64 anni 4.733 +6 +0,1 -19 -0,4 -116 -2,4

Tabella 4. Popolazione per classi di età e condizione professionale Aprile 2022 dati destagionalizzati

Fonte: Dati Istat (2022)

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dai lavoratori precari con contratti a termine. A marzo 2022, secondo i dati Istat, il numero di occupati torna a superare i 23 milioni. È la prima volta dal febbraio 2020 che non si vede un numero così alto di occupati nel mondo del lavoro italiano, ma, di convesso, è un altro dato a scomodare record ancora più remoti: è dal 1977 che non si vede un numero simile di dipendenti a termine, che ora sono 3 milioni e 150mila. L’aumento osservato rispetto all’inizio dell’anno, in generale, è pari a quasi 170 mila occupati. Rispetto a marzo 2021, la crescita del numero di occupati è invece di 800 mila unità, e in oltre la metà dei casi riguarda i dipendenti a termine (ISTAT 2022)4. Mettendo a confronto i dati italiani a livello internazionale, notiamo come, tra i Paesi OCSE, l’Italia condivide con il Lussemburgo il primato legato al miglioramento percen- tuale assoluto dei livelli di occupazione rispetto al 2020 (OECD Unemployment rate, maggio 2022), con una diminuzione del tasso di disoccupazione dell’1,3% in due anni5.

NOTE

4 https://www.istat.it/it/archivio/269972.

5 https://www.oecd.org/sdd/labour-stats/unemployment-rates-oecd-05-2022.pdf

Figura 4. Cambiamenti nei tassi di disoccupazione nel paesi OCSE tra marzo 2020 e marzo 2022 Punti percentuali

Fonte: OECD Unemployment rates (2022)

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Il dato però va letto con le dovute precauzioni e, nonostante il giusto ottimismo, va considerato il fatto che tra i Paesi OCSE l’Italia è terza (dopo Grecia e Costa Rica) nella classifica della disoccupazione delle giovani donne (OECD Youth Unemployment rate 2021)6:

Figura 5. Tasso di disoccupazione giovanile (donne) - 2021 Fonte: OECD Youth Unemployment rate (2021)

Il dilemma del precariato

Come abbiamo visto, l’incremento significativo delle assunzioni nel 2022 riflette la dinamica della crisi pandem- ica, particolarmente significativa nei primi mesi del 2021. Se analizziamo ad esempio i dati dell’INPS (“Osserva- torio sul Precariato”, gennaio-marzo 2022) , complessivamente le assunzioni attivate dai datori di lavoro privati nei primi tre mesi del 2022 sono state 1.865.000, con un aumento del +43% rispetto allo stesso periodo del 2021. La crescita ha interessato tutte le tipologie contrattuali, risultando accentuata per le assunzioni stagionali

(18)

indeterminato (+44%), per l’apprendistato (+43%), mentre per le altre tipologie gli aumenti sono più contenuti: tempo determinato (+35%) e sommin- istrati (+29%). La dinamica delle assunzioni è sta- ta più consistente nelle imprese più piccole (under 15: +57%), a decrescere poi con l’aumento della di- mensione aziendale: da 16 a 99 dipendenti (+40%) e oltre 99 dipendenti (+32%). Per quanto riguarda le tipologie orarie il confronto tra il primo trimestre del 2022 con quello del 2021 registra andamenti in linea con la variazione del complesso delle as- sunzioni.

Le cessazioni dei primi tre mesi del 2022 sono state 1.515.000, in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+47%). In aumento tutte le tipologie contrattuali: contratti stagionali (+105%), contratti intermittenti (+77%), contratti in apprendistato (+60%), contratti a tempo inde- terminato (+47%), contratti a tempo determinato (+38%) e contratti in somministrazione (+37%). La tabella 3 dettaglia questi risultati per regione:

Variazione marzo 2022 su marzo 2021 Tempo

indeterminato Altri contratti Totale

PIEMONTE 5.274 40.896 46.170

VALLE D'AOSTA 497 4.608 5.105

LOMBARDIA 37.302 119.367 156.669

LIGURIA 1.165 20.480 21.645

TRENTINO ALTO ADIGE 1.475 29.134 30.609

VENETO 10.023 61.694 71.717

FRIULI VENEZIA GIULIA 1.612 10.750 12.362

EMILIA ROMAGNA 9.423 59.786 69.209

TOSCANA 3.854 46.604 50.458

MARCHE 2.597 17.913 20.510

UMBRIA 1.950 7.234 9.184

LAZIO 20.862 44.497 65.359

ABRUZZO 4.487 12.215 16.702

MOLISE 712 2.018 2.730

CAMPANIA 19.711 39.241 58.952

PUGLIA 18.289 27.595 45.884

BASILICATA 1.528 2.804 4.332

CALABRIA 4.851 6.631 11.482

SICILIA 18.621 29.159 47.780

SARDEGNA 4.932 11.842 16.774

ESTERO -432 110 -322

Totale 168.733 594.578 763.311

Tabella 5. Variazione delle posizioni di lavoro tra marzo 2022 e marzo 2021, per regione Fonte: INPS, Osservatorio sul precariato (marzo 2022)

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Nella tab. 6 il dettaglio dei medesimi risultati per settore. Il maggior contributo alla crescita, rispetto al 2021, è fornito dai settori alloggio e ristorazione (+208.000 posizioni rispetto a marzo 2021), costruzioni (+132.000) e terziario professionale (+111.000). Variazioni negative sono evidenziate per il comparto finanza-assicurazioni (-4.100, in questo settore a causa della contrazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato), per le industrie estrattive (-960) e per l’agricoltura (-220).

