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Alla base della biomimetica c’è infatti l’idea di ispirarsi al mondo naturale - e comprenderne i meccanismi - in modo da progettare robot robusti, efficienti e versatili.

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Capitolo 2

Analisi del problema

2.1 Introduzione: la biomimetica

Da molti anni biologi e ingegneri collaborano strettamente allo sviluppo di una nuova generazione di robot ispirata al mondo naturale; robot che si muovono come aragoste o scarafaggi, ragni e scorpioni robotici, da utilizzare come esploratori su terreni sconosciuti e impervi, sono soltanto alcuni esempi di una scienza in forte crescita: la biomimetica.

Alla base della biomimetica c’è infatti l’idea di ispirarsi al mondo naturale - e comprenderne i meccanismi - in modo da progettare robot robusti, efficienti e versatili.

Tale ispirazione non significa però creare una copia esatta delle soluzioni utilizzate dai sistemi biologici, ma implica la comprensione dei principi fondamentali che stanno alla base del loro funzionamento e la loro successiva implementazione nei dispositivi robotici.

I robot bio-ispirati possono quindi avere un aspetto anche sensibilmente differente rispetto agli animali a cui si ispirano, ma ne mantengono i principi naturali di funzionamento.

2.2 I sistemi di locomozione in natura:come si muovono gli animali La locomozione, ossia il movimento attraverso l’ambiente, è una delle funzioni che più influenzano la morfologia e la fisiologia degli animali. Durante il corso dei millenni, l’esigenza di sviluppare meccanismi di locomozione robusti ed efficaci, ma allo stesso tempo veloci, leggeri e manovrabili, ha guidato prepotentemente l’evoluzione degli animali, conferendo loro il “design” più adatto alla sopravvivenza della specie.

Tale processo nasce, in prima approssimazione, dall’interazione di vari sistemi: il

sistema nervoso, quello muscolare e quello scheletrico. Il cervello infatti “ordina” ai

muscoli di contrarsi, essi inducono lo spostamento dello scheletro e quest’ultimo esegue

lavoro sull’ esterno producendo così lo spostamento del tronco, nel caso dei primati

bipedi.

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Affrontare il problema della locomozione non significa soltanto capire come questi sistemi funzionino, ma scoprire sopratutto come essi si coordinino gli uni con l’altri.

L’approccio integrato alla locomozione focalizza infatti l’attenzione sulle interazioni tra i vari sistemi (nervoso, muscolo-scheletrico, respiratorio e circolatorio) interessati: essi possiedono proprietà funzionali che emergono soltanto quando interagiscono tra di loro in risposta all’ambiente circostante.

Gli studi sulla locomozione animale recentemente compiuti hanno messo in luce [15] i seguenti aspetti:

1. la dinamica dei vari sistemi di locomozione, sebbene molto complicata, risulta interpretabile sulla base di alcuni principi comuni, come i meccanismi di scambio energetico (energia cinetica in energia potenziale e viceversa) e l’utilizzo di forze per la propulsione, la stabilità e la manovrabilità;

2. le prestazioni locomotorie degli animali, nel loro ambiente naturale, sono il risultato di un compromesso tra differenti aspetti comportamentali legati alle esigenze quotidiane e appaiono profondamente influenzate dalle condizioni ambientali di appartenenza;

3. il controllo della locomozione prevede l’utilizzo di un sistema di regolazione retrazionato (feedback meccanico e sensoriale);

4. i muscoli non si comportano soltanto come motori ma all’occorrenza funzionano come molle, freni o aste rigide.

Tali presupposti sono trattati in maniera più dettagliata nei paragrafi che seguono.

2.2.1 Analisi delle forze

Ad una prima analisi la locomozione può risultare semplice: un organismo esercita, sull’ambiente esterno, una forza in una certa direzione, e quindi accelera nella direzione opposta secondo le leggi della dinamica di Newton. In realtà un’analisi più approfondita dei vari tipi di locomozione animale (la marcia, la corsa, il nuoto, il volo etc.) dimostra che la dinamica del movimento non è poi così immediata.

Il fatto che la locomozione sia quasi sempre prodotta dall’oscillazione di appendici (o

arti) o da movimenti ondulatori o peristaltici del corpo, implica che le forze prodotte

sull’ambiente esterno sono variabili nel tempo, sia in direzione sia in modulo, anche se

l’ animale sembra muoversi in avanti a velocità costante.

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Prendiamo in considerazione la locomozione su gambe; in figura 2.1 vengono raffigurati un uomo e un cane che corrono i vettori disegnati in rosso rappresentano le forze di reazione del terreno, misurate ad intervalli regolari. durante la fase di appoggio (stance phase).

A ogni istante la risultante delle forze è diretta approssimativamente verso il centro dell’anca (o della spalla, nel caso del cane) in modo da minimizzare la coppia resistente che nasce in corrispondenza dell’articolazione. La distribuzione e l’intensità di queste forze variano a seconda del tipo di andatura sostenuta, dall’uomo o dall’animale (marcia, corsa o trotto), ma sempre in maniera tale da minimizzare il costo energetico della locomozione [16].