Variazione marzo 2022 su marzo 2021 Tempo

indeterminato Altri contratti Totale

Agricoltura ,silvicoltura e pesca -154 -69 -223

Estrattive -784 -179 -963

Alimentari 518 6.719 7.237

Tac {tessile abbigliamento calzature ) -3.546 8.879 5.333

Legno-mobilio 1.926 4.068 5.994

Metalmeccanico 22.578 25.027 47.605

Carta, chimica, altre industrie 5.047 10.633 15.680

Utilities 2.279 2.430 4.709

Costruzioni 75.234 56.277 131.511

Commercio 20.518 48.343 68.861

Alloggio, ristorazione -2.245 209.813 207.568

Trasporti e comunicazioni 4.156 22.535 26.691

Attività finanziarie e assicurative -5.195 1.026 -4.169

Terziario professionale 36.948 74.498 111.446

Fornitura di personale (include la somministrazione) 1.801 66.135 67.936

Istruzione; sanità e ass .sociale 9.852 28.248 38.100

Attività artistiche, di intrattenimento e divertimento; riparazione di beni per la casa e altri servizi -228 30.167 29.939

Organizzazioni e organismi extraterritoriali 28 28 56

Totale complessivo 168.733 594.578 763.311

Tabella 6. Variazione delle posizioni di lavoro tra marzo 2022 e marzo 2021, per settore Fonte: INPS, Osservatorio sul precariato (marzo 2022)

(20)

Nonostante però le apparenti buone premesse, notiamo che il picco più alto delle assunzioni è stato riscontrato per il lavoro intermittente e stagionale, ovvero del pre- cariato.

+85% assunzioni intermittenti;

+29% contratti di somministrazione;

+44% contratti a tempo indeterminato;

+43% assunzioni in apprendistato;

+35% contratti a tempo determinato;

+113% stagionali.

Tabella 7. Incremento assunzioni per tutte le tipologie contrattuali (confronto primo trimestre 2021 – 2022) Fonte: INPS, Osservatorio sul precariato (marzo 2022)

Ma chi sono i precari? Con il termine precariato si intende l’insieme dei soggetti lavoratori che vivono una generale condizione lavorativa di incertezza che si protrae, in- volontariamente, per molto tempo. Il lavoro precario è caratterizzato da mancanza di continuità del rapporto di lavoro e mancanza di un reddito e di condizioni di lavoro adeguate per avere certezze sul futuro.

Quanti sono i precari in Italia? Secondo le rilevazioni ISTAT (2021), i precari sono risultati circa 3 milioni (3.077.000) a dicembre 2021. A marzo 2022, secondo i dati dell’Osservatorio sul Precariato dell’INPS8, sono stati assunti con un contratto di lavoro precario o a tempo determinato 503.158 lavoratori.

Inoltre, la consistenza dei lavoratori impiegati con Contratti di Prestazione Occasionale (CPO)9 a marzo 2022 si attesta intorno alle 14.000 unità (in aumento del 25%

rispetto allo stesso mese del 2021); l’importo medio mensile lordo della loro remunerazione effettiva risulta pari a 247 euro. Per quanto attiene ai lavoratori pagati con i titoli del Libretto Famiglia (LF), a marzo 2022 essi risultano circa 13.000, in diminuzione del 75% rispetto a marzo 2021, periodo in cui il bonus baby sitting era erogato attraverso il libretto famiglia, l’importo medio mensile lordo della loro remunerazione effettiva risulta pari a 193 euro.

NOTE4 INPS, Osservatorio sul precariato, report mensile (gennaio 2022)

5 Il Contratto di Prestazione Occasionale (CPO) è il contratto mediante il quale un utilizzatore acquisisce, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità. Possono fare ricorso al CPO imprenditori, professionisti, lavoratori autonomi, associazi- oni, fondazioni e altri enti di natura privata, nonché amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, con specifiche regolamentazioni valide per la P. A. e per le imprese del settore agricolo. La misura del compenso netto è fissata dalle parti purché sia: a) minimo € 9 per ogni ora; b) minimo € 36 per ogni giornata di lavoro. INPS, Osservatorio sul precariato, report mensile (gennaio 2022).

(21)

Mese Assunzioni a tempo

indeterminato Assunzioni a termine Assunzioni in

apprendistato Assunzioni

stagionali Assunzioni in som-

ministrazione Assunzioni con contratto intermit- tente

Totale

2021 2022 2021 2022 2021 2022 2021 2022 2021 2022 2021 2022 2021 2022

Gennaio 109.589 163.757 201.412 287.611 21.530 31.488 23.513 32.025 80.662 120.210 24.267 42.866 460.973 677.957 Febbraio 81.233 114.238 186.659 250.521 19.853 28.658 20.357 31.969 65.127 79.856 29.102 45.288 402.331 550.530 Marzo 87.124 122.262 210.173 269.225 22.225 30.820 23.221 79.238 74.105 83.356 22.218 51.893 439.066 636.794

Aprile 86.705 197.963 21.829 39.481 72.309 28.064 446.351

Maggio 96.194 271.473 26.226 146.481 90.336 79.485 710.195

Giugno 100.420 355.772 30.794 253.578 94.123 86.290 920.977

Luglio 96.147 325.238 30.140 159.748 91.624 65.648 768.545

Agosto 56.399 190.105 15.170 63.303 67.252 38.966 431.195

Settembre 125.566 364.023 36.110 47.182 106.756 58.020 737.657

Ottobre 126.527 350.746 37.864 38.855 104.049 73.230 731.271

Novembre 110.495 307.922 31.247 35.032 102.387 51.865 638.948

Dicembre 86.807 225.961 22.281 72.451 68.272 58.101 533.873

Totale gen - mar 277.946 400.257 598.244 807.357 63.608 90.966 67.091 143.232 219.894 283.422 75.587 140.047 1.302.370 1.865.281

TOTALE 1.163.206 3.187.447 315.269 923.202 1.017.002 615.256 7.221.382

Di seguito i dati dettagliati dell’Osservatorio sul Precariato dell’INPS (dati primo trimestre 2022):

Tabella 8. Nuovi rapporti di lavoro* attivati per mese - anni 2021 e 2022 Fonte: INPS - elaborazione al 10 Giugno 2022

Campo di osservazione: archivi UNIEMENS dei lavoratori dipendenti privati esclusi lavoratori domestici e operai agricoli. Sono compresi i lavoratori degli enti pubblici economici.

"N.B.: i dati 2022 sono provvisori, in quanto le aziende, con la denuncia del mese di aprile possono integrare i dati di competenza relativi a marzo.

Inoltre, i dati 2022 e 2021 possono subire variazioni per effetto di rettifiche effettuate dalle aziende ovvero di accertamenti realizzati dall'INPS.

* Sono stati rilevati tutti i rapporti di lavoro attivati nel periodo, anche quelli in capo ad uno stesso lavoratore, con riguardo a tutte le tipologie di lavoro subordinato."

(22)

Lo spettro del lavoro sommerso e irregolare

Un altro grande problema che l’Italia prova a risolvere da anni con scarsi risultati riguarda il lavoro sommerso.

Un mondo parallelo che ‘vale’ 202,9 miliardi di euro e rappresenta l’11,3% del Pil e il 12,6% del valore aggiunto.

Infatti, secondo il report di Confartigianato “Key data – Il sommerso e la concorrenza sleale dell’abusivismo”:

gli indipendenti irregolari sono circa 3,2 milioni. Questi appartengono ad un mondo parallelo in cui non esistono regole e che produce danni ingenti alle imprese, alla sicurezza dei consumatori e, in ultimo, alle casse dello Stato.

I numeri del rapporto di Confartigianato è ancora più eclatante se si pensa che, per numero di ‘occupati’, il som- merso è il terzo settore più numeroso dell’economia italiana, preceduto dai servizi, che contano 16,3 milioni di addetti, e dal manifatturiero (4 milioni di addetti)10.

Confartigianato ha lanciato una campagna nazionale di informazione contro l’abusivismo dal titolo ‘Occhio ai furbi! Mettetevi solo in buone mani” per mettere in guardia cittadini e imprese sulla minaccia del sommer- so per le attività dei piccoli imprenditori. Sono infatti 709.959 le aziende italiane maggiormente esposte alla concorrenza sleale ad opera di 1 milione di operatori abusivi che si spacciano per imprenditori, ma che di regolare non hanno nulla. E’ irregolare il 14% dei sog- getti che svolgono attività indipendente e questa quota è aumentata di 0,6 punti percentuali rispetto al 2011.

Nell’arco di vent’anni la pressione del lavoro indipen- dente non regolare è addirittura salita: era il 14,0% nel 1999 mentre, in parallelo, la quota di lavoro irregolare dipendente è scesa di due punti percentuali, passando dal 17,1% del 1999 al 15,1% del 2019 (Figura 6).

Figura 6. Tasso di irregolarità del lavoro indipendente 1995-2019.

Anni 1995 (inizio rilevazioni)-2019. % unità di lavoro non regolari, totale economia Fonte: Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat (2020)

NOTE

10 https://www.confartigianato.it/2022/05/studi-459-artigianato-in-settori-esporti-a-concorrenza-sleale-dellabusivismo-key-data-su-sommerso-e-indipendenti-irregolari/

(23)

La figura 6.1 (Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat, 2022) evidenzia, a livello settoriale, per la componente indipendente una forte presenza di lavoro irregolare, alla base del fenomeno dell’abusivismo, nei servizi con il 16,0% seguiti dalle costruzioni con il 12,6% mentre il manifatturiero esteso si ferma sul 10,1%.

Figura 6.1. Tasso di irregolarità del lavoro indipendente per principali settori (anno 2019).

Incidenza percentuale di unità di lavoro non regolari sul corrispondente totale unità di lavoro Fonte: Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat (2020)

In particolare, i rischi maggiori di infiltrazione abusiva li corrono 587.523 imprese artigiane, soprattutto nei settori dell’edilizia, dell’acconciatura ed estetica, dell’autoriparazione, dell’impiantisti- ca, della riparazione di beni personali e per la casa, del trasporto taxi, della cura del verde, della comunicazione, dei traslochi.

Sono diversi i meccanismi della concorrenza sleale del sommerso:

- le imprese che evadono possono mantenere prezzi più bassi e mettono fuori mercato i competitor regolari, generando una pres- sione verso il basso delle dinamiche retributive;

- l’evasione fiscale rende difficile condurre politiche fiscali espan- sive di riduzione delle aliquote fiscali applicate alle imprese regolari;

- si inibisce la crescita dimensionale delle imprese in quanto le imprese che evadono hanno minor propensione all’investimento e all’ampliamento del volume d’affari e al contempo spiazzano gli investimenti delle imprese regolari che non raggiungono spesso la redditività adeguata per crescere.

Il fenomeno dell’abusivismo e del lavoro sommerso riguarda da vicino tutte le regioni italiane, ma il Mezzogiorno ha il record neg- ativo con il tasso di lavoro irregolare sull’occupazione totale pari al 17,5%, mentre il Centro Nord si attesta sul 10,7% e il Nord Est si ferma al 9,2%. In fondo alla classifica c’è la Calabria, dove non è regolare un quinto (21,5%) degli occupati della regione, seguita da Campania (18,7%), Sicilia (18,5%), Puglia (15,9%), Molise (15,8%) e Sardegna (15,3%). Il tasso più basso di lavoro irregolare sul to- tale degli occupati (8,4%) si registra nella Provincia autonoma di Bolzano (dati Confartigianato, 2022).

(24)

Ma – secondo le stime contenute nell’analisi di Con- fartigianato – è nel Nord che si annida il maggior nu- mero di abusivi che si fingono imprenditori. La classi- fica regionale vede infatti in testa la Lombardia dove l’economia sommersa ne ‘arruola’ 130.800. Seguono la Campania (121.200), il Lazio (111.500), Sicilia (95.600) e Puglia (78.100). A livello provinciale, Roma detiene il triste primato con 84.000 abusivi, seguita da Napo- li (59.500), Milano (47.400), Torino (30.600), Salerno (26.100). Analizzando nello specifico il caso di Roma, sempre secondo il report di Confartigianato, nella cap- itale ci sono 66.310 imprese artigiane iscritte all’albo tra cui parrucchieri, fabbri, falegnami, carrozzieri, tatu- atori, II 20% delle aziende individuali romane sono sen- za formazione e autorizzazione estetisti, panificatori, pittori e imbianchini, giardinieri. Ma sono almeno 8mila le imprese fantasma fai da tè soprattutto in mestieri artigianali come idraulici ed elettricisti, estetisti e acco- nciatori, pittori e muratori: lavorano a domicilio, molti non hanno neanche una partita Iva, non sono autor- izzati a esercitare, non hanno seguito percorsi di for- mazione ne hanno titoli o certificati professionali, non danno garanzia su sicurezza e qualità del lavoro.

(25)

L’incognita dello smart working e le disparità di genere

Erano meno di un milione (il 3% sul totale degli occupati) nel 2019 i lavoratori in smart working nelle imprese private in Italia. Prima della pandemia il lavoro agile era una rarità: l’azienda, su motivata richiesta da parte del dipendente, decideva se renderlo disponibile in base alle necessità e alle policy di welfare aziendale. Durante la “fase 1” dell’emergenza da coronavirus, la percentuale di lavoratori “agili” è cresciuta fino al 34% sul totale degli occupati, coinvolgendo circa 7 milioni di lavoratori. Di questi, la maggior parte appartiene al settore privato, mentre circa 2 milioni lavorano nella Pubblica Amministrazione.