Fig. 2.1: (A) forze di reazione del terreno durante la fase di appoggio; (B) paradigmi meccanici per la marcia (pendolo invertito) e la corsa (pogo -stick)

La minimizzazione dell’energia spesa sembra infatti essere un obiettivo comune delle forme viventi in molte loro manifestazioni. Per comprendere a pieno la meccanica della locomozione è necessario prestare attenzione anche alle strategie di conservazione dell’

energia meccanica: in natura infatti ci si preoccupa sia di conservare l’energia, trasformandola da una forma in un’altra, sia di dissiparne il meno possibile La letteratura specialistica [17], [18], [19], ha fino ad oggi identificato alcuni paradigmi meccanici che permettono di classificare le diverse andature a seconda di queste trasformazioni/scambi di energia: il pendolo rigido in configurazione invertita per la marcia, un sistema massa molla, denominato pogo-stick, per la corsa ed il trotto e una combinazione dei due, per il galoppo e lo skipping (andatura rimbalzante formata da due passi di marcia-decollo-atterraggio che i bambini mostrano anche dopo che hanno imparato a correre ).

Pendolo invertito Pogo-stick Forze di reazione

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Per la marcia, l’analogia con il pendolo invertito è molto stretta in quanto il baricentro del corpo (BCOM, body center of mass) descrive approssimativamente un arco di cerchio durante la fase di contatto (figura 2.1-B).

L’energia cinetica accumulata nella prima metà della fase di appoggio è trasformata in energia potenziale, la quale viene parzialmente recuperata durante la seconda metà della fase di appoggio, quando il corpo cade dall’alto, in avanti, a causa della forza di gravità.

L’imperfetta somiglianza negli andamenti, in opposizione di fase, di energia potenziale e cinetica, genera una curva di energia totale di BCOM non costante i cui incrementi durante il ciclo locomotorio costituiscono il lavoro positivo che i muscoli devono fornire per mantenere la progressione negli atti successivi.

Fig. 2.2:Riassunto dei principali paradigmi locomotori: colonna (A) pendolo invertito; colonna (B) singolo pogo-stick; colonna (C) doppio pogo-stick. I grafici in alto si riferiscono, per ogni paradigma, all’andamento dell’energia meccanica del BCOM: KEx (energia cinetica

orizzontale), KEy (energia cinetica verticale), PE (energia potenziale), TE (energia totale).

Per le andature con fase di volo (“l’hopping”, la corsa, il trotto, lo “skipping” ed il

galoppo) il paradigma più aderente a questo tipo di andature è il pogo-stick (salterello,

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in italiano), un giocattolo formato da un tubo con molla e pedane che meglio riproduce le caratteristiche di forze di reazione al terreno tra un salto e l’altro.

Si tratta, dopo la fase aerea, di atterrare immagazzinando parte delle energie potenziali e cinetiche di BCOM negli elementi elastici disponibili (soprattutto tendini) e farsela restituire nella seconda parte del contatto, in modo da poter spiccare un nuovo volo avendo evitato di dover aggiungere ulteriore lavoro muscolare.

Sebbene a prima vista anche il galoppo e lo “skipping” siano stati considerati simili a hop, corsa e trotto, e classificati nella categoria appena illustrata (paradigma pogo-stick) recenti studi hanno dimostrato come l’andamento temporale delle energie di BCOM sia peculiare e distinto fra la corsa e il trotto. La presenza di un picco di energia cinetica orizzontale di BCOM a metà della fase di contatto, in concomitanza con un abbassamento di BCOM, fa pensare ad uno scambio pendolare. Si potrebbe concludere che questa categoria ammette l’uso concomitante delle due strategie di risparmio energetico viste prima: pendolo e meccanismo elastico. Il paradigma locomotorio qui sarebbe formato da due pogo-stick rigidamente collegati tra loro ad un angolo fisso, e assemblati in modo che nella fase di atterraggio tocchi prima il pogo-stick posteriore, in posizione verticale. Con questa tecnica i quadrupedi come il cavallo riescono a conservare una buona parte dell’energia meccanica all’atterraggio di un passo di galoppo e di trasferirla fino agli arti anteriori per il nuovo balzo.

Nonostante i paradigmi meccanici illustrati spieghino la parte più saliente delle diverse andature, è importante ricordare che i muscoli devono sempre intervenire per correggere le imperfezioni dei paradigmi stessi e mantenere la progressione a velocità media costante. La figura 2.2 mostra i tre paradigmi, insieme alle andature bipedi e quadrupedi ad essi afferenti.

I paradigmi meccanici appena descritti sono stati applicati allo studio di una larga varietà di animali (uomini, canguri, cani, lucertole, granchi e scarafaggi) che differiscono tra loro per il numero di gambe, la postura, la forma ed il peso del corpo.