A tal proposito, un sondaggio effettuato dall’Ufficio Studi di Confartigianato (2020) ha messo in luce i difficili rapporti tra le PA e le imprese e, nello specifico, ha evidenziato come l’Italia sia fanalino di coda nella speciale classifica della soddisfazione per i servizi pubblici nei maggiori Paesi UE (Germania, Francia e Spagna) prima e durante la pandemia. A livello UE, infatti, gli italiani risultano essere i meno soddisfatti sulla qualità dei servizi pubblici (25%), preceduti soltanto dalla Grecia (24%). Il 54% dei cittadini dell’UE, intervistati durante la pandemia (luglio-agosto 2020) si è detto soddisfatto dei servizi pubblici nazionali.

Figura 7.

Fonte: Ufficio Studi Confartigianato (2020) Resta il fatto che la possibilità di lavorare da casa è stata molto apprezzata da gran parte degli italiani.

Lo smart working, infatti, ha permesso innanzitutto di migliorare il work-life balance, con più tempo libero da impiegare nelle attività domestiche, nella tutela del benessere personale e familiare.

L’Osservatorio Nomisma-CRIF “The World after Lock- down” ci dice che per il 17% degli intervistati il rispar- mio economico e di tempo generato dal mancato spostamento sono stati i principali vantaggi del lavoro agile, per un altro 13% i “pro” risiedono semplicemente nell’avere più tempo libero a disposizione per i propri hobbies o per la famiglia.

Altri elementi particolarmente apprezzati ricadono nella sfera “manageriale”: maggiore autonomia (14%) e flessibilità (12%) nella gestione dei carichi di lavoro.

Ma il lavoro a distanza ha anche dei lati oscuri. Per alcuni, infatti, ha comportato un incremento delle ore lavorate (28%) e notevoli difficoltà nel separare lavoro e vita personale (il 21% sostiene di non riuscire a stacca- re la mente dal lavoro, mentre il 25% ha avuto problemi di comunicazione con i colleghi). Tutto ciò comporta spesso anche un senso di solitudine e di isolamento (come confermato dal 22% degli intervistati).

Sempre secondo i dati dell’Osservatiorio, per molti il problema è stato opposto: in una casa priva di una stanza dedicata al lavoro (ovvero, nel 20% dei casi), af- follata da altri familiari o da condividere con i figli picco- li (il 31% ha condiviso gli spazi di lavoro con figli under 12), i problemi di concentrazione sono stati l’ostaco- lo principale. Questo è vero per il 23% dei degli smart workers e il 31% delle lavoratrici. La quota più elevata di chi lamenta aspetti negativi legati al lavoro da re- moto, infatti, è più elevata tra le donne e fa tornare alla luce vecchie disparità, che vedono le madri lavoratrici farsi carico della maggior parte delle incombenze do- mestiche e portano a considerare che lo smart work- ing favorisca maggiormente gli uomini. A conferma di tale tesi: alla domanda “smart working sì o no?” il 15%

delle donne è per il no (solo il 9% della controparte di sesso maschile si esprime allo stesso modo).

Nel 2021 il 16% dei lavoratori italiani, ovvero circa 3 milioni di occupati, ha svolto ameno una giornata di lavoro da remoto11. È opinione comune che il lavoro agile tenderà a diventare un fenomeno strutturale e questo dovrà comportare necessariamente un forte cambiamento in tutti i soggetti coinvolti, dai lavoratori alle imprese alle istituzioni fino ai sindacati.

NOTE

(26)

Fonte: Osservatorio Nomisma-CRIF “The World after Lockdown” (2021)

Il primo passo verso uno smart working meno emergenziale e più efficace viene dai risultati dell’indagine e riguarda la formazione: il 74% degli italiani evidenzia l’immi- nente necessità di ricevere una formazione sulle potenzialità dello smart working e sulla digitalizzazione del lavoro. Questi ultimi rappresentano infatti un’enorme op- portunità per le aziende, secondo il 58% degli italiani. Perché il lavoro agile sia una vera opportunità, dovrebbe però essere rimodulato, lasciando al lavoratore stesso la possibilità di decidere se, quando e dove effettuarlo (lo pensa il 61% delle famiglie).

Si prevede comunque per l’Italia che i professionisti operanti in mobilità raggiungeranno entro la fine 2022 la soglia dei 10 milioni.

Mobile workers 2017/milioni di lavoratori stima 2022/milioni di lavoratori

Europa Occidentale 103,0 122,0

Italia 6,5 10,0

Tabella 9.

Fonte: Eurostat 2018 e IDC

(27)

In termini di work-life balance, sono proprio le donne a necessitare il più delle volte contratti flessibili ed adattabili alle necessità imposte da società in cui la paternità non viene nella maggior parte dei casi mini- mamente presa in considerazione e dove troppo spes- so la maternità viene ancora vista come un brusco fre- no allo sviluppo in ambito professionale. Il problema è che molte aziende hanno ancora difficoltà a concepire la convenienza dello smart-working e, quindi, sono in molti casi restie a concedere flessibilità e contrat- ti part-time, che rappresentano oggi una delle poche soluzioni possibili per i nuclei familiari con figli in cui lavorano entrambi i genitori. In molti paesi lo scoglio da oltrepassare è soprattutto di natura culturale, pi- ochè in troppe aziende ancora vige la regola che va premiato chi lavora più ore e non chi è più produttivo.

In Italia, se consideriamo i dati che tengono conto del numero di ore lavorate sulla retribuzione mensile lorda (Gender gap adjusted), la differenza in busta paga fra uomo e donna è del 23,7% contro una media europea del 29,6%.

Questo gender pay gap, quantificato a circa il 16% al livello europeo –, sono l’esito dell’accumulo di una se- rie di svantaggi che penalizzano le donne nel percorso professionale. Fra i più persistenti a livello strutturale si trova la diseguaglianza nella gestione dei carichi famil- iari: come abbiamo visto, infatti, spesso le donne non vogliono rinunciare alla carriera, ma hanno difficoltà a conciliare vita familiare e vita lavorativa; a volte scel- gono di adottare strumenti di flessibilità tradizionali – come il part time – che le portano però ad essere escluse dai percorsi di carriera.