Oltre a quelle di propulsione, le gambe degli scarafaggi, dei granchi, dei gamberi, dei ragni etc, sviluppano delle forze laterali alla direzione del moto; queste azioni pur non contribuendo all’avanzamento dell’animale, risultano di notevole importanza.

Spingendosi anche lateralmente, l’animale si assicura infatti un avanzamento capace di

autostabilizzarsi passivamente [20], ossia di recuperare il proprio andamento regolare

una volta che sia stato perturbato. Non solo, ma anche la manovrabilità risulta

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notevolmente aumentata grazie all’utilizzo di queste forze; un insetto, ad esempio, è in grado di cambiare repentinamente direzione variando solo le forze laterali generate da una singola gamba [21].

Grazie alla combinazione delle forze di propulsione e di quelle laterali, gli insetti sono capaci di muoversi su terreni irregolari con sorprendente abilità, dimostrando un’attitudine che li rende candidati perfetti per lo studio e la costruzione di robot bio- ispirati.

Fig. 2.3: Ricostruzione dei vortici prodotti nell’acqua dalla coda di un pesce

Differentemente dagli animali terrestri, che per muoversi devono necessariamente fermare un’estremità rispetto al terreno, gli animali che nuotano o che volano sfruttano i loro “mezzi” sia per trarne propulsione sia per scivolare passivamente.

La spinta in avanti viene prodotta mediante l’utilizzo d’appendici (come le ali degli uccelli) o parti del corpo (la coda dei pesci) che premono contro il mezzo in cui l’animale si sta muovendo.

Durante l’avanzamento, le particelle di fluido spostate generano una serie di mulinelli o vortici, i quali rappresentano la variazione della quantità di moto impartito al fluido dall’animale [22], [23].

Nel caso dei pesci, ad esempio, i vortici

5

non sono disposti casualmente nello spazio ma risultano collegati l’uno all’altro in modo per formare un'unica catena all’altezza della parte posteriore dell’animale (vedi figura 2.3).

5

Le forze generate dal pesce durante lo spostamento possono essere misurate soltanto indirettamente: la

tecnica prevede la visualizzazione dei vortici prodotti dall’animale e la misurazione della velocità media

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Analogamente agli animali terrestri, i pesci possono infine variare l’intensità e la direzione della spinta in modo da ottenere velocità di avanzamento differenti e repentini cambi di direzione.

Al contrario dei pesci, gli animali volanti generano una spinta che permette loro di avanzare, ma anche una forza diretta verso l’alto (detta portanza), in grado di vincere la forza di gravità.

Capire come questi animali possano generare abbastanza portanza per rimanere sollevati da terra è un compito arduo: l’applicazione della teoria aerodinamica classica non è infatti in grado di spiegare come le ali degli insetti riescano a produrre forze sufficientemente grandi da sostenere l’animale in volo (specialmente nel caso dell’

delle particelle d’acqua spostate. Mediante l’utilizzo di questi dati è possibile ricostruire modulo, direzione e verso della forza di propulsione. La visualizzazione dei filetti fluidi è resa possibile dall’utilizzo di un velocimetro ad immagine digitale di particelle (DPIV digital particle image velocimetry). In figura A è illustrata la vasca in cui viene fatto nuotare il pesce. Esso nuota all’interno di

un flusso di acqua che viene fatto circolare da sinistra verso destra. Un fascio laser (appiattito) illumina le micro- particelle riflettenti contenute nel flusso, rendendo così visibile il moto del fluido. Le immagini vengono registrate da due diverse angolazioni dalle telecamere CCD indicate in figura.

In figura B e C sono mostrati i campi vettoriali di velocità calcolati dal DPIV su due piani tra loro ortogonali (xy e zx).

In entrambe le figure sono

visibili i due vortici

controrotanti con al centro il

flusso unidirezionale di acqua

ad alta velocità.

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“hovering”, tipo di volo in cui l’animale rimane sospeso in aria senza avanzare, figura 2.5) [24]. Si è osservato che se un aereo tradizionale utilizzasse un’ ala con un angolo di incidenza pari a quello utilizzato dagli insetti durante il volo, esso stallerebbe rovinosamente.

In realtà ricorrendo ad una tecnica simile usata per lo studio dei pesci (vedi nota 5), si è capito che gli insetti riescono a volare grazie alla formazione di grandi vortici alle estremità delle ali (vedi figura 2.4) [25], [26].

La forza dei vortici e l’entità della spinta verso l’alto appaiono regolati proprio dalla rotazione delle ali, le quali, opportunamente ruotate, consentono all’insetto anche di recuperare energia dal vortice prodotto dal colpo d’ala precedente.

Tale meccanismo di recupero energetico risulta d’altronde analogo a quello di immagazzinamento di energia elastica visto per la locomozione terrestre, a dimostrazione del fatto che alcuni principi fondamentali sono comuni a tutti i sistemi di locomozione.