Il divario retributivo fra donne e uomini fornisce un quadro generale delle diseguaglianze di genere in ter-

mini di paga oraria. Parte delle differenze di retribuz- ione si possono spiegare con le caratteristiche indi- viduali delle donne e degli uomini occupati (per es.

esperienza e istruzione) e con la segregazione di ge- nere a livello occupazionale (per es. ci sono più uomini che donne in alcuni settori/occupazioni con retribuzi- oni mediamente più alte rispetto ad altri settori/occu- pazioni). Di conseguenza il divario retributivo è legato a svariati fattori culturali, legali, sociali ed economici che vanno molto oltre la mera questione di un'uguale retribuzione per un uguale lavoro.

Le donne in Italia tendono a fare meno carriera e sof- frono ancora di una distribuzione meno favorevole ris- petto ai mestieri e ai settori con le retribuzioni più alte.

Sono meno presenti nel mondo della finanza, tra i top manager, in politica e nelle prfessioni legate alle nuove tecnologie. Questo gender gap genera inevitabili rica- dute negative sull’economia del nostro paese e i dati dimostrano che gli uomini guadagnano in media circa 2.705 euro l’anno più delle donne: è come se le donne cominciassero a guadagnare, rispetto ai colleghi maschi, solo a partire dalla seconda metà di febbraio.

E questo "ritardo" genera coseguenze che vanno oltre la vita lavorativa: il 52,2% dei pensionati, infatti, sono donne, ma ricevono il 44,1% della spesa complessiva.

Questa situazione rallenta inevitabilmente la crescita economica italiana ed ha come conseguenza indiretta ed immediata l’abbassamento allarmante del tasso di fecondità e l’alzamento dell’età dei neo-genitori.

L’altra faccia della medaglia, però, è la partecipazione economica, che ci vede scivolare al 114esimo posto, fra le maglie nere a livello europeo. Nell’ultimo rappor- to del WEF – World Economic Forum viene evidenziato

(28)

come, nonostante l’Europa occidentale abbia raggiun- to una percentuale del 70% della chiusura del gap nel sotto indice economico, «ci sono 24 punti percentu- ali fra l’Islanda con l’84,6% (la prima nella classifica globale, ndr) e l’Italia con il 61,9%, il livello più basso della regione». Va sottolineato però, come sottolinea sempre il report del WEF, i dati che compongono l’in- dice di quest’anno non fotografano ancora appieno gli effetti della pandemia sull’economia.

D’altra parte i problemi del lavoro femminile sono noti e sono stati più volte sottolineati anche dal premier Mario Draghi: basso tasso di occupazione (in Italia lavora meno di una donna su due), alta percentuale di contratti part time (49,8%), elevata differenza salariale (stimata nel 5,6% dal Wef, ma per altre rilevazioni Eu- rostat al 12%), mancata possibilità di carriera (solo il 28% dei manager sono donna, peggio di noi in Europa solo Cipro) e accesso a formazione Stem (16% delle donne contro il 34% degli uomini).

Differenze uomo-donna per Cluster professionali %Uomini %Donne

Cloud Computing 88,0 12,0

Ingegneria 85,0 15,0

Analisi dati & I.A. 74,0 26,0

Svilppo Prodotti 65,0 35,0

Vendite 63,0 37,0

Generale 61,0 39,0

Marketing 60,0 40,0

Produzione di contenuti 43,0 57,0

People & Culture 35,0 65,0

Tabella 10. Differenze uomo-donna per Cluster professionali Fonte: World Economic Forum, Global Gender Gap Index (2021)

(29)

Secondo i dati ISTAT (2021), in Ita- lia le donne presenti nel mercato del lavoro, durante la crisi pandem- ica, stanno subendo grossi svan- taggi. Si riduce il loro tasso di oc- cupazione (da 50% a 48,6%, figura A), si amplia il gap occupazionale tra donne e uomini (da 17,9 a 18,9 punti) e si allarga anche la distanza dalla media europea (figura B).

Le analisi presentate suggeriscono che a essere più penalizzate sono proprio le donne che, prima della pandemia, erano riuscite ad ac- cedere all’occupazione solo attra- verso contratti precari e in settori caratterizzati da un elevato ricam- bio. È ragionevole ipotizzare che tra queste lavoratrici ci sia un’elevata incidenza di donne con un basso livello d’istruzione, al più la licenza di scuola media. E sono proprio queste le donne che l'Italia non è mai riuscita a integrare nel merca- to del lavoro e su cui si dovrebbero concentrare gli sforzi delle polit- iche, se si vuole portare l'occupazi- one femminile almeno in linea con la media europea.

70.0

65.0

60.0

55.0

50.0

45.0

40.0

Dic-2019 Dic-2020

Figura 9. L’evoluzione del tasso di occupazione (15-64) per sesso (%) in Italia nel corso degli ultimi 12 mesi Fonti: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro; Eurostat, database (Labour Force Survey)

67.9

67.5

50.0

48.6

Italia 2019 UE27 2019 Obiettivo di Lisbona 70.0

60.0

50.0

40.0

30.0

20.0

10.0

0.0

Figura 10. Il tasso di occupazione femminile (15-64) prima della pandemia: Italia, UE-27 e obiettivo di Lisbona (%)

Fonti: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro; Eurostat, database (Labour Force Survey)

(30)

I dati indicati rilevano la necessità di azioni concrete e coraggiose per colmare le diseguaglianze ancora es- istenti.

L'empowerment e l'occupazione femminile sono leve per l'attivazione di questo processo, che richiede pros- pettiva e visione. È quindi necessario, accanto alla promozione della presenza delle donne nel mondo del lavoro, un piano educativo straordinario.

I dati sull'educazione lo confermano: la formazione nelle materie STEM dalla matematica al digitale, è uno snodo fondamentale per abilitare le donne ad essere protagoniste dei lavori del futuro.

Guardando al futuro, quindi, possiamo affermare che la più grande sfida che impedisce di colmare il divario economico di genere è la sotto-rappresentanza femmi- nile nelle professioni emergenti. Nel cloud computing, ad esempio, solo il 12% dei professionisti sono donne.

Allo stesso modo, nelle professioni legate all’ingegne- ria, analisi dei dati ed intelligenza artificiale, i numeri sono rispettivamente del 15% e del 26%.

In Italia, negli ultimi 20 anni, il tasso di occupazione è stato molto altalenante. Nel 2001 infatti era del 56,6%, con un’enorme disparità tra sessi. Il tasso di occupazi- one maschile era al 69,4%, dato più alto rispetto ad oggi, mentre le donne erano al 44%. Dal 2001 in poi il tasso di occupazione femminile è sempre stato in leggera ma continua crescita. Ciò non toglie che, solo nel 2019, si è raggiunto il non così meritorio traguardo

Il futuro del lavoro (stima prossimi 15-20 anni) %

lavori esistenti destinati a scomparire a causa dei processi di automazione 14,0 lavori che cambieranno radicalmente a causa dei processi di automazione 32,0 Tabella 11. Il futuro del lavoro. Stime OCSE 15-20 anni

Fonte: OECD Employment Outlook 2019

di una donna su due al lavoro.

L’Italia però al suo interno ha, come sempre, numerose sfaccettature. Anche il tasso di occupazione non è es- ente da disparità tra Nord e Sud del Paese. A tal prop- osito, il dato totale mette in mostra come le regioni del nord raggiungano livelli totali di occupazione simile ai Paesi più virtuosi d’Europa, con il Trentino Alto-Adi- ge che ha un tasso di occupazione del 71,3% (ISTAT, 2021). La stessa tendenza si vede anche se si analizza solamente il tasso di occupazione femminile in Italia.

Le regioni del Nord sono sempre quelle che hanno i numeri migliori ma, in questo caso, ancora lontani da quelli dei migliori Paesi europei. Prendiamo ad esem- pio la regione italiana più virtuosa da questo punto di vista. Sempre il Trentino Alto-Adige, infatti, ha il miglior tasso di occupazione femminile italiano con 65%. Se lo mettiamo a confronto con i dati europei però, questo risulterebbe essere un tasso da bassa classifica, poco sopra a quello spagnolo. L’Italia quindi, ha una grande disparità regionale, ma anche a livello dell’intero Paese

le azioni da mettere in piedi per migliorare l’occupazi- one femminile sono ancora molte. Anche guardando i dati divisi per provincia vediamo come nessun luo- go in Italia può dirsi soddisfatto del proprio tasso di occupazione femminile. Sempre secondo l’ISTAT, la provincia di Bologna è la più virtuosa d’Italia (68,1%), seguita dalla provincia autonoma di Bolzano (67,9%).

Guardando la cartina sottostante infine, notiamo come ci siano zone d’Italia in cui il lavoro femminile è a livelli decisamente troppo bassi. Nella provincia di Caltanissetta il tasso di occupazione femminile è del 23,6%, non molto distante da Crotone che con 23,9%

è la seconda provincia peggiore del Paese per quanto riguarda l’occupazione femminile.

Inoltre, secondo i dati forniti dal Gender Policies Re- port 2021 dell’Istituto Nazionale per le Analisi delle Politiche pubbliche (Inapp)12, in tutte le regioni italiane i contratti stipulati per le donne sono inferiori a quel- li degli uomini: un terzo del totale in Basilicata, Sicilia e Calabria, meno del 40% in Calabria, Molise, Puglia,

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Lombardia, Abruzzo e Lazio. Tutte le altre regioni si collocano tra il 41 e il 46,5%, mentre l’incidenza più elevata si registra, anche in questo caso, in Trentino Alto Adige. Nel Mezzogiorno, quindi, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro continua ad essere estremamente bassa. Tra il 2007 e il 2019 il tasso di occupazione 15-64 anni delle donne in Ue è il 63%, in Italia è il 59,2%, nel Sud Italia e nelle isole al al 33,2%13.

Ci sono però anche alcune buone notizie, come ad esempio il caso della regione Veneto, il cui Consiglio regionale ha recentemente approvato una legge per le pari retribuzioni tra donne e uomini14. Oppure l’incidenza nel Mez- zogiorno dei contratti a tempo indeterminato per le donne è superiore alla media nazionale e a quella di diverse regioni del Centro Nord. Meno contratti, quindi, ma più stabili. Emblematico il caso della Campania, che ha 75 mila contratti stipulati di cui il 21,4% a tempo indeterminato. Ma anche in Sicilia il 17,7% dei quasi 60 mila con- tratti stipulati è a tempo indeterminato. La quota della Calabria è addirittura superiore: 18%.

Figura 11. La geografia dell’occupazione femminile nel I semestre 2021 Fonte: Gender Policies Report (Inapp, 2021)

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L’importanza delle competenze e della formazione specializzata

Il rapporto tra formazione e occupazione è una questione che, sebbene sia sempre parte della struttura sociale di qualsiasi Paese, acquisisce particolare rilevanza in tempi di crisi come quello che stiamo attualmente vivendo. È molto importante, infatti, proprio per avere più opportunità possibili sul mondo del lavoro, trovare la propria nicchia. Nello sce- nario post-pandemia, infatti, saranno senza dubbio premiate le idee innovative e tecnologiche, ma non solo.

Ci sarà spazio anche per chi ha delle competenze specifiche che può mettere in gioco. Il momento di instabilità globale generata dal Covid19 ha causato un tipo di crisi economica che non abbiamo mai vissuto prima ed ha esplicitamente mostrato che abbiamo bisogno di apportare ampi cambiamenti sistemici al nostro sistema socioeconomico, spo- standoci necessariamente verso un’economia più resiliente, giusta, inclusiva, innovativa, creativa e sostenibile, che sia adatti al meglio alle sfide e alle opportunità del futuro.

Pertanto, analizzando le informazioni del rapporto “The future of Jobs”, pubblicato dal World Economic Forum, da qui a 5 anni, metà dell’intera forza lavoro dovrà mettere in conto un processo di adeguamento delle proprie skills per riuscire a tenere il passo e rimanere competitiva in un mercato che sta subendo una trasformazione senza precedenti, sotto la perenne spinta dell’automazione e a cui si è affiancata la crisi economica scatenata dalla pandemia.

Fortunatamente, la medesima rivoluzione tecnologica che sta modificando radicalmente il setting del lavoro cela al suo interno la chiave stessa per dare origine a nuove forme di impiego e per fornirci nuove competenze da acquisire.

Incoraggianti sono infatti le parole del presidente e fondatore del Forum, il professor Klaus Schwab, che asserisce come: “La ricchezza dell'innovazione tecnologica che definisce la nostra era attuale può essere sfruttata per liberare il potenziale umano".