Fig. 2.5: Forze aerodinamiche prodotte da un insetto durante l’hovering. In questo tipo di volo le ali dell’insetto sono sbattute avanti ed indietro con un elevato angolo di incidenza. Il percorso compiuto dalle ali durante questo movimento è mostrato in figura con una linea puntata nera. Nell’arco di due battiti (andata più ritorno) le ali vengono ruotate rapidamente in modo tale che durante il percorso di andata la superficie dorsale dell’ala sia rivolta verso l’alto, mentre al ritorno risulti verso il basso. Come si vede in figura la forza aerodinamica complessiva (freccia rossa) può essere scomposta in una componente verticale di sollevamento (freccia blu) e in una componente orizzontale di trascinamento (freccia verde )

Fig. 2.4: Formazione dei vortici

all’estremità delle ali di un insetto

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In sintesi:

1. l’ intensità delle forze propulsive non è costante ma varia all’interno di un ciclo

6

; 2. le forze propulsive variano anche in direzione: infatti gli animali sviluppano forze laterali alla direzione di avanzamento, che non contribuiscono alla propulsione dell’animale ma conferiscono stabilità e robustezza al gait (andatura) di locomozione, permettendo all’animale di compiere repentini cambi di direzione (necessari, ad esempio, per sfuggire ad un predatore);

3. in ogni sistema di locomozione esistono meccanismi di immagazzinamento energetico allo scopo di minimizzare il dispendio energetico. Negli animali terrestri, le energie cinetica e gravitazionale del corpo sono immagazzinate nei muscoli sottoforma di energia elastica di deformazione, poi rilasciata nella seconda metà del passo; negli animali marini e aerei, l’energia cinetica posseduta dalle pinne e dalle ali viene trasferita al fluido circostante per essere successivamente sfruttata per la propulsione.

2.2.2 Influenza dell’ambiente esterno sulla locomozione

Per quanto importante siano gli studi di laboratorio, la conoscenza di come gli animali si muovono effettivamente nel mondo reale, interagendo con l’ambiente naturale, risulta di fondamentale importanza per capire a fondo la locomozione.

Da recenti ricerche [15] sugli animali in natura emerge infatti che:

1. esistono importanti legami tra gli aspetti ecologicamente

7

rilevanti e il comportamento locomotorio;

2. sia le proprietà meccaniche sia le forze esercitate dall’ambiente influenzano il movimento;

3. la locomozione risulta variabile nel tempo e complessa nello spazio.

In natura entrano in gioco importanti fattori, quali la necessità di sottrarsi ai predatori o quella di catturare le prede; essi risultano più rilevanti per la sopravvivenza e la riproduzione, di quanto non sia l’ ottimizzazione energetica, sulla quale si concentrano invece gli studi di laboratorio.

6

Con ciclo si intende il tempo in cui una gamba, una pinna o un’ala compie un’oscillazione completa.

7

Con il termine ecologia ci si riferisce ovviamente alle relazioni tra gli esseri viventi e l’ambiente fisico

in cui vivono, secondo l’etimologia originale.

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Identificare i fattori ecologici che influenzano la locomozione animale consente di individuare le relazioni esistenti tra movimento e morfologia della specie. Per esempio il 40% del corpo di un gamberetto è occupato da muscoli addominali capaci di produrre un potente colpo di coda, fondamentale per sfuggire ai rari ma pericolosissimi attacchi dei predatori; durante la fuga diventa infatti più rilevante una rapida accelerazione che la minimizzazione del costo energetico.

Allo stesso modo, nelle meduse l’approvvigionamento di cibo appare un fattore determinante: le specie con il corpo fortemente allungato godrebbero di una spinta di propulsione più efficace (e più efficiente dal punto di vista energetico), ma riescono a procacciarsi cibo in minori quantità, rispetto a quelle meno affusolate (discoidali).

La ricerca rivela altresì che le proprietà meccaniche dell’ambiente in cui un animale si muove possono influenzare profondamente le sue performance: le dinamiche della corsa sono determinate dalla quantità di energia elastica immagazzinata nei muscoli, ma anche dalla rigidezza e dalla resistenza del terreno stesso.

Allo stesso modo la densità dell’aria influenza la portanza generata dalle ali di uccelli e insetti, come dimostrato dalle differenze nel volo e nelle strategie di caccia delle specie che vivono ad altitudini diverse.

Inoltre gli animali, in natura, sono soggetti a forze dinamiche esercitate su di loro dall’ambiente, forze che hanno determinato un particolare schema di locomozione.

Consideriamo ad esempio gli animali che vivono su spiagge spazzate dalla marea: essi risultano esposti ai movimenti rapidi dell’acqua che avanza e si ritira. Le forze idrodinamiche di ciascuna onda possono disturbare la traiettoria di un granchio, imponendogli, di fatto, dove e quando muoversi. Per questo la specie ha sviluppato un sistema di locomozione meccanicamente stabile che consente all’animale di raddrizzarsi passivamente (ossia senza ricorrere ad un controllo neuronale) se disturbato: tale stabilità riduce la manovrabilità stessa del sistema di locomozione, ma il compromesso è stato necessario alla sopravvivenza nell’ambiente specifico.

Lo studio del movimento animale in natura ha dimostrato infine che il movimento

locomotorio può essere descritto più efficacemente come una serie di traiettorie

complesse nello spazio e variabili nel tempo piuttosto che un movimento in linea retta a

velocità costante. L’analisi degli schemi di locomozione nei granchi, per esempio, ha

dimostrato una natura intermittente del loro movimento: adottando questo tipo di

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andatura, piuttosto che una più continua e rettilinea, essi percorrono distanze doppie a parità di dispendio energetico.

Dal momento che in natura la locomozione stazionaria è più un’ eccezione che una regola, gli studi sulla meccanica del comportamento animale devono prendere in considerazione non solo come gli animali generano i loro schemi di movimento ma anche come essi riescano a controllarli nel tempo e nello spazio.

2.2.3 Il controllo della locomozione

I segmenti corporei adibiti alla locomozione non esercitano soltanto una forza sul mondo esterno, ma percepiscono questa stessa forza. Per ogni ciclo di locomozione una serie di sensori neuronali misura la dinamica delle forze e la variazione di lunghezza nei muscoli (phasic feedback, vedi figura 2.6); il comportamento viscoelastico del sistema muscolare, a sua volta, fornisce un feedback meccanico, non neuronale, immediato (indirizzato cioè al solo sistema muscolare e non al sistema nervoso centrale;

mechanical preflexes , vedi figura 2.6). Tali feedback, neuronale e meccanico, sono in ultimo integrati attraverso l’utilizzo degli organi di senso e di equilibrio. Questo sistema di controllo sinergico è ciò che rende la locomozione così efficace.

Fig. 2.6: Sistema di controllo della locomozione

Come è evidente in figura il feedback sensoriale consente di monitorare l’ambiente

esterno attraverso modalità multiple afferenti al sistema nervoso centrale (SNC). Tale

feedback può essere infatti diviso in due grandi categorie: circuiti sensoriali di guida e

di equilibrio (frecce azzurre) e circuiti di retroazione che partono dai meccanocettori

presenti in grandi quantità (freccia blu). In risposta alle informazioni fornite il SNC

regola l’attività motoria.

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In parallelo, i preflessi meccanici (freccia rossa), legati alla natura viscoelastica del sistema muscolare, forniscono un feedback addizionale che agisce rapidamente per resistere alle perturbazioni. Essi svolgono una funzione complementare al feedback sensoriale, sopperendo ai difetti di quest’ultimo: la bassa velocità di conduzione dell’impulso nervoso, il ritardo insito nella trasmissione sinaptica e una attivazione muscolare lenta.

In seguito a studi recenti condotti sul controllo motorio, è stata avanzata l’ipotesi che i segnali nervosi non siano comandi bensì “suggerimenti” inviati al sistema muscoloscheletrico; in quest’ottica i compiti svolti dal feedback sensoriale e dai preflessi meccanici non risultano più ben definiti, non essendo chiaro quale dei due è esattamente controllato dall’altro. È stato comunque dimostrato [27] che i soli preflessi meccanici sono sufficienti a conferire all’animale un gait di locomozione capace di autostabilizzarsi a seguito di una perturbazione.

2.2.4 Il ruolo svolto dai muscoli

Ricerche [15] condotte sulla locomozione animale nell’ambiente naturale e focalizzate a livello del solo sistema muscolare, hanno cominciato a chiarire il ruolo svolto dai muscoli durante la performance locomotoria. Utilizzando una tecnica che prevede la stimolazione ciclica del fascio muscolare (work-loop technique), tale da simulare l’attivazione naturale, è stato possibile raccogliere numerose informazioni sul comportamento muscolare in condizioni più realistiche. Gli esperimenti hanno fatto luce sul funzionamento del muscolo come motore che genera forza quando si contrae producendo lavoro positivo; essi hanno però portato alla scoperta degli altri ruoli giocati dai muscoli quando l’animale si muove. Essi possono anche agire come freni, molle e leve. La figura 2.7 illustra i come i muscoli possano agire quando assumono ruoli diversi.

La conchiglia a pettine fornisce un semplice esempio di muscolo che agisce come motore: lavoro positivo rappresentato dall’area sottesa dal ciclo (forza per lunghezza), percorso in senso antiorario.

Il ciclo si legge partendo dall’angolo inferiore destro nel grafico (figura 2.7-A), quando

l’apertura della conchiglia è massima.

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L’attivazione del muscolo (rettangolo rosso nella conchiglia) provoca un aumento di forza e la contrazione che ne deriva produce la pressione necessaria a generare il getto d’acqua che spinge l’animale.