Viene stimato che entro il 2025, a fronte della sempre più interrelazione uomo-macchina, si perderanno 85 milioni di posti di lavoro, a fronte però della creazione di ben 97 milioni di nuovi posti, strutturati per meglio adattarsi alla nuova divisione del lavoro fra esseri umani, macchine e software (WEF 2021).

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Soft, Hard and Life skills: i principali trends per il 2025

Entrando quindi nel dettaglio, tra le soft skills, la prima in assoluto che crea armonia in un team, è la resilienza. Ma non solo:

Tabella 12. Soft skills

Fonte: Rome Business School, Employment report 2022

La resilienza ha anche fare con una maggiore capacità di affrontare i momenti bui.

Il lavoro non sempre è lineare, possono esserci dei momenti di crisi e, come abbiamo visto durante il periodo di pandemia, è sempre più importante saperli gestire

L’autonomia è una preziosa qualità, spesso sottovalutata. Essere autonomi è sicuramente uno dei nuovi punti di forza del lavoratore post Covid. Non solo in ambito smart working, ma anche sul cam- po in azienda. La capacità di autonomia ha a che fare con la capacità del datore di lavoro di delegare il lavoro. Infatti le due cose sono strettamente connesse.

Flessibilità e praticità: di fronte a un contesto incerto, complesso e ambiguo, flessibilità e praticità si rivelano la chiave di successo per le aziende che devono adeguare le proprie modalità gestion- ali e organizzative per rispondere meglio esigenze del mercato. Tuttavia, un dipendente capace di accettare un cambiamento improvviso senza essere disorientato, può contribuire allo sviluppo e al mantenimento dell’azienda per la quale lavora.

Adattabilità: tra le soft skills quella che dovrebbe avere un posto di rilievo è proprio l’adaptability. E’

necessaria nel mondo del lavoro e serve a far emergere le problematiche aziendali soprattutto nella ricerca e selezione personale.

Creatività e innovazione: non è possibile parlare di skills senza pensare alla creatività. Creatività e innovazione vanno di pari passo. Non possiamo sottovalutare la loro importanza. Il lavoratore della realtù post Covid-19, deve essere capace di elaborare una propria strategia creativa, il mettersi in gioco è fondamentale. La creatività segue l’innovazione e quest’ultima genera spesso profitto.

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Hard-skills

Le capacità più richieste nella realtà post Covid-19 resteranno quelle tecniche e organizzative.

E’ importante, infatti, per un lavoratore rinnovarsi e for- marsi sempre in modo da restare al passo con i tempi.

Le capacità tecniche e soprattutto i profili IT saranno quelli ad essere più considerati e premiati nell’ambito della ricerca lavoro. Il digitale ha ottenuto un primo posto e lo possiamo osservare dalle pagine dei siti come LinkedIn dove i lavoratori di settore sono molto richiesti.

Come abbiamo visto, Italia ha bisogno di digitalizzazi- one e, pertanto, i protagonisti del lavoro del futuro, dov- ranno garantire queste skills non solo per la questione legata allo smart working, ma per facilitare l’innovazi- one tecnologica nelle aziende.

Life skills

Sicuramente una delle competenze e caratteristiche più ricercate, soprattutto in sede di un colloquio è l’in- telligenza emotiva. Il candidato ideale è oggi più di ieri colui che sa entrare in empatia con l’Altro, che vive l’ambiente lavorativo positivamente, che sa stare in team facendo lavoro di squadra. Infatti, l’intelligenza emotiva apporta un grande aiuto di supporto ai col- leghi e all’eco-sistema lavorativo.

Responsabilità e umanità: il successo dell’implemen- tazione del piano sanitario da parte delle aziende, dipende inevitabilmente dalla responsabilità e dalla umanità dei propri dipendenti all’interno dell’azienda.

Questa capacità rappresenterà il pilastro formativo dei prossimi anni.

Diventerà, pertanto, cruciale nel prossimo futuro sviluppare nuove skills, in virtù della crescente necessità da parte dei lavoratori di interfacciarsi con sistemi tecnologici e piattaforme digitali. Le previsioni del WEF mostrano infatti come la quota di competenze di base destinata a cambiare sarà del 40%, tanto che, come anticipato, il 50% di tutti i lavoratori dovrà riqualificarsi.

Ma quali sono le 10 skills più importanti individuate dal Forum per il lavoro del domani?

Eccole:

1. Pensiero Analitico e Innovazione

2. Apprendimento Attivo e Strategie di Apprendimento 3. Capacità di risolvere problemi complessi

4. Pensiero Critico e Capacità di Analisi 5. Creatività, Originalità e Spirito d’Iniziativa 6. Leadership e Influenza Sociale

7. Uso di Tecnologie, Monitoraggio e Controllo 8. Progettazione e Programmazione Tecnologica 9. Resilienza, Gestione dello Stress e Flessibilità 10. Ragionamento, Problem Solving e Ideazione Tabella 13. Le top 10 skills

Fonte: World Economic Forum (2021)

Il pensiero critico (skill 1) e il problem solving (skill 3) restano una costante nella classifica delle prime competen- ze sin dalla prima edizione del Forum nel 2016. Diversamente invece, quest’anno fanno la loro comparsa delle nuove skill emergenti derivanti dall’ambito dell’autogestione come l’apprendimento attivo (skill 2), la resilienza, la tolleranza allo stress e la flessibilità (skill 9). La Leadership (skill 6) assume un ruolo centrale e fondamentale, proprio per guidare e influenzare innovazione e cambiamento che ci aspettano nei prossimi anni.

La domanda per l’acquisizione di nuove skills si è quindi biforcata, andando ad affiancare alla onnipresente richi- esta di competenze digitali (skill 7 e 8), come analisi dei dati, utilizzo del computer e tecnologia dell’informazione, un nuovo settore con una forte impronta di potenziamento e crescita individuale (skill 4, 5 e 10).

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La formazione specializzata

Come abbiamo visto, secondo l’analisi sul futuro del lavoro del World Economic Forum, le aziende più com- petitive saranno quelle che sceglieranno di formare e riqualificare i propri dipendenti. Circa il 40% dei lavora- tori dovrà infatti imparare nuove competenze digitali per poter svolgere le mansioni richieste.

Il 50% dei datori di lavoro prevede di accelerare l’au- tomazione in alcuni ruoli nelle loro aziende e lo smart working sarà sempre più diffuso e potrebbe interes- sare quasi la metà dei lavoratori anche in futuro.