Fig. 2.7:Varie funzioni dei muscoli nella locomozione

A livello dell’angolo superiore sinistro il muscolo comincia a disattivarsi, la forza diminuisce e la contrazione continua. A sinistra in basso il muscolo è completamente disattivato e la forza è minima. Lungo il bordo inferiore del ciclo le conchiglie si aprono utilizzando l’energia immagazzinata, durante la chiusura, nei legamenti elastici della cerniera posteriore. Analoghe considerazioni valgono per il volo degli uccelli in figura 2.7 -B. In figura 2.7-C invece, alcuni muscoli della gamba dello scarafaggio, anche se anatomicamente adatti alla produzione di forza, agiscono nella corsa come freni e assorbono energia deformandosi (energia potenziale elastica di deformazione).

Similmente i muscoli di controllo delle ali delle mosche (figura 2.7 - D) agiscono come

molle per regolare la direzione delle forze prodotte dai muscoli motori; in questo modo

si forniscono al SNC i mezzi per alterare la cinematica dell’ala, variandone i tempi di

attivazione. In un pesce che nuota (figura 2.7 - E) la funzione dei muscoli può variare

anche all’interno di un ciclo locomotore: al primo colpo di coda le fibre muscolari

cefaliche si accorciano e producono lavoro di propulsione, che è trasmesso alla pinna

posteriore dalle fibre muscolari caudali che agiscono invece come leve. Al secondo

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colpo di coda le fibre che agivano precedentemente come leve diventano motorie. Infine nei tacchini (figura 2.7 F), si è osservato che i muscoli pettorali funzionano come motori durante la corsa in salita e come leve durante la corsa in piano.

2.2.5 Conclusioni

Negli ultimi anni, l’approccio integrato e comparato al problema della locomozione è riuscito ad identificare alcuni principi generali del movimento negli animali, i quali possono essere sorprendentemente applicati sia alla corsa sia al nuoto sia al volo; in sintesi:

1. il modo in cui gli animali esercitano le forze sull’ambiente esterno spesso permette di immagazzinare energia meccanica in un ciclo locomotorio per utilizzarla nel successivo;

2. le forze laterali alla direzione di avanzamento sono spesso più grandi rispetto a quelle sufficienti per una locomozione efficiente: esse però aumentano la stabilità dell’andatura e permettono di compiere repentini cambi di direzione;

3. per una comprensione completa della locomozione è necessario studiare il movimento degli animali nel loro ambiente naturale. Dal momento che essi utilizzano l’apparato muscolo-scheletrico per adempiere a vari tipi di comportamento, tale sistema non è infatti ottimizzato soltanto per la locomozione: in natura, a differenza di quanto accade in laboratorio, il movimento in linea retta e a velocità costante è d’altronde più un’ eccezione che la regola;

4. tanto il feedback neuronale quanto quello puramente meccanico (legato alla natura viscoelastica del sistema muscolo-scheletrico) giocano un ruolo fondamentale nel controllo del sistema locomotorio degli animali;

5. durante la locomozione, i muscoli assolvono alla funzione motoria ma anche ad

altri compiti, non meno importanti: essi si comportano da molle di regolazione,

da elementi frenanti, e da elementi di trasmissione delle forze motorie stesse,

dimostrando un alto livello di versatilità.

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2.3 Scelta del sistema di locomozione

La progettazione e realizzazione di una capsula endoscopica dotata di gambe per la locomozione all’interno del tratto gastrointestinale (TGI) è quasi del tutto nuova e inesplorata.

Come dimostrano i dispositivi robotici endoscopici, presenti nella letteratura di settore, l’utilizzazione di congegni miniaturizzati per l’esplorazione delle cavità intracorporee molli è ormai un risultato acquisito, ma essi sono stati prevalentemente progettati con sistemi di locomozione su ruote o di tipo “inchworm”.

Ad esempio l’Istituto Coreano della Scienza e della Tecnologia ha progettato un robot [28] che si muove avanti e indietro utilizzando una serie di micro-ruote a contatto con la parete interna dell’intestino (vedi figura 2.7). Al momento non sono disponibili altre informazioni a riguardo.

Un altro dispositivo [29] su ruote è quello sviluppato dall’Istituto di Tecnologia del Massachusset (MIT).

Esso è costituito da un corpo cilindrico di 15 mm di diametro e 85 mm di lunghezza. Il robot è inoltre dotato di due ruote laterali guidate indipendentemente, e una piccola “coda” (non mostrata in figura) avente lo scopo di impedire la rotazione del corpo stesso. Nella parte centrale è infine ricavato abbastanza spazio per alloggiarvi

una piccola telecamera. L’utilizzo di questo dispositivo permette un approccio diverso alla laparoscopia: esso viene inserito nella cavità addominale del paziente insieme agli strumenti (bisturi e forbici) e fornisce al chirurgo una visione degli utensili da varie angolazioni. Tale sistema permetterebbe di facilitare la prestazione del chirurgo e di migliorare la qualità dell’intervento, riducendone addirittura i costi.