In Italia 8 aziende su 10 intendono automatizzare le mansioni e solo il 40% al momento ha programmi ded- icati alla riqualificazione dei dipendenti.

Specializzarsi rappresenta quindi una strategia vin- cente. Infatti, in un mondo competitivo, sempre più alla ricerca di originalità e competenza, la specializzazione costituisce il primo passo verso la costruzione di un futuro professionale solido e soddisfacente.

In tale contesto emergono i seguenti punti focali:

- i corsi di laurea delle migliori università e business schools hanno effetti moltiplicatori elevati sui salari, in aumento fino a 2,5 volte gli stipendi dei professionisti formati durante i primi cinque anni dopo la laurea.

- oggi, circa il 50% dei datori di lavoro riconosce che la stragrande maggioranza dei professionisti che raggi- ungono alte posizioni professionali hanno completato un diploma post-laurea

- in alcuni settori, avere ad esempio un titolo di MBA è quasi sempre una garanzia di accesso al mondo del lavoro.

- il possesso di un titolo post-laurea è quindi sempre più apprezzato. In generale, quasi il 40 per cento delle offerte di lavoro per posizioni manageriali richiede il possesso un Master come condizione indispensabile - Per il lavoratore del futuro le soft skills conteranno quanto o più delle conoscenze specifiche, anche per- ché tante delle mansioni attuali sarà svolto da sistemi automatizzati, dotati di intelligenza artificiale. Pertan- to, la formazione, legata a questo tipo di competenze diventerà una scelta obbligata all’interno dell’ottica fondamentale di saper gestire una trasversalità di rap- porti ed essere pronti a cogliere sempre l’occasione.

Chi acquisisce un titolo di Master, rispetto ad un laure- ato (ciclo magistrale) necessita di un tempo più breve per avvicinarsi ai livelli occupazionali sperati: è infatti solo dopo cinque anni dall’ottenimento del titolo che i laureati di secondo livello raggiungono un tasso di occupazione pari all'86,8%, un valore comunque an- cora inferiore, seppure di poco, a quanto rilevato per i diplomati di Master a un anno dal titolo di studio. Sec- ondo l’ultimo Employment report (2022) della Rome Business School, il 40% degli studenti ha trovato un impiego prima ancora di concludere il proprio ciclo di studi e il 27% è stato assunto entro un anno dalla fine del proprio Master.

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diversamente abili e con difficoltà cognitive

Come abbiamo visto, stiamo vivendo un momento di cambiamenti storici a livello globale. Le tecnologie sono diventate indispensabili per lo sviluppo socioec- onomico del nostro Paese, ma abbiamo un enorme problema: le persone che hanno competenze tecno- logiche sono pochissime, il rapporto tra domanda e offerta è di 10 ad 1, le aziende sono in affanno a ricer- care risorse ma anche a formarle; infatti, nascono all’interno delle aziende più strutturate le “Academy”

per formare il personale a loro necessario. La problem- atica è in aumento e dovrebbero essere fatti interventi strutturali del sistema scolastico italiano a partire dalle scuole elementari; è necessario presentare le diverse applicazioni delle diverse tecnologie, per poi grada- tamente inserire concetti teorici proseguendo natu- ralmente con le relative applicazioni sino ad arrivare alla scelta della scuola secondaria di secondo grado, in modo più consapevole e con un’apertura mentale che possa permettere di fare scelte più consapevoli rispetto ad oggi. Stesso discorso vale per la scuola secondaria di secondo grado, dove dovrebbero esserci sempre almeno tre ore di “tecnologie digitali” indipen- dentemente dall’indirizzo. Le università si stanno evol- vendo, collaborando a stretto contatto con le aziende per rispondere in modo puntuale alle loro esigenze formative e costruendo indirizzi di laurea ad hoc col- laborando anche con altre università, per creare corsi di eccellenza in ambito “Digitale”. In tutto questo abbia- mo anche un altro grande problema: come possiamo formare sul “digitale” le persone non più giovani e le persone diversamente abili, oppure coloro i quali han- no delle difficoltà cognitive? La risposta è semplice, è la tecnologia stessa che ci deve aiutare a formare le

persone più fragili sul digitale.

Per favorire quindi l’accesso al mondo del lavoro delle persone più fragili e vulnerabili, sarà necessario puntare su tecnologie che possano fare cose che vadano “oltre”, oltre all’età, oltre alle origini etniche e alla lingua, oltre a patologie cliniche, oltre a problemi cognitivi, oltre al vedere e sentire, oltre al potersi muovere, oltre al poter parlare: questo è uno dei suoi più grandi val- ori. Questo però vuol dire che il metodo formativo deve evolversi ed essere altamente innovativo, per esempio si può utilizzare l’intelligenza artificiale che deve essere educata a formare una persona anziana con una metodo- logia dedicata a lui e quindi alle sue esigenze.

In tale contesto, per quanto riguarda più da vicino lo stato di innovazione e digitalizzazione del sistema produttivo nazionale, si consideri che, come si evince dall’ultimo rapporto ISTAT “Imprese e ICT” relativo all’anno 2021, in Italia:

- solo il 20% delle imprese ha un elevato livello di adozione dell’ICT - solo il 6% delle imprese adotta strumenti di Intelligenza Artificiale - solo il 30% delle imprese ricorre a processi produttivi ‘intelligenti’ e a dis- positivi IoT (Internet of Things)

Come previsto dal PNRR, non bisogna intendere la trasformazione digitale come la mera introduzione di tecnologia, più o meno avanzata, all’interno di aziende e Pubbliche Amministrazioni, né tantomeno la semplice sostituz- ione di tutto ciò che è cartaceo e materiale con qualcosa di equivalente in formato digitale (es. file o moduli on-line al posto della modulistica carta- cea, ovvero firma elettronica al posto di quella autografa). La vera Trasfor- mazione Digitale è anzitutto un percorso di trasformazione (dell’organiz- zazione e dei processi aziendali, della vision, delle strategie e dei modelli di business, della cultura delle persone che ne sono coinvolte ed impattate) che sfrutta la tecnologia per rendere più semplici, accessibili e sostenibili i prodotti o i servizi offerti a clienti, utenti, cittadini.

Appare per cui evidente come si renda necessario effettuare investimenti e riforme che vadano ad incrementare il livello complessivo di digitalizzazi- one e adozione delle nuove tecnologie all’interno della nostra nazione.

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