Fig. 2.7: Dispositivo robotico progettato dal KIST

Fig. 2.8: Prototipo sviluppato dal MIT

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Un esempio di dispositivo robotico dotato di locomozione inchworm è invece rappresentato dall’ endoscopio robotico sviluppato da J.Burdick [30]: esso è composto da vari segmenti collegati tra loro da snodi flessibili e utilizza palloni gonfiabili in gomma e soffietti pneumatici come attuatori. La figura 2.18 mostra una fotografia dell’Endoscopio Robotico. I palloni, incollati sulla superficie di ogni segmento, hanno la funzione di “ancoraggio” ed una volta gonfiati aderiscono alle pareti dell’intestino permettendo al robot di esercitare la forza necessaria per la movimentazione senza scivolamento. Ogni segmento del dispositivo è unito da un soffietto pneumatico che si espande o si ritrae a seconda della pressione interna, in modo da distanziare o avvicinare le due parti del robot separate dal segmento centrale. Tutti gli attuatori sono controllati da valvole a solenoide miniaturizzate contenute all’interno del dispositivo e sono controllate dall’esterno mediante una rice-trasmittente.

Una volta inserito nel colon, il robot si muove autonomamente attraverso il lumen mediante la locomozione inchworm: alcuni palloni si gonfiano aderendo al tessuto, poi gli altri palloni vengono fatti avanzare mediante l’espansione dei soffietti; il passo successivo consiste nel far dilatare i gripper prima sgonfi, svuotare gli altri e ritrarre i soffietti per far avanzare ancora

i palloni che non aderiscono al tessuto. Tale serie di movimenti viene ripetuta ciclicamente per far avanzare il robot, mentre, per farlo retrocedere, basta invertirne l’ordine. A seconda del numero di segmenti che costituisce il robot, il tipo di movimentazione inchworm può variare anche considerevolmente.

J.Burdick ha testato uno dei suoi prototipi su di un intestino di maiale (figura. 2.10) e sta sviluppando un nuovo endoscopio modulare per eseguire delle prove di locomozione in

Fig. 2.9: Fotografia dell’Endoscopio Robotico di J.Burdick

Fig. 2.10: Inserimento dell’Endoscopio

Robotico in un intestino di maiale

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vivo. L’obiettivo principale è l’ulteriore miniaturizzazione delle valvole le cui dimensioni costituiscono il problema principale per la miniaturizzazione dell’intero robot.

W.Walter [31] ha sviluppato un Colonscopio Autonomo simile, nel suo funzionamento, a quello di J.Burdick. In questo caso, i palloni gonfiabili sono utilizzati per far aderire il dispositivo alle pareti dell’intestino mentre l’avanzamento è attuato spingendo e ritraendo una barra flessibile. La barra è fissata al pallone in testa mentre la guaina che la contiene è fissata al pallone in coda. Un cilindro pneumatico muove alternativamente la barra dentro la guaina per produrre il moto di tipo inchworm del robot (figura. 2.23).

Fig. 2.11: Fasi dell’avanzamento inchworm del Colonscopio Autonomo

Poiché il movimento della barra è attuato dall’esterno, il dispositivo risulta nel complesso più resistente ed affidabile rispetto a quelli presentati precedentemente.

Possono sorgere però problemi d’attrito tra la barra e le pareti dell’intestino che potrebbero impedire l’avanzamento del robot. Infatti, se quando la barra viene spinta in avanti la resistenza offerta dal tessuto è maggiore dell’aderenza ottenuta con i palloni, il dispositivo slitta. Inoltre, se l’escursione della barra è eccessiva, essa si può piegare per effetto del carico di punta.

P.Dario dell’Istituto Superiore S.Anna di Pisa ha sviluppato, nell’ambito del progetto

europeo MUSYC [32], [33], [34], un microsistema robotico per colonscopia in grado di

muoversi all’interno dell’intestino mediante movimentazione inchworm . Il robot è

costituito da tre segmenti attuati pneumaticamente: clamper di coda, soffietto, clamper

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di testa. I due clamper hanno la funzione di bloccare il dispositivo alle pareti del tessuto mentre il soffietto provvede all’elongazione o alla contrazione del robot.

Fig. 2.12: Fasi di avanzamento inchworm

(i clamper scuriti sono quelli attivi) Fig. 2.13: Primi prototipi di Microrobot

Se si crea una depressione all’interno dei clamper, i fori presenti sulla superficie attirano il tessuto che vi collassa al suo interno. Grazie alla forza d’attrito che si genera tra il clamper ed il tessuto, il robot è in grado di fissarsi alle pareti dell’intestino.

Inizialmente (figura 2.12) sia il clamper di coda che il soffietto sono soggetti ad una depressione in modo tale da bloccare la coda e ritrarre il soffietto.

Dopo aver insufflato aria dalla testa per aprire il lumen, genericamente collassato, il soffietto è pressurizzato ed il robot si allunga. Una volta allungato il robot, il clamper di testa viene attivato, quello di coda disattivato ed infine viene retratto di nuovo il soffietto; in tal modo si ottiene l’avanzamento del robot. La ripetizione ciclica delle fasi descritte consente al robot di avanzare all’interno dell’intestino.

Infine, sempre presso l’Istituto Superiore S.Anna di Pisa, sono stati realizzati dei prototipi basati sul principio di locomozione inchworm [35].

Le prime versioni sono state progettate per testare l’efficacia del tipo di locomozione impiegato (figura 2.13). I dispositivi hanno un diametro che varia dai 18 ai 22 mm.

L’attuazione pneumatica è governata da un distributore esterno che, mediante elettrovalvole, manda in pressione o depressione i tubi collegati agli attuatori del robot.

Una delle ultime versioni del dispositivo integra tutti gli elementi presenti normalmente

in un endoscopio (figura 2.14). Esso integra al suo interno una telecamera CCD, un

fascio di fibre ottiche per l’illuminazione, il canale per biopsie e quello per

l’alimentazione d’aria/acqua. Il minirobot ha un diametro di 25 mm per una lunghezza

di 170 mm ed è collegato al distributore con una coda di 1.6 m.

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(A) (B) Fig. 2.14: (A) Minirobot;(B) Punta del Minirobot

Mentre i dispositivi robotici basati su un sistema di locomozione inchworm hanno fornito risultati soddisfacenti per quanto riguarda lo spostamento all’interno delle cavità intestinali, i sistemi su ruote sembrano avere meno prospettive di sviluppo a causa della geometria complessa del TGI, della grande deformabilità del tessuto e del basso coefficiente di attrito presente.

Il sistema di locomozione qui proposto si basa sull’utilizzo di una serie di micro-gambe che generino forze sufficienti allo spostamento di una capsula endoscopica; tale scelta è giustificata dagli indubbi vantaggi che il sistema offre rispetto a una locomozione inchworm:

maggiore sicurezza per il paziente: con una locomozione di tipo inchworm il corpo della capsula scivola necessariamente sopra il tessuto dimostrandosi incapace di evitare zone danneggiate o aree colpite dalla patologia. L’utilizzo delle gambe permette invece un miglior controllo della traiettoria al fine di oltrepassare tali zone senza toccarle. Ciò è attuabile sia dall’endoscopista nell’ambito di una teleoperazione sia automaticamente implementando, a bordo della capsula, un sistema di controllo intelligente della visione.

migliore adattabilità all’ambiente; la capsula è progettata per muoversi in aree differenti da un punto di vista anatomico e biomeccanico: l’intestino tenue e l’intestino crasso, caratterizzati da una diversa dimensione del diametro interno (circa 3 cm per l’intestino tenue e circa 5 cm per quello crasso negli individui adulti). Inoltre la variazione di diametro nel TGI non avviene solamente nel passaggio dall’intestino tenue all’intestino crasso ma anche all’interno dello

CCD camera

Canale Acqua/aria

Illuminazione

Canale Biopsie

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stesso tratto, in maniera più o meno evidente a seconda dell’individuo in esame.

Un sistema di locomozione efficace deve quindi potersi adattare al diametro interno del tratto di intestino esplorato ma una capsula dotata di locomozione inchworm presenta notevoli difficoltà poiché per muoversi ha bisogno di aggrapparsi alle pareti dell’intestino e di essere da esse guidata nella giusta direzione.

L’adozione di un sistema di locomozione su gambe permette invece di superare tali difficoltà semplicemente scegliendo in modo opportuno la lunghezza delle gambe.

maggiore controllabilità; sebbene più complessa rispetto ad altre, molti animali (compreso l’uomo) utilizzano la locomozione su gambe: essa permette infatti di esercitare un maggior controllo sulla posizione del corpo dato che la lunghezza, la frequenza e la traiettoria del passo possono essere aggiustate a seconda delle necessità.

velocità di avanzamento più elevata; nella locomozione inchworm non si ha nessuna amplificazione cinematica del passo: se un attuatore lineare fornisce una corsa L ∆ , il massimo spostamento della capsula sarà minore di L ∆ , in quanto l’efficienza di locomozione è sempre minore di uno. I microattuatori utilizzati nella capsula non saranno in grado di fornire grandi spostamenti a causa delle piccole dimensioni disponibili. Solo utilizzando un adeguato meccanismo di amplificazione è possibile raggiungere velocità apprezzabili all’interno del TGI:

le gambe agendo come leve rappresentano il modo più semplice per avere tale amplificazione.

adesione semplificata: l’utilizzo di micro-gambe per la locomozione permette di

ridurre le dimensioni delle aree di contatto (rappresentate dall’estremità di ogni

gamba) con il tessuto e di produrre pressioni superficiali elevate e deformazioni

locali significative. A causa della natura viscoelastica del tessuto gastro-

intestinale è quindi possibile raggiungere un elevato coefficiente di attrito che

facilita lo spostamento della capsula all’interno dell’intestino. Inoltre, un’elevata

pressione di contatto favorisce la rottura del meato liquido che riveste le pareti

intestinali, facilitando ulteriormente l’ adesione delle gambe.

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